martedì 27 gennaio 2015

Tre chili


Sono uscito dalle vacanze di natale con due chili di riserve energetiche in più e, dopo quasi un mese, il peso invece di rientrare ai 65 chili standard è aumentato ancora.
Tre chili! Forse ho la bilancia starata e quel gonfiore addominale è solo un'illusione ottica. E poi quel rigonfiamento mi dà autorevolezza e maggiore stabilità sul divano. Per correre però non va bene. Tre chili sono quasi il 5%: 1 minuto in più nelle campestri, 4 minuti in più nella mezza e 9 nella maratona!
Chiedo allora consiglio al mio esperto interno in aggiustamento di bilance e bilanci, che alloggia in un attico nel lobo parietale destro e ha una cognata che lavora al ministero del tesoro.
“Non ti preoccupare, ho una strategia semplice, articolata in 4 punti:
  1. Arrotondiamo per difetto. È semplice, basta non leggere l'ultima cifra: 67.9 lo leggiamo come 67 e non come 68 come qualcuno si ostina a fare.
  2. Chiediamo all'unione corporea di avere un chilo di flessibilità in più, altrimenti la crescita sarebbe impossibile.” “Crescita? A 50 anni?” “Sei un esperto di fisiologia, adesso? Sei tedesco, per caso?
  3. Le pesate le facciamo dopo aver cagato e mai prima.” “Questo lo sto già facendo!” “Bravo, continua così.
  4. Il peso standard dei vestiti, ovvero la tara da togliere al peso lordo per ottenere il netto, lo alziamo da mezzo chilo a un chilo. È ragionevole e nessuno verrà mai a pesarceli (certo un chilo di mutande può sembrare troppo).
Vedrai che con questa semplice strategia riusciremo a rientrare nel peso forma formale”
“Scusa e mangiare di meno?”
“Sei pazzo? Come facciamo a correre se mangiamo di meno? Dammi retta!”

lunedì 26 gennaio 2015

Una giornata particolare – il sogno


Le canne circondano minacciose il circuito di gara. Potenzialmente letali, dice qualcuno. Altri sostengono che siano terapeutiche. Le tengo a bada con l'autorità del culo, e non faranno male a nessuno.
Giro la manovella. Sta per partire la gara. Inconsapevoli della minaccia che li circonda, gli atleti, guardano avanti concentratissimi con i pugni chiusi dalla tensione. Il giudice controlla che nessuno abbia il piede sulla linea e poi spara. Gli atleti partono a tutta per prendere davanti la curva. Qualche contatto è inevitabile: i meno decisi scartano verso l'esterno perdendo qualche posizione. Dopo qualche minuto, eccoli che rientrano ormai lanciati verso il traguardo! La fatica traspare sui volti contratti ma negli occhi si legge la determinazione a sopportarla ancora per un po', ancora un altro po'. Le urla del pubblico coprono i lamenti dei corpi maltrattati fino a che si fermano esausti subito dopo l'arrivo. Sono i nostri grandissimi atleti di 6 anni come poi anche studenti e professori, impiegati, casalinghe, pensionati e atleti di livello nazionale: uniti dal percorso, dall'impegno e dalla fatica.
Il meccanismo ogni tanto scricchiola. Una bambina piange. Mi sento come se le avessi dato un calcio nel sedere. Per il solo fatto di aver partecipato alla gara, era convinta di meritare la medaglia. E aveva assolutamente ragione. Quelle lacrime sono responsabilità mia, che ho dovuto, conti alla mano, decidere di far piangere qualche bambino.
Mi sento però anche di aver contribuito ai tanti sorrisi di questa giornata, alla gioia di Giulietta, seconda fra i pulcini, alla soddisfazione degli esordienti ... . Continuo a girare la manovella. Il meccanismo, dopo qualche scricchiolio, funziona a dovere facendo scorrere la vita. Sorrisi, strette di mano, abbracci, applausi, sguardi, parole: una rete di amicizie permea tutti i presenti. Benvenuti nel mondo reale: un social network in cui gli “amici” sono in carne ed ossa, i “mi piace” sono pacche sulla spalla, le faccine sorridenti hanno ognuna un'espressione diversa, autentica mentre le dita stanche di pigiar tasti si prendono il loro meritato riposo sventolando allegramente. Ma forse è solo un sogno.
Il sole, si' però il sole c'è davvero e questo è il mio piu' grande merito: un sole bello, pieno, con i raggi che carezzano la pelle e illuminano i sorrisi.
Il peso della responsabilità si trasforma in sensazione di pienezza. Pieno di soddisfazioni, sazio di sole sulla pelle, di birra e stanco di stanchezza, arrivo a sera ebbro di vita. Mi giro nel letto con gli occhi ancora chiusi, la manovella stretta in mano e un sorriso stampato in faccia. Che sogno. Ora mi posso svegliare e tornare al solito mondo virtuale.  

