giovedì 30 giugno 2016

Un ricordo

Ricordo ancora il primo giorno di lezione alle scuole medie. Il professore di applicazioni tecniche fece una domanda di cultura generale. Io sapevo la risposta e la dissi. Poi fece una seconda domanda. Io attesi un attimo, poi, visto che nessuno parlava, risposi di nuovo. Conoscevo anche la risposta della terza domanda. Mi guardai un po' intorno e tacqui con un sorriso compiaciuto. Avevo capito che sapevo troppo e che avrei avuto tre anni per portarmi a livello.

martedì 21 giugno 2016

Seguendo il filo

Passo con cura il filo intermentale fra i gangli, con leggeri movimenti rotatori, per togliere gli ultimi sedimenti di dubbio. Provando a seguire il filo logico dei bruchi per trovare vie d'uscita a labirintici sentieri, ero finito invischiato nel filo e nel mal di gambe, immobilizzato come una crisalide; poi, finalmente farfalla, mi preparavo a volare ma, ahimè, l'obesa “lymantria dispar” non spicca il volo ma resta lì, bella bella, con le alette aperte e l'ombelico di fuori ad aspettare un maschio.
Sul filo camminavo, in perfetto equilibrio fra equilibrio e follia, poi uno starnuto e son caduto, non so più da quale parte, finendo tra i fili della rete di salvataggio o imbozzolato in una camicia di forza.
Ora seguo tracce sui fili della ragnatela del web: Restonica trail, Trans D'Havet, altimetrie affilate come denti di squalo che affondano nelle cosce, poi l'Ultratrail Gallura e il Supramonte Seaside.

Appeso al filo attendo un colpo di vento che mi porti ad infestare altrove, non so dove.

lunedì 20 giugno 2016

Dopo i bruchi

Stamattina, per dare continuità all'uscita nel regno dei bruchi, cercando un filo logico che ancora mi sfugge, ho fatto una lunga corsa in montagna.
Per non fare tutta la strada da solo mando un messaggio: appuntamento alle 6:30 alla biglietteria del WWF. Con mia sorpresa hanno risposto in 6. Avrò compagnia però solo per il primo chilometro, poi all'imbocco del sentiero, gli altri preferiscono procedere per la sterrata. Dopo la prima dura rampa che affronto con rispettosa lentezza, il sentiero scorre piacevolissimo, su e giù lungo la linea di cresta, pulito e segnato di fresco. I bruchi non ci sono quasi più. È rimasto qualche filo ricordo e migliaia di farfalle che svolazzano alla rinfusa. Dopo quattro chilometri di cresta scelgo di tornare sulla carrozzabile per fare qualche chilometro in più. Appena lasciato il sentiero, rilasso la concentrazione e mentre mi soffio il naso mi ritrovo per terra. Due-tre secondi per riprendermi dalla botta e mi rialzo. Dalla mano al gomito c'è una traccia continua rossa di sangue; il maggior fastidio viene però dalla botta al fianco destro che sentirò lungo tutte le salite del giorno, comprese le scale di casa. Potrei rientrare ma, senza neanche pensarci, proseguo sulla strada prevista. Trovo acqua alla sorgente di su Suergiu che credevo secca e ne approfitto per lavare le ferite. Potrebbe essere anche un buon punto di riferimento se dovessi finire il litro e mezzo di liquidi che ho con me. Poco più su, al passo, vedo una segnaletica nuova fiammante che indica un sentiero per il monte Lattias, che con i suoi 1100 metri è fra i più alti del Sulcis e forse il più spettacolare con la sua imponente cresta rocciosa. Non ci sono mai stato e mi lascio incantare. Il giro che avevo progettato mi serviva solo come traccia e decido di lasciarlo per seguire quei segni che dopo un breve tratto di carrareccia mi guidano in ripida salita lungo tracce di sentiero. È impossibile correre e procedo a passo spedito. Superato un montarozzo dal nome altisonante di “monte su tronu”, il sentiero diventa bellissimo, sempre più tecnico sale in mezzo a spunzoni di roccia. Sotto c'è un panorama immenso e sopra, avvolte da nuvole nere, si avvicinano le cime del Lattias. Si è alzato anche un bel vento fresco e c'è aria di temporale. Comincio a dubitare di arrivare su, temo grandine e fulmini oltre che il fondo roccioso scivoloso. Continuo a salire ancora per qualche minuto, l'attrazione è forte ma il tempo peggiora a vista d'occhio e raggiunto un bellissimo punto panoramico decido che questa è la mia meta. Appena inizio la discesa arriva la pioggia; niente temporale, solo una gradevole e freschissima pioggia estiva. Ho quasi freddo, è un lusso a fine giugno ed è molto meglio del caldo che temevo. Dopo tre quarti d'ora di evasione, sono tornato sull'itinerario previsto e su terreno noto. Sceso alla sorgente di Fanebas, la prossima salita è su una comoda forestale e la faccio tutta correndo. Sono stanco ma non troppo e il mal di gambe non mi impedisce di godermi i paesaggi. Dopo una ripida discesa un po' sconnessa e spaccagambe, arrivo a Gambarussa. Per il finale mi sono riservato la parte più tecnica. Attraversata la provinciale, mi infilo nel sentierino che risale, tutto in sottobosco, su fondo di terra smossa dai cinghiali, pieno di grosse pietre rotolate dai fianchi del monte, fino alla linea di cresta che separa gutturu mannu da guttureddu dove ritroverò il primo sentiero percorso stamattina. Ogni tanto corricchio ma più spesso cammino. Sembra un calvario. Come gesù metto tre volte i miei stanchi piedi in fallo. Vorrei appoggiare le mani alle cosce per aiutarmi nella spinta ma la destra mi fa male per le escoriazioni ricordo della caduta. Continuo a salire avvolto, come per tutta la giornata, dall'assoluta assenza dell'uomo. Non sono solo però, sento un grugnito e vedo 4-5 cinghialetti che attraversano il sentiero, poi altri tre che lo attraversano in direzione opposta. Avanzo molto lentamente e con gli occhi bene aperti per evitare di passare in mezzo fra i piccoli e le loro madri. Con un'interminabile sequela di piccoli tornanti, raggiungo la cresta. Un tuono accompagna un altro scroscio di pioggia. Nonostante la stanchezza, mi diverto ancora, quasi come 5 ore prima, fra i panoramici saliscendi di questo splendido sentiero. L'ultima discesa invece mi fa male a cosce e ginocchia e devo concentrarmi per non cadere di nuovo, ma ormai è finita. Un ultimo chilometro su comoda sterrata e sono alla macchina.
40 km con 2000m di dislivello. Dall'alba all'ora di pranzo: 5h45 di fatica. Sono caduto una volta più di Cristo, ho le stimmate sulla mano destra e zoppico ancora per la botta all'anca. Perché l'ho fatto? Forse dovrei trovarmi una gara per giustificare agli occhi degli amici podisti tutta questa sofferenza ma la realtà è che l'ho fatto perché questa roba qui mi piace.

