domenica 28 dicembre 2014

Il mondo esterno

Sono le 10 e la tana delle larve, calduccia e ben fornita di internet veloce, libri, giochi, messaggiamento e altri comfort, non si è ancora aperta.
All'improvviso, il mondo esterno – col suo carico di violenza, virus, catastrofi naturali, compiti – si affaccia minaccioso alla porta. La larva si nasconde nel bozzolo ma è tutto inutile: “alzati e vieni a fare colazione!” Da sotto al piumino esce un lamento: “non voglio il mondo esterno!”  

venerdì 26 dicembre 2014

Escalation

23 dicembre: Passeggiatina a Norcia, giusto giusto per arrivare a Fermo con una punta di appetito.
Arriviamo che è già apparecchiato. Anellini al forno, arrosto di vitello – sono pieno – formaggio e dolci assortiti, spumante, vino e vino dolce.
24 dicembre: 1 ora di corsa sulla collina, panorami salite e discese. Rutti confermano lo stato di avanzamento della digestione. Sto avendo la meglio. La testa si libera dal torpore appena in tempo per sedermi a tavola.
Pizza, crostini al salmone – sono pieno – insalata russa, tagliolini allo scorfano, code di rospo al forno, formaggio e dolci assortiti … nella nebbia arriva babbo natale.
25 dicembre: 2 ore di corsa sul lungomare adriatico, 25 km fra pista ciclabile, pineta e marciapiede. L'insulina e i muscoli si litigano il glicogeno del sangue. Finiscono pari ma io sono esausto.
Fritto all'ascolana, crostini, tortellini in brodo, arrosto, galantina, formaggio e dolci assortiti, spumante, vino e vino dolce.
26 dicembre: mattina. Fuori piove, in testa ho la nebbia e non esco. Aspetto il pranzo.
Tagliatelle fritte, sformato di tagliolini, avanzi …
Pomeriggio, c'è il sole ma sono sopraffatto dal cibo e rischierei di vomitare.
Mi arrendo: mi sono ormai trasformato in uno di quei vermi il cui corpo serve solo a ricoprire e proteggere l'intestino. Ormai sconfitto, non rinuncio però all'ultima sortita per salvare l'onore. Non credo che sopravviverò. Sono le 4 meno 10, l'aria è limpidissima e frizzante, illuminata a sprazzi dagli ultimi raggi di sole. I primi rutti si portano dietro un liquido dal buon sapore di tagliatelle fritte. Su e giù per i colli, in dicesa i contraccolpi dei passi appesantiti dal peso del mio stomaco ipertrofico accompagnano i movimenti peristaltici come una buona centrifuga. In salita, cuore e muscoli succhiano glicogeno e acidi grassi dal sangue. La testa ringrazia scotendosi dal torpore. Il sole è tramontato ma voglio correre ancora. Con un saliscendi su ripidissime strade agricole, passo al crinale accanto. I rutti sono ormai asciutti e il passo ha acquistato una buona lena. Nella semioscurità, una falce di luna si staglia sul cielo e le luci dei paesi, sulle colline. I rutti ora cominciano a uscire da sotto: il più è fatto. Rientro che è ormai buio. Sembrava impossibile ma l'ho avuta vinta anche questa volta.

Ora vi devo lasciare che è pronto a tavola.

martedì 23 dicembre 2014

Errare è umano …

In fondo errare mi piace: errare, vagare senza fine e senza meta. Girovagare intorno al punto di partenza o peregrinare in una direzione precisa; verso est come facevano gli antichi romani: “errare humanum est” (l'uomo vaga verso est) o, come gli antichi fiorentini, verso nord-est: “errare humanum nord-est” e da Firenze andavano a finire in Romagna, spesso a Faenza.
Forse questa storia l'avete già letta su questo blog. La storia dell'asino errante che insiste a voler correre per 100 km consecutivi, per 9 ore senza sosta ma che, errando, non ci riesce. E ci riprova più volte dimenticando l'incubo di quell'infinita striscia d'asfalto, di quella salita interminabile che porta solo all'inizio di una discesa ancora più lunga; dimenticando, o fingendo di dimenticare, le ore di tortura, le continue percosse dell'asfalto sui muscoli  martoriati delle cosce. Destinato ad un ineluttabile fallimento; in una parola: velleitario.


Il 30 maggio 2015, sarò a Firenze, alla partenza della 100 km del passatore e la finirò in 9 ore, senza soffrire.

domenica 21 dicembre 2014

Giancarlo corre con noi.

Col cuore in gola e il fazzoletto in mano
Mattinata piena, strapiena direi.
Genitore, atleta, allenatore, presidente, amico di tanti atleti … oggi ero tutte queste persone insieme: troppe.
Il genitore ha trascinato il figlio Francesco con subdole minacce fino alla gara ma non ha assistito alla partenza e il figlio non è partito.
L'atleta non si è riscaldato e ha boccheggiato col cuore in gola e le coronarie nelle orecchie dalla partenza all'arrivo, impiegando 4 secondi più dell'anno scorso.
L'allenatore che avrebbe voluto far correre i bambini, forse ne ha dimenticato qualcuno a Capoterra, uno non è partito e una l'ha vista cadere.
Il presidente era convinto di riuscire a fare i rinnovi delle tessere e di distribuire i panettoncini ai bambini ma non ha fatto niente di tutto ciò.
L'amico era talmente perso e disorientato che quando gli hanno fatto un regalo di natale quasi non ha ringraziato.

Non tutto è stato un disastro, però.
Francesco, il figlio del genitore, era contento di non essere partito.
L'atleta si è consolato con un terzo posto su sessanta della sua categoria
L'allenatore ha visto i bambini impegnarsi a fondo, una anche rialzarsi e ripartire dopo la caduta.
Il presidente ha visto una squadra che sta diventando squadra con bambini, genitori, atleti e allenatori che si aiutano e incoraggiano, nonostante il presidente.
L'amico, ogni volta che si girava, vedeva amici a cui aveva un sacco di cose da dire e un sacco da ascoltare.

Giancarlo ci ha regalato anche il sole. Insomma sarebbe stata una bellissima giornata di festa: peccato solo questa gran confusione mentale. E nonostante tutto quello che avrei voluto ancora dire, fare, baciare … mi sono lasciato trascinare via senza opporre resistenza.

sabato 20 dicembre 2014

Monoatleta

Un ciclista, un podista o un nuotatore non sono monoatleti: sono un ciclista, un podista e un nuotatore. Il monoatleta è una riduzione del triatleta che, per ragioni varie, si ritrova a praticare uno solo degli sport del triathlon.
A me capita spesso, talvolta per infortunio o per scelta ma più spesso per pura pigrizia mentale.
La metamorfosi è repentina. Senza che me ne accorga, l'acqua diventa sempre più fredda, il costume o la muta spariscono dal bagagliaio e le due nuotate settimanali sono ridotte a zero insieme ai buoni propositi di mantenimento del pur scarso stato di forma natatorio. Per l'iscrizione in piscina poi tanto vale aspettare il mese dopo che però, insieme al giorno dopo e alla settimana dopo, forma la mitica triade dell'irraggiungibile. Io almeno non li ho mai ritrovati e ho il forte sospetto che si spostino in continuazione. Così, in silenzio, senza neanche un fiabesco “puf”, il nuoto è sparito.
La bici diventa sempre più bucata, qualche volta si buca perfino da sola. Il completino sempre più incompletino: se ho la maglia mancano le scarpe, se ho maglia e scarpe nella borsa trovo solo un calzino … . La pioggia, un tempo allegra compagna di viaggio, diventa un ostacolo insormontabile e perfino la previsione di pioggia si interpone solida fra me e la bici. Gli amici ciclisti, un tempo trascinatori, cominciano a stufarsi dei tanti pacchi (questa volta vengo! … Non ci crederai, ho lasciato le scarpe a casa) e non mi chiamano più. E anche la bici è andata.
Non mi resta che correre: nel freddo, sotto la pioggia, senza un calzino, … finché resta la passione niente mi potrà fermare.
Poi, forse, da un giorno all'altro, mi ritroverò zeroatleta. Che non è il classico poltrone ma una riduzione del triatleta che per ragioni varie si ritrova bloccato su un divano, incapace di scendere.

O forse, speriamo, si accenderà una lucina, l'acqua diventerà calda, il mese dopo mi aspetterà, le gomme torneranno turgide e il divano mi darà un calcio in culo.  

lunedì 15 dicembre 2014

29 marzo 2015. Primo trail di Capoterra.


Ecco il fiore. Un po' rinsecchito ... Grazie Diego!
E' ormai quasi definito il percorso della gara che sto organizzando per il 29 marzo nel territorio dell'ex comunità montana di Capoterra.

La gara si svolge su un percorso “a fiore”, con tre petali, di difficoltà crescente, che partono e tornano al punto base dove sono situati la partenza, gli arrivi, il pubblico, lo speaker, i ristori e le gare delle categorie giovanili.
Basic – margherite e coniglietti. 7km. Il primo petalo coincide anche col percorso della non-competitiva. Non presenta difficoltà tecniche di rilievo. Sono presenti però tre “strappi” in salita brevi ma con pendenze che sfiorano il 20% e due brevi “single track” pianeggianti, che insieme ai panorami ariosi, la totale assenza di asfalto e la vegetazione varia e rigogliosa, permetteranno anche ai principianti di “assaggiare” il trail running senza rischiare l'indigestione.
Dopo essere tornati al punto di partenza, i partecipanti alla non-competitiva raggiungeranno l'arco dell'arrivo mentre gli altri, dopo un meritato ristoro, gireranno a destra per il secondo petalo.
Hard – corbezzoli e capre. 4 km. Il secondo petalo lascia quasi subito la carrozzabile per scendere sul greto pietroso di un torrente per un breve tratto che richiede attenzione e caviglie forti. Ma la vera difficoltà inizia quando il percorso rientra sulla carrozzabile: una salita di un chilometro circa con pendenze intorno al 15% che costringerà molti a camminare e altri ad esplorare il limite massimo della loro frequenza cardiaca. A fine salita il percorso passa su un tratto di cresta in lieve discesa con panorami da ambo i lati dove sembrerà di volare, per poi scendere a capofitto (indispensabile attenzione e controllo degli appoggi), passare il torrente e, su comoda sterrata, ritornare al solito punto di partenza. Qui, quelli del “giro duro” gireranno a sinistra per il traguardo, mentre i pochi avventurieri del “giro estremo”, dopo un altro meritato ristoro e un applauso di incoraggiamento, tireranno dritti per il terzo petalo.
Extreme – cisto e cinghiali. 7 km. Il terzo petalo in realtà non presenta difficoltà altimetriche esagerate. Le maggiori difficoltà sono di carattere tecnico in quanto si sviluppa in buona parte su sentierini di montagna con discese ripide, sassi, radici e altre insidie che gli amanti del trail running si divertiranno molto a superare di slancio. Per questo è riservato agli amanti del genere “trail”, già abituati a percorrere sentieri di montagna e in possesso di calzature adatte. Gli altri potrebbero non apprezzare o rischiare di farsi male. Chi fosse indeciso, è caldamente invitato a partecipare all'uscita di prova dell'1 febbraio oppure a limitarsi al “giro duro”, già in grado di saziare gli appetiti di podisti anche molto esigenti.
È però solo sfogliando il terzo petalo della margherita che avrai risposta al dilemma che ti gira per la testa: “trail o non trail?”1

Nota
1. riferimento alla celebre immagine shakespeariana del principe Amleto che tiene in mano una margherita e, con sguardo lugubre, comincia a sfogliarla: “essere, non essere, essere …”

sabato 13 dicembre 2014

50 ragioni per fare sport – 11. Perché correre rende liberi.

