venerdì 27 febbraio 2015

Non votate Lorrendo Pisani!

Non so come, non ricordo perché, fra la nebbia del senso di responsabilità e un'ipotesi di “tanto nessuno mi vota”, ho accettato di essere candidato come rappresentante sindacale dei lavoratori per il CRS4. Il 3 marzo ci saranno le elezioni e ho cominciato la campagna elettorale. Lo slogan è buono: “Non votate Lorrendo Pisani!” Spero di convincere i miei colleghi e di non essere eletto: ne andrebbe della mia salute mentale. Qualcuno forse mi prenderà per scemo e fra questi potrei esserci anche io.  

mercoledì 25 febbraio 2015

Vagoni di coda

Fra gli amici che ho invitato all'allenamento collettivo di corsa in montagna di domenica scorsa, almeno in 4 mi hanno detto che non erano sicuri di venire perché temevano di restare ultimi. Ho detto loro di mettersi d'accordo, che avevo un solo posto come ultimo. Poi ho riflettuto e ho fiutato l'affare.
Quando partecipiamo ad una gara, un allenamento collettivo o anche ad una semplice escursione in un campo in cui non ci sentiamo sicuri, un incubo molto frequente è quello di restare ultimi staccati da tutti. A me capita nella frazione di nuoto del triathlon: quando prendo calci in faccia, sono tutto contento di non essere solo. Come pecore, siamo tranquilli solo sapendo che c'è qualcuno che resta dietro di noi a sfamare il lupo. Gli organizzatori dovrebbero allora ingaggiare un atleta per fare il vagone di coda. È un ruolo importante, rassicurante. Invece di pagare cachet a campioni che sverniciano tutti, li paghino a qualcuno che si lascia superare con una battuta simpatica e autoironica. Al contrario delle lepri, che, una volta svolto il loro ruolo, si devono ritirare, ai vagoni di coda è assolutamente vietato il ritiro. Devono mantenere quella posizione fino al traguardo, ci devono coprire le spalle come un pastrano. Se si ritirassero, proprio come un gilet lavato a 90 gradi, finirebbero per lasciarci con le spalle scoperte. Devono quindi avere buone doti di resistenza al lavaggio: devono avere la stoffa per quel ruolo.
Se, per l'allenamento di domenica, avessi potuto dire: “non vi preoccupate, non sarete mai ultimi: ho ingaggiato un vagone di coda professionale, in tessuto irrestringibile” sicuramente sarebbe venuto qualcuno di più.

Ne conosco di buoni, colti, simpaticissimi e lenti quanto basta. Se vi dovesse interessare, potete contattare il loro manager velleitario cliccando su: “Gli ultimi saranno i primi” su: “vagoni di coda punto com”.

domenica 22 febbraio 2015

Verso l'infinito e oltre!

Quando riconosciamo in quelli che ci circondano il nostro stesso piacere, il godimento si moltiplica e da personale diventa collettivo. Le emozioni rimbalzano da uno all'altro e in condizioni particolari, quando c'è coerenza di fase, si crea un'interferenza costruttiva che fa montare l'onda dell'entusiasmo.
La ricerca di questa “onda perfetta” è un motore sociale potentissimo, che spinge a condividere le cose che piacciono. È il meccanismo trainante dei social network che lo scimmiottano con faccine sorridenti, pollici alzati, indici di gradimento, medi sociali, anulari e mignoli … ma quando si realizza nel mondo reale ha un gusto tutto diverso.
È questo stesso motore che mi aveva spinto ad organizzare l'escursione di oggi. Volevo condividere la passione e il divertimento per la corsa in montagna con i miei compagni di squadra e condividere la bellezza dei “miei” monti con chi li conosce poco. Il clima grigio e piovigginoso, non ha aiutato: “Com'è che ogni volta che organizzo un evento su facebook arriva una perturbazione? E' quasi peggio che stendere il bucato!

