martedì 26 dicembre 2017

Auguri a tutti!

2017 Un anno “primo” è finito con tutto ciò che comporta in termini di divisibilità in fattori. Non so se l'indivisibilità centri ma qualcosa mi è successo. È come se sia stato investito da un vagone. Non è crisi di mezz'età, è la mezz'età che mi si è buttata addosso.
Ho mangiato fino ad avere mal di pancia. Quando troppo buono accumulato diventa doloroso eccesso, si capisce l'importanza dell'equilibrio. Questa è la lezione del natale e ogni anno fa bene ricordarla perché si tende a buttarsi sempre nelle stesse direzioni che siano il lavoro, i soldi, lo sport, la birra o le parole crociate.
Sotto l'albero ho lasciato solo qualche “buono trasporto Cagliari-Capoterra su auto di marca tedesca”. Sembra poco ma l'anno prossimo o quello dopo varranno più di un bitcoin, in quanto, al contrario di quest'ultimo che è pieno di vuoto, contengono l'affetto di un padre e corrispondono ad un servizio reale e a tempo fisico.
Un anno “primo” ma non ultimo. Un altro seguirà e promette bene. C'è davvero ragione di essere ottimisti, perché l'anno nuovo avrà la primavera, me lo sento.

sabato 23 dicembre 2017

Una notte all'inferno

Mi sveglio per pisciare ma la vescica è vuota e quel fastidioso stimolo non passa. Mentre mi aggiro preoccupato fra bagno, cucina e sala inizio a sentire un fastidio al rene sinistro che aumenta progressivamente fino a diventare dolore e poi continua ad acuirsi, sempre più forte. Penso che sia una colica renale. Faccio giusto in tempo a prepararmi una borsa dell'acqua calda prima di sprofondare.
Crollo sul divano della sala. È l'una e mezza di notte e non voglio disturbare. Si tratta di aspettare poche ore prima che si svegli Maria ed eventualmente mi porti al pronto soccorso. Intanto lascio dormire lei e i medici; se devo soffrire, preferisco farlo da solo e che nessuno veda la mia espressione e l'orrore di quegli occhi che ogni volta che passo davanti allo specchio dopo aver vomitato sono sempre più scavati dalla sofferenza. Ogni volta 5 anni in più. Ormai ho superato i 70. Quanto potrò andare avanti ancora?
Il tempo non passa mai. Ogni minuto è pieno di lunghissimi secondi di sofferenza. Non sopporto più di stare sdraiato, fermo con quel dolore acuto e continuo; so che alzandomi il dolore aumenterebbe ma sono arrivato al punto che preferisco alzarmi aumentando consapevolmente il dolore piuttosto che continuare a soffrire sempre nello stesso modo. Le coliche non finiscono? Vorrei fare una ricerca google ma lo studio è troppo lontano e arrivato a metà strada, devo tornare a sdraiarmi. E se fosse un tumore? Manca lucidità e senza google tutto diventa possibile. Quando si sveglierà Maria dovrò dirle che non possiamo partire, perché siamo bloccati qui all'inferno per l'eternità.
La tv è spenta davanti a me. Guardo lo schermo nero. Non la accendo. Non servirebbe. È impossibile distrarmi; non vedrei niente con lo sguardo rivolto di dentro, verso quell'impulso nerissimo che sovrasta e oscura tutto il resto.
Dopo 3 ore di sofferenza incessante comincio a pormi domande assurde. Vale la pena vivere così? Mi butterei di sotto? A parte che mi trovo al piano terra e la sola idea di salire le scale mi sembra improponibile, constato che l'idea proprio non mi attrae per niente. La risposta, per fortuna, è chiara. Mi spaventa l'idea di essermi posto la domanda. Ma era interesse puramente teorico. Almeno credo.
Verso le 5 e 30, dopo 4 ore all'inferno, il dolore cala quel tanto da lasciarmi cadere stremato nel sonno.
Mi sveglio con lo stomaco nel caos ma il dolore al fianco è cessato quasi del tutto.
In questi momenti ci si sente rinascere e si apprezza, con ogni minuscola cellula, la bellezza di essere vivi. Semplicemente. Vivi, con quel magico tepore che ci nasce dentro ad ogni respiro.

