venerdì 27 novembre 2015

Se avessi una grande pancia ...

Se avessi una grande pancia, me ne starei seduto con un gran sorriso a distribuire grandi verità. La prima, forse, sarebbe questa: Né la scienza, né il progresso sono il male. Non è la scienza che fa venire il tumore, la scienza è quella che lo cura. Il male è essere dominati dall'interesse per il soldo e non da quello per l'uomo. È lui che, invece di usare la scienza per farci stare meglio e progredire, la usa per alimentare il suo pastone di maiale. Spesso è questo stesso male che ci fa comprare il “naturale”, l'“integrale” e, talvolta, ci tappa gli occhi spingendoci perfino a negare il progresso. Non lo fa per farci stare meglio, ma solo, semplicemente e chiaramente per vendere di più.
Concluderei così, stringendo un po' gli occhi per consentire alla pelle di allargare il sorriso.  

domenica 22 novembre 2015

Uta - Camminata ludico motoria.

Foto di Tore Orrù
Stamattina mi sveglio, guardo l'orologio e decido di andare a Uta dove si corre la Maratonina. L'anno scorso avevo partecipato alla “corsa non competitiva” sprintando con i ragazzini, quest'anno la degenerazione continua e partecipo alla “camminata ludico motoria” che comunque è meglio della “camminata statica” dell'anno prossimo.
L'idea è semplice. Nello spirito della manifestazione, voglio provare a muovermi camminando ludicamente a 3'54 al km per due giri del percorso (poco più di 14 km). L'esecuzione è molto più complessa. In quanto “camminatore” sia pure “ludico motorio”, mi tocca partire dietro i 700 “atleti competitivi” e, per almeno un km e mezzo, resto imbottigliato e come uno spumante ben scosso, appena trovo spazi liberi, mi tolgo di dosso la faccia da sonno e schizzo dietro al tappo. Poi c'è il vento. Poi ci sono i km tomtom che sono diversi dai km garmin e a quelli del percorso e viaggio quindi a velocità misteriosissime come i neutrini del Gran Sasso. Poi c'è il “ludico” che mi obbliga a scherzare con gli amici che raggiungo. E poi, poco dopo il sesto chilometro, un volontario sul percorso ci dice che quella partenza era falsa e che si riparte fra poco. Questo sì che è un bello scherzo ludico motorio. Molti competitivi l'hanno presa male. A me invece scombina solo mesi di preparazione concepita un'ora prima della partenza e invece di un medio da 14 mi tocca fare un 2x7 che sembra uguale ma è tutt'altra cosa. Come i competitivi rabbiosi, rivoglio indietro i miei 8 euro per ripagarli con 2x4 euro. Comunque, dopo oltre mezz'ora di attesa si riparte. I muscoli sono rigidi, invece il percorso, grazie alla passata di acido che ha sciolto metà dei competitivi, si sgorga prima e riesco a trovare il mio passo dopo un solo chilometro. Ma c'è ancora il vento; i neutrini del Gran Sasso, con la scusa che è una non competitiva, si rifiutano di superare la luce o forse rispettano solo la doppia striscia continua tracciata da Einstein nel tunnel scavato dalla Gelmini. Insomma, c'è confusione là fuori, ma è una confusione ludico motoria e mi diverte. Nei pressi dell'arrivo incrocio il marciatore Nello, lo collego mentalmente con la “camminata” e, per un attimo, ho la tentazione di arrivare a passo di marcia. Una pacca sulla spalla agli organizzatori che, dopo 19 edizioni praticamente perfette, sono incappati nel tipico “incidente”. Esattamente come il mio “trail di Capoterra”, incappato nell'incidente proprio prima delle prossime 19 edizioni perfette.