giovedì 22 gennaio 2015

La navetta fantasma.


Questa settimana avevo una riunione di lavoro di due giorni a Perpignan. Lunedì volo da Cagliari a Girona con collegamento diretto Ryanair e da lì, in treno, sono arrivato a Perpignan. Per il rientro, ho trovato su internet la soluzione ideale: navetta Frogbus – partenza dalla stazione dei treni di Perpignan alle 17.45 e arrivo all'aereoporto di Girona alle 19.15; costo 15 euro. L'aereo per Cagliari parte alle 20.20. 4 anni prima, ricordo, avevo adottato la stessa soluzione.
Mercoledì pomeriggio sono arrivato alla stazione di Perpignan con largo anticipo. “Controllo l'orario, compro il biglietto della navetta e torno in centro a farmi un giro e a bere una birra”. Questa, almeno, era l'idea. Cerco la fermata. Mi ricordavo più o meno dove fosse ma non ne trovo traccia, neanche un cartellino col nome della compagnia “Frogbus”, “autobus rana”, roba da parcogiochi. L'ufficio informazioni turistiche della stazione è chiuso; entro allora in un bar adiacente, prendo un caffè e chiedo, sicuro che, vedendola passare davanti a loro 4 volte al giorno, mi sappiano dire dove ferma. Il barista mi dice che la fermata è sicuramente alla “gare routiere”, dall'altro lato. Mi sembra strano. Per fortuna sono in anticipo e non mi agito. Alla gare routiere, un impiegato sgarbato mi dice che non c'è nessuna navetta per Girona. “Ma sapete qualcosa del Frogbus …” “No.” Fanculo.
Chiedo ad un passante e mi spiega che i bus per la Spagna partono dall'altra parte della stazione. Seguendo la linea ideale passante per il suo dito, arrivo dall'altra parte ma vedo solo una fermata di autobus urbani. Allora mi rivolgo alle informazioni delle ferrovie; c'è una signora che non ne sa niente. Mi spiega però che quello è lo sportello delle informazioni ferroviarie e che un bus non è un treno. Comincio a odiare quella lingua che, con tono di molle superiorità, mi riempie di informazioni inutili. Chiedo alla tabaccaia. Non sa niente neanche lei ma mi indica un gruppo di gendarmi e mi rivolgo a loro. Il più informato fra loro mi dice che si ricordava la fermata dove la ricordavo io ma che non è sicuro che la navetta esista ancora. Impossibile, penso, l'ho vista su internet! Comincio ad essere agitato ma non mi scompongo. Entro in un hotel di fronte alla fermata fantasma e il gestore, con aria scocciata, mi dice che la fermata della navetta è dall'altra parte della stazione. Sicuro? “Sicuro! Ci mando anche i miei clienti” “dice alla gare routiere?” “No! Dall'altro lato!”. Mi interrogo sulla geometria della stazione e deduco che dev'essere almeno triangolare. Finalmente qualcuno sicuro; io ormai lo sono un po' meno e comincio a guardare spesso l'orologio che per fortuna gira lento. Mi viene un attacco di tosse. Ingoio il rospo. Ecco il “frog”, manca solo il bus. Dall'altra parte della stazione c'è la fermata dell'autobus che avevo visto prima. Sono ancora in anticipo e aspetto un po' per vedere se passi qualche pullman ma vedo solo autobus urbani e chiedo agli autisti. Il secondo mi dice che la fermata non è quella “prova alla gare routiere sicuramente è là”. SI SONO MESSI TUTTI D'ACCORDO! Girano i dadi, ruotano le sfere e passo dal via per un altro giro.
