sabato 30 novembre 2013

L'altro lato dell'avventura

50%
Per ogni avventura finita bene che possiamo raccontare con la voce profonda o scrivere con i polpastrelli callosi dei sopravvissuti, ce n'è un'altra finita male, che, magari nessuno può più raccontare. Provo a dar voce ad una di queste storie, una che mi ha sfiorato in questo straordinario terribile intreccio che è la vita.

Avevo 5 o 6 anni, non ricordo ma, se proprio volete saperlo e sapete leggere, sta scritto qui sulla pietra. Volevo tornarci al fiume. Da solo. Babbo e mamma l'ultima volta erano stati così noiosi … e lì c'è il fango, … e lì è pericoloso, uffa che barba … potevo tornarci da solo, tanto la strada la conoscevo e per uscire di casa senza essere fermato dal solito :“dove stai andando?” di mamma, bastava trovare una buona scusa. Ho preso il camion dei pompieri, l'ho sporto bene, con le due manine, dal balcone della mia cameretta, l'ho lasciato cadere e mi sono fermato un secondo a guardarlo cadere giù in giardino. Uffa,  c'era un signore che mi guardava dalla strada! Mi sorrideva ma scuoteva la testa: “ma che stai facendo” mi ha detto senza parlare; sembrava simpatico; gli ho fatto un sorrisone ma sono diventato tutto rosso, mi aveva beccato e avevo paura che lo dicesse ai miei genitori; i grandi si impicciano sempre e rovinano tutto. Sono scappato dentro ma di nascosto, da dietro la tendina, l'ho visto allontanarsi. Via libera! Parola d'ordine “mi è caduto il camioncino” e, come previsto, mamma m'ha lasciato uscire. E io ho cominciato a correre, non mi tenevo per l'emozione e la contentezza e poi dovevo fare presto prima che si accorgessero e mi potessero fermare.
Non ricordo bene cosa successe quando arrivai al fiume, forse mi ero sporto per recuperare la mia barchetta, forse ero semplicemente scivolato; so solo che improvvisamente mi sono ritrovato in acqua. Ho gridato, chiamato la mamma, pianto ma tutto restava silenzioso ... l'acqua …  faceva tanto male …  avevo tanta paura … ero tanto solo

Ricordo ancora quel pomeriggio. Ero studente a Pisa e stavo tornando a casa dalla stazione. Ricordo di avere visto  quel bimbo che lasciava cadere il gioco e poi si sporgeva a guardarlo, il breve e muto dialogo, le sue guanciotte piene e il bellissimo sorriso, mezzo sfrontato e mezzo timido. Potevo essere io, il timido avventuriero di 15 anni prima. In quel sorriso, così comunicativo, avrei potuto leggere la storia o almeno intuirne il potenziale tragico e cercare di intervenire, di “impicciarmi” per cambiare il corso degli eventi. La lessi invece solo il giorno dopo, sul giornale.

giovedì 28 novembre 2013

Il cornicione – versione deluxe

Ho accolto con entusiasmo l'invito di Stefano La Cara a contribuire all'e-magazine di triathlon Zona Cambio (http://www.zonacambio.com/ ve lo consiglio: è bello, sembra vero ed è GRATIS). La mia rubrica è intitolata "ho fatto cose che voi umani ..." in cui mi do un po' di arie da sopravvissuto. Per l'occasione, ho riscritto l'episodio della passeggiata sul cornicione riesumando anche un mio vecchio acquarello, un po' pasticciato ma rende l'idea.

Ho fatto cose che voi umani ... ovvero: come sono arrivato a 48 anni ad affrontare il primo ironman quasi come fosse una passeggiata.
Disclaimer: Non è un programma di allenamento, sono solo esperienze personali e si può, anzi si deve, arrivare ad affrontare un ironman in modo diverso – NON FATE LE RIPETUTE SUL CORNICIONE!