martedì 17 novembre 2015

Cronache dall'inferno. Il medio

Il medio, situato fra l'indice e l'anulare, per definizione, non dovrebbe essere né lungo né corto, né lento né veloce … o forse quello è il mediocre? I miei medi sono troppo lunghi per la loro velocità o troppo veloci per la loro lunghezza e mi portano sempre a sprofondare in abissi scavati dalla fatica.
Dopo un paio di chilometri di riscaldamento, raggiungo il mio girone infernale di 13.3 km. I primi 10 sono di iniziazione: servono per stancarmi con variazioni di ritmo sui saliscendi, per sfregare dolorosamente i piedi sull'asfalto ruvido del lungomare, per accumulare affannosamente qualche secondo di vantaggio da spendere nel finale e per raggiungere la porta dell'inferno. È lì, dopo quella maledetta curva, su quella salita apparentemente insignificante, che raggiungo il massimo della pena, è lì che il medio si trasforma in calvario. Il vantaggio accumulato invece di usarlo per assecondare la salita e la stanchezza, cerco di tenerlo con le unghie e con i denti per trasformarlo in progresso. E poi, ogni volta che arrivo lì dove finisce l'asfalto e inizia quell'ultimo maledetto chilometro sterrato in salita, nonostante sia dolente, affannato, col viso incendiato di calore non dissipato, con i piedi consumati a sangue, invece di dire “è finita, basta così” mi sento in dovere di accelerare. In quell'ultimo chilometro esco davvero dalla zona di comfort, esco dal fisico per raggiungere il metafisico (o per lo meno il patafisico), l'alienazione. Esco da questo corpo straziato sperando di trovarne, al rientro, uno nuovo più forte. E finalmente arrivano gli ultimi 100 metri, sono già a tutta ma devo accelerare ulteriormente, la strada si restringe, sposto le fronde dell'eucalipto con la faccia che tanto non è più mia … fermo il cronometro a 52'27” a 3'57” al km e, ancora boccheggiante, comincio a fare calcoli e considerazioni. Sono molto più lento dei 51' dei tempi d'oro ma anche molto più veloce dei 55' di esattamente un mese fa, quando cercavo il ritmo per la mezza del Challange Forte Village. Per scendere sotto 1h22 nella mezza di Cagliari dovrò migliorare ancora un po', ma mi restano quasi tre magnifiche settimane d'inferno per provarci.   

sabato 14 novembre 2015

Cronache dall'inferno - 3x2

3x2 = 6: questa è matematica. Sono numeri che però non hanno la leggerezza astratta dell'aritmetica ma sono fisici, reali, pesanti, lunghi: sono i chilometri della mia scatola di cioccolatini.
Ho fatto un patto col demone velleitario per scendere nuovamente sotto l'ora e 22 nella mezza maratona e ora devo espiare le pene previste nel girone infernale dei podisti ambiziosi: le ripetute.
Il riscaldamento mi trova con le gambe indolenzite dai 19km di montagna dell'altro ieri: comincio davvero bene, scendendo all'inferno già dolorante. Dopo una splendida cagata nel cespuglio e 2 allunghi, parto per la prima ripetuta. Le gambe non fanno troppa fatica a tenere la velocità prevista e nonostante l'andata sia in leggera salita, non sono affannato. Arrivato al livello dell'albero miliare del primo km, punto il piede con forza in terra per fare inversione senza perdere troppi secondi e riprendere subito velocità. Un ultimo strappo in salita mi costringe ad accorciare il passo ed intensificare il respiro e poi è tutta lieve discesa: posso allungare il passo senza forzare troppo e alla fine sono solo un po' stanco. 7'30 per due chilometri. Non un gran tempo ma, date le caratteristiche del percorso e la condizione attuale, va benissimo: la condanna mi imponeva di stare sotto i 7'40. Dopo 3'30 di corsetta blanda, riparto. La velocità è uguale a prima ma gambe, polmoni e cuore fanno più fatica. Le stesse identiche cose che avevo fatto solo 10 minuti prima – l'inversione, le salite, il finale – sono ora più pesanti. Questa volta, alla fine mi sento stanco e affannato. I 3 minuti di recupero non bastano più a farmi passare la sensazione di disagio dovuto all'andatura forzata. Davvero devo ripartire? Ce la farò? Non ho alternative; è ora, andiamo! Per i primi 2-300 metri le sensazioni tornano sorprendentemente buone, poi la stanchezza mi invischia i muscoli e il ritmo rallenta. Carenza di ossigeno, cuore a mille, l'affanno aumenta ma la consapevolezza di essere all'ultima mi spinge ad accelerare per recuperare il tempo perduto: sputo i polmoni sui sassi che ricoprono gli ultimi 50 metri tanto non serve più ossigeno, si va di puro lattacido. Il tempo è, al secondo, lo stesso 7'30 delle altre due ripetute, ma sono morto. È questo l'inferno?
Mentre, dopo il breve passaggio nell'aldilà, mi trascino corricchiando verso le docce lasciando attenuare lentamente dolori e affanno, sono molto soddisfatto. Sono sopravvissuto, ho fatto il mio dovere e già penso alla prossima. Per la prossima volta voglio una scatola di cioccolatini 4x2 e sarò ancora più contento.
p.s. Grazie Mariano per i cioccolatini