Comincio a dubitare di riuscire a prendere l'aereo. Entro in stazione per vedere, sul tabellone, se per caso ci siano treni in partenza per Girona ma a breve non ce ne sono. Chiedo allora ad un paio di passanti ma nessuno sa aiutarmi. Comincio ad innervosirmi sul serio.
Torno, per la terza volta, al punto di partenza e ora l'ufficio informazioni turistiche è aperto. Una signora gentile mi dice che Frogbus non esiste più; però c'è un altro servizio e mi indica l'agenzia che lo gestisce, sotto la stazione. Mi torna un filo di speranza, anche se ormai dubito di tutto e quando, sotto la stazione, vedo una saracinesca abbassata mi immagino che l'agenzia sia proprio là dietro. Altro attacco di tosse. Poi invece la trovo, entro e un'altra signora gentile mi conferma che frogbus non esiste più, che c'è un altro servizio ma che non lo gestiscono loro. Mi dà il numero di telefono dei gestori del servizio. Chiamo e mi dicono che l'ultima navetta è già partita. Sono passato da una situazione di spaesamento kafkiano a una di certa consapevolezza. La navetta su cui facevo affidamento non c'è. Almeno ora posso passare deciso al “piano B”.
Ritorno alla stazione dei treni, di nuovo alle informazioni delle ferrovie. Adesso so che un bus non è un treno e chiedo informazioni sui treni per Girona. Ho fatto la domanda giusta e questa volta l'impiegata risponde gentilmente. Per fortuna c'è un TGV che mi dovrebbe fare arrivare in tempo. Partenza dalla stazione dei treni di Perpignan alle 18.08 e arrivo alla stazione dei treni di Girona alle 18.49, 32 euro. Finalmente mi rilasso. A meno di ritardi dovrei riuscire a prendere l'aereo.
Alla stazione di Girona cerco la navetta per l'aereoporto. Banchina 10, mi dicono. Questa navetta la vedo; è là, ferma, vuota. “Dovrebbe partire alle sette”, dice uno. Manca un minuto e non c'è segno di vita. Un'altra navetta fantasma. Me l'immagino che parte senza autista a motore e luci spente. “O forse no, forse parte alle otto”. Ne ho abbastanza.
Prendo un taxi.
L'aereoporto di Girona è deserto. Nella enorme hall, ci siamo solo io e la barista. “Una cerveza, grande por favor”.

lunedì 19 gennaio 2015

Postilla ai “consigli della nonna”


I consigli della nonna di solito funzionano perché sono risultato di secoli di tradizioni popolari; è saggezza popolare, il cui valore sta nell'aver attraversato il filtro del tempo. Quando però hai una nonna saccente e presuntuosa ed è lei stessa che si inventa stratagemmi e consigli, questo plusvalore viene a mancare e sei tu la cavia che dovrà stabilire se i suoi consigli sono degni di essere tramandati o meno. Puoi rifiutarti? Tu sì, ma per me è diverso visto che “la nonna” in questione sono io stesso e quindi non mi conviene litigarci.
Hai detto bene: il problema principale della dissociazione mentale non sono le due personalità in sé ma quando queste si mettono a litigare” “e che ne sai tu, nonna? Sei così vecchia che te l'ha detto Freud?” “Stai zitto, giovane irrispettoso!”
Avete capito in che guaio mi trovo?

sabato 17 gennaio 2015

I consigli della nonna – guarire dalla tosse.