Correre per essere liberi, per scappare dalla prigionia delle routines. Però correre non basta. Non ci si deve rinchiudere in un pista. Per essere veramente liberi bisogna correre in lungo in largo e soprattutto di traverso esplorando la seconda dimensione. Ogni punto diventa allora un possibile bivio in cui esercitare la libertà di scelta fra il conosciuto, l'ignoto e altri ignoti ancora. Non avere confini o, se ci sono, superarli con un salto. Correre in montagna per conquistare, in volo, anche la terza dimensione. Lo spazio diventa nostro; è spazio libero e nel tempo libero forma uno spazio-tempo libero per viaggi relativistici e mentali a ruota libera …

A tal proposito, ecco una simpatica testimonianza:

Correre rende liberi, è proprio vero. L'ho imparato sulla mia pelle, molti anni fa.“Dove mi state portando?” Chiesi nel mio inglese stentato. “Canta, canta1 e non ti preoccupare, ti accompagniamo noi”. Ho cantato. Da allora sono anni che mi alleno per la solita ora quotidiana in questi 400 metri. Hai proprio ragione, la vera libertà è fuori: saltare steccati, guadare fiumi, correre con i cani che abbaiano, di notte, fra mille torce … Ecco la verità: se fossi riuscito a correre più veloce, non mi avrebbero beccato.

1 sing sing (NDT)

lunedì 8 dicembre 2014

Cagliari Respira

Domenica mattina; allo specchio ho visto una faccia spiegazzata. Facendo la barba speravo di togliermi quell'espressione stropicciata. Ho continuato a passare il rasoio per 15 minuti ma non se ne andava; non era colpa dei peli, era nella pelle o forse anche più giù. Ero stropicciato dentro.
Nelle settimane prima della gara, la forma, dopo una serie di su e giù, si era stabilizzata su un livello di discreta mediocrità. Basandomi sulle prove fatte in allenamento, avrei forse potuto puntare a migliorare il mio record annuale sulla distanza, l'allora deludente 1h22'47” di marzo ad Oristano. Dovevo puntare alla cieca però. Con i polsi liberi da qualsiasi strumento di misura, gli unici riferimenti sarebbero state le sensazioni trasmesse al cervello da gambe, cuore e polmoni. Pure pulsioni sensoriali, nessun calcolo razionale, la mente completamente libera e inconsapevole come quella di un adolescente, anche se un po' stropicciata dal tempo. L'anno scorso mi avevano assegnato il bollino rosso, non per le mie attività di pornostar ma per poter accedere alla griglia dei più forti. Quest'anno invece sono stato giustamente retrocesso nel mucchio indistinto della plebe podistica in lotta corpo a corpo per una buona posizione di partenza. Purtroppo mi son ritrovato nell'area post cagotto, non alleggerito per aver espletato funzioni corporali ma appesantito da funzioni presidenziali dell'ultimo minuto e nonostante i trattati studiati e scritti sull'argomento, non ho saputo far meglio che raggiungere le ultime posizioni dell'area esperti. Davanti a me, un migliaio di podisti. Partendo da dietro, però avrei potuto controllare quelli che sorpassavo … dov'era Francesco? E Teo? In partenza ho impiegato mezzo minuto per passare sulla linea di partenza. Lungo tutto il primo chilometro poi è stato piuttosto difficile districarsi fra centinaia di podisti lenti. Senza farmi prendere dalla frenesia, mi sono liberato abbastanza presto, cominciando a correre veloce verso il centro di Cagliari. Poi la breve salita di Largo Carlo Felice, la discesa lungo il Corso, il passaggio nel mercato e i primi 5 chilometri sono passati piacevolmente nel centro città. Ho raggiunto due colleghi ultra-top: Stefano ed Enrico, che hanno fatto un po' di strada con me. La gente a bordo strada era numerosa ma ognuno incitava solo i suoi atleti personali; per me ce n'erano pochi, in compenso ho notato che Stefano è molto popolare in città. Il percorso ci ha ricondotti al punto di partenza e poi oltre, verso il poetto. Le gambe giravano bene e continuavo ad andare ad una buona anche se misteriosa andatura, superando atleti anche forti. Enrico intanto si era staccato mentre Stefano mi seguiva senza problemi. Anche la distanza mi restava ignota per lunghi tratti in quanto molti dei cartelli chilometrici giacevano buttati per terra.
Davanti a me, più di una volta mi era parso di scorgere Francesco ma non era mai lui. Anche lui, come mi ha poi raccontato, si voltava a guardare quelli che lo stavano raggiungendo con l'incubo di vedermi passare dicendo “ehilà Francesco, come stai?” come al triathlon del Forte Village. Dopo il lungomare del poetto, il percorso si inoltrava nel parco delle saline lungo un breve tratto di strada sterrata controvento. Ho accelerato per raggiungere il gruppetto davanti e restare al riparo dal vento e poi accelerato di nuovo per star dietro a gente più veloce. Le gambe rispondevano bene e appena la strada ha girato perpendicolare al vento, mi sono messo io a fare l'andatura.
Intorno al quattordicesimo chilometro, finalmente ho raggiunto Teo. Sta diventando sempre più forte e riuscire a raggiungerlo è stata una bella soddisfazione e un sollievo. Al diciassettesimo chilometro il percorso seguiva la pista ciclabile che costeggia un canale fino al porticciolo di Su Siccu. La stanchezza cominciava a farsi sentire ma non mancava molto e come ormai so bene, gli ultimi chilometri si deve solo resistere. Dopo essersi staccato leggermente nel passaggio alle saline, Stefano era di nuovo dietro di me. Ho rallentato un po' e finalmente mi ha superato. In una salitella intorno all'ultimo chilometro mi ha anche staccato leggermente ma poco dopo l'ingresso in pista per gli ultimi 300 metri sono riuscito a riaccodarmi a lui. Nel rettilineo finale, una giovane atleta, appena superata, ci ha reso il favore con una bellissima sparata. Non mi è scattata la molla della cattiveria (una donna e un amico) e mi sono docilmente limitato a seguirli. L'orologio all'arrivo segnava 1h23'17. Finalmente ho visto Francesco, fresco e sorridente; era contentissimo di avermi battuto … almeno così credevamo … e gli ho concesso l'onore delle armi.
Appena arrivato a casa mi sono seduto al computer a controllare i risultati ufficiali. Tenendo conto del ritardo alla partenza, la correzione del “real time” mi ha dato 1h22'47”, esattamente come ad Oristano! Voglio immaginare di essermi migliorato di frazioni di secondo – tutto il resto sarebbe stata fatica sprecata – e che quindi, andando puramente a sensazione, ho fatto molto meglio che con i mille calcoli di Torino. Controllo i “real time” di Francesco e di Stefano: 1h22'49 e 1h22'51 e mi prendo una rivincita sia pure risicata e postuma. Cosa faccio? Chiamo Francesco? Forse più tardi, c'è tempo.

Mi guardo allo specchio con un sorriso: le pieghe si sono spianate.

sabato 6 dicembre 2014

I verticali e gli orizzontali

Sulla locandina di una gara di trail che vorrei correre a gennaio c'è scritto: 45 chilometri, due di più e due di meno. Per l'aritmetica 45+2-2=45 chilometri esatti. In realtà non è proprio così perché “di più” scritto “D+”, sta per “dislivello positivo”. Si tratta quindi di chilometri verticali che non si sommano o sottraggono agli orizzontali ma si incrociano con essi come in un normale cruciverba.
In qualità di “ultra-top” devo prendere confidenza con questi chilometri verticali anche perché due chilometri non sono pochi neanche sdraiati per terra; se poi li tiri su con una gigantesca erezione, fanno davvero impressione.
E allora, nei miei allenamenti, i “D+” stanno diventando un dato determinante, esattamente come il chilometraggio percorso. Invece di dire “oggi corro dieci km” dico “oggi faccio 800m D+”. Sono costretto allora a cercare percorsi su sentieri di montagna, su e giù più di una volta perché le montagne qui non sono abbastanza alte, fermandomi solo ai punti ristoro a mangiare corbezzoli e bere acqua di torrente, disturbando i daini nei loro territori e, devo dire, la cosa non mi spiace affatto.

Anzi, ne voglio di più.

giovedì 4 dicembre 2014

C'è speranza per il pianeta.

Zone agricole pian piano si trasformano in deserti. La terra si impoverisce per siccità e sovra sfruttamento e diventa sabbia. Nel 2014 la desertificazione è uno dei problemi principali del nostro pianeta ed è considerata un processo irreversibile in tutto il mondo … tutto? No! Un villaggio del Campidano, abitato da irriducibili calciatori, resiste ancora e sempre all'invasione del deserto. È Capoterra, un nome, un programma, da cui arriva una speranza per il nostro pianeta. Vi racconto questa piccola favola dal lieto fine.