Il senso della sfida, lo spirito di avventura, la voglia di uscire dalla zona di comfort, di provare nuove sensazioni, insomma quell'insieme di qualità che chi non le possiede definisce come “follia” ma che in realtà è solo “curiosità” – quella curiosità che ci spinge ad uscire fuori di testa per vedere cosa c'è ed a rimanerci perché là fuori è bello – sono doti quasi indispensabili per chi vuole affrontare un impegno duro come un ironman. C'è chi se le deve guadagnare forzando la sua natura di amante della vita comoda e chi invece le ha innate. Io, modestamente, “curioso” ci nacqui e, a testimonianza di ciò, vi racconto un episodio della mia infanzia.
Il cornicione. Ho esordito negli sport estremi a 5 anni con un'uscita di alpinismo urbano, uno sport che allora, nel 1970, era praticato solo da ladri di appartamento. All'epoca vivevo a Torino, in un appartamento all'ultimo dei 5 piani di un palazzo di via Saluzzo, vicino alla stazione di Porta Nuova. All'esterno della casa, proprio sotto le nostre finestre, passava il cornicione, una striscia di lamiera larga poco più di mezzo metro, inclinata verso l'esterno per convogliare l'acqua piovana in una canalina orizzontale e poi giù alla gronda. Il cornicione faceva il giro esterno del palazzo, unendo, come una sorta di via ferrata, tutte le finestre lato strada. Nella mia mente di cinquenne "curioso", quella pista sospesa era un passaggio segreto fantastico fra una stanza e l'altra.
Un giorno che i miei genitori erano fuori casa, con mio fratello Claudio che all'epoca aveva 3 anni, decidemmo di provare l'avventura. Per salire sul davanzale bastava una sedia; abbiamo aperto la finestra e con un passo ... hop siamo scesi sul cornicione. Ricordo che non mi sentivo molto a mio agio: l'inclinazione verso l'esterno mi dava l'impressione di poter scivolare giù; vedere la strada 20 metri più in basso e sentire il rumore metallico della lamiera che si deformava sotto il peso dei miei passi mi rendeva inquieto ed esitante; Claudio invece era tranquillo e passo passo si stava avviando verso l'altra finestra. All'improvviso si sentì un urlo agghiacciante. Ero ancora di fronte alla finestra e la baby sitter, che non sapevo fosse in casa (o che forse consideravo una presenza irrilevante), mi aveva visto ed aveva iniziato ad urlare isterica. Urlava così forte che mi sembrava pazza; ricordo che le urlai: “sei una scema!”
La mia prima uscita sportiva finì con un indecoroso ritiro. Dovemmo rientrare e sorbirci una bella sgridata. Non ricordo cosa mi dissero i miei genitori ma furono convincenti e non ci riprovammo più.
Quella baby sitter non è più tornata da noi, credo anzi che abbia cambiato mestiere.
Se ripenso a mio fratello Claudio là fuori, a 3 anni, mi vengono ancora i brividi. Io invece non credo di avere rischiato molto, perché, a modo mio certo, ero stato prudente. Avevo fatto solo 2 o 3 passi. Ancora non lo sapevo ma erano i primi passi verso l'ironman.

martedì 26 novembre 2013

Ricomincio da 21

"Da zero! Ricominci da zero!" direbbe Lello.
"Nossignore, da 21; ricomincio da ... cioè, ho fatto 21 cose buone nella vita, perché dovrei perdere pure queste?" replicherebbe Gaetano (il grande Massimo Troisi).
Io, a dire il vero, 21 cose buone non le ricordo, forse al più discrete … stavo solo parlando di chilometri.
In mancanza di stimoli “interni” che mi spingano a ricominciare a correre (gli stimoli interni, in questo periodo mi fanno fare tutt'altro: roba grossa), ho deciso di cercarli da fuori iscrivendomi alla mezza di Cagliari di domenica prossima. Mi ha convinto il gran numero di iscritti, forse più di mille, e l'idea di mettermi in mezzo, al centro geometrico della folla, per confondermi fra la gente e lasciarmi trascinare.
E' lo spirito della pecora, che si sente sicura solo se circondata da altre pecore succulente. Forse c'è rimasto quell'atavico istinto di conservazione, quell'antieroico "non spingete scappiamo anche noi". Forse invece è ricordo gioioso della gara più affollata e più bella della nostra esistenza, l'unica che abbiamo vinto, quando eravamo un branco di piccoli spermatozoi.  Sia quel che sia, spero di ritrovarlo quello spirito, lo stesso che da bambino mi spingeva a infilarmi nella folla della stratorino, correrla tutta senza allenamento, passare i 3-4 giorni successivi senza quasi riuscire a camminare per i dolori muscolari e ripresentarmi alla partenza l'anno dopo, rigorosamente senza allenamento. "Adesso che son grande, ringrazio il Signore mi è passato ogni disturbo senza bisogno neanche del dottore" ed ho previsto ben tre allenamenti per prepararmi al meglio. Tre corsette per riesumare i miei muscoli e farli uscire dal coma. "Alzati e corri", il miracolo di Lazzaro si rinnoverà, moderno e dinamico, quasi futurista. Domenica riparto, "cioè, se ti sto dicendo che parto, parto... e poi me ne vaco Rafè, nu ci'a faccio cchiù! Cioè,  chell ch’è stato è stato... basta, ricomincio da 21".