Oggi ho inventato uno dei “rimedi della nonna” più geniali di sempre, che forse giusto giusto la nonna di Einstein avrebbe potuto ideare. Ho scoperto l'acqua calda, direbbe qualcuno. Ebbene sì. In fondo anche Archimede, quando saltò fuori nudo dalla vasca da bagno gridando “eureka!” aveva scoperto l'acqua calda (il rubinetto rosso!) che prima di lui tutti aprivano solo il rubinetto blu.
Come tutte le nonne, so bene che gli animaletti schifosi che ci fanno ammalare amano il freddo e odiano il caldo. Infatti ci si appiccicano dentro con cattiveria d'inverno, quando prendiamo freddo, e non d'estate. La nonna ci fa mettere la sciarpina per il mal di gola che ci evita raffreddamenti locali durante i quali quegli sporchi animaletti schifosi si riprodurrebbero come conigli. Ma non tutte le nonne sanno che con la sciarpina al massimo si mantiene il calore corporeo, che, finché non c'è la febbre, non supera i 37 gradi che bastano a non farli riprodurre come schifosissimi topi ma non ad ucciderli. È un po' come inseguire la gallina per tutta l'aia per tirarle il collo e poi farci il brodino con un sedano una carotina … scusate, sto divagando. La nonna sa anche che il nostro corpo reagisce con la febbre, che cuoce tutti quegli animaletti schifosi come la buona torta di mele che prepara per noi tutte le domeniche.
Ecco allora che ho fatto il collegamento geniale. Perché aspettare la febbre? Cuociamoli noi quegli animaletti, che siamo così brave a fare le torte.

Ecco la ricetta della “nonna velleitaria” per guarire dalla tosse.
Prendete una borsa dell'acqua calda. Fate in modo, con un rivestimento di spessore adeguato, che la temperatura esterna sia intorno ai 45 gradi. Applicate e tenete stretta (per esempio con una sciarpina) la borsa sulle vie respiratorie (gola bronchi). Controllate regolarmente la temperatura, cambiando il rivestimento o cambiando l'acqua, in modo da mantenerla pressoché costante. Dopo un paio d'ore tirate fuori un rospo di animaletti dalla gola e, con uno stecchino, verificate che siano ben cotti. Se sono ancora crudi, ripetete l'operazione. E poi ripetete l'operazione … e ripetete ancora …

Oggi sono alla quinta borsa calda. Ormai dovrebbe essere fatta; almeno spero, che comincio ad avere ustioni serie al torace e alla gola. Nonna, ti prego, posso smettere? Sei proprio sicura che funzioni?

giovedì 15 gennaio 2015

Una giornata particolare – il cross.

