martedì 29 dicembre 2015

Scusi, oggi che anno è?

A fine anno, quando la terra ha completato il giro intorno al sole, scatta l'ingranaggio del contagiri celeste e cambia l'ultima cifra dell'anno in corso. In questo periodo, nel mondo c'è confusione e molta gente perde coscienza della data esatta. Il tempo si aggira sperso e spesso torna indietro sfidando la freccia di senso unico in avanti: a gennaio molti bambini segnano sul diario la data dell'anno prima e perfino qualche adulto, nonostante tanti anni di esperienza, salta indietro di 365 giorni.
Io, che sono previdente, entro nell'ottica dell'anno nuovo con un po' di anticipo, così il cambio di anno non mi coglie mai impreparato. Certo anche questa strategia ha qualche piccola controindicazione.
Ieri, quando siamo arrivati a Firenze al bellissimo residence che ho prenotato io personalmente on line, ci hanno detto che non avevano posto; come?? Ho prenotato!  È vero, 2 notti, dal 28 al 30 dicembre, ma per il 2016.

L'anno prossimo, fra natale e capodanno, so già dove andare.

sabato 26 dicembre 2015

Carbo load, bi-carbo load e bicarbonato

Ecco che arriva il Natale. Le antiche tradizioni culinarie, gonfiate dal moderno benessere, si esprimono in un susseguirsi di banchetti: la cena della vigilia, il pranzo di Natale, santo Stefano … . Per noi sportivi, il cibo è carburante per l'attività fisica e mangiare è fare “carbo-load” ovvero rifornimento. In questo periodo, per quanto mangio dovrei fare un ironman al giorno per ristabilire il bilancio calorie ingerite – calorie consumate ma un problema muscolare mi impedisce di correre, la bici è a pezzi e la piscina è chiusa.
Fra un carbo-load e l'altro, non mi resta allora che star seduto e coltivare quella grande pancia che darebbe autorevolezza ai miei pensieri, bevendo un bicchiere di acqua e bicarbonato per il ruttino. 

lunedì 21 dicembre 2015

Giancarlo corre con noi


Bellissima manifestazione organizzata da amici in ricordo di Giancarlo: 9 km su un bel circuito che si aggira su e giù per il colle San Michele a Cagliari. Il freddo della mattina presto si scioglie al tepore del sole, del calore umano e delle gare dei bimbi. Io sono qui per accompagnare i bimbi della squadra, per fare le ultime iscrizioni per i miei master e per incontrare tanti amici; poi, almeno questo sarebbe il piano, dovrei correre anch'io, insieme a tutti, con Giancarlo. Il muscolo che mi aveva rallentato nel finale della mezza di Cagliari – presumibilmente un adduttore – mi farà partire: ci siamo messi d'accordo con una serie di impulsi nervosi. Mi sono però dimenticato di chiedergli che mi facesse anche arrivare.
Oggi si corre l'ultima gara dell'anno e in palio c'è anche il primo posto del campionato sociale della mia squadra, il G.S. Atletica Capoterra. Grazie all'intensa attività agonistica primaverile, compresi i 14 punti guadagnati con il massacro del passatore, avevo accumulato un vantaggio in classifica all'apparenza incolmabile. Poi, però, durante l'estate e l'autunno, con il passaggio temporaneo al triathlon ho perso, via via, terreno e ora sono ancora in testa, ma con un solo punto di vantaggio su Fabio. Oggi, in 9 chilometri, ci giochiamo tutta una stagione di sacrifici fatti per conquistare questo trofeo internazionale o, direi di più, intracomunale. Per il prestigio presidenziale, sarebbe importante che lo vincessi io. Se riuscissi, potrei anche approfittare del mio triplo ruolo di ideatore, presidente e atleta per premiarmi con mille euro per poi rinunciarci con un gesto di clamorosa generosità. Mi basterebbe terminare la gara per confermare quel punticino. Basterebbe finire questi 9 chilometri che mancano: meno di un decimo dei 100 del passatore, forse un centesimo dei chilometri corsi in gara quest'anno. Basterebbe partire piano per essere sicuro di non ledere ulteriormente l'adduttore e arrivare al traguardo.
Durante il minuto di silenzio, colgo lacrime di vera commozione scendere attorno a me, poi ecco lo sparo che uccide i miei propositi di prudenza. Il primo chilometro lo chiudo in 3'30: è il ritmo del cuore ma non quello dell'adduttore che comincia a segnalare avarie al motore. La leggera salita che chiude il primo giro, mi fa capire che devo rallentare per non rompere del tutto.
Fa male! Foto di Arnaldo Aru
Lascio sfilare a malincuore i miei soliti “rivali” che ero riuscito a staccare con una buona partenza, ma ormai è tardi, fa male. Nel punto più ripido cammino. Quando arriva la discesa riprovo a corricchiare. Ma proprio non va. La spia rossa dice “INFORTUNIO”.
Fermo a bordo strada, guardo passare le centinaia di atleti che avevo dietro e, quasi in fondo al gruppo, ecco Fabio col suo passo tranquillo; ora mi ha visto anche lui e sul viso gli si allarga un sorriso raggiante …

