domenica 27 maggio 2018

Pula, maratonina dei Fenici

È una gara a cui sono affezionato. È vicina a casa, organizzata bene da amici, veloce, serale, c'è birra e tanta gente stupenda. Mi piace la bella “piazza del popolo” trasformata in salotto, il passaggio a Nora … e poi è piena di bei ricordi.

22 gennaio 2012. 1h18'50”
Ho anche il mio primato a Pula. Ricordo che l'avevo preparata in 16 giorni. Il 6 gennaio ci doveva essere la maratona di Alghero che poi è stata ridotta ad una 30 km a causa di una bufera di vento. Così, in 16 giorni, oltre a recuperare la fatica, ho fatto 4 allenamenti per passare dai 4' al km della maratona ai 3'45 della mezza. Ovviamente ho mescolato tutto con allenamenti in bici per il triathlon e per altri obiettivi stagionali nel mio tipico mix di atleta super-amatoriale. Se non fossi stato così dilettantistico, se fossi stato consigliato da un allenatore, se avessi fatto lavori specifici inseguendo quell'obiettivo per mesi, se fossi stato seguito da un nutrizionista, se avessi fatto diete senz'alcol, perdendo la gioia del cibo ... forse ora avrei un primato sulla mezza di 1h16 anziché di 1h18. Ma, a parte che mi sarei divertito di meno, che differenza avrebbe fatto? Il primato mondiale, ricordo, è 58 minuti. Viva il divertimento!
A proposito di tabelle di allenamento fantasiose, nel 2015, a meno di una settimana dalla 100 km del passatore, pur di non saltarla e con l'idea di correrla lentamente, l'ho trasformata in un triathlon medio. Sono partito alle 14, nuotando 1500 metri nella baia di Nora e pedalando poi per 90 km fino a Teulada, nel vento forte per arrivare alla partenza della gara già stanco. La chiusi sfinito ma comunque relativamente bene, in 1h25, entrando anche in premiazione come secondo di categoria.
Il passatore poi è andato com'è andato ma intanto mi sono divertito e non ho rimpianti.

Ieri, queste cose del passato mi circondavano; quello che si è fatto resta in testa e ripercorrendo gli stessi luoghi, si attivano collegamenti sinaptici che arricchiscono quei luoghi di sensazioni remote risvegliando le emozioni passate.
Intanto pensiamo al futuro, ai ragazzi della squadra: Francesco di 12 anni e Alessandro di 10. 7 km non è una distanza che alleniamo. Secondo i manuali, a quell'età le gare non dovrebbero superare il chilometro. A parte le questioni tecniche, vorrei però trasmettere ai ragazzi anche quello spirito di divertimento che, secondo me, dovrebbe essere l'elemento trainante dello sport. Francesco parte ad un buon ritmo, Alessandro va più piano. Seguo Francesco fino al primo km e poi aspetto Alessandro. Al terzo km, quando tutti cominciano a rallentare, mi trovo Alessandro a fianco; ha aumentato decisamente il ritmo e comincia il divertimento. Superiamo come pazzi. Mi ricordo quando da bambino partecipavo alla “stratorino” senza nessun allenamento, partivo in coda e poi superavo, superavo, fino a sfinimento. 100 metri avanti a noi vediamo anche Francesco che ha rallentato sensibilmente. La stanchezza si fa sentire e Alessandro mi dice che si fermerebbe un po' a camminare. “Rallentiamo la corsa senza fermarci” gli dico “vedrai che ti riprendi”. E infatti basta un minuto di corsa tranquilla per ricominciare ad andare veloce. Raggiungiamo Francesco. “Forza, segui il mio ritmo” e anche lui mi si accoda slalomando fra tanti atleti più lenti. Raggiungiamo anche il padre di Alessandro, partito 3 minuti prima per la mezza: “largo alle nuove generazioni!” Ultimo chilometro, ecco il corso, in leggera discesa verso il traguardo e, finalmente, dietro una curva spunta l'arco blu; “andate, è ora dello sprint!” E mi mollano, correndo, velocissimi, fino all'arrivo.