martedì 10 novembre 2015

Un mese d'inferno

22 gennaio 2012 – Maratonina di Pula: 1h18'50. È il mio record ufficiale definitivo. Fino all'anno scorso pensavo che sarebbe bastato fare qualche allenamento specifico, trovare buone condizioni climatiche, un percorso piatto e una giornata di grazia per migliorare quel tempo ma sono ormai due anni e mezzo che non riesco a scendere sotto 1h22'. Adesso mi rendo conto che quel ritmo non mi appartiene più. Erano altri polmoni ad assorbire tutto quell'ossigeno, un altro cuore a pomparlo ai muscoli …
aspetta aspetta aspetta … non dirmi che ci stiamo arrendendo così facilmente! Non facciamo vere ripetute da anni, cosa ti aspettavi che i ritmi alti tornassero da soli mentre noi ce ne stavamo sul divano a bere birra? Proviamoci. Sul serio però, questa volta!
Vuoi dire che dovremmo rimetterci a fare quelle variazioni di ritmo che lasciano con il cuore nel culo e poi, dopo due minuti, quando ancora non è rientrato nel torace, ripartire a tutta … e quelle progressioni, che parti veloce e quando non ce la fai più devi accelerare? Bella roba. A che pro? Tanto l'idea di tornare a quei ritmi è chiaramente velleitaria e poi il tallone … e poi il cuore … e poi qualche podio fra i cinquantenni riusciamo ad ottenerlo anche senza ammazzarci …
Bla Bla Bla. E perché no invece? Alziamoci dalla poltrona del “tanto non ce la farò mai”; dobbiamo almeno provarci. Abbiamo quasi un mese per la mezza di Cagliari, vedrai che lì riusciremo a scendere sotto 1h22', poi il resto verrà da sé.

E sia. E ora mi aspetta un mese d'inferno. Come mai mi lascio sempre convincere da quel folle velleitario?

venerdì 6 novembre 2015

Autunno

Autunno. Cadono le foglie vecchie lasciando spazio a nuovi virgulti. È tempo di aggiornare la tabella delle velleità registrando sconfitte e inventando nuove sfide per l'anno prossimo o, siccome mi piace sbattere la testa contro il muro, riciclando testardamente quelle vecchie.

Velleità numero uno. Voglio imparare a nuotare. Mi sono iscritto ad un corso di nuoto per adulti e imparerò i 5 trucchi magici per scivolare sull'acqua e andare veloce senza far fatica. Faccio finta di non ricordare che per 3 anni (2008-2009 e 2011) ho già frequentato un corso per adulti con tre istruttori diversi e nessuno è riuscito a trasformarmi in orata. Come obiettivo, diciamo che punto a nuotare i 1500 metri entro mezz'ora. Se vi sembra facile provateci voi col sedere che affonda e l'acqua che si appiccica ai peli.
Velleità numero due. Sono ancora convinto che il trail a tappe faccia per me. Penso che, con un paio di scarpe da trail senza squarcio laterale e pantaloncini a compressione per salvare i quadricipiti dagli squassi in discesa, l'anno prossimo, al terzo tentativo, riuscirò finalmente ad arrivare fra i primi cinque nel “Sardinia Trail”. Mi toccherà fare shopping per comprare scarpe e pantaloni o per lo meno un buon nastro adesivo, che quello che sto usando adesso per tenere insieme la scarpa dopo i primi 10 km si stacca.