Non ho la febbre … almeno credo: per prudenza non l'ho misurata. La nonna direbbe: “con il raffreddore e il mal di gola non correre che ti ammali”. La mamma, che considera il movimento terapeutico, forse mi direbbe “corri che guarisci”. Io non so. Ho fatto prove, enunciato teorie strampalate a cui non credo neanche io. La testa mi dice “non farlo” ma, intanto, mi ritrovo ad appuntare il pettorale sulla maglietta. L'organizzazione della gara ormai va avanti da sola. Gavino ha rinunciato a correre e assiste i giudici: non ho scuse. Comincio allora a scaldarmi facendo un chilometro sul percorso di gara. Lungo la salita mi sento pesante e fiacco mentre in discesa mi sento rigido. Ormai però ho deciso di partecipare, se non altro per fare qualche punto per la classifica a squadre. Alla fine di questo breve riscaldamento, trovo quasi tutti gli atleti già ammassati dietro la linea di partenza. Mi avvicino un po' per non partire proprio dal fondo ma resto moscio moscio nella seconda metà, tanto non sono competitivo, tanto sono malato, tanto la faccio solo per finirla, tanto è meglio se parto piano. Lo sparo dello starter mi colpisce al cervello e spazza via tutti questi propositi di prudenza. Mi butto nel carnaio cercando di superare, infilandomi in spazi che poi si chiudono nelle curve portando a contatti di gomito. Dopo i primi 500 metri di leggera ma costante salita, mi ritrovo fra i primi 40 e finalmente riesco a correre bene. Dopo una breve discesa comincia la parte tecnica con variazioni continue di direzione e pendenza e salti del fosso. Non c'è che dire, mi sto divertendo e non sono poi così lento. Molti amici mi incitano. Il fiato a mia disposizione non è moltissimo e nelle salite qualcuno mi supera, in discesa invece vado bene e recupero fiato e posizioni.
I miei tifosi
Al passaggio alla fine del primo dei tre giri, i bambini della squadra, appostati in fila a margine della pista, mi lanciano un urlo di incoraggiamento incredibile. Altro che New York: qui a Capoterra abbiamo un pubblico fenomenale! Passato il momento di euforia, ricomincio, per la seconda volta, la salita e il fisico mi chiede di rallentare. Cerco comunque di resistere per i ragazzi, per gli amici, per la squadra ma perdo 4-5 posizioni che non riesco a recuperare in discesa. Finisco il secondo giro un po' spento ma al passaggio trovo di nuovo le urla dei bambini e un'altra botta di euforia. Questa volta, la consapevolezza di essere all'ultimo giro mi porta a spingere di più in salita e riesco a guadagnare diverse posizioni. Il respiro è affannato, sembra un rantolo, ma non importa, ormai ci siamo. Comincia la discesa, poi il saliscendi e da dietro non arriva nessuno anzi raggiungo e supero un altro paio di avversari. Sono guarito? Ultima discesa e punto un concorrente poco avanti ma non riesco a raggiungerlo.
E' finita, fra le urla dei bambini. Robertina mi dice che sono arrivato ventiduesimo; aveva contato tutti quelli che arrivavano e non si era sbagliata. Terzo di categoria, lo scoprirò dopo, e premio incassato. La testa è snebbiata, libera e solo la sera tornerà a farsi pesante. Correre mi ha fatto bene? Male? Non so, ma ne è valsa sicuramente la pena.

martedì 13 gennaio 2015

Una giornata particolare – piccoli miracoli.

È una splendida giornata di sole; il maestrale che la sera prima strappava rabbiosamente i nastri, si è fatto benevolmente da parte. Anche i virus che da due giorni mi percorrono correndo su e giù lungo l'alta via respiratoria N. 1, restano al riparo, limitandosi a sbuffare per il caldo.
Quando arrivo al campo di gara, nel parcheggio ci sono una trentina di macchine. I volontari dell'oratorio stanno montando il ristoro e preparando la brace; alcuni atleti sono già arrivati formando macchie tinte dei colori sociali. Poco dopo arrivano giudici e dirigenti della federazione.
I miei compagni di squadra stanno organizzando la zona di partenza – arrivo. “Dov'è la vernice per segnare la linea di partenza?” “Ce l'ho io in macchina, Nello, ora la prendo”.
Manca il gazebo per le iscrizioni. “Fausto, dov'è il gazebo che ci avevi promesso?” “È qui” e 10 minuti dopo il gazebo è montato.
Manca il tavolo per i giudici. “Gianni, il tavolo che dovevi portare?” Il tavolo spunta fuori.
Il medico, dov'è il medico! Poco dopo il medico arriva, mentre il dottor Salis, pre-allertato, era già disponibile a sostituirlo.
Sergio, il presidente federale, vorrebbe iniziare la presentazione, ma mancano i cavi per l'amplificazione: “Gavino, dove sei, non si trovano i cavi” “sto arrivando” e in 10 minuti l'amplificazione è pronta.
Un migliaio di persone, fra atleti di tutte le età e accompagnatori, brulicano festosi sul prato sotto gli ulivi, mentre altri continuano ad arrivare. Metto due fogli sul tavolo di Sergio con i dettagli del programma di gara e la lista degli sponsor; lui comincia a parlare e la manifestazione ha inizio.
Vento, virus, imprevisti e dimenticanze hanno minacciato il buon esito della manifestazione ma neanche lo zelo puntuto del funzionario di un comune limitrofo è riuscito a fermarla.