Poi, va beh, forse qualcosa ne salterà fuori, e non saranno cavallette.  

mercoledì 15 giugno 2016

Scarico pre-gara o pellegrinaggio?


Ci sono punti fissi delle tabelle d'allenamento che gli atleti, di tutti i livelli, considerano con sacrale rispetto.
Uno di questi è lo scarico pre-gara. Il giorno prima della gara al massimo si fa una corsetta con qualche allungo per sciogliere i muscoli o un giretto in bici. Non rispettare questo precetto farebbe scadere le prestazioni come mascarpone fuori dal frigo.
Mi sono iscritto alla “Curri Murera”, gara di 11 km in bell'ambiente lagunare, senza nessun obiettivo preciso. Ogni traccia di logica nei miei percorsi sportivi è andata persa dopo i 50 km di trail di domenica scorsa; la nuova parola d'ordine è “cavoli a merenda”.
Dopo 3 giorni di mal di gambe, giovedì sera ho corso 4km per sciogliere i muscoli e, in vista della gara pensavo di ripetere sabato mattina. Poi invece sulla chat della società è comparso un invito di Mauro per “il trail delle tre chiese, una prova spirituale dove le salite faranno da madrine” circa 20 km, proprio per sabato. Perfetto come “cavoli a merenda”: sarò fedele alla parola d'ordine. Cosa c'è meglio di un pellegrinaggio, per sfatare il mito dello scarico pre-gara? Mi aggrego a Mauro, Luca e Carlo e sabato mattina partiamo per il bel percorso duro e divertente ideato da Mauro. San Girolamo, poi santa Barbara e, nel finale, sant'Efisio. Negli strappi più duri seguo a distanza le stilettate di Mauro. Le gambe faticano ancora; vorrei risparmiarle ma non voglio sfigurare e salgo di buona lena. Tornando alla macchina siamo tutti stanchi ma soddisfatti e scherzando affermo di avere fatto lo scarico ideale.
La mattina dopo, con Gavino e Tonino andiamo a Muravera per la gara. Sono tranquillo, ho scuse pronte per ogni eventualità: il pellegrinaggio del giorno prima, i 50 km della settimana scorsa e soprattutto non ho fatto lo scarico. C'è poi un bel clima vacanziero. Si parte e arriva da un campeggio sul mare; in borsa ho costume e occhialini, in ogni caso non sarà un viaggio a vuoto.
Foto Antonio Cuccu
L'ingorgo della partenza si scioglie velocemente e nel giro di un chilometro mi ritrovo con i soliti noti: Francesco, Francesco, Francesco, Pietro, Gianfranco e altri atleti con prestazioni comparabili alle mie. Di volta in volta a fare la differenza sono le sfumature: il fondo stradale, la distanza, le pendenze e, ovviamente, la condizione fisica. Sono dettagli che possono valere l'1-2% o poco più, ma quei 3-5 secondi al chilometro di differenza fanno sì che si avanzi o arretri rispetto agli altri. Mi aspetto allora che il mancato scarico mi faccia scivolare all'indietro invece, con meraviglia, sto avanzando. Chilometro dopo chilometro, cambia il fondo: asfalto, sterrato, argine, di nuovo asfalto … ; aspetto che il cameriere porti il conto della fatica ma non arriva e continuo a guadagnare posizioni fino ad un ottimo settimo posto finale.
È un miracolo? San Girolamo dottore, Santa Barbara dei minatori, Sant'Efisio martire, altro che scarico.
Prendete nota, amatori. Un bel pellegrinaggio è meglio di uno scarico … o forse è lo stesso. È il gusto della libertà, il piacere di fare come mi pare, che mi ha fatto correre veloce.
Foto Arnaldo Aru