Ma mi è bastato un momento. Quando il panorama si è aperto scoprendo un susseguirsi di rocce e boschi, di punte e di gole a riempire l'intero arco visivo, mi sono fermato stupefatto; si sono fermati anche gli altri e, per qualche istante, quella bellezza ha cominciato a rimbalzare fra di noi, che eravamo lì, oltre l'infinito.

venerdì 20 febbraio 2015

Built for comfort

Some folk built like this, some folk built like that
But the way I'm built, you shouldn't call me fat
Because I'm built for comfort, I ain't built for speed
But I got everything all the good girls need

(Willie Dixon)

(Qualcuno è fatto così, altri son fatti cosà
Come son fatto io, sembro grasso ma in realtà
Io sono fatto per il comfort, non per la velocità
Ma ho tutto ciò che serve a donne d'ogni età.)

mercoledì 18 febbraio 2015

Defibrillatore

Sta per entrare in vigore (credo ad ottobre di quest'anno) l'obbligo per tutte le società sportive di dotarsi di un defibrillatore.
In caso di arresto cardiaco, se usato tempestivamente, può salvare la vita. Sembra sensato perciò obbligare, per legge, ogni impianto sportivo, campo, palestra ma anche scuola, supermercato ... ad averne uno pronto all'uso. Sarebbe sensato anche che durante ogni manifestazione, sportiva o meno, il presidio medico lo debba, obbligatoriamente, avere. Che senso ha invece obbligare tutte le società sportive a possederlo?
Il defibrillatore, per essere di qualche utilità, deve essere vicino al posto dove si svolge l'attività. Dev'essere quindi legato ad un posto: impianto sportivo, campo di gara …
Possibile che i legislatori non capiscano che non tutte le attività sportive si possono svolgere in un luogo ben determinato? Forse non sanno che non tutte le attività sportive si svolgono 11 contro 11 in un campo delimitato da una riga bianca. Per esempio, le società ciclistiche cosa se ne farebbero? E quelle di trail running? E tutte quelle di atletica che non gestiscono (utilizzano) un impianto? Dove lo mettiamo? Lo teniamo nella sede sociale per le riunioni particolarmente accese o ce lo mettiamo nello zaino quando andiamo a correre? Lo mettiamo su un totem e facciamo i nostri allenamenti girandoci intorno? Mi sembra assurdo.

Costa circa mille euro e non sono previsti aiuti pubblici. Possiamo permettercelo o dobbiamo chiudere? E se chiudessimo, quanta gente smetterebbe di correre andando così incontro ai rischi, ben più alti, derivanti dalla sedentarietà?

Se uno fa una statistica delle morti per infarto, allora il posto più adeguato per piazzare il defibrillatore sarebbe davanti alla tv. E allora, a rigor di logica, che sia obbligatorio accanto ad ogni divano, azionabile col telecomando.

lunedì 16 febbraio 2015

L'incubo del giorno dopo

Ieri, mentre a Cagliari si correvano i 30 km della "Karalis 30: Corriamo insieme ... liberi dal dolore" ho corso a Santa Lucia i 30 km della "Incubo del giorno dopo: Corriamo da soli ... pieni di dolori".
Li ho corsi piano piano, fermandomi a chiacchierare e a bere nei torrenti ma 30 km sono pur sempre 30 km e vanno fatti. Può sembrare una banalità ma in realtà … sono ben due banalità. La prima: 30 km sono sempre 30 km1. La seconda: per fare 30 km i 30 km vanno fatti. Comunque, sommando due banalità si ottiene una verità inconfutabile.
L'idea – sembra figa – era quella di provare a correre con le gambe massacrate dal trail del giorno prima. Un allenamento di testa per il passatore, direbbe qualcuno. Più precisamente, direi che ho portato a spasso il mio zombie, visto che sarà lui a dover correre la seconda metà del passatore.