Foto di Rita Firinu

Nutro il mio orgoglio della loro soddisfazione, mi sento parte di questa bellissima impresa; sono sicuro che resterà loro in testa come un seme e che sboccerà in qualche momento del futuro.
Ieri a Pula, passato e futuro si sono mescolati, componendo un bellissimo presente.

lunedì 21 maggio 2018

Sardinia Trail 2018

L'entusiasmo è una corda trasparente che vibra nell'aria e, quando un gruppo di persone si trova in sintonia, entra in risonanza, amplificando le emozioni di ognuno.

Giovedì sera, Arbatax, Hotel Club Saraceno. Venerdì mattina parte il Sardinia trail e sono in stanza con l'amico Gigi. Sono qui grazie a lui che mi ha suggerito come “scopa” e a Giandomenico che ha accettato. Dopo una cena buona e abbondante, alle 10 siamo a letto. Sono stanco e spero di riuscire a dormire. Ho delle escoriazioni sul braccio sinistro che non mi hanno fatto dormire bene la notte prima. Ma il problema sarà un altro. Sento un rumore venire dalla direzione di Gigi, presumibilmente dal suo cellulare. Non è un “beep” ma proprio un trillo da campanello, di quelli fatti per non passare inosservati. Dopo un po' si ripete e poi ancora. Per curiosità guardo l'ora e noto che quel trillo squillante si ripete a intervalli regolari, ogni 15 minuti. Non riesco a dormire. Gigi invece dorme beato e non oso svegliarlo. Ogni 15 minuti “driin” una bici mi sta per investire. Provo ad infilarmi un rotolino di carta igienica nelle orecchie ma non serve a nulla. Alle 5:35 suona la sveglia, quella vera ed è quasi piacevole, la fine di un incubo, mi sento il cervello investito da 25 biciclette.
Dopo una bella colazione si sale col pullman sul supramonte di Urzulei e si parte. Resto quasi subito solo con la tedesca Annette. Scambio due parole, il minimo per creare familiarità senza essere invadente. Il percorso diventa sempre più bello. La strada lascia spazio al sentiero e poi si arriva sulla luna. Codula de sa mela ricorda paesaggi dolomitici. Quando anche Annette si entusiasma per il paesaggio la corda vibra e mi emoziono ancora di più. Gli ultimi 3 chilometri del percorso sono su un sentiero in ripida discesa verso Urzulei. Annette scende senza problemi e resto con Matthias, uomo delle pianure della Vestfalia capitato lì quasi per sbaglio e in grande difficoltà sul sentiero ripido e sdrucciolevole. Improvviso per lui una lezione di discesa. “The less you brake, the less you slip” Meno freni, meno scivoli. Non ti devi fermare ad ogni passo. Cerca un punto di arresto – un albero, un grande sasso o un punto pianeggiante – più giù, sposta il peso in avanti e vai fino a lì senza frenare. Offro una dimostrazione pratica. Seguendomi, un po' migliora e, sia pure con sofferenza e lentezza, arriviamo in paese accolti da un buon rinfresco e poi nella spiaggia dell'albergo con due nuotatine inframezzate da una breve dormita sulla sdraio.

