sabato 30 marzo 2013

Mezz'uomo di ferro - Triathlon medio Costa Verde

« Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… » Da "Il giorno della civetta" di Leonardo Sciascia

Da vecchio ominicchio pantofolaio qual'ero, l'idea di partecipare ad un IronMan mi spaventava molto ... più di 10 ore senza potersi sedere in poltrona a fare un sudoku ... terribile! Lo scorso ottobre però, dopo avere completato il mio primo triathlon sulla distanza del mezzo IronMan, sono diventato mezz'uomo (di ferro) e di quella gran paura è rimasto solo un leggero brividino lungo la spina dorsale. E' stata infatti una bellissima esperienza e provo a descriverla.
Acqua.
Mi è sempre piaciuto nuotare nel mare, guardando pesci ed esplorando tratti di costa. Nuotando piano piano riesco anche a percorrere lunghe distanze, ma se provo ad accelerare, tutta l'energia che metto in più se ne va in schizzi. Il mio unico obiettivo della frazione di nuoto era quindi arrivare alla fine entro il tempo limite e senza stancarmi troppo. Prima della partenza, quasi tutti gli atleti si sono buttati in acqua per fare qualche centinaio di metri di riscaldamento. Io, con pochi altri, sono restato fuori ad ammirare quelle belle nuotate veloci, e a guardare intimorito le boe che sembravano lontanissime. Mi sentivo un po' teso, inadeguato, pantofolaio fra superatleti, ominicchio fra ironman. Poi, ci siamo schierati larghi lungo la spiaggia, e al suono della tromba siamo partiti tutti verso un singolo punto, la prima boa. Lì, dove tutto il gruppo convergeva, qualche collisione è stata inevitabile, ma dopo il giro di boa, il gruppo era ormai molto allungato e si nuotava agevolmente. Dopo la seconda boa, al rientro verso la zona cambio, il sole era basso, e attraverso i miei occhialini appannati vedevo solo una macchia di luce. Nuotando alla cieca è facilissimo sbagliare direzione; mi sono dovuto fidare e seguire gli schizzi degli altri atleti, sperando che loro vedessero qualcosa. Uscito dall'acqua alla fine del primo giro, ho dato una rapida occhiata per rendermi conto della mia posizione. La testa del gruppo era decisamente più avanti, e, dietro a me qualche nuotatore sparso formava la coda del gruppo. Mi ritrovavo quindi nel corpo del gruppo; non nella pancia però, ma nella parte didietro. Il posto in cui mi ritrovavo a nuotare era quindi, inequivocabilmente, il sedere del gruppo. Con questa consapevolezza, ributtarsi in acqua per il secondo giro non è stato facile, anche l'acqua pareva avere un sapore diverso ... . All'ultima boa mi sono ritrovato di nuovo con il sole in faccia. L'arrivo non si vedeva, il gruppo era molto sgranato e seguire qualcuno era difficile e rischioso. Ho deciso allora di seguire il sole, sperando che non si fosse spostato troppo rispetto al giro precedente ma la stella gentile mi ha guidato dritto verso la zona cambio. Ero stanco di nuotare. Mi cominciavo a stufare di non respirare. La transizione nuoto-bici, acqua-aria, branchie-polmoni è stata per me come rinascere. Ho lanciato un bel vagito, staccato il cordone ombelicale con un morso e via sulla bici. In tutta la zona cambio, in più di cento postazioni, rimanevano meno di venti bici. Argiolas era sicuramente già partito da un pezzo. Ma io ero un altro, e quei superatleti con quelle inutili spalle larghe erano un po' ridicoli sulle bici. Avanti, ora comincia il bello. Via, si parte all'inseguimento! (segue)

giovedì 28 marzo 2013

Uomo di ferro?

Follie? Forse più che "velleità" dovrebbe essere questo il nome del blog, visto che ne è il tema dominante. Ecco l'ultima. Dopo l'iscrizione al passatore, prima della gara e anche prima di iniziare ad allenarmi seriamente per la 100k, mi sono iscritto all'IronMan di Klagenfurt. Il problema non è tanto la difficoltà della gara, 3.8km di nuoto, 180km di bici e 42km di corsa, né il prezzo esorbitante dell'iscrizione. Il problema principale è che io sono pigro! La mia posizione ideale è sdraiato su un letto, l'attività più impegnativa risolvere parole crociate. Da ragazzo, i miei genitori sdrammatizzavano dicendo che stavo accumulando energie per il futuro, ma in realtà ero stato steso dai colpi morbidi della pigrizia. KO al decimo anno. Uomo di ferro? Chi, io? Una volta, camminando, mi sono accorto di avere una scarpa slacciata, mi stavo per fermare, ma poi ho pensato che per arrivare a casa senza inciampare bastava fare i passi più lunghi dei lacci. Io poi sono quello stesso io che pochi mesi fa si è comprato delle pantofole morbidose da vecchietto. Uomo di ferro? Ma che centra il ferro? Forse, al massimo, uomo di peluche.