Al campo sportivo di Santa Rosa, c'era una piccola ma minacciosa buca piena di sabbia usata per il salto in lungo: un piccolo deserto con mire espansionistiche verso il verdissimo campo da calcio limitrofo. Secondo la tendenza mondiale alla desertificazione, pian piano l'erbetta del campo in prossimità della buca si sarebbe dovuta seccare e il deserto sarebbe uscito dalla buca avanzando verso il prato e trasformandolo progressivamente in un campo da beach soccer. Invece, grazie alla resistenza dei nostri irriducibili calciatori, il processo si è invertito. La sabbia, appena cercava di uscire dalla buca veniva sciacquata via da un'intensa annaffiatura; non solo! Col passare del tempo, infatti, a furia di annaffiare, piccole oasi di verde sono cresciute perfino nella buca; neanche i bambini con tutta la loro forza distruttrice sono riusciti a ostacolare il ritorno alla vita … anzi, la sabbia ormai indurita da un substrato di radici, resisteva ai loro salti colpendoli duramente alle caviglie.
L'erbetta ora cresce rigogliosa e una gioiosa fauna di zanzarine sta ripopolando definitivamente quello che solo pochi anni fa era un deserto.

E tutti vissero felici e contenti.  

lunedì 1 dicembre 2014

Almanacco del mese dopo – Dicembre 2014

Dicembre, mese di bilanci annuali, consuntivi e preventivi. Entrate e uscite.
Fra le “entrate” di prestigio, la carica di presidente e l'inserimento nel gruppo dei top-ultra sanno di riconoscimenti “alla carriera”, mentre sulla strada i successi si diradano e i tempi di percorrenza si allungano. Il bilancio temporale parla poi, inequivocabilmente, di “un anno in più”. Qualcuno potrebbe frettolosamente concludere che sto invecchiando mentre invece sto solo accumulando esperienze.
La bilancia del peso invece è in sostanziale pareggio. Le calorie ingerite sono state pressoché costanti, quelle consumate sono diminuite, quindi sicuramente ho cagato di più.

Eventi

7 - Maratonina di Cagliari. Fa parte della mia “strategia di uscita” dall'anno agonistico: distanze sempre più corte, percorse a ritmi sempre più tranquilli.
25 - Natale. Cominciano gli allenamenti seri per i buffet dell'anno prossimo. Se mi impegno seriamente, non dovrei sfigurare davanti alle tavolate di Macomer e Tonara.

Best of the past

A dicembre 2013, nel blog presento, oltre alle solite cronache gara:
Cagliari Vola, Corre, Arranca, Strascica e Respira moltissimo, profondo, affannato, a volte ansimante. Cagliari Vive, almeno un giorno all'anno. Da: Cagliari Respira … o almeno ci prova!

pignolerie:
E perché proprio chiocciolina? Io per esempio, se proprio devo dirlo, in quel simbolo ci vedo uno stronzetto arrotolato o un uovo fritto ma non mi sono mai sognato di dettare “pisani stronzetto crs4 punto it”. Chissà perché … forse suonava male … Da: Pignolerie: vuvvuvvu e chiocciolina

fatti personali:
Il mio passato di vecchio sembrava definitivamente alle mie spalle, Da: Occhiali

anche una proposta epocale, caduta però nel silenzio della rete:
L'anno prossimo al primo maggio c'è il ponte? E Natale che giorno cade?” Ogni anno diversi kilojoule di energia mentale se ne vanno per calcolare date: divisioni per sette, resti, addizioni … e il riscaldamento di miliardi di meningi sommandosi all'effetto serra, contribuisce ad aumentare il rischio di disastri climatici. … Eppure la soluzione c'è, semplice ed efficace: basterebbe adottare il “calendario Pisani” o “calendario perfetto” (sono sinonimi). Da: Pignolerie – Il calendario perfetto.



domenica 30 novembre 2014

Fiducia, bisogna avere ancora fiducia

Sono passate 3 settimane, due allerte meteo, una riunione improvvisa e tanti “richiamiamo noi”; noi siamo ancora lì, aspettando. Esco a prendere il caffè? Meglio aspettare, potrebbe chiamarmi l'ingegnere da un momento all'altro. Intanto la pioggia è passata ed è arrivata un'ondata di caldo fuori stagione. Le zanzare si moltiplicano e approfittano della nostra attesa per divorarci mentre lasciano tranquilli i piccoli calciatori che zompettano felici nel loro campo verdissimo. Vogliamo parlare anche di questo, delle zanzare che ci divorano. E poi ci sono i millepiedi, sempre più numerosi e la voglia di schiacciarli aumenta.
La settimana prossima incontrerò il sindaco e, fra le altre cose, gli dirò che l'ingegnere responsabile dell'ufficio tecnico ci aveva promesso un sopralluogo e non è ancora venuto; il sindaco ci dirà che ci penserà lui; noi gli stringeremo la mano con un sorriso riconoscente e ci metteremo lì, con rinnovata fiducia, ad aspettare il sindaco.

giovedì 27 novembre 2014

50 ragioni per comprare il mio seme – 4. Perché è un prodotto ultra-top.

Da qualche mese a questa parte, ogni due secondi, si sentiva il cigolio del perno. Cigolii in risalita dai toni bassi a quelli più alti si alternavano ad altri che dai toni alti scendevano ai bassi. Erano le quotazioni del mio seme che andavano su e giù in altalena: crisi-ripresa-altra crisi … . Finalmente, dopo un ultimo lunghissimo fischio, tutto tace. Ora ci sono le garanzie e il mercato ha risposto con grande fiducia. Le telecamere della stazione spaziale internazionale inquadrano spermatozoi sorridenti che ci salutano allegramente galleggiando in assenza di gravità. Eccesso di rialzo, qualcuno ha detto. Ma qual'è la notizia che ha scatenato questo putiferio?
Si è saputo in giro che il “seminatore velleitario” è stato selezionato per far parte del gruppo di atleti sardi “ultra-top”, che vanno a formare la bacinella della Nazionale.
“Ultra-top”! Sembrerebbe un doppio superlativo; in realtà, ma non ditelo in giro, non vuol dire “il meglio del meglio” ma solo “il meglio fra quei pazzi che corrono le ultramaratone”. Albanesi lo tradurrebbe con “il meglio del peggio” ma noi voliamo (o più spesso strisciamo lasciando una scia di bavetta) sopra il suo disprezzo.

Volete dei figli che siano geneticamente ultra-top? È semplice, basta acquistare il kit con il mio seme, completo di istruzioni; approfittate della grande offerta: 50 milioni di pezzi al prezzo di 2! Le quotazioni aggiornate (in euro al quintale) sono riportate nella pagina apposita.

martedì 25 novembre 2014

Strategia di gara per i triathlon lunghi.

Gli allenatori ti diranno che la gara ideale si fa tenendo la frequenza cardiaca più vicina possibile alla soglia aerobica per tutta la durata della gara, ma non è vero. È vero solo che così esprimi la potenza massima in quel lasso di tempo, ma non che vai più veloce possibile. Te lo dico io che sono un grande scienziato da bar: fidati.
Il problema è che la relazione fra battito cardiaco e potenza è lineare ma quella fra potenza e velocità non lo è. Più spingi, più vai veloce. È sempre vero. Ma se metti il 10% in più di potenza muscolare, vai il 10% più veloce? Nella corsa e nelle salite in bici, più o meno è così, ma in bici in pianura, acceleri poco più del 2%. Questo lo dice la fisica. Allora, se la tua soglia aerobica è, per esempio, 150 battiti al minuto, invece di andare sempre a 150, andando a 145 in bici in pianura e a 153 in salita e nella corsa ti stancheresti meno e ci metteresti, complessivamente, meno tempo.


Discorso a parte per il nuoto, in cui è difficilissimo raggiungere la soglia aerobica per via di quella maledettissima acqua che ti entra in bocca appena cerchi di affannarti un po'. Io al massimo, una volta nuotando ho raggiunto una sogliola aerobica, ma questa è un'altra storia.

domenica 23 novembre 2014

Maratonina di Uta – Corsa non competitiva.

Manifestazione podistica “non competitiva”: una specie di allenamento. Una settimana dopo la maratona, oggi volevo fare un allenamento non troppo lungo, provando l'andatura a cui vorrei correre, fra 2 settimane, la mezza di Cagliari. Per non correre da solo ho deciso allora di partecipare alla “non competitiva” di 7.4 km che si corre sullo stesso percorso e in contemporanea con la mezza maratona di Uta.
È non competitiva, solo un allenamento; il riscaldamento lo faccio per finta, tanto devo partire piano; poi, semmai, andrò in progressione. Un quarto d'ora prima della partenza mi lascio ingrigliare. Sono abbastanza avanti, vorrei andare più indietro per evitare di competere con i primi, ma mi distraggo chiacchierando con Chiara. Allo sparo i miei propositi di partenza tranquilla svaniscono e mi infilo fra gli spazi con cattiveria agonistica cercando di sopravanzare i più lenti. Nonostante il traffico mi districo benino e il primo chilometro lo passo in 3'49. Alla faccia del riscaldamento. Durante il secondo chilometro, finalmente libero, mi diverto a raggiungere e superare atleti che oggi sono più forti di me. A quelli della mia categoria faccio vedere il numero rosso della non competitiva per evitare che si mettano a gareggiare con me. Secondo chilometro in 3'30. Con atteggiamento poco “non competitivo”, controllo se intorno a me ci sia qualcun'altro col numero rosso. C'è un ragazzino di Villacidro che però è un po' in affanno e lo stacco. “Calma, Lorenzo, è una non competitiva!” Terzo chilometro in 3'38; quarto in 3'40. Anch'io comincio ad essere in affanno. Me ne rendo conto duramente quando vado a sbattere contro il vento contrario al rientro verso il centro del paese. Rallento vistosamente, non per scelta prudenziale ma perché non riesco più a reggere il ritmo di prima. Quinto chilometro in 4'07. Mi supera un bel gruppetto e, poco dopo, anche il ragazzo col numero rosso. Mi accodo e cerco di riprendere un ritmo decente. Sesto chilometro in 3'49: sto soffrendo quel ritmo ma fra poco è finita e non voglio perdere altre posizioni in questa “non competitiva”. Mi supera un altro ragazzino col numero rosso. Questo non me lo lascio scappare e, alla faccia della “non competizione”, agli ultimi cento metri piazzo uno sprint e lo supero.
7.4 km in 27'40 a una media di 3'44 minuti al chilometro, un ritmo che sicuramente non riuscirei a tenere per tutta una mezza. Non era quello che avevo preventivato ma mi sono divertito, ho sofferto, ho lottato, insomma ho competuto e mi sono anche piazzato fra i primi.