Sabato mattina la maglia che avevo usato e lavato il giorno prima è ancora bagnata. Potrei indossarne un'altra ma il vero uomo che è in me, mi sussurra col suo vocione profondo e ottuso: “beh, che problema c'è? Indossala così in mezz'ora si asciuga con il calore della pelle” come fanno i veri uomini veramente scemi. Il calore che asciuga la maglia, ovvimente, è sottratto al corpo e i muscoli della schiena si raffreddano. Mi chino per raccogliere qualcosa da terra e mentre mi rialzo sento una mitragliata a livello lombare che mi lascia rigido e dolente. Dico ad Andrea, direttore di gara, che non sono sicuro di riuscire a correre i 42 km della tappa e mi trova subito un compito alternativo. Salgo a punta Lamarmora segnando il percorso con i nastri arancioni poi resto 4 ore lì in cima al mondo, insieme a Leonardo, a controllare i passaggi in vetta e ad incoraggiare gli atleti. È il punto più bello, con vista panoramica su tutta la Sardegna e sulla fatica degli atleti; si fermano tutti lì a respirare quell'aria speciale che si trova solo in cima, a fare una foto o a scambiare due parole. Quando rimane solo Matthias gli vado incontro e poi scendo con lui dalla cima del mondo togliendo i nastri dal percorso. Poco dopo sono sopraffatto dai nastri e lo perdo di vista. Maledico il mio eccesso di zelo che mi ha fatto mettere tutti quei nastri anche dove non erano strettamente necessari. Lo zaino si riempie subito, poi le tasche, poi li infilo nella borraccia, nei pantaloncini, nella maglia … quando arrivo sembro l'omino Michelin.
Domenica mattina, ultima tappa. La schiena è ancora indolenzita ma sono sicuro che riuscirò a correre. Oggi il servizio scopa è più importante perché sono molti i punti tecnici in cui gli atleti potrebbero avere difficoltà e in cui i mezzi non possono intervenire. E infatti già nel primo sentiero che percorre la spettacolare scogliera a picco sul mare, Manuela e Matthias, la piccola sarda e il gigante delle pianure della Vestfalia, sono in difficoltà. Hanno paura, soffrono di vertigini e in qualche punto particolarmente esposto, si attaccano come patelle al suolo.
Li tranquillizzo e li prendo per mano, uno per volta, accompagnandoli attraverso i passaggi più impressionanti. Poi Manu accelera e fa una grande gara recuperando diverse posizioni. Resto con il tedesco, preoccupato alla prospettiva delle discese tecniche che ci attendono. Tranquillo, gli dico, ti ci porto io all'arrivo.
Gli ultimi 9 chilometri sono di nuovo tecnici. Ad ogni passo soffre e ad ogni nuova salita o discesa si demoralizza e gli prometto una birra fresca all'arrivo. Finalmente ecco la spiaggia e l'arco dell'arrivo a poco più di un chilometro di distanza. Vedo Efisio qualche centinaio di metri avanti a noi. Dico a Matthias di provare a raggiungerlo; io invece mi tolgo zaino e scarpe (la maglia l'avevo già tolta quasi 5 ore prima) e mi butto in acqua. La sognavo da ore. Due minuti, giusto il tempo per abbassare di un paio di gradi la temperatura corporea. Poi prendo le scarpe in mano e comincio a correre con i piedi nell'acqua. La sabbia del bagnasciuga è grossa e le pietruzze sfregano sulla pelle dei piedi facendosi sentire. È una sensazione forte, qualcuno direbbe dolorosa ma da grandi si impara ad apprezzare i gusti forti come il caffè amaro o i sassolini sotto i piedi. Oggi è tutto forte e noi siamo grandi. Cerco di raggiungere gli ultimi ma Matthias e Efisio hanno troppo vantaggio. Mi preparo ad arrivare inosservato, non sono un atleta, sono solo uno dello staff; mi fermo a parlare con il medico di gara ma sento che mi chiamano al traguardo; ricomincio a correre e arrivo a scarpe alzate con tutti gli atleti che mi incitano e mi tengono perfino il nastro del traguardo, che taglio con un colpo di pancia. Che accoglienza, che emozione. Forse meglio di una vittoria.

Sono cotto. Cotto dal sole, dalla mancanza di sonno, dalla stanchezza, dal mal di schiena ma la corda vibra … anzi, proprio in queste condizioni di spossatezza fisica, di passione comune, la sintonia con gli altri è immediata, le vibrazioni si amplificano e non servono parole, o ne bastano poche – come quando Matthias mi ringrazia dicendomi “I'll never forget you (non ti dimenticherò mai)” – e la vibrazione si trasmette in un brivido che corre lungo la schiena.