domenica 24 novembre 2013

Meteossessione

Sarebbe bello conoscere il futuro ... o forse no. Il passato è pieno di esperienze istruttive, di giornate di sole, di bei ricordi; il futuro invece è solo pieno di cose da evitare, incombe su di noi minaccioso. La paura, che è uno dei protagonisti della società in cui viviamo, trae linfa vitale dalle previsioni funeste o presunte tali. C'è la morte che ci aspetta, certo ma soprattutto tanta e tanta pioggia.
“Stasera avrei voluto andare al cinema ma ho visto le previsioni e con questo tempo mi sa che resterò a casa” “Portati un ombrello e vacci lo stesso” suggerisco io. “L'ombrello lo avrei, ho anche un bell'ombrellone grande ma col vento che ci sarà la vedo dura”.
Le previsioni meteo sono solo estrapolazioni modellistiche della situazione attuale e di quelle passate. Sempre più spesso però, sono presentate e considerate come realtà di fatto. Non si dice più “per domenica è prevista pioggia” ma “domenica piove”. Non si usa neanche il futuro che potrebbe far balenare dei dubbi in chi ascolta. La sicurezza diventa totale quando il clima si manifesta nei suoi aspetti negativi: “domenica piove, c'è vento, troppo caldo, troppo freddo ...” e viene usata come scusa per rinunciare a uscire, fare, vedere, vivere; è una trappola mortale per chi avrebbe bisogno di motivazioni, un ergastolo autoinflitto per evitare terribili goccioline. La paura di bagnarci ci fa restare rintanati nel buco come merde in attesa dello sciacquone.
Anch'io guardo regolarmente le previsioni meteo ma ho imparato a interpretarle bene: quando c'è scritto 80% probabilità di pioggia, in realtà vuol dire 20 probabilità su cento di sole. E non me ne lascio sfuggire neanche una di queste splendide probabilità!

venerdì 22 novembre 2013

Roba grossa

Questa la voglio raccontare. Mi dispiace per voi ma in fondo questo blog è un diario e non posso non riportare la cosa più bella che mi è successa oggi.
Una cagata a Porcili Marriu.
Piove. Anche oggi. Ed è una pioggia continua, noiosa, più torinese che sarda. Verso le 3 del pomeriggio, dalle finestre dell'ufficio penetra finalmente un po' di chiarore. Dovrei andare in bagno ma ho paura di perdere l'attimo e mi fiondo nello spogliatoio, mi cambio, inforco la mtb ed esco.
A 150 metri dal CRS4, comincia una sterrata forestale che si inoltra subito nel bosco cominciando a risalire il monte lungo una bella dorsale panoramica. Il bosco bagnato profuma di bosco bagnato. Salgo con calma godendomi l'uscita insperata. In breve, intorno ai 400m di quota, la strada arriva su una splendida selletta poco sotto punta “Porcili Marriu” e finalmente spiana. Esco dalla strada per inoltrarmi su tracce di sentiero nel boschetto ma finiscono presto. Mentre scendo dalla bici per girarla e tornare sulla forestale, arriva l'ispirazione. E' roba grossa. Mollo la bici, lascio cadere casco e occhiali e mi addentro velocemente nel boschetto. Ho la salopette da ciclista e per fare quello che sto per fare devo togliermi quasi tutto. Via la giacca, via maglia e canottiera, butto i guanti a terra, tiro giù la salopette e finalmente mi accomodo. Sono seminudo immerso nella natura, mi sento selvatico, quasi parte dell'ambiente. Il cielo comincia a brontolare minaccioso ma in un attimo ho fatto, rapidissimo e lei è lì, sotto di me, monumentale. Senza fretta mi alzo e la contemplo con soddisfazione: se ne sta lì, accoccolata come un gattino che dorme; forse la mia migliore espressione corporale degli ultimi tempi. A malincuore copro il mio capolavoro con una grossa pietra. Mentre mi rivesto comincia a piovere devo rinunciare a salire oltre ma sono già completamente soddisfatto e comincio a scendere. Cosa vuoi di più dalla vita? Cosa c'è meglio di una splendida cagata a Porcili Marriu?