Erano previste premiazioni anche per i primi dieci della “non competitiva”. Una volta placato il demone agonistico e ripreso pieno possesso di me, con aria di serena superiorità ho dichiarato di rinunciare: “non mi metto certo a competere con i ragazzini”.

giovedì 20 novembre 2014

Ragionare con i lipidi.

Il cervello umano ha un dispendio energetico elevato, è il 2% del peso corporeo, ma utilizza il 50% dell'ossigeno e il 10% del glucosio contenuto nel sangue.
La maggior parte dell'energia è consumata dai neuroni soprat
tutto per il funzionamento della pompa sodio-potassio (50% dell'energia) indispensabile per l'attività del cervello (generare segnali elettrici).

Fino a ieri si riteneva che il cervello utilizzasse esclusivamente il glucosio come substrato energetico ma, osservando maratoneti oltre il trentesimo chilometro, quando le riserve di glicogeno sono ormai pressoché esaurite, ho ipotizzato l'esistenza di un meccanismo di ragionamento “lipidico”.

Il ragionamento lipidico è goffo e pesante. Terminato il glicogeno, astrociti obesi provano ad azionare la pompa sodio-potassio spalmandoci sopra un panetto di grasso. È un po' come cercare di far funzionare un computer con la batteria scarica annaffiandolo di benzina. Ci avete mai provato? Ecco perché le idee del nostro maratoneta appaiono confuse. Il ragionamento lipidico porta, per esempio, a scambiare il passaggio di una linea disegnata per terra, con un obiettivo da conquistare a prezzo di atroci sofferenze.
La pompa sodio-potassio straunta di grasso emette una serie di scintille in direzioni casuali che i neuroni cercano di catturare e interpretare spesso restando fulminati. Questa fulminazione traspare sul volto del maratoneta, dandogli quell'espressione tipica che tanto piace ai loro figli: “mamma! Guarda che faccia che ha papà!”
Il maratoneta, proprio per minimizzare il consumo glicidico, cerca di evitare ragionamenti complessi e non sto parlando di astrofisica. Sa che deve mettere un piede davanti all'altro ma se ci fosse una curva? Di solito segue quello davanti che si suppone ne abbia un altro davanti e così via. Ad aprire il gruppo qualcuno in moto che può permettersi di consumare glicogeno per seguire la segnaletica.

Se siete al trentacinquesimo chilometro di una maratona e state leggendo questo articolo sul vostro tablet, la risposta alla domanda che vi state facendo è no. Non servirebbe a niente spalmarsi il carbogel sulla testa.

martedì 18 novembre 2014

Maratona di Torino

Come ho già scritto, le mie condizioni fisiche e mentali erano precarie ma ho voluto ugualmente provare a puntare in alto o, per lo meno, a non spararmi direttamente sui piedi.
Prima della partenza piazza S. Carlo è piena, fa fresco, non piove e l'atmosfera è carica di allegra eccitazione. Faccio qualche saltello sul posto per simulare un riscaldamento. Si sta bene. L'attesa non pesa anzi, allo sparo dispiace quasi dover partire. Le griglie funzionano bene e noi privilegiati del club “sub3” riusciamo a correre bene quasi subito. Obiettivo di partenza 3 ore, da allungare a piacimento secondo le sensazioni: pugnalate nella coscia +10', cuore che scoppia +20' …
Un occhio allo scheletro di cronometro che ho tenuto in mano dal primo all'ultimo km, l'altro occhio ai palloncini dei pacemaker delle 3 ore. Decido, per cominciare, di tenermeli dietro in modo da correre fuori dal mucchio e avere un minimo di margine.
Non mi sento molto a mio agio. Al settimo km mi sento già affaticato; non è presto per il muro? Riesco comunque a correre a ritmo regolare qualche decina di metri avanti ai pacers e il percorso scivola via: Moncalieri e Nichelino, periferie operaie e accoglienza calorosa. Poi un lunghissimo viale di campagna. In fondo, immersa in un boschetto, riconosco la palazzina di caccia di Stupinigi. I chilometri passano relativamente veloci: non sto benissimo ma non faccio ancora troppa fatica. Un gruppone di podisti mi raggiunge e mi ingloba. Sono quelli delle 3 ore, gente ambiziosa. Qualcuno corre agevolmente ma forse sono solo i pacers, molti ansimano, uno corre piegato, un altro procede a scatti. Li vedo già condannati: so che pochi arriveranno a coronare il loro sogno.
Mi lascio trascinare fino alla palazzina e poi lungo la leggera discesa verso Torino. La mezza arriva una trentina di secondi prima dell'ora e trenta: margine risicato che però aumenta lungo la discesa. I pacers vanno veloci. Troppo veloci. Anche quando finisce la discesa continuano ad un ritmo superiore a quello per le 3 ore. Siamo quasi al trentesimo chilometro, ho quasi un minuto di margine per cui preferisco andare al mio passo e li lascio alla loro folle corsa con qualche povero malcapitato che li segue rischiando di scoppiare. Non resto comunque mai solo e mantengo pieno controllo sui tempi, anche troppo. Ogni chilometro calcolo i secondi di vantaggio rispetto all'andatura prevista per le 3 ore, li divido per i km mancanti e ottengo la nuova andatura per arrivare in 3 ore. A meno 6 km ho ancora un minuto di vantaggio, dieci secondi a km e invece di 4'16 posso andare a 4'26. Ci avviciniamo al centro, poi ci riallontaniamo. Riconosco le strade, stiamo percorrendo a zig zag i grandi viali di Torino. Il chilometro successivo lo corro in 4'21 e i 5 secondi risparmiati li posso dividere 1 per ogni chilometro che resta e andare a 4'27 … continuo con questi conti e l'andatura rallenta ma tende asintoticamente sempre alle 3 ore. Mi ci adagio sopra. Passo davanti a casa di mia madre ma lei non c'è. Supero molti atleti, qualcuno reagisce tenendo la mia andatura per un po'. I palloncini delle tre ore, dopo la corsa pazza si sono quasi fermati e si avvicinano a vista d'occhio. A 2 km dall'arrivo potrei permettermi un passo di 4'30 ma finalmente qualcuno mi supera. E' una ragazza olandese con un uomo dietro, probabilmente il compagno, che la sprona con urli fiamminghi. Le urla mi svegliano e provo a seguirla. Al quarantunesimo, appena entrati in via Roma, si sente il boato della folla; mi corre un brivido lungo la schiena e comincio a volare. Il traguardo è ancora lontano ma riesco ad intravederlo in fondo al lungo rettilineo, dietro al cavallo di bronzo. L'incitamento continuo della folla fa sparire la stanchezza. La sensazione è così bella che smetto di fare calcoli, voglio solo correre più veloce che posso. Non sembra molto sensato spremersi così per arrivare in 2h59'17 invece che in 2h59'59 ma è bellissimo e mi resterà in mente a lungo. Al traguardo, lo speaker fa il mio nome; io sono raggiante e mia madre si commuove: sapevamo che quello era il massimo a cui potessi aspirare.

Quando si riparte?

sabato 15 novembre 2014

Spostando l'asticella sempre più in alto – Torino preview

26 ottobre – 2h52. Avevo appena corso l'ultima frazione del triathlon medio in 1h26'01.
Era una mezza maratona corsa avendo sulle gambe 40 minuti di nuoto e poco meno di 3 ore di bici. Come tipo di sforzo potrebbe essere paragonato alla seconda metà di una maratona. Usando l'equazione mezza*2=una ho valutato di poter chiudere una maratona in 2h52.

27 ottobre – 2h55. Il giorno dopo stavo molto bene. I muscoli erano giustamente stanchi ma il cuore batteva forte e tranquillo. Ho cominciato a pensare seriamente di sfruttare questo stato di forma per correre, senza quasi ulteriori allenamenti, una maratona in un buon tempo. È da Roma 2012 che non corro una maratona veloce e dopo più di due anni, sto perdendo i privilegi offerti da un buon tempo di qualificazione. Torino potrebbe essere la mia scelta e 2h55 un buon tempo obiettivo da raggiungere senza troppa fatica.

31 ottobre – 3h00. Dopo 5 giorni i dolori muscolari si sono attenuati e ho ripreso a correre. Per cominciare, ho fatto un breve allenamento di una decina di km tranquilli con 7-8 accelerazioni da un minuto per sciogliere le gambe. I muscoli rispondevano benino all'aumento di ritmo, il fiato no. Accelerando andavo subito in affanno e rallentando faticavo a recuperare. Mi sono un po' preoccupato perché era lo stesso tipo di stanchezza che mi aveva preso a maggio durando poi per tutta l'estate. Ho subito deciso di rinunciare ad altri allenamenti duri e di badare solo al recupero. Con la forma da cui partivo, recuperando bene, anche senza “lavori” sarei riuscito a finirla in 3 ore.

9 novembre – 3h10. Dopo una decina di giorni passati fra brevi corsette e lunghi riposi non mi sentivo ancora in forma. Il cuore era stanco e i battiti salivano al minimo sforzo. Ormai però ero iscritto, avevo fatto il biglietto e dovevo provare il ritmo gara. Ho impostato un ritmo di 4'15 al chilometro per finire sotto le 3 ore. Sono partito leggermente più veloce ma dopo una decina di chilometri ero già stanco e affannato; per trovare un ritmo più naturale ho dovuto rallentare fino a 4'30 al chilometro che, in proiezione maratona, sono 3h10.

12 novembre – 3h25. Altro test di 13 chilometri, finito di nuovo troppo stanco con i muscoli doloranti. Devo trovare un obiettivo più facile, altrimenti difficilmente riuscirò a finirla. A Torino viene Nello, mio compagno di squadra che dichiara di voler fare il tempo minimo per potersi qualificare per Boston. Controllo il tempo per la mia fascia d'età: 3h25

13 novembre – 3h30. L'anno prossimo cambierò fascia d'età: ricontrollo i tempi per Boston per i cinquantenni: 3h30.