Viva il trail! Viva la Sardegna! Viva il Sardinia Trail!

mercoledì 16 maggio 2018

Sardinia Trail, arrivo!


Sono pronto. Oggi ho fatto un lungo … inciampando su un sasso e atterrando su un foglio di carta vetrata in granito: ora ho mano e gomito sinistro sberciate e, grazie alla mia nuova moda di correre senza maglietta, ho abrasioni anche sul costato. Brucia. Brucia sotto la doccia, brucia quando lo disinfetto, brucerà quando cercherò di dormire. Ma sono uomo ormai e non mi fa molto effetto, non più di una zanzara o di una mutanda stretta. Fa parte del gioco.
Dopo la doccia, sono passato dalla cucina del CRS4 per mangiare qualcosa. Hanno scaricato gli avanzi dalla cambusa del “lab boat” e ci sono diverse confezioni di “Arborea Wey” a disposizione degli affamati e assetati come me. Ne prendo uno all'ace. Lo trovo gradevole e me ne scolo un altro al “passion fruit”. Mentre sto finendo il secondo, una collega mi chiede: “ma ti piace? Non è lassativo?” “Boh, non ne ho idea, lo scoprirò presto”. A posteriori posso dire che no, non è lassativo ma fa venire una terribile flatulenza. Non riesco a non pensare ai ragazzi del “lab boat” e alla loro cabina di notte … . Purtroppo in ufficio sono solo, mi sarei vendicato volentieri del collega con cui condivido la stanza; ho anni e anni di peti arretrati da ricambiare ma oggi non c'è. Me ne tengo un po' per domani, sperando che venga, se no me la porterò ad Arbatax. Paura, Gigi? Armato di flatulenza e con il granito tatuato sulla pelle, partirò estremamente agguerrito.
A parte gli scherzi, non vedo l'ora di rivivere la bellissima esperienza del Sardinia trail. Il passaggio in cima alla Sardegna, i 100 km di sentieri, le unghie che cadono, il mare che ci aspetta la sera, i 3 giorni di vita con gli amici …
Sardinia Trail, arrivo!