giovedì 21 novembre 2013

Forze della natura

Non respirare che fai la nebbiolina; non mangiare l'insalata che è brava e con le foglioline assorbe energia solare e CO2; fai come me: tingiti i capelli di bianco che così la riflettività del pianeta aumenta e si scalda di meno; resta in poltrona che spostarsi è fatica, fatica è energia, energia è CO2. O se proprio ci tieni a respirare, a mangiare, ai tuoi capelli corvini e a muoverti, quando ti sposti cerca almeno di evitare di portarti appresso una tonnellata di ferraglia, quando mangi cerca di evitare cibo che ha fatto il giro del mondo, quando hai freddo metti la maglia e spegni la stufa.
Il calore e soprattutto la CO2 che immettiamo nell'ambiente contribuiscono ad aumentare l'energia del sistema “terra atmosfera”. Energia sotto forma di calore, si trasforma in energia meccanica del vento, che nasce fra gradienti termici, nel cambio di fase dell'evaporazione dell'acqua, in fenomeni meteorologici. La percepiamo nel vento impetuoso, nelle valanghe d'acqua che ci sommergono sempre più forti, sempre più distruttivi. Ma quella forza distruttiva la alimentiamo anche noi con l'energia e la CO2 che immettiamo nell'ambiente spostandoci, riscaldandoci o mangiando un gelato.
Non prendiamocela sempre con i politici. Siamo anche noi che abbiamo soffiato su quel vento o alimentato quell'acqua che ha tirato giù il ponte. Proviamo allora a cambiare qualcosa cominciando da noi.
Consideriamo per esempio quell'oggetto con due ruote che teniamo nella teca di cristallo e che ci affanniamo a raggiungere dopo il lavoro correndo in macchina. Cerchiamo di snebbiare la vista offuscata dalla passione. La bicicletta, in fondo in fondo, è un mezzo di trasporto. So che vi sembrerà offensivo ma è proprio così: sposta il nostro culo dal punto A al punto B è quindi solo un fottutissimo mezzo di trasporto. Proviamo allora ad usarla come tale.
Io ci sto pensando seriamente. Sarebbe un segno di rispetto per le vittime dei recenti nubifragi e soprattutto per questo bellissimo pianeta.

martedì 19 novembre 2013

Il segno

Fiacca, stanchezza, jet lag all'intestino. A New York Maria si è preoccupata perché sono andato a correre solo 2 volte in una settimana. Anch'io un po' mi preoccupo. Per non uscire a correre cerco scuse come Francesco quando non vuole andare a scuola: lo zaino è troppo pesante, la professoressa mi bullizza, ieri abbiamo bullizzato i bidelli percui oggi faranno sicuramente sciopero e non ci faranno entrare, c'è freddo, sono stanco, ho mal di pancia ... la strada è troppo dura,  il pantaloncino non si intona con la maglietta, le miglia sono troppo lunghe, gli scoiattoli mi faranno inciampare ... quando me lo dice lui non attacca ma se me lo dico io da solo ci casco sempre.  
 Forse avrei bisogno di essere trascinato da qualcuno, di avere delle tabelle da seguire, di una maestra che mi dia le note o di un padre che non creda alle mie scuse ma forse, più semplicemente, ho solo bisogno di un altro po' di riposo. Intanto fuori vanno tutti come treni, le mezze sono gioiosamente affollate, la gente corre e si diverte.
Io invece aspetto: un segnale dalle gambe o un segno. Stasera, dopo una giornata davvero buia e tempestosa, tornando a casa in macchina, ho visto un arcobaleno lunare. Non mi era mai capitato: era flebile e i colori si percepivano appena ma la sorpresa e la meraviglia mi hanno fatto trasalire; quando, arrivato a casa di corsa, sono uscito con Francesco per farglielo vedere, era già sparito. Era solo per me. Un segno dal cielo. Lo dovevo solo interpretare. Un arcobaleno, la luna. Forse era in codice. Freccia, balena, notte. Cavoli, non si capisce niente. Ora tuona di nuovo, la palpebra scende e il mio segno è ormai sparito per sempre incompreso e inutile. Domani pioverà, l'asfalto sarà troppo duro e la testa troppo molle per correre. Dovrò aspettare il prossimo segno, sperando che sia più chiaro.