mercoledì 8 giugno 2016

Governo ladro

La via lattea – dove io abito con la mia famiglia e il gatto – è piena di buchi neri. Cosa aspettano ad asfaltarla? Che qualcuno cada e si faccia male? O forse la prossima campagna elettorale? Governo ladro!

lunedì 6 giugno 2016

Nel regno dei bruchi

Mercoledì mi ha chiamato Stefano per chiedermi se avessi voglia di accompagnare lui e K a fare un allenamento di una cinquantina di chilometri in montagna. “Certo che voglio; vi accompagno molto volentieri attraverso il “mio” Sulcis”. Poi ripenso ai 50 km con quasi 2000 metri di dislivello. Loro stanno preparando la mitica Lavaredo Ultra Trail, 120 chilometri di sentieri dolomitici … ma io cosa ci faccio? Non sarà sicuramente una gita di piacere, è molto che non corro distanze e dislivelli comparabili; allora sarà un allenamento … ma per cosa? 50 km e 2000 metri di dislivello come primo allenamento hanno senso solo se la gara sarà molto più lunga. Oddio … in che guaio mi sono messo!
Intanto però mi fa piacere condividere con due amici appassionati e fortissimi come Stefano e K il gusto forte, aspro di questi monti, i piccoli tesori scoperti durante le mie uscite solitarie, i roccioni granitici, le picchiate verso il mare, le lunghe spiagge di sabbia finissima, i sentieri costieri, il caldo senza vento di certe giornate di tarda primavera e i bruchi. I lymantria dispar – i bruchi che stanno infestando i boschi del sulcis – mangiano le foglie degli alberi e poi si calano a mezz'altezza attaccati ad un filo aspettando che il vento o qualche podista sperso nei boschi li porti in giro. Pare infatti che le farfalle femmine di questa specie siano obese e inadatte al volo e tocca quindi ai bruchi chiedere un passaggio per spostarsi ad infestare altrove. Condividere i bruchi vuol dire fare a turno con Stefano ad aprire il sentiero prendendosi i fili e i bruchi in faccia e nei capelli. Quando si entra nel regno dei bruchi, prima si cerca di evitarli poi, come ragazzini, si fa la prova di coraggio di spazzare le ragnatele con la faccia continuando a sorridere.