lunedì 14 maggio 2018

Elighe Uttiosos Spring Trail

Primo movimento.
In certe giornate, vale la pena svegliarsi. A dire il vero, anche il sogno non era niente male; stavo spostando un tavolo per fare qualcosa d'importante … cosa? La mente appannata dal sonno non consente di formulare risposte sensate; ho una panna perenne che resta appiccicata all'interno delle orbite oculari e non si scioglie neanche quando il sole è ormai alto. Mentre preparo il caffè, uno sbrodolio marrone mi ricorda, con un attimo di ritardo, che l'avevo già preparato ieri. Essere previdenti è completamente inutile quando si avanza a tentoni. L'appannamento è potente e appena entro in auto si trasmette al parabrezza e mi basta aprire il finestrino che la nebbia mentale esce e si fa reale. Non l'ho vista solo io; pare che la mia nebbia mentale abbia ricoperto l'intero campidano di una coltre uniforme. I rettilinei della 131 sembrano curvi. Perché in estate non producono più i pocket coffee? Dicono che, col calore, il cioccolato si scioglierebbe, mescolandosi al caffè liquido e riempiendo la confezione di un brodino dolce e appiccicoso. E allora?
Il sole sembra luna poi si accende. Finalmente sono sveglio, o forse ho ricominciato a sognare.
Secondo movimento.
Parto con Gianni, il migliore professionista in Sardegna per pulizia sentieri, dopo di me, ovviamente, e Claudia, poi ci raggiungono Cristina e Gianlu. Claudia non si sente bene ma, grazie al contesto, piano piano si riprende. Il Montiferru è inebriante: l'essenza di timo, le urla degli uccellini, la vista dal vertice di un triangolo, il bosco fresco pieno di ciclamini, la sorgente popolata da gnomi … l'euforia monta e perfino le cadute sono occasioni d'allegria. I miei compagni di viaggio girano per la 10 km e resto solo, immerso nella natura. Mi tolgo la maglia e mi butto all'inseguimento di altri ultimi. Vedo un muflone fermo sulla strada; dopo che sono passati tutti, se ne sta lì con aria interrogativa a cercare di capire il senso di questa cosa; potrei spiegarglielo ma noi mufloni non amiamo le chiacchiere e ce ne andiamo ognuno per la sua strada. Gianni mi viene incontro e proseguiamo insieme. Lo spirito trail ci fa lasciare i segni bianchi e rossi per seguire l'odore di arrosto. Siamo arrivati troppo presto, la carne non è ancora cotta. È l'ora dell'antipasto e dobbiamo accontentarci di guanciale, vermentino e birra. Ringraziamo i cacciatori di Cuglieri e riprendiamo a correre. La pioggia mi scivola sulla pelle nuda senza scalfirmi. Più impermeabile e più leggera del goretex la pelle umana offre il massimo comfort. La vendo cara, però. Raggiungiamo prima Valeria, poi Marina e fra piacevoli chiacchiere, arriviamo al traguardo sotto la pioggia.
Terzo movimento.
Mi siedo a tavola per il pranzo con Gianni, Gianni, Ale, … Mentre le vivande scorrono sempre più buone, le chiacchiere si trasformano in grandi verità e il vino scende veloce, i vetri dell'agriturismo cominciano ad appannarsi. È il primo segno. La lucidità sta finendo. Sarà per il vino o per la stanchezza ma in testa si rialza la nebbia e fuoriesce, ricoprendo il monte. Cosa ci faccio in infradito sotto la pioggia? Il piede scivola sulla plastica bagnata e la ciabatta si smonta; resto scalzo tipo Cenerentola. Beh, forse più Genoveffa. Salgo in auto. È ora di tornare nel mio mondo assopito, stordito, sfocato, ma è bello tornarci dopo aver vissuto un sogno così vivido.
Grazie Gianni e a tutti quelli che, come lui, si impegnano per organizzare giornate come questa, in cui, come ha scritto Claudia, vale la pena svegliarsi.

venerdì 11 maggio 2018

Elighe uttiosus spring trail – preview

Per la serie Le quattro stagioni del Montiferru, dopo l'inverno viene, quasi sempre, la primavera.

Il cimento dell'armonia e dell'inventione. LA PRIMAVERA. Concerto per violino solista, quartetto d'acqua e forchette in 3 movimenti: presto, adagio con moto, allegretto.

Primo movimento: Presto.
Il primo movimento sarà scendere dal letto. Presto perché l'ora sarà antelucana. Presto anche perché sarò in ritardo. È un ritardo sistematico, fisiologico, forse mentale. Non so perché ma mi sento sempre in grande anticipo fino allo scoccare dei famosi “sette minuti di biancamerda”. Allora ecco che parte la grande corsa: dentifricio spremuto in bocca, pigiama passato sotto le ascelle e tutti gli altri riti del caso.
Secondo movimento: Adagio con moto.
Partirà la gara e finalmente potrò rilassarmi. Anche questa volta farò “servizio scopa”. Si avanzerà adagio, seguendo i bellissimi ultimi. Questo sarà il mio movimento preferito, quello nella natura. Ritrovare il bellissimo Montiferru in condizioni diverse da come l'avevo lasciato. Ricorreranno i temi dei roccioni vulcanici e della foresta millenaria già sentiti nel concerto invernale ma la tonalità sarà completamente diversa. Si passa dalla malinconia del mi minore allo spirito vitale del do maggiore.
L'acqua sarà tornata al suo posto, non più in giro nell'aria, sui sentieri, dappertutto … se ne starà buona buona, nei torrenti, nelle fonti, fresca, squisita, bellissima nelle cascate e armoniosa nel suo fruscio. Lo sguardo non andrà a sbattere contro un muro di goccioline in sospensione ma viaggerà libero verso lontani orizzonti.
Terzo movimento: Allegro
Terzo movimento, terzo tempo. L'acqua, dicevo prima, starà al suo posto; non a tavola. Nei bicchieri girerà altro. Allegria del canto degli augelli e delle forchette nel piatto, della convivialità insomma, tutto quello che ci vuole per completare una magnifica giornata. Non vedo l'ora. 
A domenica!