E poi ... e poi cresceranno tante altre foglioline verdi che faranno sentire giovane il vecchio albero. 

domenica 1 novembre 2015

Challenge Forte Village

Uscendo dall'acqua alla fine del primo giro, sento la voce dello speaker che urla eccitata. Rintronato dalla transizione di fase liquido-gas, con gli occhialini appannati e l'acqua nelle orecchie non capisco bene cosa stia urlando: odo distintamente solo la parola “primo”. Il cervello mi parte in quarta: “che bello, forse sono primo fra i race directors, non credevo di aver nuotato cobene!”. Improvvisamente sopraggiunge da dietro un'ombra, seguita da un atleta che mi supera volando sulla sabbia. Ora capisco. È il primo dei pro che mi sta doppiando. L'entusiasmo mi scivola via e quando mi butto di nuovo in acqua si perde sul fondale. Si è alzato il vento e c'è un po' d'onda. Seguo schizzi che mi portano fuori rotta e mi sento stanco. A questo giro le boe sono tutte più lontane. Vorrei tanto respirare. Mi rassegno: punto alla pura sopravvivenza ed esco dall'acqua in 41 minuti, uno in più dell'anno scorso.
In zona cambio l'incubo continua. La muta si trasforma in un coacervo di anguille e tenta in tutti i modi di sgusciare via dal sacco dell'umido in cui la devo infilare. Anche i taschini del body preferiscono stare all'aria aperta piuttosto che a contatto col mio culo e quando provo a farli rientrare in sede per infilarci fazzoletti e gel, si ribellano. Insomma, come al solito il cambio mi costa oltre un minuto in più di quello di un triatleta con un quoziente intellettivo medio e 2 minuti e mezzo più di un pro.
Finalmente in bici. L'aria è fresca e il body bagnato; per non sentire freddo devo accendere subito la stufetta interna e sprigionare i watt. È quello che si chiama “riscaldamento globale”: nessun rispetto per l'ambiente e tantomeno per le gambe. Imposto il dolorimetro su “bruciore lieve”, il respirometro su “impegnato” e spingo con forza su e giù le pedivelle. Partire fra gli ultimi mi consente di superare facilmente, soprattutto in salita e questo risveglia l'entusiasmo perduto. Sono quasi a cantoniera, alla fine della salita più lunga quando raggiungo Teo. Un saluto, complimenti a lui che sta facendo un ottimo esordio e a me che ho raggiunto il mio primo bersaglio. Il contenuto della borraccia mi sorprende con un'effervescenza innaturale, effetto del bicarbonato che avevo aggiunto per aiutare la digestione ma, tutto sommato, non mi dispiace. Anzi, potrei suggerirla come ricetta stocastica per l'integrazione sportiva.
Nel tratto a bastone verso la base militare di Sant'Anna Arresi, lancio gesti rabbiosi contro quelli che incrocio in scia. Al contrario dell'anno scorso, questa volta i giudici daranno qualche penalità e squalifica, ma la maggior parte dei furbetti se la caveranno senza essere visti. Incrocio Francesco con circa 6 chilometri di vantaggio: sono più di dieci minuti e sarà impossibile raggiungerlo … a meno che … . Sulla costiera mi diverto. Conosco a memoria gli strappi, le curve, le discese e ho ancora forza nelle gambe per ingranare la trazione, spingere e superare in continuazione.