domenica 24 marzo 2013

50 giri

Oggi era prevista pioggia, stanchezza e dolore al ginocchio e, allora, ho deciso di fare qualche giro intorno al campo sportivo di Poggio dei pini. Ogni giro è lungo poco più di un chilometro, senza strade da attraversare, senza cani che ti abbaiano addosso ed è quindi adatto a fare brevi corse tranquille. Poi non ha piovuto, il ginocchio non ha doluto e la stanchezza ha tardato, così ho fatto 50 giri.
50 salite, 50 discese, 50 tratti di sterrato, 50 bicchieri di sudore, 50 fronti per sudare, 50 lorenzi che corrono, può sembrare noioso ma ogni 5 giri, colpo di scena, inverto il senso di rotazione. Questo sì che è divertente. La salita diventa discesa, la discesa diventa salita, lo sterrato diventa asfalto, l'asfalto si sterra, l'orario diventa antiorario, la materia antimateria, la fatica antipatica, i lorenzi si incrociano, stesso spazio ma in tempi diversi. A dire il vero non è proprio così divertente e il sudore continua a gocciolare verso il basso.
Dal quarantesimo giro, noto qualche succulento essere umano che porta a spasso qualche appetitoso cagnolino, ma quando mi vedono in faccia svicolano. La mia macchina comincia a farmi l'occhiolino con i fari ogni volta che le passo davanti, e ci vuole una grande forza di volontà, testardaggine e stupidità per resisterle. Ma, si sa, queste sono le doti fondamentali di noi ultra zombie runners.

giovedì 21 marzo 2013

Pantofole

Qualche mese fa mi sono comprato un paio di pantofole da vecchio, di quelle che, come i capelli bianchi, il bastone e la dentiera sono un'icona della terza età, di quelle la cui forma e colore, simili a quelli di una bara, suggeriscono quale sia l'unico viaggio che ti resta da fare. Di solito funziona in modo diverso: te le regalano per un compleanno, ti fai una bella risata pensando ad uno scherzo, ti lasciano ridere da solo con un sorriso imbarazzato, ti torna in mente un episodio di qualche giorno prima quando avevi intravisto un anziano dietro ad una vetrina, per poi accorgerti che era uno specchio o, quell'altra volta, quando un ragazzo si era alzato per offrirti il suo posto sull'autobus e, finalmente, ti rendi conto. Io invece me le sono comprate da solo! Erano sempre state lì esposte sullo scaffale del supermercato, ma non le avevo mai notate o prese in considerazione. E invece quel giorno l'occhio mi ci si è appiccicato sopra e non ho saputo resistere a quella morbida trappola, pur sapendo che una volta indossate sarebbe stato difficile uscirne. Calzature infide, che ti portano comodamente fino all'uscio di casa ma poi non ti lasciano andare oltre, o, al massimo, ti fanno accasciare su una panca accanto alla porta, di fronte alla strada o al giardino, ad ascoltare le voci dei bambini, i cinguettii degli uccelli, a guardare passare la gente, i cani, la vita.