Comunque ce l'ho fatta. Sono partito un po' rigido, tipo, appunto, zombie, e piano piano mi sono sciolto, tipo marshmallow. La foresta del Sulcis intorno a me ha fatto da sedativo e dopo 2 ore e 40 minuti sono tornato alla macchina. Appena in tempo: stava suonando la campanella che annunciava la fine dell'ora d'aria della mia casa di riposo.

Note:

1 se non ci si avvicina troppo alla velocità della luce. Altrimenti varrebbe: 30km = 30km*sqrt[1-(v/c)2]. La velocità della luce comunque ieri era sufficientemente lontana da far valere l'approssimazione non relativistica.

domenica 15 febbraio 2015

Sardinia winter trail top – Il gusto della vittoria.

La vita è bella perché è piena di “prime volte”.
A Seneghe, ieri, ero al “sardinia winter trail”, una gara di corsa in montagna. Ho partecipato alla gara “top” di 27 km con 1000m D+ mentre, contemporaneamente, si svolgeva anche la “ultra” di 52 km.
A cinquant'anni suonati ho vinto la mia gara. È stata una vittoria un po' fortunosa, risicata, inaspettata ma, proprio per questo, molto emozionante.
Bellissimo il percorso che ha portato alla vittoria. Pieno di finestre aperte su panorami spettacolari, di acqua che scende dal letto e scorre libera, di nuraghe e alberi millenari, mulattiere in selciato, fatica.
Al decimo km ero settimo assoluto e quarto fra i “top”. Salendo come un salmone lungo la mulattiera invasa dall'acqua, nonostante allenamenti specifici con i piedi nell'acqua e ripetute con la pinna caudale, non ero riuscito a tenere il passo di quelli davanti e nella successiva discesa avevo perso ulteriormente terreno. Davanti a me non vedevo più nessuno e dopo aver fatto qualche considerazione sull'età che avanza e aver ricordato le sagge parole delle mie pantofole imbottite, mi ero rassegnato a fare una gara da pensionato in gita. Qualche chilometro dopo, a metà della seconda salita, il percorso è entrato nel bosco e lontano davanti a me ho cominciato a scorgere delle figure umane; l'ambiente selvatico mi ha fatto scattare nel cervello l'istinto del predatore e ho aperto la caccia. Aumentando la respirazione ad un livello appena inferiore al rantolo, guadagnavo visibilmente terreno. Quando davanti iniziavano a camminare continuavo a correre per qualche secondo ancora. A fine salita, al 17esimo chilometro, ero ancora sesto assoluto e quarto dei “top”, con la lingua di fuori ma con il fiato sul collo del terzo e del secondo. Ormai sentivo odore di podio.
Finita la salita da lupo son diventato falco. Mi sono accorto che nelle discese tecniche andavo più veloce degli altri due e con una picchiata li ho superati agevolmente e ho guadagnato terreno. Nonostante una sosta di una ventina di secondi per allacciare una scarpa con le mani intirizzite, sono riuscito a ripartire prima che mi raggiungessero, per poi ributtarmi giù per la mulattiera in selciato e riprendere un buon margine. Ero ormai felicemente lanciato verso un ottimo secondo posto, quando, improvvisamente, dietro una curva della strada che riportava a Seneghe, a circa 2 km dall'arrivo, ho visto il primo non più di 150m avanti a me. Mi sembrava di essere sazio ma alla vista di una preda così succulenta la salivazione è aumentata e in meno di un chilometro l'ho raggiunto. Mi ha detto che stava andando piano per crampi. Gli ho fatto un gesto di finta pietà e l'ho lasciato. Sono entrato in paese euforico pregustando il trionfo e due persone mi hanno accolto festosamente.
Come dicevo, la vita è bella perché è piena di “prime volte”. In realtà non è stata la mia prima vittoria. Allora cosa c'entra?