16 novembre – 5h30. Le jeux sont fait e il diavolo mi aspetta a Torino. Questa escalation vertiginosa di tempi sembra non aver limite. Dal punto di vista matematico si parlerebbe di asintoto verticale, di un tempo “tendente all'infinito”. Ma un limite c'è e l'ha imposto l'organizzazione: il tempo massimo.

mercoledì 12 novembre 2014

Una questione semantica (Pignolerie – ovvero piccole cose dette con enfasi)

Stanotte, seduto sul cesso, mi sono posto grosse domande e ho concepito risposte altrettanto grosse. L'interrogativo principale, una questione che giornalisti e scrittori contemporanei non possono non avere affrontato, è come definire, evitando termini volgari, quelle due fasce di popolazione che stanno pian piano riempiendo il mondo: gli stronzi e i coglioni.

Oggi parliamo del primo tipo. Come definirli altrimenti? Cattivi, prepotenti, marrani, incivili, odiosi?
“Guarda quell'uomo cattivo che guida con prepotenza la sua grossa macchina!”
“Chi? Quello? Io vedo solo uno stronzo.”
Già in passato mi ero chiesto come appellare questa gente senza scendere al loro livello ma dopo aver lanciato qualche “lei è proprio incivile” che usciva già moscio dalla bocca e cadeva a terra sfiorando appena i piedi dello stronzo, mi sono reso conto che era ora di “sdoganare” questo termine aprendogli il paradiso dello Zingarelli e della mia bocca. “Stronzo!” Ecco, l'ho detto. Se le parole servono per comunicare, è meglio non fare gli schizzinosi di fronte ad un termine così comunicativo. Trovo molto più volgari i puntini e i “beep” che coprono ipocritamente l'audio.

Perché non esiste un termine appropriato? Il problema principale è che il linguaggio “ufficiale” fatica a seguire la precipitosa evoluzione della società.

Quando ero ragazzo gli stronzi erano pochi ma era pieno di “teste di cazzo”. Molti di questi sono morti, qualcuno s'è ravveduto ritirandosi in convento; gli altri si sono evoluti quasi tutti in stronzi. Non è che prima non lo fossero: lo sono sempre stati ma non si riuscivano ad esprimere appieno. Adesso, fra mutui e leasing, quasi tutti possono permettersi di comprare un SUV e, finalmente, dar sfogo a tutta la loro stronzaggine.

lunedì 10 novembre 2014

Caccia allo sponsor.

Primo giro. Vado da solo. Forse sarebbe stato meglio essere in due. Non s'è mai visto un testimone di Geova o un Mormone andare in giro da solo ad evocare la fine del mondo.
In una mano una borsetta scura, nell'altra, al posto della torre di guardia, una lettera di presentazione.
Il blocchetto delle ricevute è chiuso in borsa, carico e pronto ad essere estratto alla prima occasione propizia.
Sono della società Atletica Capoterra che opera da 11 anni nel territorio del comune con l'obiettivo di combattere la sedentarietà, portando i bambini, i loro genitori e perfino i nonni a praticare un'attività naturale e salutare come la corsa ...”
Mi lasciano parlare. In farmacia e al supermercato manca il titolare.
La nostra missione si esplica attraverso l'organizzazione di manifestazioni sportive, di corsi di
avviamento all'atletica per bambini e tramite la sistemazione di percorsi che consentano ai cittadini di
correre in sicurezza all'interno del territorio comunale …”
Al bar e al negozio di bici c'è solo un titolare su due e per decidere di stanziare un contributo di 25 euro dovranno riunire l'assemblea dei soci.
Solo nell'anno in corso, abbiamo organizzato una gara di corsa campestre che ha richiamato quasi 1000 atleti e altrettanti visitatori nel parco di Is Olias e un corso di atletica a cui hanno partecipato una ventina di ragazzi; per il prossimo anno prevediamo di organizzare almeno due gare e di aumentare il numero di partecipanti al corso …”
La parrucchiera mi ascolta ma le serve tempo per decidere; solo dormendoci sopra potrà capire qual'è la scelta corretta. Il titolare del “centro servizi” mi propone di stampare lui i manifesti della gara con uno sconto di 25 euro.
Questa crescita richiede alla nostra Società Sportiva degli sforzi ulteriori rispetto a quelli, ENORMI, che già si stanno facendo. Stiamo quindi cercando il sostegno economico di aziende che condividano la nostra missione. Speriamo che Lei possa dare un contributo sotto forma di sponsorizzazione; per noi sarebbe un aiuto enorme e un riconoscimento degli sforzi che il nostro gruppo di dirigenti e atleti sta già facendo in modo del tutto volontario e gratuito”
La panettiera mi dice che non ha proprio soldi da dare. Le compro il pane.


Non lo sanno ancora, ma era solo un giro d'esplorazione del territorio. Torneremo a stanarli con cani e fucili.

domenica 9 novembre 2014

Fiducia, bisogna avere fiducia.

La settimana scorsa, dopo un'oretta di attesa, sono riuscito a parlare con il responsabile dei servizi tecnologici del comune di Capoterra. “Per quanto riguarda la pista veniamo a fare un sopralluogo e poi decidiamo come intervenire”
Le parole dette sono importanti; lo devono essere, altrimenti parlare servirebbe solo a passare il tempo: l'ha detto, lo farà. Fiducia. Bisogna avere fiducia.
L'amico Antonio, che lavora come ingegnere al comune, era presente con me al colloquio e, con inspiegabile diffidenza, ha insistito per definire i tempi della visita, riuscendo a concordare un appuntamento per giovedì prossimo alle 17.
Questo giovedì mattina ci siamo sentiti per conferma. “Oggi pomeriggio non posso perché c'è un'allerta meteo”
Le parole sono importanti. “Allerta meteo” vuol dire che probabilmente diluvierà! Attendo con allarmata fiducia l'arrivo dei nubifragi.
All'ora dell'allenamento non piove. Dopo un ultimo sguardo al cielo, sono andato al campo trovandolo umido per le due gocce d'acqua cadute durante il giorno. Molti genitori hanno portato i loro figli a correre sprezzanti del pericolo mentre al comune si preparavano a fronteggiare il diluvio universale. E' incredibile come l'amministrazione si preoccupi per noi.
Il prossimo appuntamento è per martedì prossimo. Anche martedì sono previste pioggerelle. Noi saremo lì a correre e giocare e, ogni tanto con uno sguardo lanciato da sotto il cappuccio del k-way, andremo a cercare fiduciosi l'arrivo dell'ingegnere del comune.

Fiducia, bisogna avere fiducia.  

mercoledì 5 novembre 2014

La maledizione di Torino.

Torino è situata ad occidente, dove finisce la luce ed inizia la tenebra, al vertice di due triangoli magici. Non avrei mai creduto a queste minchiate occulte se la mia serie di esperienze negative alla Maratona di Torino non si prestasse ad interpretazioni probabilistico-esoteriche. Secondo queste teorie, la coda della gaussiana, dove si trovano tutti gli eventi altamente improbabili, sarebbe in realtà quella di un demonio: ciò spiegherebbe il ciuffo di peli che le spunta in fondo e le due corna che qualcuno giura di veder spuntare dietro al picco della gaussiana.

Nel 2009, ero un giovanotto di belle speranze, in buona forma e in buona salute. Poco dopo essermi iscritto per la prima volta alla maratona di Torino, Satana si è presentato dandomi una zoccolata al ginocchio e obbligandomi ad interrompere gli allenamenti. Allora non credevo al diavolo e ho pensato ad un banale incidente. Dopo qualche tentativo di riprendere a correre ho dovuto rinunciare alla maratona e, non avendo ancora fatto il biglietto aereo, non sono neanche partito per Torino.
L'anno dopo mi ero preparato per la maratona di Torino con un certo scrupolo. Il giorno prima della gara, l'aereo per Torino partiva nel primo pomeriggio e in mattinata avevo tutto il tempo di fare una sgambatina in scioltezza intorno a casa. Doveva essere solo una corsetta rigenerante ma dopo un paio di chilometrizak … sento un'incornata del diavolo dietro la coscia. Qualche ora dopo ho preso l'aereo e domenica mattina, accompagnato da mio padre, mi sono recato alla partenza. Ero pessimista. Ho fatto un po' di riscaldamento ma il dolore persisteva. Sono partito lo stesso, piano piano, provando poi ad accelerare gradualmente ma appena aumentavo il passo il dolore cresceva. Al decimo chilometro ho deciso di fermarmi e tornare indietro. Camminando a ritroso ho incrociato tutto il resto del gruppo, fino all'ultimo; poi sono rimasto solo sotto una sottile pioggerella. Ricordo il freddo, il desiderio di pisciare e la tentazione di prendere un tram senza biglietto. Non ho ceduto e son ritornato camminando fino al punto di partenza che nel frattempo era diventato il punto d'arrivo e, dopo gli ultimi, incrociati poco prima, ho visto arrivare i primissimi. Non ne ero sicuro, ma cominciavo a sospettare qualcosa di strano. All'epoca non conoscevo ancora il passatore e non mi ero ancora mai ritirato a nessun'altra gara e due ritiri su due a Torino sembravano una coincidenza molto inquietante.
Nel 2012 non ero in gran forma ma ero comunque pronto a fare una gara dignitosa. Ero riuscito a passare indenne anche l'ultimo allenamento: sembrava che nulla potesse più fermarmi ma il diavolo la pensava diversamente. Ogni volta che vado a Torino mia madre mi festeggia preparando pietanze e dolci irresistibili. La mattina della gara non sono riuscito ad alzarmi dal letto per il gran mal di stomaco. Qualcuno potrebbe insinuare che era colpa mia, che avevo mangiato e bevuto come un porco ma ormai il dubbio è diventato certezza: c'è una maledizione che grava su di me ogni volta che mi iscrivo alla maratona di Torino.