domenica 17 marzo 2013

Pioggia

La settimana scorsa, ha piovuto quasi tutti i giorni. Non sono riuscito ad uscire in bici né a fare corse lunghe, solo un'oretta al giorno, il "minimo sindacale". Martedì, mentre mi cambiavo per andare a correre, ha cominciato a tuonare. Dopo un attimo di esitazione, ho deciso di uscire lo stesso. Appena fuori, proprio accanto a me ho sorpreso un gruppo di 5-6 daini che sembravano noncuranti della pioggia. L'odore di selvatico, esaltato dal bagnato, è arrivato forte fino a me e mi ha trasmesso il loro senso di appartenenza alla natura, pioggia compresa. Mi è tornata in mente una canzoncina che avevo scritto da ragazzo "piove ... ma io non ho l'ombrello e ho un buco nella testa, l'acqua mi entra nel cervello e mi sciacqua le idee ... ". La prima pozzanghera l'ho evitata. Dalla seconda in poi ci sono passato dentro con nonchalance, guardando verso l'alto per far finta di non vederle, divertendomi a sentire il ciac ciac dei piedi nell'acqua. Nel bosco poi, le foglie bagnate mi carezzavano il corpo, facendo penetrare l'acqua sotto i vestiti, fino alla pelle. " ... l'acqua penetra nei lobi, sciacqua anni di ricordi, secoli di storia e millenni di retaggi culturali ... ". Dopo una breve salita, il sentiero è uscito dal bosco su una piccola cresta. Continuava a tuonare. Quando il fulmine cade lontano, i botti delle varie scintille si uniscono in un rombo continuo. Quando invece sei proprio lì sotto, si odono distintamente, uno ad uno, come una scarica di petardi. Allora c'è da avere davvero paura. Lo so per esperienza.
Qualche anno fa mi ero trovato sulla cresta del Monte Santo, in bici, in una zona senza alberi e sentivo gli scoppi che venivano da tutte le direzioni. Avevo cercato di rispolverare gli studi universitari di elettromagnetismo per cercare di capire se le gomme della bici, essendo isolanti, mi avrebbero salvato, o se invece quel velo d'acqua che copriva me e la bici avrebbe fatto da ponte elettrico: nel dubbio, appena arrivato ad un boschetto, mi ero infilato sotto il più anonimo degli alberi. Alla sicurezza della scienza avevo preferito la lotteria del caso, sperando che non venisse estratto proprio il mio albero.
Mi ricordo ancora quel rumore. Questa volta è diverso, è un rombo rassicurante, che mi ha spinto solo a correre un po' più veloce fino alla discesa. Alla fine mi sono divertito molto. Ero fradicio ma non troppo infreddolito. La sfida con la natura, le sue montagne, la sua immensità, i suoi climi estremi, mi ha sempre appassionato, forse anche con un filo di masochismo. " ...
e millenni di retaggi culturali, finché mi rendo conto che discendiamo dai maiali e mi lascio cadere nel fango
".

martedì 12 marzo 2013

Maratonina di Assemini

L'ennesima mezza maratona: i soliti tre giri da sette chilometri su strade bruttarelle di cittadine che hanno poco da offrire, fra il suono dei claxon rabbiosi degli automobilisti trattenuti a stento da vigili e volontari e le battute irridenti dei paesani seduti al bar.
Perché, allora, una settimana dopo avere corso nello splendore dei boschi del Sulcis, sono venuto qui ad Assemini, in una domenica ventosa e piovosa, a correre questa ennesima mezza?
Perché è meraviglioso!
E' bello vedere la concentrazione e l'impegno degli organizzatori e dei volontari, e sapere che per loro la tua presenza è importante.
E' bello correre in strada, per una volta, liberi dalla paura delle macchine e pensare che fra i tanti automobilisti arrabbiati, ce ne sia qualcuno che stia pensando, per l'anno prossimo, di passare al di qua della barricata di vigili.
E' bello il ritmo della corsa: faticoso ma non sofferto. Piano piano ti senti svuotare, ma nel finale ti rimane sempre qualcosa per aumentare il passo.
E' bello correre con altri, con qualcuno davanti da inseguire e con qualcuno dietro da tenere a distanza; quando ti superano provare a seguirli e quando li superi invitarli a seguire il tuo ritmo.
E poi, all'arrivo è bello fare uno sprint, non importa se lo vinci o no, se è per il decimo o per il trentesimo posto, è comunque divertente arrivare al limite del fiato, e scoprire con meraviglia che puoi accelerare ancora.
E' bello, dopo l'arrivo, bere un bicchiere di the e ripartire per un giro in più; con tutta tranquillità puoi finalmente guardarti intorno e notare qualche bella casa, il giardino pubblico, qualche cittadino che ammira sinceramente quello che fai, un bimbetto che per 20 metri prova a correre più veloce di te.
E' bello correre con gli ultimi; è emozionante vedere anziani, donne e anche bambini, soffrire anche più dei primi per raggiungere quel traguardo, per compiere quell'impresa.
Poi, a fine gara, è bello fermarsi ad ascoltare; dal primo all'ultimo, ognuno ha qualcosa da raccontare, emozioni da condividere sulla gara, sugli obiettivi futuri, sui vari infortuni - si imparano nomi di muscoli e tendini che non avresti mai immaginato che esistessero, si sente di duelli epici per posizioni a tre cifre.
Grazie Assemini!
Ne voglio ancora!