Ecco: dopo ore di festa, chiacchiere, arrivi, birre e premiazioni, stavo rientrando in macchina ed ero quasi arrivato a casa, quando, dopo un'ora di sofferenza, non ho resistito e mi sono dovuto fermare a lato della strada a pisciare, contro un muro, con le macchine che mi sfrecciavano dietro. Per la prima volta nella vita me ne sono fregato di essere visto e di cosa pensassero di me; non ero niente di più che un uomo felice con qualcosa in mano e la sensazione di sollievo è stata incredibilmente piacevole. Forse il gusto della vittoria è anche questo.

martedì 10 febbraio 2015

Quasi quasi mi farei un clistere

Oggi c'è riunione. Domani scadono le iscrizioni per il sardinia winter trail di Seneghe e dobbiamo decidere se fare il giro lungo o il giro corto.
Dalla prima fila, le pantofole imbottite di lanetta si propongono come alternativa. Correre in pantofole? Dopo la vittoria dell'uomo in infradito a Lanusei, niente sembra impossibile, ma non intendevano questo. Chiarito l'equivoco la riunione va avanti stancamente. Il morbidume della lanetta ha ormai ricoperto tutto, trasformando l'io velleitario in un peluche. Dentro di sé pensa alle cime aperte e innevate ma quando si tira il filo per farlo parlare ripete sempre la stessa frase: “verso l'infinito e oltre!” E nessuno lo ascolta più.
Il ginocchio un po' dolente si lamenta e vorrebbe anche lui una ginocchiera imbottita con il pelo.
Sto invecchiando? Ricordo le parole di mio nonno: “Quasi quasi mi farei un clistere” e io lo prendevo in giro cantando:
… due perette la mattina e tre la sera
e per me è tornata la primavera …

Decido per il giro corto.

domenica 8 febbraio 2015

Fango alla campestre di Selargius

Il fango è la mamma primordiale da cui, secondo la bibbia, l'uomo sarebbe nato. Oggi a Selargius le sue braccia materne uscivano dalla terra a carezzarmi i polpacci cercando di trattenermi: “dove corri, che fretta hai, stai già andando via? Resta ancora un po', un minuto ancora …”
Tutti lo evitano come fosse merda. Somiglia ma l'odore è diverso, sa un po' di vecchia zia. L'acqua scioglie e libera dalla terra residui organici che un tempo forse facevano parte dei nostri antenati: gli spiriti di grandi uomini o forse solo le loro autorevoli feci. Altroché merda.

La mia discendenza da progenitori suini mi ha lasciato, insieme ad altre somiglianze genetiche, un atavico piacere nell'entrare nella melma. Mi diverte potermi inzaccherare fino alle mutande senza che il papà mi sgridi perché il papà ora sono io. Mi divertono le sorprese che cela, gli schizzi marroni, le mezze scivolate; è un po' come correre al buio, i miei piedi sono reattivi e riescono a superare le insidie. Sono un figlio del fango e nonostante i 25 km corsi ieri in montagna, la mancanza di scarpe chiodate, nonostante la mancanza di allenamento specifico, sono riuscito a conquistare un insperato podio di categoria. 
“Torno subito, mamma, ancora un giro; aspettami, non ti seccare … ” 

sabato 7 febbraio 2015

Il punto giusto

Stamattina alle 7, nonostante sia sabato, sono stato costretto ad alzarmi con l'intestino che si aggirava come un verme inquieto nel mio ventre. In bagno poi, dopo una seduta un po' sofferta, la bilancia mi ha aggredito con un “68.2”. Due chiari messaggi: ieri sera ancora una volta, non sono riuscito a fermarmi al punto giusto. Dopo cena, la torta al cioccolato chiamava il mirto, il mirto chiamava la torta al cioccolato e io mi sono lasciato distrarre superando abbondantemente la mia fermata.
Il ginocchio destro ogni tanto guaisce. Quale fosse il punto giusto me lo aveva detto chiaramente alla fine della terza salita ma, stupido ginocchio, non potevo restare su in cima a Porcili Marriu a nutrirmi di corbezzoli e acqua di torrente aspettando che si riposasse: in qualche modo dovevo tornare giù.
Ora c'è il sole, l'aria è tersa e dalla finestra scorgo il monte Santa Barbara che mi sorride. Forse non dovrei uscire a correre, forse il ginocchio non vuole … ma come faccio a saperlo?