Ieri mi sono iscritto alla maratona di Torino 2014 e già oggi tremo. So di essere sull'orlo di un abisso, di essere sotto il tiro di un demonio cecchino che non so dove colpirà. Non riesco a dormire bene. Ogni volta che mi giro nel letto sento un rumore sferragliante. Fatico a prendere sonno con quest'armatura …


domenica 2 novembre 2014

Considerazioni di fine stagione

Il wellrunness
Questa è la mia espressione subito dopo l'arrivo dell'ultramaratona di Macomer. Forse è la risposta migliore ad Albanesi, ideatore del wellrunness, che vorrebbe darci la corsa solo a piccole dosi …
Il suunto
L'atleta nel pieno dell'impegno fisico regredisce ad uno stato mentale infantile. Citando il grande scienziato velleitario: “il 90% delle nostre facoltà fisiche e mentali è impegnata nella competizione e ci rimane solo il 10% per eventuali altre attività. Di fatto, è come se fosse un bambino di un anno a fare tutto il resto e azioni che ci sembrano banali quando le facciamo a casa, si trasformano in grandi imprese.”
In gara, leggere cos'è scritto vicino ai bottoncini è impossibile perché siamo ritornati analfabeti; interpretare numeri e simboli è un'impresa quando cerchiamo ancora d'infilare il triangolone di plastica nel buco del cerchio. Allora, l'utilizzo di un apparecchio complicato, come il “suunto ambit” che avevo in prova, avrebbe richiesto un'educazione da scuola materna, partendo dall'abc. In mancanza di questa, il modello di gps più adatto per me sarebbe stato questo:


Organizzazioni e buffet.
Due grandi eventi, due organizzazioni perfette ma diversissime. Si va dal clima professionale e amichevole del Forte Village alla passione della grande famiglia di Macomer. Dall'impeccabile buffet alla grande abbuffata. Dietro ad entrambe c'è grande lavoro, preparazione e cura. Qualche piccolo dettaglio naturalmente può sfuggire: gli amici di Macomer, per esempio, avrebbero potuto passare uno spolverino sulla tagliafuoco per dargli una ripulita … ma fa niente, l'anno prossimo ce l'aspettiamo luccicante e profumata.


Mi hanno garantito che l'anno prossimo ci sarà ancora il mese di ottobre. Non vedo l'ora.

sabato 1 novembre 2014

Almanacco del mese dopo – novembre 2014

30 giorni ha novembre con april giugno e settembre …
Mese corto, giornate corte, fiato corto. È ora di recuperare dalle fatiche di ottobre. In allenamento al posto del lungo lento farò il corto lento e al posto degli allunghi gli accorci. Anche le gare si accorceranno e non potranno superare la soglia dei 42.195 metri.
Anche lo stomaco meriterebbe il suo bel riposo dopo le abbuffate ottobrine. Ma non sarà facile.
Si accenderà il camino e per non sprecare la brace bisognerà arrostire qualcosa. Castagne arrosto e vino novello mi si getteranno in bocca e non sarà facile fermarle.

Eventi

16. Maratona di Torino. In questa gara ho un record di 4 iscrizioni, 2 partenze e un solo arrivo. Novembre è un momento critico perché si pone dopo un periodo di grande impegno. L'allenamento c'è ma il rischio di rompere è alto. Possono cedere le parti del corpo più sollecitate ad ottobre: i muscoli, le articolazioni o, come l'anno scorso, lo stomaco. Quest'anno cercherò di arrivarci mollemente, in completo relax. Non farò il personale ma almeno dovrei finirla.

Best of the past.

A novembre il blog è in crescita, più lettori, più commenti, e tante idee per renderlo più vario. Insieme alle solite cronache quotidiane:
Il tempo passa: Maria sta già facendo zapping in salotto, i ragazzi sono nelle loro camere a giocare e io sono ancora qui, a tavola, seduto davanti ai piatti ormai vuoti, con l'ultimo centimetro di vino nel bicchiere.
Non è pigrizia, è uno stato dell'animo: è pesantezza di culo.”
Per la prima volta ci sono consigli per gli acquisti:
Al contrario di tavolette del water e lavastoviglie, per le bici il rapporto prezzo/durata è quasi invertito. La componentistica di alto livello è pensata per professionisti che cambiano la bici in continuazione, che hanno un'assistenza meccanica continua ecc. ecc. Il buon vecchio acciaio pesa di più ma in confronto è indistruttibile; allora usate l'acciaio per la bici e tenetevi le fibre di carbonio per farci la tavoletta del water che lì le prestazioni aumenterebbero in modo bestiale.” 
Pignolerie:
Mio nonno paterno era un glottologo di fama mondiale, esperto in sanscrito, accademico dei lincei ecc. ecc. . Mio padre, pur non avendo fatto studi classici, traduceva Puskin dal russo in rima e risolveva le parole crociate difficili leggendo le sole definizioni orizzontali. Mio figlio Martino ondeggia fra il 3 e il 5 di latino al liceo scientifico. In questa discesa lineare generazionale verso l'ignoranza assoluta, io capito piuttosto in basso. Cionondimeno (parolone) voglio provare a risolvere l'enigma della pronuncia italiana della parola inglese "mountain bike" le misteriose origini dell'arcano "muntanbaik", una questione che mi angoscia da anni.” 

Storie del passato:

Ricordo ancora quel pomeriggio. Ero studente a Pisa e stavo tornando a casa dalla stazione. Ricordo di avere visto  quel bimbo che lasciava cadere il gioco e poi si sporgeva a guardarlo, il breve e muto dialogo, le sue guanciotte piene e il bellissimo sorriso, mezzo sfrontato e mezzo timido. Potevo essere io, il timido avventuriero di 15 anni prima. In quel sorriso, così comunicativo, avrei potuto leggere la storia o almeno intuirne il potenziale tragico e cercare di intervenire, di “impicciarmi” per cambiare il corso degli eventi. La lessi invece solo il giorno dopo, sul giornale.” 

giovedì 30 ottobre 2014

Forte Village Triathlon - seconda parte

Bellissima gara, dicevo.

Nuoto.
Quest'anno siamo molti più dell'anno scorso. Staffette comprese, siamo quasi 400 in spiaggia alla partenza del medio. E alla sirena del via è subito ressa: colpi, corpi che si accavallano … bellissimo! Avere qualcuno dietro che mi si attacca alle gambe mi assicura che non sono ultimo e investire qualcuno davanti mi fa pensare che sto andando veloce. Le boe sono poco visibili da lontano. Molti vanno a naso, altri li seguono e il gruppo si allarga. Avvicinandosi alle boe, finalmente tutti le vedono e convergono verso quell'unico punto generando sempre belle ammucchiate. Nuotatori da tutte le parti! Mi sembra di essere nella pancia del gruppo, forse più dalle parti del colon ma pur sempre nella pancia: stai a vedere che ho imparato a nuotare! All'uscita del primo giro guardo il suunto per avere conferma e leggo “9.04”; cerco invano di interpretare quei numeri, forse sono le coordinate spaziali, forse è l'ora “solare” della partenza, forse dovrei schiacciare qualche tasto ma quale dei 5? Devo già rituffarmi per il secondo giro senza aver capito niente. Si nuota bene, il mare è quasi piatto, l'acqua è trasparente e tiepida. Le boe si nascondono di nuovo davanti al sole ma poi fanno cucù e ricompaiono non troppo lontane da dove le immaginavo. Finalmente, dopo l'ultima boa, mi dirigo verso l'arco che porta alla zona cambio. Come sempre, quando nuoto veloce, mi sento un po' in debito d'ossigeno. Dopo ogni respirazione, sento il sangue che si svuota progressivamente d'ossigeno e con la respirazione successiva non riesco a ricaricarlo completamente. È solo un leggero disagio ma sono contento che sia finita. All'uscita il suunto dice sempre “9.04”; finalmente mi volto e vedo poche teste, meno di 50. Mi rendo conto allora che per ognuno che ho lasciato dietro ne ho dieci davanti e l'alta densità di corpi non era dovuta al fatto che io fossi particolarmente veloce ma solo al gran numero di partenti. Non ero nella pancia del gruppo insomma ma solo in uno stronzetto di nuotatori lenti uscito dal didietro della pancia del gruppo … ummm. Pazienza, era comunque tutto previsto: la mia bellissima gara comincia ora.

