martedì 12 novembre 2013

New York - la settimana dopo

Jet lag, sveglia alle 5, mi alzo alle 7 e alle 8 sono fuori. A meno di un isolato dal mio appartamento c'è il central park. 47° F, lo imparo a mie spese, sono pochi. Le miglia sono lunghe invece. Comincio a correre verso Harlem. Ci sono grandi viali asfaltati, viali sterrati, stradine e sentieri. Si può andare a sentimento. Si deve andare a sentimento: il garmin non parte, è spaesato, soffre anche lui di disincronosi e non trova i satelliti.
"Satellite's gone up to the skies
Things like that drive me out of my mind"
Perfino Lou Reed, proprio qui a New York, aveva problemi con il satellite.
Il giro del reservoir mi ricorda invece Dustin Hoffmann e la sua corsa pesante nel film "Il maratoneta". Non corro veloce, mi sento affannato e pesante come lui e tutti quelli che mi corrono accanto lo sono ancora di più. Dev'essere il cibo. Però è divertente. Su e giù per collinette, intorno a specchi d'acqua, sotto alberi spettacolari, accanto a scoiattoli che corrono da tutte le parti e perfino sotto ad un picchio dalla testa rossa. Tornando verso midtown Manhattan poi lo spettacolo meraviglioso e terribile del muro di grattacieli che si ergono facendo a gara a superarsi in verticale; ha un fascino molto simile a quello delle pareti e torrioni dolomitici visti dai dolci prati sottostanti.
Più tardi, a fine mattinata, sono andato con Maria e i ragazzi a seguire la sfilata per il veterans day: prima i motociclisti rombanti, vecchi, fieri, poi le bande, i veterani e i cadetti e, per qualche secondo, sono riusciti a farmi sentire orgoglioso di essere americano. Ho immaginato la maratona che sfilava qui solo una settimana prima e il calore e la spinta della città, di questo popolo capace di esaltare. E dev'essere una spinta formidabile se riescono perfino a far partire orgogliosamente soldati per le guerre.
La voglio provare questa spinta, come si vuole provare qualche esperienza stupefacente. La voglio provare almeno una volta, tanto poi smetto quando voglio. Non riusciranno certo a farmi partire per la guerra, ma per la maratona sì, qui a New York o anche a Boston. Quest'anno ci sono andato vicino. La prossima volta non sbaglierò settimana.

5 commenti:

  1. Io continuo a non essere attirato da New York, per un solo motivo: Voglio essere un podista pur non avendo corso e non volendo correre New York! Ma la tua esperienza sul campo dice che ne varrebbe la pena, peraltro senza viverne l'atmosfera! Stupefacente l'America

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    1. Anche a me dà fastidio l'aspetto "modaiolo" della maratona di New York ma non abbastanza per rinunciare all'esperienza. Proprio per questo, comunque, la mia prima scelta sarà Boston.

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  2. Il bello di una maratona, qualsiasi essa sia, è il pubblico che ti incita. Essere accompagnato perennemente da due ali di folla che magari (leggendolo dal pettorale) ti chiamano anche per nome.
    E' un'emozione fantastica.
    Dopo mesi di sacrifici è il giusto appagamento per il cuore.
    Personalmente non ho corso New York ma dev'essere fantastica.
    Ho corso la mia prima maratona a Roma. Credo che non ci sia altra città al mondo che possa darti tanto.
    Oltre alla folla, aggiungi che si corre di fianco al Pantheon, al Colosseo alla Fontana di Trevi, attraversi Piazza Navona, Piazza del Popolo, Piazza di Spagna.
    Insomma un'emozione indescrivibile.

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    1. Roma è fantastica ma il sostegno del pubblico è davvero "stupefacente" solo in pochi punti: piazza Navona, piazza di Spagna, dove passando fra migliaia di turisti, si ricevono incitamenti che fanno volare. A New York e Boston pare sia così lungo quasi tutto il percorso ...

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    2. Esatto proprio così.
      Anche Berlino è stato un continuo incitamento.
      Sono del parere che questa condizione incida in una percentuale abbastanza rilevante. Azzardo un 20%.
      Nei momenti di difficoltà sentirsi incitare è davvero una carica enorme.

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