domenica 10 marzo 2013

Il grande sciacquone

Da qualche tempo ormai, anche in Italia, è prassi dare un nome alle perturbazioni meteorologiche. A molti non piace quest'abitudine perché rispecchia la tendenza a spettacolarizzare le previsioni meteo: per venderle meglio, si da un nome all'attore protagonista e si drammatizzano gli eventi futuri con una piccola dose di catastrofismo.
A me, devo dire, fa piacere che le perturbazioni abbiano un nome; alle prime gocce, volgiamo lo sguardo verso l'alto e diciamo con ammirazione "ah ecco, questa è Lucia". Poi, se piove troppo, possiamo imprecare in modo appropriato: invece di un generico "piove, governo ladro" possiamo esclamare "piove, maledetto Pippo" ...
Ma allora, facciamo le cose per bene; un uragano non si può chiamare "Lucia" o "Madeleine" o "Pippo", non è dignitoso; mi piacerebbe che il prossimo ciclone si chiamasse: "il grande sciacquone". Sarebbe evocativo, spaventoso, quasi biblico. Ecco come suonerebbe il bollettino meteo:
"Attenzione COLPO DI SCENA: Aprite gli ombrelli merde, dall'atlantico sta arrivando il GRANDE SCIACQUONE"

p.s. L'idea del "grande sciacquone" mi sembrava troppo poetica perché fosse originale. Ho fatto allora una ricerca su google. Oltre a pubblicità di sanitari, ho trovato un sito che parodiava il grande fratello del 2003 e, in inglese, una notizia straordinaria e quasi drammatica: il sindaco di una città dello Zimbabwe ha ordinato ai cittadini di scaricare la toilette, tutti insieme, una volta a settimana, per prevenire intasamenti della rete fognaria nei periodi di razionamento idrico (http://www.abc.net.au/news/2012-09-23/zimbabwe-city-orders-big-flush-amid-water-rationing/4275806).

sabato 9 marzo 2013

L'ascella lascia la scia

Passeggiando nella mia stanza, percorro periodicamente gli stessi spazi, e l'aria che mi ero lasciata dietro, impregnata dei miei odori, è la stessa che ora ho davanti e che respiro ...
Ma la scia non è solo odore, è anche un buco dove infilarsi per evitare di sbattere contro quei muri d'aria che si ergono davanti a noi quando cerchiamo di avanzare veloci. L'aria che sembra così inconsistente quando ci facciamo svolazzare le mani, si indurisce man mano che cerchiamo di aumentare la velocità. Per passare bisogna bucare il muro o, possibilmente, riuscire ad infilarsi nei buchi fugaci lasciati da altri. Si deve fare presto però! I ciclisti, quando pedalano in gruppo, lo sanno bene: il primo fa il buco e tutti gli altri cercano di infilarcisi dentro prima che si richiuda.
Quando si corre a piedi, la velocità è molto più bassa, e più che un muro, si va incontro ad una specie di ragnatela e il vantaggio di stare in scia è più che altro psicologico. Quando però sei stanco o poco motivato, può essere di grande aiuto mettersi dietro a qualcuno e lasciarsi guidare-trasportare evitando il fastidio di tutti quei fili in faccia.
A questo proposito, ripropongo qui il commento che avevo scritto dopo la gran fondo del Sulcis del 2011 per il sito web, sempre ospitale, della "Atletica Amatori Nuoro".