sabato 16 novembre 2013

Il cornicione

Ho fatto cose che voi umani ... - ovvero: come sono arrivato a 48 anni ad affrontare il primo ironman quasi come fosse una passeggiata. Ecco un'altra possibile, forse probabile, rubrica in cui racconto episodi del mio passato che potrebbero interessare qualcuno o anche solo per evitare che ...  tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia.
Il cornicione. Ho esordito negli sport estremi a 5 anni. All'epoca vivevo a Torino, in un appartamento all'ultimo dei 5 piani di un palazzo di via Saluzzo, vicino alla stazione di Porta Nuova. All'esterno della casa, proprio sotto le nostre finestre, passava il cornicione, una striscia di metallo larga poco più di mezzo metro e un po' inclinata verso l'esterno, per convogliare  l'acqua piovana in una canalina orizzontale e poi giù alla gronda. Il cornicione faceva il giro esterno della casa, unendo, come una sorta di via ferrata, tutte le finestre lato strada. Nella mia mente, quella pista sospesa era un passaggio segreto fantastico fra una stanza e l'altra.
Un giorno che i miei genitori erano fuori casa, con mio fratello Claudio che all'epoca aveva 3 anni, decidemmo di provare l'avventura. Per salire sul davanzale bastava una sedia; abbiamo aperto la finestra e con un passo ... hop siamo saliti sul cornicione. Ricordo che non mi sentivo molto sicuro: l'inclinazione verso l'esterno mi dava l'impressione di poter scivolare giù; Claudio invece era tranquillo e passo passo si stava avviando verso l'altra finestra. All'improvviso ho sentito un urlo. Ero ancora di fronte alla finestra e la baby sitter, che non avevo proprio considerato nel mio piano, mi aveva visto ed aveva iniziato ad urlare isterica. Urlava così forte che mi sembrava scema e glielo dissi. Missione fallita. Dovemmo rientrare e sorbirci una bella sgridata.
Quella baby sitter non è più tornata da noi, credo anzi che abbia cambiato mestiere.
Io non credo di avere rischiato molto, perché, a modo mio certo, ero stato prudente. Se ripenso invece a mio fratello Claudio là fuori, a 3 anni, mi vengono ancora i brividi. Agghiacciante.

giovedì 14 novembre 2013

Pignolerie - Il mistero della "muntanbaik"

Pignolerie-ovvero piccole cose dette con enfasi, questo è il nome di una "possibile" nuova rubrica di questo blog. In questo primo e forse unico numero, mi occuperò di uno dei principali misteri della lingua italiana, ovvero l'origine dell'orrendo "muntanbaik".
Mio nonno paterno era un glottologo di fama mondiale, esperto in sanscrito, accademico dei lincei ecc. ecc. . Mio padre, pur non avendo fatto studi classici, traduceva Puskin dal russo in rima e risolveva le parole crociate difficili leggendo le sole definizioni orizzontali. Mio figlio Martino ondeggia fra il 3 e il 5 di latino al liceo scientifico. In questa discesa lineare generazionale verso l'ignoranza assoluta, io capito piuttosto in basso. Cionondimeno (parolone) voglio provare a risolvere l'enigma della pronuncia italiana della parola inglese "mountain bike" le misteriose origini dell'arcano "muntanbaik", una questione che mi angoscia da anni.
Faccio qualche ipotesi:
Una lettura alla francese darebbe "muntenbik": ci si avvicina e ci si allontana allo stesso tempo
Il lombardo-piemontese muntagnun per montanaro ha una certa assonanza, e potrebbe essere una concausa dell'evoluzione linguistica in esame
L'ipotesi più probabile è un tentativo di semplificazione linguistica. Leggere mauntin baik, come farebbero gli anglo-americani è faticoso, non parliamo poi del modo "leggi come scrivi" "mountainbike" faticosissimo con tutte quelle vocali. Si sa che basta una vocale per separare due consonanti, allora, per facilitare la pronuncia, 2 vocali su 4 potevano essere elise. Sono rimaste 4 possibilità: muntan, muntin, montan e montin. Durante gli anni 80, con l'emergere delle mtb, si è probabilmente consumata una dura lotta fra queste 4 diciture. In quel periodo, la gente delle diverse fazioni non si capiva finché, grazie a fluttuazioni statistiche e forse anche all'assonanza con "muntagnun", muntan si è imposto per sempre e gli ultimi reduci della montin, montan e muntin baik hanno dovuto cambiare sport.
Ma allora perché "baik"! Se è "muntan" che sia "bik". "Muntanbik", semplice, si dice tutto d'un fiato, sarei disposto anche a dirlo. Ma "muntanbaik" per carità, no, non ci riesco proprio; il cervello mi inibisce le corde vocali. Io che sono preciso ma non amo distinguermi, mi trovo in grave difficoltà. Anche a dire mauntinbaik mi trovo a disagio: sembra di volermi vantare di chissà quale cultura. Allora sussurro un "mntnbaik" quasi inintellegibile. Quando il mio interlocutore chiede conferma: "stai dicendo "muntanbaik"?", io rispondo "all'incirca: il senso è quello" e sono a posto. Ma che fatica!