martedì 19 dicembre 2017

Pantofole2 - Trappola mortale

Due piccole bare
Un minuto di silenzio per tutte le vittime delle pantofole: ne hanno uccisi più loro dell'eroina …
La prima volta.
Di solito te le regalano per un compleanno, ti fai una bella risata pensando ad uno scherzo, ti lasciano ridere da solo con un sorriso imbarazzato, ti torna in mente un episodio di qualche giorno prima quando avevi intravisto un anziano dietro ad una vetrina, per poi accorgerti che quella vetrina era uno specchio o, quell'altra volta, quando un ragazzo si era alzato per offrirti il suo posto sull'autobus e, finalmente, ti rendi conto. Io invece me le sono comprate da solo! Erano sempre state lì esposte sullo scaffale del supermercato ma non le avevo mai notate o prese in considerazione. E invece quel giorno l'occhio mi ci si è appiccicato sopra e non ho saputo resistere a quella morbida trappola, pur sapendo che una volta indossate sarebbe stato difficile uscirne.
Assuefazione.
Ricordo ancora la sensazione di morbidezza che provai la prima volta: mi sembrava di camminare su una nuvola. Dopo qualche tempo, le pantofole del supermarket non riuscivano più a farmi provare quella sensazione e le ho cercate più morbide; ora poi non riesco ad indossarle se non hanno il pelo dentro.
Astinenza.
Quanta gente è morta o ha ucciso altra gente in incidenti stradali solo per arrivare un minuto prima a casa ad infilarsi le pantofole?
Overdose
Calzature infide, che ti portano comodamente fino all'uscio di casa ma poi non ti lasciano andare oltre o, al massimo, ti fanno accasciare su una panca accanto alla porta, di fronte alla strada o al giardino, ad ascoltare le voci dei bambini, i cinguettii degli uccelli, a guardare passare la gente, i cani, la vita.

domenica 17 dicembre 2017

Giancarlo corre – tapasciando al colle

Mi tasto le tasche per la quarta volta. Poi svuoto lo zaino e lo riempio per la seconda volta. Dovrei avere più fiducia in me. Le chiavi dell'auto infatti erano al loro posto, buone buone, in auto, ad aspettarmi.
Tapasciando. Foto di Fernando Usai
Bella gara al colle. Attardatomi in chiacchiere, alla partenza mi sono ritrovato nelle retrovie e ho dovuto slalomare superando con impeto grintose camminatrici per poter raggiungere il mio ritmo superiore di 4'40. Troppo veloce; si suda. Ok, devo rallentare per togliermi la giacca e legarla, elegantemente, alla vita. Controvento, cerco riparo dietro ai più corpulenti per poi superarli con passo leggero appena si cambia direzione.
Arriva la salita e sembra di scalare il monte bianco; ho dovuto camminare per non far scoppiare il cuore poi, dopo la vetta, ho lasciato andare le gambe e superato atleti di un certo livello. In discesa, i piedi, resi poco reattivi dallo scarso allenamento, sbatacchiano sull'asfalto facendo il tipico suono “tapash-tapash” dell'appoggio tacco-punta; spero che nessuno lo noti; faccio finta di non sentirli e mi diverto facendo le pieghe in curva. Con lo slancio della discesa cerco di tenere la velocità anche in pianura ma ho già corso più di 3 chilometri e sono un po' stanco. Avvicinandomi al traguardo faccio lo sprint al contrario per sembrare rilassato all'arrivo. È non competitiva e non c'è nessuno che arrivi con me per un bello sprint per la centordicesima posizione. Pazienza, vanno tutti dritti per gli altri 2 giri della competitiva. Nonostante ciò, ho anche i miei bei tifosi, quelli personali, i più belli di tutti. Arrivo soddisfatto. 4 km a 4'45 al km e ho camminato davvero poco. Ormai sto prendendo gusto al tapasciare; basta non allenarsi e si riesce a faticare anche andando piano, almeno quel tanto da saziare la voglia di correre, giustificare un ricco buffet e avere qualcosa da raccontare.
Sono uscito dalla crisalide. La metamorfosi da sacchettaro a tapascione è ormai completa.

domenica 3 dicembre 2017

Cagliari respira - Tutto bene, a parte me.