Bici.
Dopo aver schiacciato ben bene il tasto superiore destro del suunto e atteso che sul monitor comparisse la scritta “ciclismo” ho la conferma che la prossima frazione è quella di bici e posso partire. Poco dopo lo guardo ancora per avere riferimenti e mi dice “23”. Sto andando almeno a 30km all'ora. Forse sono miglia. No, ora capisco, è la temperatura. Un riferimento importantissimo per capire come impostare il climatizzatore; forse avrei dovuto studiare meglio i settaggi prima di partire. Lo guardo ancora: ora indica “12” poi “11” … cos'è, un'ondata di gelo? No, forse è la quota! Devo stare attento a mettere il boccaglio quando i numeri diventano negativi. Ecco, è cambiato ancora e ora dice “144”. Finalmente un'informazione utile, questi sono sicuramente i battiti al minuto. Un po' troppi per me in pianura. Preso dalla foga dei sorpassi e dall'impegno cerebrale per interpretare quei numeri, stavo rischiando di cuocermi ancora prima delle salite. Rallento un po' e mi assesto sotto i 140 battiti in pianura con licenza di sforare fino a quasi 150 in salita.
Supero moltissimi concorrenti. Ogni tanto però vengo anche superato. Allora cerco di memorizzare il numero di pettorale e accendo il radar. Alla prossima salita lo cerco e gli rendo il favore. Nessuno mi sfugge. Con il numero 238 sarà un continuo di sorpassi e controsorpassi lungo tutti i saliscendi della costa. Prima, in un tratto a bastone lungo 5 km, posso osservare all'andata chi mi è davanti e al ritorno quelli dietro. Non riconosco quasi nessuno. Vedo però con disappunto che molti, soprattutto davanti, sono organizzati in gruppetti contravvenendo il divieto di scia. Fra i primissimi ne vedo due che si danno i cambi. Poi riconosco Massimo Argiolas, molto forte nella bici, che ne ha un paio appiccicati alla ruota. Poi vedo Francesco, tutto solo e poco dietro un gruppone di 8-10 ciclisti. In quei 5 chilometri mi rendo conto che ne ho molti più di 100 davanti. Se vanno così in gruppo sarà impossibile recuperare terreno. Rientrando però ne incrocio quasi altrettanti già superati. Comincio a sentire un po' di stanchezza. In pianura faccio fatica a superare i 130 battiti al minuto e i muscoli sono dolenti. Sono un po' preoccupato per la frazione di corsa anche se le esperienze passate mi dicono che in T2 rinascerò nuovo e farò una bellissima gara.
Corsa.
Ci metto un po' a rinascere. Lungo tutto il primo km fatico ad ingranare e sento uno dietro che mi sta per raggiungere. Non sia mai, non accetto più sorpassi; non voglio polvere a sporcare questa gara. Aumento gradualmente l'andatura e finalmente si stacca. Il percorso di gara si snoda lungo una linea da fare due volte avanti e indietro; in tal modo, prima o poi, si incrociano tutti gli altri atleti. Comincio a puntare i miei obiettivi. Vedo Roberto Piroddi, che l'anno scorso ha vinto la mia categoria, ma ha almeno 5 km di distacco e un buon passo. Obiettivo impossibile, ci vorrebbe un terra-aria. Vedo Roberto Moro che cammina. Problemi? Solo stanchezza, mi dice. Anche Massimo Argiolas lo vedo in crisi. Poi incrocio un paio di atleti della mia categoria: Alessandro Taddeo di “due ruote” e Corrado Cicalò dell'INFN che dirige un laboratorio di fisica a cui partecipa mio figlio Martino; hanno 2-3 km di vantaggio e non sono velocissimi. Imposto il puntatore automatico. Ecco Francesco a 2 km anche lui corre bene ma ha l'aria un po' sofferente. Al primo giro di boa, poco oltre il km 5, al ristoro della Red Bull sento “no one knows” dei “QOTSA” a tutto volume. Se avessi dovuto scegliere una canzone per darmi la carica forse avrei scelto proprio quella. Bevo anche la Red Bull schifosetta ma freschissima e stimolante. Sono carico al massimo. Controllo Samuel, dietro di me, non è lontano. Sto andando più veloce di tutti quelli intorno a me ma sento che sto tirando i muscoli al limite. I 60km di polvere di Macomer sono ancora lì. Sono stanco ma non mi posso rilassare, sono in gara e devo dare tutto.
Guardo il suunto “27”, comincia a fare caldo, forse dovrei aprire il finestrino o accendere l'aria condizionata … “4'00” ecco, non sto correndo piano, “151” ops spero di arrivare in fondo … . Piano piano raggiungo Teo, oggi staffettista. Ricordo che a maggio mi aveva battuto al Sardinia trail e al passatore mi aveva superato e si era ritirato più avanti di me. Oggi invece, nonostante io abbia nuotato e pedalato e lui no, sono io più veloce. Mi sento fortissimo e lui mi incoraggia molto calorosamente.
Altro incrocio. Davanti sono più vicini ma non sono sicuro di riuscire a raggiungerli. Vorrei forzare ma ho paura dei crampi. Devo avere pazienza. Finalmente arrivano gli ultimi 5 km: è ora di chiudere questo lavoro perfetto. Mollo le briglie e supero prima Francesco, poi Corrado e infine Alessandro. L'ultimo chilometro si fa di adrenalina, i muscoli per fortuna non servono più. Un ultimo sorpasso all'interno del grande campo da calcio dov'è assiepato il pubblico e finalmente passo il traguardo.
Sono contentissimo e, a parte i muscoli delle gambe sull'orlo del crampo, non sto male. Tolgo scarpe e calze e mi piazzo su un puff a massaggiarmi le gambe e godermi le sensazioni, il dolce sfinimento, il sole sulla pelle. Per almeno mezzora non mi alzo e in quella posizione accolgo in udienza chi vuole venire a farmi visita.
Provo a premere i pulsanti del suunto cercando di vedere il tempo complessivo, ma compare solo un numero strano, forse “77”. Quando Marieddu mi aveva offerto di portare il suunto come cavia, credevo che l'oggetto dell'esperimento fosse il funzionamento di quel prezioso gingillo, poi invece ho capito che la cavia ero io e si voleva misurare il QI di una persona durante una competizione. Beh, dai, sono risultato solo un po' ritardato.


I dati li vedrò solo il giorno dopo: 4h55 di gara e 43a posizione in una gara che, almeno per i primi 20, era di livello internazionale. 1h26'01 nella mezza e 14o di frazione con 15 professionisti in gara. Dai: alla soglia dei 50 anni, me la cavo ancora.

martedì 28 ottobre 2014

Forte Village Triathlon - prima parte

È andata bene, anzi, benissimo direi: 4h55 di tempo totale, 1h26'01 nella mezza, 43a posizione finale in una gara che, almeno per i primi 10-15, era di livello internazionale. Come da “preview” ho sciacquato la polvere di Macomer nella gloria e ho anche rispettato quasi esattamente il copione previsto. Sono andato solo un po' troppo veloce. Non ho superato Francesco allo sprint ma a ben 4 km dal traguardo, Pensavo di passare Samuel nella corsa e invece l'ho superato sull'ultima salita della frazione di bici e Mario, anziché in bici, l'ho passato nella prima zona cambio! In tutta la mia carriera di triatleta, non avevo ancora mai superato nessuno in zona cambio. Sono talmente lento e imbranato, che i giudici si trattengono a stento dall'aiutarmi a togliere la muta o ad allacciarmi le scarpe. Questa volta, per esempio, avevo indossato il pettorale al contrario e solo dopo qualche tentativo imbarazzante di raddrizzarlo a forza, mi sono reso conto che dovevo necessariamente sfilarlo e ri-infilarlo nell'altro verso. Sembrerebbe impossibile fare peggio eppure, incredibilmente, Mario, uscito dall'acqua 8 secondi prima di me, è riuscito ad impiegare 10 secondi in più dei miei disastrosi 3'33 ed è salito in bici 2 secondi dopo. L'altra cosa strana è che non ci siamo visti … probabilmente in acqua ci siamo anche scambiati bracciate e gambate ma senza riconoscerci, altrimenti avremmo affondato i colpi.
Gli altri due li ho visti bene, invece. Ho riconosciuto Samuel, dal graditissimo “maledetto!” che mi ha lanciato mentre lo superavo. Francesco invece l'ho riconosciuto da dietro ed ero così felice di vederlo che l'ho salutato con entusiasmo ma lui, un po' meno felice, non ha risposto, nemmeno con una smorfia o un insulto: sembrava in trance.
Ma andiamo con ordine.

Sabato pomeriggio si comincia con ritiro pacco gara, consegna bici, briefing, pasta party, amici, tutto bello, buono e abbondante. Intanto Mario mi consegna, in prova, il “suunto” promesso: un gioiellino da 600 euro con GPS, cardiofrequenzimetro, barometro, bussola, computer. Breve briefing anche per quello: faccio sì sì con la testa per sembrare intelligente e memorizzo un paio di operazioni che mi sembrano sufficienti ripromettendomi di passare la notte a provarlo.
Metto la sveglia alle 6 e 30 perché domani scatterà l'ora legale e saranno le 5 e 30. A meno che la sveglia non sia così intelligente da regolarsi da sola e allora sarebbero le 6 e 30 e arriverei in ritardo … insomma passo una mezz'oretta in una sfida di intelligenza con un orologio. Sfiancato ma vittorioso come Kasparov dopo la sfida con Karpov, vado finalmente a dormire.

Domenica mattina arrivo verso le 6.30 al grande parcheggio allestito a poche centinaia di metri dal Forte Village e, con calma, mi appresto a mettere le scarpe da corsa nell'area di transizione “T2” e preparare la bici in “T1”.
Il tempo passa e molti intorno a me corrono affannati. Io sono tranquillo anche, se scendendo alla T1 manca poco alle 7.15, orario di chiusura della zona cambio. In mano ho due grandi sacchetti con tutte le cose che mi possono servire durante la gara, prima (pompa per gonfiare le gomme della bici) e dopo (vestiti asciutti). Fuori dalle borse tengo il pettorale che dev'essere mostrato per entrare in zona cambio. Mancano meno di dieci minuti alla chiusura e sono in fila davanti all'ingresso quando sento che per entrare bisogna mostrare anche la cavigliera con il chip elettronico. Comincio a frugare nelle borse e, quasi subito, perdo la mia calma glaciale. Dove l'ho messa? Era nello zainetto ma lo zainetto qui non c'è, devo averla tirata fuori prima di lasciare lo zainetto in macchina. Comincio ad essere davvero agitato. Vuoto le borse ma non trovo la cavigliera da nessuna parte. È sicuramente troppo tardi per tornare alla macchina a cercare nello zaino e comincio a pensare al peggio. Per un istante mi immagino desolatamente solo, seduto sul prato, mentre gli altri partono per la gara e dal panico sto passando alla rassegnazione ma mi sembra troppo stupido perdere il divertimento, i soldi, gli allenamenti, per una distrazione. E allora, con un ultimo terribile sforzo di astrazione, mi rendo conto di avere lo zainetto sulle spalle e, dentro, trovo subito la cavigliera. Ecco. Il peggio è passato. Sono già in ritardo ma, per fortuna, mi lasciano sistemare tutto quasi con calma ed esco dalla zona cambio ormai quasi deserta. Ora so che farò una bellissima gara.
(segue)

sabato 25 ottobre 2014

Triathlon medio Challenge Forte Village – Preview

Per uscire dalla polvere, non basta passare uno straccetto umido. La polvere di Macomer era talmente sottile che mi ha compenetrato come un vecchio cuscino. Doccia dopo doccia, in questa settimana il colore della pelle sta tornando gradualmente alla normalità. Quasi tutto. Le unghie dei piedi, prima mimetizzate perfettamente nel gran nerume ora spiccano e sembrano smaltate di nero. Poi c'è l'acido lattico in polvere che ricopre ancora le fibre muscolari. La polvere metaforica è ancora peggio: mi ha ricoperto l'animo ed è piena di acari metaforici a cui sono profondamente allergico. Non si riesce ad espellerla dal sedere, inutile anche chiamare l'esorcista: l'unico modo per uscirne è sciacquarsi nella gloria.
Domenica ne avrò l'occasione.
Sembra che nel mare non ci sia polvere. Userò allora il mio solito trucco di lasciare andare via quasi tutti, tenendomi dietro solo pensionati e casalinghe – non certo i super pensionati e le mega casalinghe con i muscoli luccicanti, quelli li lascio andare – tengo dietro solo veri e propri vecchietti con tanto di bastone e casalinghe con il grembiule muccato. In tal modo, all'uscita della T1 tutti quelli con un minimo di preparazione saranno davanti a me e così sarà impossibile per loro superarmi! Geniale, vero? E mi basterà far girare i pedali per superare qualcuno e durante il sorpasso, scrollare il cervello dalla polvere. Poi, libero dalla polvere, rimontare come un rutto acido superando prima Marieddu poi Samuel e, allo sprint, Francesco. 