Per sapere qual'è il punto giusto bisogna superarlo, altrimenti si rischia di non raggiungerlo mai.

mercoledì 4 febbraio 2015

Correre troppo velocemente può essere letale quanto l'essere inattivi


Troppo esercizio può davvero uccidere. A sostenerlo un gruppo di scienziati del Copenhagen City Heart Study, Frederiksberg Hospital di Copenhagen, in Danimarca che ha scoperto che correre a una velocità di 11 chilometri orari potrebbe fare più male che bene. In uno studio condotto su 1.098 topi in buona salute, i ricercatori hanno messo i roditori di fronte ad un pezzo di emmenthal DOP (cacio) posto subito dietro una parete in polimetilmetacrilato (plexiglas) perfettamente trasparente. Gli scienziati hanno dimostrato che la mortalità dei topi cresce con la velocità con cui si lanciano verso il cacio e impattano contro il plexiglas; in particolare, sopra gli 11 km/h la mortalità risulta superiore al 95%.
L'esperimento in questione ha dimostrato una tesi diametralmente opposta rispetto a quanto si pensava in precedenza sulla base dei risultati pubblicati da un gruppo di ricerca della rivale Università di Stoccolma in Svezia. Gli scienziati svedesi, con l'ausilio di un felis catus siamensis (gatto) ben addestrato, avevano infatti dimostrato che sono i topi più lenti ad avere un tasso di mortalità superiore.
Per risolvere definitivamente il dilemma scientifico, gli scienziati del panel of experts on mouse speed della UE hanno ideato un esperimento con il cacio, il plexiglas e il gatto. Il risultato sorprendente è stato che sono morti tutti, topi e gatto.

La conclusione, se fosse confermata per gli esseri umani, sarebbe clamorosa: vivere è letale (anche se qualcuno sostiene che morire lo sia ancora di più).

lunedì 2 febbraio 2015

Almanacco del mese dopo - febbraio 2015

Febbraio. Mese di mezzo. Punto apicale – “la Colla” – della mia vita: dopo la prima metà, in salita, comincerà la discesa, e durerà altrettanto. Questa volta non mi ritiro al sessantacinquesimo, voglio arrivare a 100!

Eventi

9 Inizia la discesa.

14 Sardinia winter trail a Seneghe: 54 chilometri di corsa con 2200m D+ o meglio 2200m D- così inauguro la discesa.

15 Karalis 30. L'incubo del giorno dopo. È un'opzione che sto considerando. Trascinarmi per 30 chilometri per le strade di Cagliari con le gambe a pezzi sembra figo.

Best of the past

A febbraio 2014 nel blog compare una bellissima rubrica: l'“almanacco del mese dopo”
Febbraio è un mese del futuro. Con i suoi 28 giorni di durata è un prototipo di come sarà la vita quando adotteranno il mio “calendarioperfetto”. Inforchiamo le bici volanti, indossiamo i biovestiti (il mio è un po' peloso) e godiamocelo. Da “Almanaccodel mese dopo – febbraio 2014

L'intestino diventa il grande protagonista del blog
Ogni anno, a primavera, rinasciamo. Ci lasciamo dietro una scia, un odore, qualcosa di incorporeo; ogni anno, come una flatulenza, generiamo un fantasma.  Da “Fantasmi

la prospettiva di raggiungere l'obiettivo del decimo posto mi stimola come un clistere di redbull. Da “Gran fondo del Sulcis 2014 – Fantasmi, scribacchini e comparse

Si parte, il fiato ci esce davanti, dalla bocca; si fatica e più si fatica, più il fiatone ci respinge indietro. Azione e reazione. Per spingersi in avanti bisognerebbe avere il fiatone da dietro …
ho fatto sessioni di peristalsi in palestra con i pesi e “sedute” di allenamento massacranti ma produttive. Il mio intestino, perfettamente depilato, è il mio vanto – mi faccio in continuazione colonscopie selfie col telefonino  … Da “Gran fondo del sulcis:preview