Niente panico, solo tanti, piccoli momenti di apprensione ma tutto era previsto e tutto è andato a posto. Sembra un miracolo ma forse è solo buona organizzazione, anche se qualcuno si ostina a chiamarlo “culo”.

domenica 11 gennaio 2015

Una giornata particolare – prime luci.

“Appuntamento al campo alle 8 in punto: mi raccomando, puntuali che c'è molto da fare!”
Mi sveglio al rumore di una scarica di starnuti di Maria. Sento tutto il peso di una notte di lotta fra il bene e il male – anticorpi e virus – ma riesco ugualmente ad aprire gli occhi; guardo l'ora al telefono e sono le 8.01. Mi consolo all'idea che gli altri sono migliori di me e staranno già lavorando. La testa è pesante, come se un'enorme colata di muco avesse riempito la scatola cranica. Mi alzo, scendo in cucina e porto il beccuccio della caffettiera alla bocca, sperando in un avanzo, ma ne esce solo un rigurgito polveroso. Sbrigo le pratiche igieniche alla veloce, curando, per quanto possibile, il lato esteriore, percepibile ai sensi e lasciando a tempi migliori l'igiene intima. Oggi sarò esposto all'occhio pubblico ed esco passandomi le dita a rastrello fra i capelli cercando di abbassarne un ciuffo. Se almeno ci fosse vento non si noterebbe, ma trovo calma piatta.

Mi servono soldi. Il primo bancomat non capisce bene cosa voglio, “ho detto SOLDI!” Non serve urlare, non accetta il mio codice e mi tratta come uno straniero. Maledizione sono già in ritardo e ne devo cercare un altro. Il secondo mi tratta come il primo. Allora, con una connessione neurale che, non so come, riesce a penetrare lo strato viscoso di muco cerebrale, capisco che sto usando la carta di credito invece del bancomat. Arrivo al campo di gara alle 8 e 40, gloriosamente in ritardo. È una splendida giornata di sole, l'attività ferve e ora mi è chiaro: andrà tutto bene, nonostante me.

venerdì 9 gennaio 2015

Canne al vento

La canna va tagliata in prossimità dei nodi, altrimenti rischia di rompersi. Una parte, quella che va a conficcarsi nel terreno, dev'essere tagliata di sbieco, l'altra diritta, così si può martellare per impiantarla. Fra i due estremi, circa un metro e mezzo. “Ecco, questa è pronta. Ne servono altre?” “Sì, altre mille!”
Per nastrare un percorso da 2 km da ambo i lati, con un palo ogni quattro metri, servono un migliaio di pali. Fabio con colpi netti di roncola ne prepara tre, mentre io e Gavino annaspiamo segando e lisciando il nostro unico esemplare. Questo a scuola non ce l'hanno insegnato. A scuola insegnavano a prepararle così: per preparare la canna, bisogna arrotolare la cartina premendo con i pollici dal centro verso le estremità.
Per piantare la canna si deve prima fare il buco con un punteruolo di metallo. Poi, con un martello si colpisce la parte superiore della canna finché non penetra nel buco. Infine, con il piede, facendo come per spegnerla, si compatta la terra tutt'intorno. Diamo il tocco finale leccando la striscia di colla e girandola tra le dita, in modo che il tabacco scorra uniformemente.
Arriva il perfezionista: “Cos'è questo schifo? Le canne vanno pareggiate, non si possono lasciare così, non è decoroso! Queste vanno bene ma guarda quell'altra come rovina l'estetica! È troppo più corta!” “Chissà chi se l'è fumata …”

Domenica venite al nostro cross: abbiamo preparato un percorso davvero stupefacente.  

venerdì 2 gennaio 2015

Buon complemasteranno.