Non vedo l'ora!

mercoledì 22 ottobre 2014

Macomer – Mangiando la polvere della Sardinia Ultramarathon

Non vedo l'ora che arrivi il momento di partire.

La notte in camerata è passata fra qualche piccolo ronfo sparso (mancava l'ingegnere del suono Checco a dirigere l'orchestra dei tromboni) e i segnali di disagio trasmessi dal mio stomaco. Mi giro nel letto in cerca di una posizione che mi faccia sentire a mio agio e addormentare. Dopo i primi 360 gradi, ho esplorato tutto l'universo delle posizioni possibili e sono ritornato alla posizione di partenza ma, non ancora soddisfatto, riparto per un altro giro sperando vanamente di trovare qualcosa di diverso. E giro ancora. Dopo qualcosa che somiglia ad un 10mila in pista finalmente mi fermo. Mi alzo, esco silenziosamente dalla camerata calpestando roba molle nel buio pesto e mi metto davanti al grande camino acceso del salone. Comincio a massaggiare lo stomaco alternando movimenti sussultori a movimenti ondulatori lenti. Ogni tanto una bolla di gas esce trascinandosi dietro, fino quasi in gola, una scia acida. Mi aggiro per il salone e per la cucina adiacente alla ricerca di bicarbonato. Lo trovo solo di mattina nella mia borsa. Sciolgo la polvere in una bottiglietta d'acqua e l'ingerisco. Non lo sapevo ancora, ma quel giorno ne avrei mangiata tanta altra di polvere.

La mattina non vedo l'ora di partire per completare la digestione e per rivivere l'esperienza di questa gara che ricordo fantastica.
Arrivano Benedetto con la sua tendinite bilaterale a tutti e due gli “Achilli" e Checco in bici con la sua frattura in più risme della falange distale del primo raggio, Gianni reduce dalla 40 km di Baunei e Teo che aveva corso la 80 km ma che oggi non parte.
Compare anche Gianni Goseli, l'antilope di Nuoro. Ieri non era sicuro di partecipare ma poi si è deciso. Ora so che dovrò guardarmi soprattutto da lui (ieri un solo minuto dietro di me) e dal suo compagno di squadra dell'“amatori Nuoro” Ettore Marotto (ieri a 2 minuti). C'è anche Sergio Piga, molto forte in questo tipo di gare ma che, avendo saltato la gara di ieri, non è in classifica per la combinata.
La mia tattica è semplice: lasciare andare Calcaterra e Pajusco (eventualmente anche Piga) e puntare al terzo posto controllando i due nuoresi. Un podio con Calcaterra e Pajusco sarebbe un'enorme soddisfazione, come quello di due anni prima con Calcaterra e Trentadue.
E alla partenza, come previsto, Giorgio e Marco aumentano gradualmente l'andatura e se ne vanno. Come previsto mi trovo con Gianni, Ettore e Sergio. Con noi, per un po', anche Stefano Ciccarese e Pietro Casula. Sento un'imprecazione e Stefano sparisce. Dopo metà del primo giro anche Pietro sparisce all'indietro. Il prossimo sono io, lo so bene. Non reagisco agli attacchi di Gianni in salita e poi di Ettore e approfitto dei ristori e delle discese per riportarmi su di loro. Ma sono sempre un po' dietro e la polvere sollevata dai tre davanti mi comincia a coprire come un vecchio soprammobile.
La polvere dicevo. Terra seccata dalla siccità, frantumata e arricchita di sostanze organiche dal passaggio del bestiame, trasformata in una finissima polvere color marrone scuro che copre una buona metà del percorso arrivando in molti punti anche a 10-20 cm di profondità. Qui la scarpa sprofonda sotto la polvere e quando alzo il piede sento i granelli finissimi che attraversano le scarpe e le spesse calze fino ad penetrare in profondità nei pori della pelle. Il resto si solleva in una nuvola nera che, come scuro borotalco, asciuga occhi e bocca.
Alla fine del primo giro
Faccio fatica. I piedi sono troppo stretti nelle scarpe e cominciano a dolere martoriati anche dallo sfregare della polvere. Ho l'impressione che la polvere sia penetrata fin dentro ai muscoli delle cosce tanto li sento asciutti e rigidi. Alla fine del primo giro di 30 km sono ancora a contatto con i tre in lotta per l'ultimo gradino del podio e pur avendo l'occasione di cambiare le scarpe, preferisco tirare avanti per non perdere del tutto il treno. Serve a poco e di lì a poco mi staccano definitivamente. 
Anche quando, rimasto solo, non vedo più il gruppo davanti, per un po' ne vedo la polvere che resta sollevata nell'aria finché il vento non si decide a spazzarla via.
E poi non vedo neanche più quella e un po' mi manca.
La polvere da reale si fa metaforica.
Quanta ne ho mangiata.

Mi ci sono volute ben 7 birre per sciacquare la bocca

lunedì 20 ottobre 2014

Macomer, Corsa verde 21km - prologo della Sardinia Ultramarathon

Ormai, dopo 5 anni, viene quasi da dare per scontata l'ospitalità magnifica e generosa, i pasti sontuosi, la birra gratuita e senza fine, le brande preparate per la notte, l'enorme camino, la cortesia e disponibilità costante di tutti. Ho detto a Norma, “sto facendo come se fossi a casa mia” e mi ha risposto “sei a casa tua”. Mi dispiace per Baunei ma non avevo scelta, sono tornato e tornerò ancora alla mia casa di Macomer.
Dal ritrovo pre-gara fino a notte, l'argomento del giorno è la gara che si svolge poco distante, sul supramonte di Baunei, un ultratrail di 80km a cui molti amici stanno partecipando e a cui, la sciagurata scelta di data ha impedito a molti dei presenti di partecipare. Io sono fra quelli che, vista la coincidenza, ha scelto con il cuore e con lo stomaco di tornare a Macomer, anche se fra i neuroni più audaci aleggiava il sogno di essere lì a volare fra il mare e le magnifiche rocce del Supramonte. Francesco, Teo, Gianni, Flavio, Paola, Stefano sono di là e mentre siamo seduti a tavola a banchettare, li ammiriamo con un velo di invidia mista a compassione e aspettiamo curiosi notizie.
Alla partenza, Calcaterra e Pajusco sono gia' in testa
Dopo la vittoria della settimana scorsa, il mio buon momento di forma pare confermato qui a Macomer. Dopo i primi 2-3 chilometri, la prima discesa e la prima salita, mi trovo insieme ad altri 2 atleti e davanti sono solo in 3: il campione Giorgio Calcaterra, anche lui di casa qui a Macomer, Marco Pajusco e Vincenzo Tanca, tutti e tre di un'altra categoria rispetto a noi e ormai irraggiungibili. Non conosco i miei compagni occasionali, so che domani non devono gareggiare ma uno dei due sembra della mia categoria e lo voglio controllare. Nelle salite sembra un po' più forte e ci stacca ma nelle discese lo raggiungiamo. A 4 chilometri dalla fine Su una discesa in buono sterrato veloce accelero un po' e, con mia sorpresa, stacco entrambi ma subito dopo mi si slaccia una scarpa. Non posso certo continuare così fino al traguardo, manca troppo. Per non perdere lo slancio, decido allora di fermarmi ad allacciarla dopo la curva che immette nell'ultima salita ripida. Nei 15 secondi che impiego a farmi un doppio nodo e ripartire mi superano e staccano entrambi. Mi metto un po' d'impegno e li supero di nuovo facilmente.
Sulla scaletta che porta in cima al monte
Evidentemente cominciavano ad essere in crisi. Ogni tanto pensavo che mi sarei dovuto risparmiare per la gara dell'indomani ma le dinamiche di gara mi divertivano facendomi pensare ad altro. Solo nell'ultima discesa, essendo ormai solo, non ho forzato troppo. Neanche troppo poco, però, perché il tempo di oggi si sommerà a quello di domani e so che dietro c'è gente pericolosa. Arrivo in quarta posizione e primo di categoria in 1h27; 5 minuti in meno dell'anno scorso e solo 2 in più dell'1h25 che è il mio record su questa corsa.
Ero molto contento. La forma pareva buona e mi faceva pensare con ottimismo al giorno dopo. Arrivare quarto poi è una posizione di tutto rispetto che mi metteva quasi al sicuro nella sfida a distanza con gli amici a Baunei. Inoltre, sapendo che Tanca non avrebbe partecipato alla gara dell'indomani mi dava una buona prospettiva di raggiungere il podio nella combinata. Un piccolo problema però l'ho avuto: pur sapendo cosa mi aspettava, non avevo allenato abbastanza lo stomaco. Il bis di malloreddus e le 3 portate di carne avrebbero richiesto delle ripetute di preparazione specifiche e infatti lo stomaco ha cominciato ad accusare segni di stanchezza. Ho pensato di chiedere alla massaggiatrice che era lì a curare le gambe dei podisti di farmi un massaggio allo stomaco, specificando che era, fra i miei muscoli, il più affaticato. Non ho avuto il coraggio anche se, a posteriori, considerando l'automassaggio che mi son dovuto praticare la notte, sarebbe stata una buona idea.
Ora si fa dura!
Come tutte le altre volte, ho scelto di farmi una passeggiatina digestiva nel bellissimo bosco fra lecci secolari, tombe dei giganti sovrastate da fichi rigogliosi, sorgenti, salendo scalinate di pietra fino ad arrivare al tavolone in pietra sul quale, come altre volte, mi sono sdraiato ad ascoltare il ruscellare dell'acqua, i canti degli uccelli e il suono delle ghiande che cadono sul fogliame e, aprendo gli occhi, a guardare l'intreccio di rami che orna il cielo, sempre più scuro. Ormai è ora di rientrare per cena e i propositi di digiuno svaniscono alla sola vista del cibo.

Cominciano ad arrivare notizie da Baunei. Stefano si è ritirato, Teo forse si è perso no, per fortuna non si è perso, la grande Paoletta ha vinto, e Francesco? “E' stata durissima! Sono arrivato terzo”. “Io quarto. Maledetto, mi hai battuto anche questa volta!”