mercoledì 9 maggio 2018

Ambizioni

Vorrei fare qualcosa di grande. Finora non sono mai stato ambizioso. Ora, in questo preciso momento, lo sono e ho questa strana voglia di fare qualcosa di davvero grande e l'incredibile sensazione di poterci riuscire. Mi vengono i brividi a pensarci ma non saprei da dove partire. Mi ci vorrebbe una grande idea. Io sono pieno di idee piccole o medie che mi riempiono la testa e straboccano fuori; bastano a riempire buche o, al massimo, a costruire qualche piccola cosa ma niente di davvero grande. Vorrei riuscire a convogliare le mie doti mentali in qualcosa di più utile di un sudoku, le mie energie in qualcosa di più costruttivo che finire un ironman. Qualcosa che possa servire, rimanere, avere un senso al di fuori di me.
Non mi basta un mal di gambe o 100 “like”. Non mi basta scrivere storielle, pubblicare lavoretti scientifici o organizzare garette. Non mi basta mettere un granello in cima al formicaio per convincermi di avere alzato il mondo. Vorrei realizzare qualcosa di davvero grande, qualcosa da lasciare senza fiato.
Ma cosa??
??
??
Oh, beh, mi passerà.

domenica 6 maggio 2018

Correndo nel ricordo - Terzo trail di Capoterra

Dopo il grande successo dell'“ultimo trail di Capoterra” e dopo due anni di trepidante attesa, non poteva non arrivare il “prequel”.
Prossimamente, sotto i migliori piedi: “Correndo nel ricordo – terzo trail di Capoterra”.
Nel decimo anniversario dell'alluvione che ha colpito il territorio di Capoterra, si affronterà un percorso di ricordo e riconciliazione con le acque del rio San Girolamo, di rio Masone Ollastu e oltre.
Ecco il “trailer”:

cioè, non intendevo “quello che fa i trail”, intendevo il “trailer” nel senso di “prossimamente”

Ecco, questo è meglio. Ecco un altro trailer:

No! Ancora? Toglietevi! Ecco, questo è meglio:

Non svelerò però il finale. Intendevo dire che non vi dirò dove va a finire; come va a finire è ovvio. Finisce bene, è una commedia ...
Ad ottobre nei migliori cinema