martedì 12 novembre 2013

New York - la settimana dopo

Jet lag, sveglia alle 5, mi alzo alle 7 e alle 8 sono fuori. A meno di un isolato dal mio appartamento c'è il central park. 47° F, lo imparo a mie spese, sono pochi. Le miglia sono lunghe invece. Comincio a correre verso Harlem. Ci sono grandi viali asfaltati, viali sterrati, stradine e sentieri. Si può andare a sentimento. Si deve andare a sentimento: il garmin non parte, è spaesato, soffre anche lui di disincronosi e non trova i satelliti.
"Satellite's gone up to the skies
Things like that drive me out of my mind"
Perfino Lou Reed, proprio qui a New York, aveva problemi con il satellite.
Il giro del reservoir mi ricorda invece Dustin Hoffmann e la sua corsa pesante nel film "Il maratoneta". Non corro veloce, mi sento affannato e pesante come lui e tutti quelli che mi corrono accanto lo sono ancora di più. Dev'essere il cibo. Però è divertente. Su e giù per collinette, intorno a specchi d'acqua, sotto alberi spettacolari, accanto a scoiattoli che corrono da tutte le parti e perfino sotto ad un picchio dalla testa rossa. Tornando verso midtown Manhattan poi lo spettacolo meraviglioso e terribile del muro di grattacieli che si ergono facendo a gara a superarsi in verticale; ha un fascino molto simile a quello delle pareti e torrioni dolomitici visti dai dolci prati sottostanti.
Più tardi, a fine mattinata, sono andato con Maria e i ragazzi a seguire la sfilata per il veterans day: prima i motociclisti rombanti, vecchi, fieri, poi le bande, i veterani e i cadetti e, per qualche secondo, sono riusciti a farmi sentire orgoglioso di essere americano. Ho immaginato la maratona che sfilava qui solo una settimana prima e il calore e la spinta della città, di questo popolo capace di esaltare. E dev'essere una spinta formidabile se riescono perfino a far partire orgogliosamente soldati per le guerre.
La voglio provare questa spinta, come si vuole provare qualche esperienza stupefacente. La voglio provare almeno una volta, tanto poi smetto quando voglio. Non riusciranno certo a farmi partire per la guerra, ma per la maratona sì, qui a New York o anche a Boston. Quest'anno ci sono andato vicino. La prossima volta non sbaglierò settimana.

giovedì 7 novembre 2013

La prima bici

Qualcuno che mi considera un ciclista ogni tanto mi chiede consigli sull'acquisto della prima bici. Se sapessero che non conosco, non dico il modello del “gruppo” della mia bici, ma neanche il numero di pignoni (8, 9 o 10? So solo che a un certo punto finiscono) forse si rivolgerebbero ad altri.
Io invece qualche consiglio da me lo accetterei lo stesso e quindi qualche consiglio, sia pure molto generico, non da esperto ma da appassionato-contabile, mi sento di darvelo. Non col cervello; ve lo do col cuore e ve lo propino con l'intestino.
1-Ammortamento. Date un valore al vostro “piacere di andare in bici (PAB)” in euro/ora (tipicamente fra 5 e 10, quello che paghereste per un noleggio), valutate il numero di ore che pensate di passare in bici nei prossimi tre anni, dividetelo per tre per ottenere un valore realistico e moltiplicate per il PAB, ottenendo così la spesa massima che potete sostenere per riuscire ad ammortare la spesa (altrimenti vi conviene affittarla). Con questa semplice formuletta vedrete che la scelta si ridurrà drasticamente. Se dopo questi primi tre anni vi sarete appassionati, il PAB aumenterà, il numero di ore anche, ci aggiungete il valore della bici vecchia e vi potrete comprare una seconda bici di gamma superiore. Se invece (come succede nell'80% dei casi) vi stuferete quasi subito, avrete risparmiato un bel po' di soldi. Traduceteli in birre e mi potrete ringraziare offrendomene una.
2-Peso. Fra un “gruppo” di alta gamma e uno di gamma medio bassa ci sono circa 500g di peso e 1000 euro di differenza. La stessa differenza, in peso e in costo, c'è fra un telaio superleggero e uno in normale acciaio. Anche per far dimagrire le ruote si paga circa una birra al grammo.
Insomma far dimagrire la bici di un chilo costa circa 2000 euro. Non conviene perderlo voi quel chilo? Considerate anche che 1kg è poco più dell'1% del peso totale ciclista più bici e quindi se ora fate una salita a 10km/h, con duemila euro in meno nel portafogli (mille birre in meno in pancia) arriverete a farla a 10.1km/h. Vale la spesa?
3-Durata e manutenzione. Al contrario di tavolette del water e lavastoviglie, per le bici il rapporto prezzo/durata è quasi invertito. La componentistica di alto livello è pensata per professionisti che cambiano la bici in continuazione, che hanno un'assistenza meccanica continua ecc. ecc. Il buon vecchio acciaio pesa di più ma in confronto è indistruttibile; allora usate l'acciaio per la bici e tenetevi le fibre di carbonio per farci la tavoletta del water che lì le prestazioni aumenterebbero in modo bestiale.
4-Accettazione sociale. Quando, fino a circa 10 anni fa, andavo in bici vestito da “civile”, strappare un saluto ad un ciclista era quasi impossibile. Non importava quanto andassi veloce ma ai miei sorrisi e cenni di saluto hanno sempre risposto con un “ma che vuole questo” espresso con la faccia. Quando invece, come mi capita spesso quando vado dai suoceri a Fermo, esco con la bici sferragliante di mia cognata ma con il completino giusto, magari solo da lontano, ma qualche saluto riesco a strapparlo. Allora, compratevi un completino particolarmente vistoso per distogliere lo sguardo dalla bici e sarete salutati dai ciclisti risparmiando le solite birre.
Se, seguendo i miei consigli avete comprato questa bici,
 forse mi avete preso troppo sul serio e vi devo una birra.
Conclusione: La prima bici dev'essere modesta. Se non vi divertite a pedalarci non è colpa sua. Se invece vi piace andare in bici, vi divertirete con qualsiasi bici. Io ho fatto cose che voi umani ... : ho fatto giri in mtb con gli amici usando la bici di mio figlio di 11 anni, sono salito sulle pendici dei Pirenei affittando a 3 euro al giorno una city bike da oltre 20 kg (con tanto di cestino sul manubrio) alla stazione di Perpignan, sono salito sul monte Serra, vetta delle colline pisane, con una bici senza cambio, ho fatto discese frenando con i piedi, ho scalato i colli del cuneese con una trarovi a 3 marce e molto altro … e tutto ciò ha solo aumentato la mia passione.
Avvertenze speciali: se mai doveste capitare nella zona cambio di un triathlon, state raggiungendo la vostra bici e vedete qualcuno che la osserva con occhi spalancati, fischiettate e passate oltre: vi potrebbero denunciare per bici oscena in luogo pubblico o, se siete fortunati, sarete solo esposti al pubblico ludibrio.