venerdì 18 dicembre 2015

Io e il mio a...ore

La nostra conoscenza è intima come una mutanda. Stiamo invecchiando insieme e ormai non abbiamo bisogno di parole e neppure di sguardi. La comunicazione avviene direttamente a livello nervoso, tecnicamente potrei definirla come telepatia via cavo.
A letto, a volte, sento che vuole attenzioni, forse pretende il mio affetto o forse vuole solo affermare la sua esistenza che io altrimenti, dopo anni di convivenza, tenderei a dimenticare. Percepisco la sua presenza con un leggero fastidio, come un rumore di sottofondo vagamente minaccioso; in fondo, però, ci vogliamo bene e, dopo una carezza, mi lascia prendere sonno.
Ma è solo quando esco a correre che riesco a cogliere davvero il suo stato: qualche volta si arrabbia mentre altre volte mi lascia andare felice. Con una varietà di segnali più ricca di un alfabeto, mi fa capire cosa vuole da me.

Come dicevo all'inizio, non c'è bisogno delle parole dei dottori e neppure degli sguardi radio-ecografici. Io e il mio adduttore destro comunichiamo direttamente. Oggi l'ho interrogato con una corsetta variegata al cioccolato e mi ha dato il via libera per partecipare alla gara di domenica del colle.  

domenica 13 dicembre 2015

Mente contorta

Disegna la prima cosa che ti viene in mente. Però che sia semplice, non intricata come l'altra volta che si sono persi tutti”
Ho fatto questo, va bene dottore?”
Proposta percorso “secondo trail di Capoterra”

giovedì 10 dicembre 2015

Se avessi una grande pancia …

Se avessi una grande pancia … me ne starei seduto con un gran sorriso a distribuire grandi verità. La seconda, forse, sarebbe questa:

Il fenomeno dell'immigrazione è un fenomeno fisico.
Dove c'è un gradiente di benessere, c'è un flusso di persone. Esattamente come il calore che dal caldo fluisce verso il freddo, l'uomo da dove si vive male si sposta a dove si vive meglio. Per ridurre il flusso allora, continuando l'analogia, si potrebbe forse mettere un buon isolante, tipo un doppio vetro, nel mediterraneo. Fino a qualche anno fa, il mediterraneo era già di per sé un buon isolante. Ora non lo è più perché qualcuno ha scoperto che con un investimento di mille euro per comprare un barcone se ne ricavano migliaia trafficando persone. E non è combattendo i trafficanti che si risolve il problema; è come nella lotta alla droga: appena dieci trafficanti vengono arrestati, ce ne sono altri dieci pronti a prendere il posto che si è liberato sul ricchissimo mercato.
Allora, se non si può mettere un isolante, l'unica soluzione per frenare il flusso è ridurre la differenza di benessere fra europa ed africa e ci sono due modi per farlo: i) star peggio noi o ii) far star meglio loro.
i) lasciamo la finestra aperta; lasciamo che il flusso prosegua e, condividendo le nostre risorse con gli immigrati, diventeremo più poveri mentre quelli rimasti in africa saranno in meno a distribuirsi le risorse e diventeranno più ricchi. A un certo punto il benessere raggiungerà l'equilibrio e il flusso si arresterà. Anzi, se organizzassimo noi, legalizzandolo, il trasporto di persone attraverso il mediterraneo, ci guadagneremmo qualcosa.
ii) investiamo in africa, non per sfruttarla come abbiamo fatto finora ma per favorirne lo sviluppo. Per esempio potremmo aiutarli a trasformare tutto quel sole che arriva sui deserti in energia elettrica o in idrogeno per poi comprarlo da loro.
Le opzioni sono queste, non ce n'è una terza.
Ma io non ho una grande pancia e me ne sto qui, in silenzio, ad ascoltare le farneticazioni degli stolti