Prospettive particolari
Ogni volta che sento parlare di “principio universale” mi viene in mente il big bang e tutte le volte mi viene un brivido al ricordo di quel gran botto. Navigavo nel buio del preuniverso e stavo ciucciando un placenta drink con la cannuccia ventrale quando, all'improvviso mi sentii spingere da forze immani verso una luce che in poche frazioni di secondo si popolò di materia, antimateria, arredi, persone. Non potei trattenere un urlo di stupore: il mondo era nato!

domenica 1 febbraio 2015

Prova percorso “primo trail di Capoterra”


Eccomi, sono tornato. Ero su facebook e faticavo ad uscirne. Ero lì per promuovere un evento: la prova percorso del trail che sto organizzando a Capoterra.
Per raccontare la giornata, approfitto allora dei post che ho scritto per FB con qualche foto rubata da lì.
Ecco l'invito a venire e a non venire:
Domani è prevista pioggia. Non di quella pioggerella leggera, decorativa ma vera pioggia, pesante, di quella che bagna, che esci dalla macchina che piove e rientri che forse non ha ancora smesso. Insomma, ci sarà quello che con un sottile eufemismo potremmo definire “un tempo di merda”.
Non siamo eroi o, se anche lo fossimo, sarebbe meglio lasciare i nostri eroismi per cause migliori (l'autoeroismo è peccato e abbassa la vista): noi corriamo per stare bene e divertirci.
E allora, se ne siamo capaci, divertiamoci correndo sotto l'acqua. Non dovrebbe fare freddo e dovrebbe bastare un buon K-way e un cambio asciutto. Noi mettiamo a disposizione una casetta con una decina di posti a sedere – compresi i due wc, chiusa e riscaldata per cambiarsi, bere un the caldo o una birra, mangiare qualcosa e scambiare qualche chiacchiera.
Se l'idea di bagnarvi invece vi spaventa, è meglio che restiate a casa, seduti sul divano ad ascoltare il ticchettio dell'acqua che bussa sui vetri.

Messaggio efficace. Eravamo in 15, non tantissimi ma quelli giusti: abbiamo preso acqua ma siamo stati bene e ci siamo divertiti. Missione compiuta.

abbigliamento adeguato
Per non prendere freddo quando piove basta avere un abbigliamento tecnico adeguato o, se non ce l'hai, tanto abbigliamento inadeguato. Ecco il mio di ieri: canottiera “tecnica” regalatami 25 anni fa, tessuta in cilicio; maglia da bici invernale; giubbotto da bici invernale; k-way a mezze maniche (era un k-way normale di mio figlio quando aveva 8 anni); mutande in cotone per proteggere le parti intime dallo sfregamento; fouseaux vinti ad una gara con grattuggiacoglioni incorporato (forse da donna); scarpe saucony da trail. Ecco, visto? Da trail. Come dicevo: abbigliamento tecnico adeguato. Anche se le mutande non sono proprio da trail, pazienza.

Mi sono divertito. La prima pozzanghera la evito sempre, la seconda faccio finta di non vederla. Dalla terza in avanti le vado a cercare per fare sciac sciac con i “piedini”, felice come un bambino o forse rimbecillito come un vecchietto.

Con il passare dei chilometri, la vegetazione si è stretta sempre di più intorno a noi fino ad arrivare all'abbraccio morbido e bagnato del cisto. Eravamo completamente immersi nella natura che dissolta in minute goccioline, riusciva a penetrare sotto i 4 strati di vestiti fino alla pelle. Per fortuna non faceva freddo e la forza della natura si è manifestata solo in una benevola carezza.
l'abbraccio del cisto

Buttarsi giù, senza freni, senza farsi male, senza farsi male.

Eccoci alla fine, belli come pulcini bagnati.