Correre con gambe non mie (da www.amatorinu.it
).
Ieri, per la gran fondo del Sulcis, le mie gambe non erano disponibili. E avevano diverse buone ragioni: mancanza di allenamento sul ritmo medio, inizio della fase di potenziamento negli allenamenti in bici e una fastidiosa contrattura dietro la coscia sinistra le rendevano del tutto inadatte a quel tipo di gara.
Dopo qualche tentennamento decido di partire lo stesso: quella strada la sento mia e ogni volta che percorrendola mi inoltro nel cuore del grande Sulcis, godo come un "gutturumannaro".
Si parte: Secci e Salaris prendono subito il largo, mentre dietro si forma un gruppetto di una decina di atleti forti. Al primo chilometro sono un po' indietro rispetto a questo gruppetto, le mie gambe non possono fare di più. Allora decido di usare quelle forti e toniche di Massimiliano Nocco, che con una progressione regolare mi riportano nel gruppetto. Ma sono gambe troppo allenate e consumano troppo ossigeno per il mio sistema cardiorespiratorio e sono costretto a mollarle, perdendo, con loro, anche il contatto con il gruppo; quando mi supera Giovanni Goseli, provo a usare le sue gambe lunghe e eleganti ma son troppo diverse dalle mie e rischierei d'inciampare. Per fortuna, intorno al sesto chilometro mi raggiunge Giuseppe Orro; le sue gambe sono giovani e forti ma poco allenate, nel complesso mi sembrano abbastanza adatte alla situazione e le indosso con disinvoltura. Mi piazzo dietro a Giuseppe, per non fargli vedere che sto usando le sue gambe e mi faccio portare avanti per qualche chilometro. Al tredicesimo chilometro inizia la vera salita; quando, poco dopo, ci raggiunge Luigi Stefanopoli, mi accorgo che le gambe di Giuseppe sono quasi alla frutta, e decido di provare a salire con quelle di Superluis. Sono un po' troppo pelose forse, e l'aerodinamica ne risente, ma ben muscolose e abbastanza allenate da portarci su in due. Luigi doveva avere un vago sentore che stavo usando le sue gambe quando mi ha detto che se le sentiva meno brillanti del previsto, ma signorilmente ha fatto finta di niente. Poco dopo, un po' meno signorilmente, ha usato armi chimiche per cercare di liberarsi del parassita ma gli resto attaccato come una zecca. Alla fine della salita, faccio un tentativo patetico di utilizzare le mie gambe che in condizioni normali sono ottime per la discesa, ma niente, non vanno, e mi rimetto dietro a Luigi. A 400 metri dal traguardo vedo Roberto Caria poco avanti a noi e accelero con l'idea di tirare la volata a Luis. Mentre lo supero però mi rendo conto che la sua volata l'aveva già fatta, ma ormai le mie gambe hanno sentito l'odore del traguardo e sono tornate a prendersi onori e applausi. Sono state poi brillantissime anche quando si trattava di salire sul gradino più alto del podio di categoria (scusa Luigi!).
Grazie Giuseppe, grazie Luigi, e a buon rendere: vi devo un passaggio.

venerdì 8 marzo 2013

Nonchalance

Ieri mattina, quando Martino doveva uscire a prendere il pullman per andare al liceo, stava piovendo a dirotto. Mi sono alzato dal letto, e l'ho visto che si aggirava per casa alla ricerca di un ombrello. Ho provato ad aiutarlo, ma gli ombrelli, si sa, oggetti amatissimi mentre piove, diventano inutili, ingombanti e fastidiosamente umidicci appena smette e vengono quindi spesso dimenticati con ingratitudine; in tutta casa si sono salvati dall'abbandono, grazie al loro aspetto a forma di animale, solo due ombrellini da bambino.
Quando ho proposto a Martino la scelta fra quello con il manico a forma di titti e l'altro, a forma di rana, si è fatto una bella risata, ha preso la rana e se n'è partito sotto la pioggia, grande e grosso, barbetta incipiente, con l'ombrellino verde che lo copriva a malapena e gli occhi della rana che sporgevano ai due lati svolazzando al vento.
Sono scoppiato a ridere, ma, allo stesso tempo, ho ammirato sinceramente quella sua simpatica nonchalance, che gli permette di fare cose che la paura del ridicolo ci rende impossibili.
A scuola:
"Bell'ombrello, Martino!" (con ironia)
"Grazie"(con nonchalance).

mercoledì 6 marzo 2013

Non adatto a bambini di età inferiore ai 3 anni, ciclisti e runners

Durante una gara di corsa o di bici, il 90% delle nostre facoltà fisiche e mentali è impegnata nella competizione e ci rimane solo il 10% per eventuali altre attività. Di fatto, è come se fosse un bambino di un anno a fare tutto il resto e azioni che ci sembrano banali quando le facciamo a casa, si trasformano in grandi imprese.
Avete notato che le borracce dei ciclisti sono molto simili a dei biberon? Beh, questo va benissimo. Il gesto di portarla alla bocca e ciucciare riusciamo a farlo molto bene. Un po' più complicato è riporre la borraccia nel portaborraccia; la mammella materna non andava riposta nel portamammella, si mollava e basta, e, infatti, molte borracce purtroppo finiscono a terra. Così, per mangiare, l'ideale sarebbe che qualcuno ci imboccasse la pappetta; ma non si può. L'apertura della confezione, per quanto facilitata, diventa un'impresa per il nostro neonato e molte cose finiscono in bocca con ancora tutta o parte della plastica. La mamma avrebbe lanciato un urlo vedendoci, ma la mamma è lontana.
Anche gli alimenti che si sbriciolano sono da evitare: ci potremmo strozzare con i pezzetti mentre tentiamo di mangiare e, contemporaneamente, respirare a bocca spalancata. Ecco la mia prima esperienza con una caramella durante la gran fondo del Sulcis del 2009.
"All’inizio della discesa metto in bocca una caramella all'arancia rubata ai bambini, e qui cominciano le vere difficoltà. Al primo morso la caramella si frantuma in pezzetti duri e spigolosi; qualche frammento scappa dalla bocca spalancata per la respirazione. Uso la lingua per recuperare i pezzi in fuga e accumularli dietro la guancia come un criceto, poi, fra un respiro e l’altro, comincio a lavorare di denti, finché, finalmente, il mostriciattolo si arrende e un liquido dolce mi scende in gola dandomi la sensazione di rinnovata energia, e portandomi al volo fino al traguardo. Sono molto contento: sono arrivato settimo, la banda di Santadi suona, la belva è domata."