martedì 5 novembre 2013

Culo pesante

Qualche volta, alzandomi in piedi, ho l'impressione di turbare l'armonia dell'universo ...
A tavola.
"Martino, scusa, puoi alzarti un secondo ... ??? (aria di mistero)???" Martino indugia perplesso; allora aggiungo: "fammi vedere???" Finalmente si alza guardandosi i pantaloni con aria incuriosita. "Ecco, bravo Martino, visto che sei in piedi, puoi prendermi il sale, per favore?"
Non pensavo che potesse funzionare più di una volta ma Martino mi ha sorpreso anche in questo e, nel giro di 3 giorni, sono riuscito ad ingannarlo 2 volte; ora sono sicuro che, se riuscirò a coglierlo sovrappensiero, ci cascherà di nuovo.
La mia non è pigrizia, no.
Se il battito d'ali di una farfalla in Europa può provocare un uragano in Brasile, immaginate quale catastrofe potrebbe accadere se solo provassi ad alzarmi da questa sedia ... nooo, non vale la pena rischiare.  Non è pigrizia, è che non voglio intaccare la fragile armonia dell'universo, non voglio aumentare troppo l'entropia, non voglio uscire da questo minimo di energia potenziale che accoglie maternamente le mie natiche e le tiene appiccicate alla sedia.
E allora, per ovviare agli inconvenienti causati dall'immobilità, cerco di ingannare i miei figli o, extrema ratio, invento nuove ricette. Ho ideato una variante della cucina stocastica (link) che prevede l'utilizzo dei soli ingredienti che puoi raggiungere allungando la mano destra. L'esuberante combinazione "torta ai pinoli con gamberetti in salsa rosa" a cui ho accennato qui (link) ne è solo un esempio: tante altre me ne sono capitate.
Il tempo passa: Maria sta già facendo zapping in salotto, i ragazzi sono nelle loro camere a giocare e io sono ancora qui, a tavola, seduto davanti ai piatti ormai vuoti, con l'ultimo centimetro di vino nel bicchiere.
Non è pigrizia, è uno stato dell'animo: è pesantezza di culo.

domenica 3 novembre 2013

Buffet medio "al Forte Village" - Santa Margherita di Pula

Buffet medio al Forte Village - Ricco buffet "continentale" con barbecue, servito nel  retro del lussuoso resort