Passa il tempo e girano le palle. Ogni 5 anni, la terra fa 5 giri intorno al sole, mentre la luna si aggira anch'essa rotonda e si compie un masteranno, passando di categoria atletica. 
A differenza dei compleanni ordinari, nei quali si tende ad invecchiare, il complemasteranno ti fa ringiovanire: fino al 31 dicembre eri il più vecchio della tua categoria e il primo gennaio diventi il più giovane. Se aspiri a premi di categoria o, addirittura a titoli di campione, conviene approfittare di queste occasioni particolari in cui i tuoi avversari sono tutti vecchietti. Quest'anno, dal primo gennaio, sono diventato master 50enne e, da giovane aitante come sono, mi ritroverò a gareggiare contro mosci 51enni, traballanti 52enni, vacillanti 53enni e, addirittura, cadenti 54enni. Non c'è storia. Li massacrerò tutti a pantofolate sulla testa.

giovedì 1 gennaio 2015

Almanacco del mese dopo – gennaio 2015

Gennaio: comincia l'anno e sono molto carico. Carico di quell'allegro e ottuso ottimismo che, pur senza alcuna strategia valida, mi convince di riuscire nel buon proposito di non ripetere gli errori dell'anno precedente. Carico di energia: con i 2 chili di grasso accumulato durante le feste potrò correre per 700 km! Ottimo! Domani comincio.
È anche il momento di buttarsi nel fango e di slalomare fra gli alberi sputando pezzi di polmone. Arrivano le campestri. Dividendo per 10 un ultratrail si ottiene una campestre. Per noi non-plus-ultra-top quindi le campestri sono come delle frazioni, dei pezzetti, degli avanzi da divorare a colazione. Con gusto. Al cioccolato.

Agenda

11 – Capoterra corre. Ecco la prima campestre e, soprattutto, la mia prima gara organizzata in qualità di presidente. Ho promesso a tutti una giornata di sole e, quant'è vero iddio, ce la metterò tutta per mantenere la promessa.

Best of the past

Gennaio 2014, nel blog si apre il secondo sondaggio, il terapeutico “clicca che ti passa”
Il piede è un appoggio. Si distingue dal sedere perché è più piccolo e inutilmente complicato.  Da “il piede” 
Altri clic:
Contemplo l'albero dei futuri adorno di tre nuove gemme Da: “clic!
Corse campestri:
Bella giornata. Io e mi, l'atleta, abbiamo aspettato me, l'organizzatore, che finisse di togliere i nastri dal circuito. Finalmente, stanchi e soddisfatti, siamo saliti in macchina. Io guidavo, gli altri due si sono addormentati prima che arrivassi a casa … shhhh. Da “io, mi e me al cross di Capoterra” 
Rivelazioni filosofiche
E' grazie alla forza di quest'ignoranza caparbiamente conquistata e conservata con ogni cura che sono riuscito a vederla chiaramente, perché lei è semplice e si esibisce nuda davanti a tutti ma per poterla cogliere bisogna avere il cervello perfettamente vuoto. L'avrete capito, sto parlando della “verità”. Da: Rivelazioni – prima puntata. 
Scolpito nel silicio come i castelli di sabbia fino al grande crash globale che, come un'onda, annullerà la memoria e le identità virtuali  Da: Rivelazioni – seconda puntata
Il primo vero trail in compagnia:

L'ecografia era corretta: una gobba mostruosa ha deformato la spina dorsale dei miei allenamenti. Un'equazione di terzo grado ha preso violentemente il posto di quella semplice linea retta – “la retta via era smarrita” – un viaggio stupefacente è iniziato. Da: San Gregorio – Castiadas