mercoledì 2 maggio 2018

Correndo sotto la pioggia

Allerta meteo arancione. Oggi voglio rompere un tabù. Non esco a correre “nonostante” la pioggia ma esco a correre “proprio perché piove”. Non ho nessun programma di allenamento e nessuno mi ha chiesto di uscire. Sembra una follia ma esco a correre solo perché ho voglia di farlo sotto la pioggia. Voglio provare il gusto di buttarmi nei sentieri fradici, odorare il bosco bagnato e sentire l'acqua sulla pelle.
Non piove forte, gocciola, ma il cisto e i corbezzoli sono già fradici e basta sfiorarli che inzuppano la maglietta che mi da una slinguazzata sulla pelle. Il contatto col tessuto freddo e bagnato è fastidioso. C'è solo un modo per non bagnarsi: tirare fuori la pelliccia. Cosa c'è di meglio? Completamente impermeabile, leggera, perfettamente aderente. Sembra una follia ma dopo una breve esitazione lo faccio; nonostante la pioggia, mi sfilo la maglietta e le foglioline bagnate ora arrivano a contatto diretto con la pelle e hanno tutto un altro gusto. Fantastico! È molto più naturale, più piacevole; prima le evitavo, ora le cerco, sono dolci carezze anche se talvolta, nascondono artigli graffianti.
Il roccione bagnato vicino alla cascata è scivoloso e in un decimo di secondo mi ritrovo con la schiena a terra. Per fortuna è liscio e sono riuscito a tenere su la testa. Mi alzo a sedere, tolgo scarpe e calze e ora mi sento molto più a mio agio. È scivoloso lo stesso ma i piedi percepiscono la roccia e riescono a controllare l'equilibrio. La pozza mi chiama; è il richiamo della libertà; sembra una follia buttarsi in un torrente sotto la pioggia ma questa volta non oppongo nessuna resistenza; mi ci immergo dentro andando fin sotto alla cascata rinvigorita dalle piogge e ne approfitto per sciacquare le ammaccature. Pochi secondi di goduria e devo ripartire per non raffreddarmi troppo.
Meno vestiti indosso più mi sento a mio agio; l'acqua sulla pelle, la roccia sotto i piedi scalzi, sono sensazioni che mi sembrano subito naturali. Siamo animali. Lo sapevo già, ma in questi momenti lo sento dentro. Non siamo bestie ma animali sì, non dobbiamo scordarcelo e quando la natura chiama non c'è niente di più bello che fuggire al senso comune e abbandonarsi ad essa.

martedì 1 maggio 2018

Vivere bene

L'etica è “vivere bene”. Potrei fermarmi qui, perché con queste due parole ho già detto tutto, ma voglio essere più esplicito: “vivere” esprime la sopravvivenza o il “principio di conservazione”, mentre “bene” esprime l'aspirazione dell'uomo verso il progresso o il “principio di massimo benessere”. In queste due parole c'è anche il loro equilibrio. “Bene” qualifica l'azione “vivere” e, nel contempo, “vivere” è condizione necessaria per “vivere bene”.
È un principio così ovvio che non si dice, nessuno lo cita, nessuna scuola lo insegna. Ma, a furia di non dirlo, ci si dimentica anche di metterlo in pratica.
La nostra cultura dominante, infatti, puntando al benessere si dimentica spesso del “vivere”, tanto che siamo in una crisi demografica forse irreversibile, e usa con irritante disinvoltura il concetto di “ricchezza” al posto di “bene”. La religione cattolica, insieme a quasi tutte le culture “tradizionali”, al contrario, spinge verso la sopravvivenza a tutti i costi scordando l'importanza della qualità della vita.
Vivere, all'infinito è impersonale. Può essere coniugato al singolare “vivo” o al plurale “viviamo”. Al singolare indica l'etica personale, al plurale l'etica sociale.
Dal punto di vista matematico, la vita si costruisce come un integrale sul tempo di infiniti momenti presenti
La qualità di una vita vissuta si misura quindi con l'integrale nel tempo, fra nascita e morte, della qualità dei momenti presenti.
Il tempo è quindi la base sulla quale si costruisce l'altezza (o la bassezza) dei rettangoli di vita. Non basta avere il tempo, quindi come non basta avere le risorse per vivere bene. Tempo senza risorse o risorse senza tempo non valgono niente.
Per vivere bene, bisogna cercare di rendere più lunghi e alti possibile tutti i momenti presenti di cui è fatta la vita: rendere più piacevole possibile una domenica mattina, rendere più lungo possibile un momento di gioia … e, viceversa, rendere più corti possibile i momenti in cui il benessere diventa negativo e lascia il posto al malessere.
Passiamo al plurale, ovvero all'etica sociale. Ogni società è una somma di uomini e, introducendo il principio di uguaglianza per il quale tutti hanno lo stesso diritto a vivere bene, il “vivere bene” sociale diventa semplicemente la soma di quelli individuali:

Un'azione è buona se fa vivere meglio o, detto in termini matematici, se in conseguenza di essa, B aumenta.
Ecco, ho detto tutto. In estrema sintesi questa è l'etica e, ora che la conoscete, potrete, finalmente, vivere felici.