lunedì 7 dicembre 2015

Cagliari Respira 2015

Il pettorale è interessante: N°17, il numero della fila che manca sugli aerei perché potrebbe farli cadere. Io non sono un aereo e non me ne curo anche se poi, a posteriori, quando me lo fanno notare, collego strani circuiti mentali. Più importante è il bollino rosso ben visibile a sinistra del numero. Purtroppo non è il pass per un locale sexy. Per fortuna non è neanche un avviso di traffico intenso, anzi, col bollino rosso sul pettorale si evita il traffico dei quasi duemila podisti in partenza per destinazioni balneari, grazie all'accesso alla griglia riservata a noi “very important podist”.
Dietro la rete, si accalca la plebe podistica e ci guarda con aria aggressiva. In particolare uno spilungone di nome Teo mi ha adocchiato e mi fa gesti minacciosi. Non faccio in tempo a dire “speriamo che non tolgano quella rete se no ce li troviamo addosso”, che le gabbie dello zoo vengono aperte. Ci sono addosso e la temperatura si alza immediatamente di 4-5 gradi; per fortuna dopo pochi minuti si parte. Siamo in lievissima discesa, con un leggero vento a favore e mi sembra di correre veloce ma chiudo il primo km in 3'56 e sono già in ritardo rispetto all'obiettivo. Mi rendo conto che sto respirando troppo facilmente e allungo il passo. Raggiungo il gruppo di testa della gara femminile, stanno facendo gara tattica. Anch'io vorrei ma non posso fare gara tattica contro me stesso, maledizione, contro me stesso funziona solo il massacro. Poco prima del quinto chilometro, il percorso gira, tornando indietro verso il punto di partenza e proseguendo poi verso il mare e verso l'origine dei venti. Il mio passo rallenta e vedo il gruppo delle donne, con anche Francesco e l'intero podio della mia categoria allontanarsi avanti a me. Viaggio appena sotto i 4' al km, il fiato non è molto impegnato ma non riesco proprio a spingere a sufficienza per stare dietro a loro. Anche tutto il lungo-poetto lo percorro alla stessa velocità accomodato in un gruppetto di 4-5 atleti; ogni tanto provo a fare selezione ma mi seguono tutti.
Poco dopo il tredicesimo chilometro il percorso lascia il lungomare per inoltrarsi nel parco del Molentargius. Si cambia direzione rispetto al vento e finalmente riesco ad aumentare il ritmo. Finalmente riesco ad avere il fiatone. Finalmente stacco tutti quelli del mio gruppetto e vado a raggiungere e superare atleti. Finalmente sto correndo a 3'50 al chilometro. Finalmente mi diverto davvero a sfogare tutte le energie spingendo indietro l'asfalto. Finalmente sono tornato giovane. Finalmente vedo Francesco che si avvicina, lo raggiungo, prova ad accodarsi ma è in affanno e si stacca anche lui. Sono ormai 6 chilometri che spingo a 3'50, la stanchezza comincia a farsi sentire ma sono al diciannovesimo, ne mancano solo due e avrei ancora abbastanza energie per resistere a quel ritmo e forse coronare il mio obiettivo di scendere sotto 1h22'. Sennonché, dal numero 17 del pettorale parte una fitta che mi colpisce dietro la coscia destra e mi costringe a rallentare fin quasi a fermarmi. È una contrattura muscolare e non posso certo forzare.
Passeggiando verso il traguardo 
Improvvisamente, sono tornato cinquantenne; non riesco più a spingere. Mi raggiungono diversi atleti che avevo superato poco prima e per salvare il muscolo rinuncio a seguirli. Ecco anche Francesco: per un po' mi accodo a lui ma arrivato nella pista per gli ultimi 300 metri, invece di accelerare per lo sprint, non posso fare altro che andare d'inerzia. 1h23'02: non è male ma mi è mancato qualcosa. Mi è mancato il classico finale delle mezze, dove, dopo la fase stazionaria in cui si bada a tenere qualcosa per il futuro, bisogna dare tutto per arrivare al traguardo esausti, avendo dato fondo a tutte le energie. Finire una mezza senza affanno dopo un mese passato ad allenarmi per resistere all'affanno mi lascia insoddisfatto. È come alzarsi da tavola avendo ancora appetito. Non lo sopporto.