lunedì 4 marzo 2013

Gran fondo del Sulcis

Da Santa Lucia a Pantaleo: 25 chilometri su una strada sterrata che attraversa le montagne del Sulcis e le sue immense foreste di lecci, prima in salita, fino ai quasi 500 metri del passo "su Schisorgiu", poi in rapida discesa, verso Pantaleo e Santadi.
Correre è bello. Correre a lungo su strade sterrate o sentieri di montagna durante la precoce primavera sarda, circondato dai profumi della macchia, dal verde luminoso dei boschi e dal suono scrosciante dell'acqua che si divincola nel "Gutturu Mannu", è per me una ragione di vita. Nel 2007, quando seppi che ci sarebbe stata una gara di corsa su questa strada, telefonai agli organizzatori per sapere se fosse possibile parteciparvi come escursionista non tesserato; mi risposero di no e allora, pur di non rinunciare a quella corsa, decisi di varcare la soglia dell'inferno dei runners, unendomi alla perduta gente con l'eterno dolore alle gambe, e senza nessuna speranza di uscirne (una scritta del genere appariva sopra la porta).
Da allora ho partecipato a tutte le edizioni di questa magnifica corsa, ieri era la settima, e ho imparato molte cose:
  • Ho scoperto un mondo nuovo, più bello (2007)
  • Ho imparato che sei chilometri di discesa, corsi a rotta di collo, riducono i muscoli in poltiglia, e che tale trattamento è sconsigliato una settimana prima dell'esordio in maratona (2008)
  • Ho scoperto che una innocua, dolce, morbida caramellina può trasformarsi in un mostro selvaggio, se provi a mangiarla mentre corri a tutta (2009)
  • Ho scoperto che chi sostiene che "il passare del tempo fa invecchiare" è male informato (2010)
  • Quando le mie gambe non erano disponibili, ho imparato ad arrivare al traguardo usando, con discrezione, quelle di altri atleti (2011)
  • Ho scoperto che si può accumulare tanto di quel freddo che, dopo 20 minuti chiusi in macchina con il riscaldamento a tutta, si continua a tremare (2012)
  • Ho scoperto che la scoperta del 2010 forse non era vera e che forse non è possibile migliorarsi in eterno (ieri)

venerdì 1 marzo 2013

Trasparente

E' inutile che quando andiamo in giro in bici ci vestiamo da pagliacci con i nostri completini sgargianti. Siamo e resteremo trasparenti.
Nell'ultimo mese, per ben due volte ho dovuto frenare di colpo per non essere travolto da macchine che svoltavano a sinistra proprio mentre stavo passando io in bici. Non credo che gli autisti volessero investirmi. La colpa è mia che mi ostino ad andare in giro trasparente; infatti non si sono neanche fermati a chiedere scusa, non mi hanno proprio visto né hanno sentito l'urlo di protesta che mi è uscito dalla bocca.
Ieri, tornando a casa da un lungo giro in bici, ho trovato la strada bloccata. I carabinieri stavano facendo i rilievi per ricostruire un incidente: un ciclista era appena stato travolto e ucciso da una macchina che proveniva dalle sue spalle, nonostante stesse pedalando al limite destro della carreggiata. La donna che l'ha ucciso si è giustificata così: "non l'avevo visto".
Ogni volta che ci prepariamo per uscire in bici, infiliamo un proiettile nel grande caricatore, lo facciamo girare, lo puntiamo alla tempia, saliamo in bici, e ... puf ... "spariamo".