Tutto bene ... a parte me. Foto di Gavino Sole
“Vengo a correre se mi sveglio e non c'è arietta”. Alle 7 sono sveglio e le pale eoliche di Macchiareddu giacciono immobili: mi tocca andare. Mi guardo allo specchio: ho ancora il segno degli occhialini anche se sono 6 mesi che non vado in piscina. Avevo sentito dire: “domani dalle 8 alle 11 piove.” Il sole sfida, anzi, irride gli annunci fatti senza condizionale e i creduloni del meteo offrendoci una mattinata ideale per correre.
Dimentico tutto e comincio a pensare al fatto che, con una giornata così bella, potrei fare tutta la mezza. Dimentico me, il “tutto bene, a parte me” che sta diventando la mia risposta standard ai “come va?”.
Nell'ultimo mese, i miei lunghissimi consistevano nell'affiancare i master del mio gruppo nei 4-6 giri di pista del riscaldamento per scambiare due chiacchiere e decidere l'allenamento della serata prima di lasciarli andare e hanno quindi sfiorato i 2 km e mezzo ma l'ambiente è così familiare e coinvolgente che me ne scordo e penso ad indossare qualcosa di leggero per correre meglio.
Lo scarso allenamento poi non ha migliorato il mio quadro patologico e ogni volta che corro un po' più veloce o un po' più a lungo dei 5 giri di riscaldamento mi succede qualcosa che se fossi ipocondriaco morirei dalla paura di morire ma nel calore della grigliata di partenza me ne scordo e mi infilo davanti ai camminatori.
Con Priamo. Foto di Claudia Lazzara
Lo sparo è lontano ma in poco più di un minuto riesco a passare sotto lo striscione e inizio a superare con la mia classica progressione. Il lungo da 2km e mezzo non è sufficiente e la mia progressione imperiale si ferma ad un ritmo intorno a 4'30. Poi si ferma con i figli di Rita, poi con Priamo, Poi torno indietro a salutare Paolo. Poi con Gavino, poi ad un ristoro e di nuovo con Priamo. Sento dolorini alla schiena e alle gambe, sento i 5 kg in più e i 1000 km in meno. La maglietta nuova non basta a volare; “jumpin' jack flash” suonata dal vivo sì, ma è un voletto di pollo e mi ritrovo starnazzante a terra 20 metri dopo.
Dopo averla ignorata la prima volta, seguendo l'indicazione “21” ora non mi lascio sfuggire l'indicazione per la “6km” che mi fa l'occhiolino e curiosamente coincide con la scritta sul mio pettorale: “non competitiva”. Sono io. Ora capisco.
Gioisco per gli altri: Priamo che finisce la sua prima mezza, i bravissimi figli di Rita, tutti gli atleti della mia squadra e moltissimi altri amici, tutti contenti. Qualcuno non lo vedo da molto e ho tempo di parlarci, altri riesco solo a salutarli. Insomma è la solita bella festa e mi sono divertito davvero molto.
A parte me, è andato tutto benissimo!

venerdì 1 dicembre 2017

Vieni, Tore!


Sopravvivere è una condizione necessaria per vivere bene
Un eroe rischia la sua vita per salvare quella di altri. Chi la rischia per divertimento non è un eroe ma un incosciente. È più eroico riuscire a rinunciare al pericolo sacrificando una parte del piacere presente per quello futuro e non spaventarsi di fronte alla prospettiva di vivere cento anni da pecora. Restare vivi è condizione necessaria per provare piacere e divertirsi e chi rischia la vita commette un ingiustizia nei confronti del sé stesso del futuro che vorrebbe esistere per divertirsi anche lui. Come direbbe Brassens, morire per la gloria, va bene, ma di morte naturale.
Vieni, Tore, unisciti all'armata dei leoni inidonei. Andiamo a goderci la vita, fino in fondo, senza fretta. Chi va piano va sano e … non va molto lontano, a meno che non abbia un mucchio di tempo. Ma ad ogni differente scala di lunghezze, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo, corrisponde un mondo diverso, tutti ugualmente complessi e meravigliosi. Basta rinunciare all'infinito e concentrarsi sugli infiniti particolari del finito, rinunciare alla totalità per nutrirsi di dettagli, di ogni filo d'erba di questo prato. Sarà una nuova fase di crescita, anche se verso il basso, verso l'interno. Una fase di ingrandimento verso il minuscolo per fare di ogni sasso una montagna e poi scalarla col respiro leggero e senza affanno. Siamo già stati mille volte al di là dell'orizzonte. Smettiamo di inseguirlo, ora è il tempo di soffermarsi a guardarlo. Per i prossimi cento anni da pecora, non ci resta che rallentare il cuore, alleggerire il respiro e masticare, masticare, masticare …