giovedì 3 dicembre 2015

Sinis nature running - La sabbia di is arenas

La sabbia mi prende i piedi, provo a sfuggirle cercando traiettorie inesplorate … forse dovrei superare il confine del bagnato. Invento passi leggeri: vorrei liberarmi dal peso, spostandolo indietro, poi davanti ma senza esito. Quando il piede arriva al suolo cercando il principio di azione-reazione, i maledetti granelli si spostano lasciandomi sprofondare. Sergio e Damaso che poco prima, sul duro, pensavo di aver staccato definitivamente, mi superano e scappano via. Anche Francesco nonostante i zig zag che spesso superano il confine dell'acqua si sta allontanando. Dietro c'è uno che si avvicina.
Un brivido mi corre per la schiena … guardo meglio … non è Teo, tranquillo, non è Teo. Una decina di chilometri prima, nell'altro tratto in cui ero piantato nelle sabbie mobili, mi aveva raggiunto e superato ma, appena il suolo era tornato compatto, avevo ripreso a fare l'andatura e si era staccato. Ora sono di nuovo su queste maledette sabbie mobili. Un milione di granelli di sabbia, tutti contro di me; mi si aggrappano addosso, si infilano nelle scarpe, vorrebbero risalirmi le gambe e poi la schiena per seppellirmi ma li scrollo via.
Si soffre, sì, ma non mi posso lamentare. Sarebbe un po' come lamentarsi che il pane integrale fa cagare. Sì, è vero, fa cagare ma è fatto apposta. Ci sono le fibre che stimolano l'intestino, lo buttano giù dal letto a frustate e tutto ciò che segue. Questa sofferenza è fatta apposta per essere vissuta e poi raccontata e loro, questi maledetti lillipuziani di pietra sono solo lo strumento, sono le fibre indigeste che infestano la mia corsa.
La mia tecnica di corsa è annullata. Come in un incubo cerco di scappare ma le gambe non rispondono e restano piantate. Sembra infinito questo ultimo chilometro di spiaggia ma ecco le bandiere; mi sono svegliato, l'incubo è finito: la sabbia tiene e finalmente arrivo.
Corsa anomala, divertente, fra pini, dune e tracce di prato che tentano di conquistare il deserto. Si corre alla continua ricerca del suolo compatto, con Teo, Damaso e Sergio alle calcagna e Francesco poco avanti; ero convinto di poter puntare al quinto posto … poi quell'ultimo chilometro d'inferno.

Ieri sono tornato a correre in montagna per 17 km. I piedi a circa metà percorso hanno cominciato a bruciare; ho sentito una strana sensazione di sfregamento e i primi vagiti di una piccola vescica crescere sull'alluce destro. Quando, nella doccia, ho tolto la scarpa e sfilato la calza, li ho finalmente trovati; erano lì, fra le dita dei piedi. Ancora loro, i maledetti granelli di is arenas. Si erano nascosti in qualche piega della scarpa per farmi soffrire ancora, anche in montagna.