50 chilometri. Tante ore al caldo; per buona parte del giorno la temperatura supera i 30 gradi, il sole è a picco e non soffia neanche un filo di vento. Nonostante mi porti appresso borracce di acqua e gatorade, mi sto prosciugando. I due tuffi nell'acqua freschissima e trasparente del mare abbassano la temperatura corporea di qualche grado, per qualche decina di minuti, poi torno a rosolare. Quando, al 35o chilometro, si ricomincia a salire trovo le gambe sorprendentemente reattive nonostante la mancanza di allenamento a questo tipo di sforzo prolungato. Sono leggero, seccato dalle 7 ore di sole e caldo e quando si rientra nel regno dei bruchi sono io in testa al gruppo e li spazzo via con la faccia senza quasi provare fastidio. Sono il re dei bruchi. Sul sentiero sono tantissimi; in qualche punto li vedo ammucchiati a centinaia uno sopra l'altro e si lasciano calpestare dal loro re senza reagire. Quando mi fermo ad aspettare gli altri, cominciano a salirmi sulle scarpe. La casetta della forestale ha le pareti annerite da bruchi alla ricerca di un piccolo spazio per imbozzolarsi ed è la fine che farei anche io se restassi fermo ancora un po'. Ma ecco K, è stanchissima ma si riparte subito e senza scorciatoie: dobbiamo arrivare a 50. Sono stanco anche io e me ne accorgo soprattutto negli ultimi 4 chilometri di discesa: ho le gambe pesanti, mi sento rigido, quasi legato … per fortuna presto mi trasformerò in una bellissima farfalla!

sabato 4 giugno 2016

Villacidro - il lago di corsa

Dopo le fatiche del passatore in poltrona eccomi finalmente con le scarpette ai piedi e il pettorale appuntato sulla canottiera sociale. Manca un quarto d'ora alla partenza e sto finendo di cambiarmi. Gavino sta cercando il pettorale di Thomas nel baule dell'auto, poi mi guarda in direzione dello stomaco: “sei sicuro che non sia quello che hai addosso? Dal numero mi sembrerebbe ...” in questo periodo in cui si parla di tagliatori, dopati, imbroglioni ... avrei fatto proprio una brutta figura con il pettorale di un altro! Doping genetico, si chiama. Thomas che corre con il DNA di un altro, e che DNA spettacolare! A proposito di imbroglioni, questa gara intorno al lago ha un bel vantaggio. Provate ad immaginare: “I sommozzatori stanno scandagliando il fondo del lago alla ricerca dell'atleta disperso, pettorale “888” che, secondo alcune testimonianze, potrebbe essere annegato cercando una scorciatoia.” Vita dura per i tagliatori. Io per fortuna non sono sarto ma chirurgo e cerco la via più breve, la linea retta tangente agli interni delle curve operando tagli millimetrici agli 11.4 km di gara. Le mie linee matematiche purtroppo, soprattutto nei primi chilometri sono ingombre di podisti che me le calpestano senza rispetto alcuno. Fra il secondo e terzo chilometro mi trovo in un bel grappolo di atleti in cui riconosco almeno 4 rivali di categoria e, per poter percorrere traiettorie ottimali verso il podio di categoria, sono costretto a forzare l'andatura. È dura: non sono più abituato a correre a 3'40” al km e col caldo e i saliscendi rischio di scoppiare. L'esperienza però mi aiuta; rallento in salita evitando di alzare il ritmo del cuore e mi lascio superare con gandhiana rassegnazione; poi, quando arriva la discesa, continuando a spingere con la stessa intensità recupero le posizioni perse superando senza pietà chi mi aveva passato prima e qualcuno in più. Chi sarebbe questo Gandhi? Finalmente sono quasi solo con le mie linee perfette. Mi volto, vedo che i miei vecchietti cinquantenni non mi hanno seguito e calo leggermente l'andatura. Ormai siamo sulla via del ritorno. Non mi resta che fare il conto alla rovescia e controllare l'identità (e soprattutto la categoria) di quelli che mi affiancano. Sono tutti più giovani e li lascio passare. A due chilometri dall'arrivo mi concedo di forzare leggermente l'andatura e in salita soffio come un mantice. La bocca è spalancata fissa. Si soffre, ma il bello della gara è anche questo cercare di esprimere al massimo le proprie potenzialità e scoprire risorse inesplorate o sbattere contro limiti invalicabili.
Foto di Arnaldo Aru

Per completare il giro del lago resta solo l'ultimo rettilineo sulla diga; vedo il traguardo a circa 600 metri e accelero ancora, a 3'40; sto dando tutto quello che mi rimane ma non basta: mi stanno raggiungendo in due e uno è Mario della mia categoria. Visto in pericolo il cestino più grosso, devo dare più di tutto; prendo in prestito un po' di vita futura e aumento a 3'30 e gli ultimi 100 metri a 3'20. È uno sprint da vecchietto, lo so, ma mi basta a tenere la posizione e conquistare il primo posto di categoria. Stringo la mano a Mario e lo rimprovero: “mi hai fatto sudare, per colpa tua mi toccherà lavare la canottiera.”