A dieci km dalla fine della frazione, dopo l'ultimo spettacolare strappo della strada costiera, le difficoltà altimetriche sono finite ma il vento soffia contrario. Mi supera un atleta che avevo passato poco prima ma appena passa avanti rallenta. Lo risupero immediatamente ma dopo un minuto me lo ritrovo avanti a fare la stessa operazione. Provo a rallentare e lasciargli spazio per non stare in scia, ma va troppo piano. Mi sento ostacolato come Valentino Rossi. Supero di nuovo. Ho capito cosa fa: mi sta in scia e poi passa avanti per darmi il cambio. Sarebbe gentile da parte sua, ma in un altro sport: qui è vietato e non voglio il suo cambio! Quando mi ripassa per la quarta volta mi lascio sfilare, allargo le braccia e scuoto la testa. Poi mi alzo sui pedali, prendo velocità e lo supero a velocità doppia per evitare che mi si attacchi di nuovo. Finalmente capisce e mi lascia andare. Grazie Giorgio. Mi supererà nella transizione e correrà un'ottima mezza arrivando qualche minuto avanti a me.
In zona cambio guardo con diffidenza le scarpe nuove. Mi sento insicuro. Insicuro delle scarpe, delle gambe, del fiato. Gli ultimi allenamenti che avrebbero dovuto darmi confidenza con le scarpe e col ritmo gara, sono finiti con affanno, fatica, dolore ai polpacci, lasciandomi dubbi e insicurezze. Ma non c'è tempo per ripensamenti: metto le scarpe e parto. Le gambe sono pesanti ma cominciano quasi subito a girare decentemente. Sto andando piano, ma la confidenza aumenta e gradualmente riesco anche ad accelerare. Infatti, dai 4'41 del primo chilometro riesco a passare a 4'24 al secondo per poi assestarmi intorno ai 4'15, un buon ritmo per questo tipo di gara. Sono vivo e, come un avvoltoio, comincio la caccia ai moribondi. La corsa si svolge tutta su un percorso da fare due volte avanti e indietro e perciò permette di incrociare più volte tutti i concorrenti e di puntare quelli che danno segni di cedimento. Chi mi conosce, quando mi vede volteggiare facendo un gesto di saluto, sa di essere condannato. Non tutti però. Incrocio Degasperi in lotta per la vittoria con un atleta ungherese. Gli faccio un applauso e gli dico “grande!”, lui mi risponde “grande tu”. Resto a bocca aperta con un sorriso ebete. Un atleta in lotta per la vittoria che spreca fiato per rispondere ad un amatore qualsiasi. Grande davvero, non solo come atleta.
Poi incrocio Francesco, è vicino, a poco più di un km “mi hanno dato 5 minuti di penalità” mi spiega. Resto allibito. Francesco non sta in scia neanche in allenamento, controvento, quando è stanco morto, figuriamoci in una gara in cui è vietata! Comunque ora è a portata, e volteggio verso di lui. All'ultimo chilometro lo incrocio di nuovo, solo un centinaio di metri davanti “Se non mi sprinti ti aspetto”. Sto correndo ancora bene, supero diversi concorrenti ma non lo vedo. Eccolo! Che bello, si è fermato davvero ad aspettarmi 50 metri prima del traguardo! Lo afferro e passiamo il traguardo insieme. Sono felice!
Qualche ora più tardi, quando espongono le classifiche, vedo che lo hanno classificato 30 centesimi avanti a me. Per prenderlo in giro gli dico “sì vabbeh, mi hai aspettato ma poi hai messo avanti il piede con il chip” “Ma tu hai messo il chip sul sinistro, si mette sempre sul destro che è il piede che va avanti” “Boh, io di solito li alterno”. La prossima volta, lancerò anche io il piede in avanti come una ballerina di can can.

L'ho chiusa in 4h57' a due minuti dal me stesso dell'anno scorso, a un minuto e mezzo dal podio e dalle premiazioni di categoria, a un piede da Francesco e terzo fra i race directors. Insomma, di poco, ma ho perso tutte le sfide. Come mai allora sono così soddisfatto?