Comfort, cortesia, abbondanza, cura della presentazione

Birra a pagamento

Rapporto qualità prezzo: mediocre (ma potenzialmente buono - vedi commento)
Bilancio calorie ingerite - calorie consumate: negativo (ma potenzialmente positivo - vedi commento)
Giudizio sintetico:  un maiale e mezzo
Ultimo assaggio: 27 ottobre 2013. Il mio giudizio sul buffet è largamente condizionato da un mio gravissimo errore. Era possibile iscriversi su due distanze: il buffet sprint, a 25euro, che prevedeva un'oretta di attività fisica per raggiungere il pasto e il buffet medio, a 70 euro, che invece richiedeva più di 5 ore di fatica prima di poter mangiare. In un momento di stupida megalomania (quanto sarà meglio il nostro buffet, quanto sono figo ecc. ecc.), mi sono iscritto al buffet medio. Immaginate il mio sgomento quando, stravolto dalla fatica e con il portafogli leggero, ho scoperto che il buffet era unico per tutti! Ci siamo ritrovati, noi stupidi, stravolti e zoppicanti con stampato sulla faccia il sorriso dei sopravvissuti, nella stessa fila con i furbetti dello sprint che guardandoci con sorrisetti beffardi, saltellavano freschi freschi da una fila all'altra. E mentre noi, una volta seduti, restavamo appiccicati col sedere alla sedia, loro si alzavano agilmente e ripetutamente a riempire il piatto. A causa del culo pesante ho dovuto rinunciare ai primi. Ne ricordo bene il colore però: c'era una pasta rossa come il furore e un'altra verde d'invidia. A causa della mia lentezza deambulatoria, quando finalmente ho raggiunto il tavolo, la carne era già fredda.  A causa della mente offuscata dalla stanchezza, ho scambiato la torta ai pinoli per una torta salata e me la sono impiattata con gamberetti in salsa rosa e insalata caprese; il peggio è che, per non alzarmi di nuovo, l'ho pure mangiata. 
Consiglio finale: l'avrete già capito. Il medio è per gli stupidi masochisti forrest gump. Per noi buffettari c'è solo lo sprint.

venerdì 1 novembre 2013

Riposo

Dopo la sardinia ultramarathon, dopo un mese di allenamenti corsi in equilibrio sul limite fra il molto e il troppo, dopo il triathlon medio del forte village, ho promesso alle mie gambe un periodo indefinito di riposo. Ho annullato provvisoriamente tutti gli obiettivi futuri e detto no a chi mi proponeva di iscrivermi a gare.
Il concetto di riposo però ha tante sfaccettature
Per me riposo vuol dire fare un'uscitina tranquilla in bici. Per Alessandro, mio compagno di pedalate, un'uscitina tranquilla in bici sono 50km con 500m di dislivello, raggiungendo, nel finale i 52.8km/h in pianura. Ieri, mentre riposavo, ho sfiorato i 53km/h in bici in pianura.
Per me riposo vuol dire correre sul fondo morbido della pineta. La pineta però è adagiata sulla montagna. Oggi, mentre riposavo, ho corso più di 200m di dislivello.
Domani, dovrei riposare facendo un giro rilassante in bici. Se non piove, farò, con Alessandro, lo stesso giro del percorso di gara di domenica: 90 km 1000m di dislivello tranquilli tranquilli  come piace a lui. Io mi metto a ruota che tanto a ruota ci si riposa e riposare in un giro così riposante è come farsi un sonnellino. Metterò un po' di caffè nella borraccia per non cadere addormentato.
Oltre alle gare, evito le competizioni con me stesso che di solito mi spingono a forzare su percorsi noti. Mi lascio superare da me stesso senza reagire e anzi mi guardo passare con un sorrisetto ironico  sussurrando "vai, vai, ammazzati di fatica solo per battere me stesso: io domenica ne ho superati di avversari forti, oggi a te mi lascio andare" (gestire la schizofrenia dal punto di vista grammaticale è arduo, manca un pronome per individuare gli altri ego). I miei io del passato che mi superano sono tantissimi ma non mi servono confronti, sono ancora pieno delle certezze di domenica scorsa e di quella passata: oggi posso arrivare ultimo.
Insomma, per me riposo, non vuol dire immobilità, che l'immobilità è stancante; vuol dire agio, facilità, vuol dire carezzare i pedali o il terreno senza pestarli con cattiveria, vuol dire avere il lusso di potersi fermarsi se passa la voglia o appena le gambe me lo chiedono, vuol dire guardare il garmin per controllare di non andare troppo veloce o, meglio ancora, non portarlo, vuol dire non buttarsi in mare se ci sono le alghe, rimettersi a dormire se il cielo è troppo grigio.
E così facendo, con leggerezza, aspetto. Fra una settimana, 10 giorni, un mese, arriverà il momento che le gambe mi daranno un segnale di "via libera". E allora fisserò nuovi obiettivi, ricomincerò a calpestare fango e funghi poi fiori e farfalle, spiaccicherò moscerini fra le palpebre, mi lascerò spruzzare dall'acqua sporca della strada tirata su dalla ruota della bici, farò deliranti sfide all'ultimo respiro con me stesso, arriverò a casa sudato, congelato, sfiancato, sbucciato, infangato, fradicio ... insomma ricomincerò a divertirmi sul serio.