martedì 26 dicembre 2017

Auguri a tutti!

2017 Un anno “primo” è finito con tutto ciò che comporta in termini di divisibilità in fattori. Non so se l'indivisibilità centri ma qualcosa mi è successo. È come se sia stato investito da un vagone. Non è crisi di mezz'età, è la mezz'età che mi si è buttata addosso.
Ho mangiato fino ad avere mal di pancia. Quando troppo buono accumulato diventa doloroso eccesso, si capisce l'importanza dell'equilibrio. Questa è la lezione del natale e ogni anno fa bene ricordarla perché si tende a buttarsi sempre nelle stesse direzioni che siano il lavoro, i soldi, lo sport, la birra o le parole crociate.
Sotto l'albero ho lasciato solo qualche “buono trasporto Cagliari-Capoterra su auto di marca tedesca”. Sembra poco ma l'anno prossimo o quello dopo varranno più di un bitcoin, in quanto, al contrario di quest'ultimo che è pieno di vuoto, contengono l'affetto di un padre e corrispondono ad un servizio reale e a tempo fisico.
Un anno “primo” ma non ultimo. Un altro seguirà e promette bene. C'è davvero ragione di essere ottimisti, perché l'anno nuovo avrà la primavera, me lo sento.

sabato 23 dicembre 2017

Una notte all'inferno

Mi sveglio per pisciare ma la vescica è vuota e quel fastidioso stimolo non passa. Mentre mi aggiro preoccupato fra bagno, cucina e sala inizio a sentire un fastidio al rene sinistro che aumenta progressivamente fino a diventare dolore e poi continua ad acuirsi, sempre più forte. Penso che sia una colica renale. Faccio giusto in tempo a prepararmi una borsa dell'acqua calda prima di sprofondare.
Crollo sul divano della sala. È l'una e mezza di notte e non voglio disturbare. Si tratta di aspettare poche ore prima che si svegli Maria ed eventualmente mi porti al pronto soccorso. Intanto lascio dormire lei e i medici; se devo soffrire, preferisco farlo da solo e che nessuno veda la mia espressione e l'orrore di quegli occhi che ogni volta che passo davanti allo specchio dopo aver vomitato sono sempre più scavati dalla sofferenza. Ogni volta 5 anni in più. Ormai ho superato i 70. Quanto potrò andare avanti ancora?
Il tempo non passa mai. Ogni minuto è pieno di lunghissimi secondi di sofferenza. Non sopporto più di stare sdraiato, fermo con quel dolore acuto e continuo; so che alzandomi il dolore aumenterebbe ma sono arrivato al punto che preferisco alzarmi aumentando consapevolmente il dolore piuttosto che continuare a soffrire sempre nello stesso modo. Le coliche non finiscono? Vorrei fare una ricerca google ma lo studio è troppo lontano e arrivato a metà strada, devo tornare a sdraiarmi. E se fosse un tumore? Manca lucidità e senza google tutto diventa possibile. Quando si sveglierà Maria dovrò dirle che non possiamo partire, perché siamo bloccati qui all'inferno per l'eternità.
La tv è spenta davanti a me. Guardo lo schermo nero. Non la accendo. Non servirebbe. È impossibile distrarmi; non vedrei niente con lo sguardo rivolto di dentro, verso quell'impulso nerissimo che sovrasta e oscura tutto il resto.
Dopo 3 ore di sofferenza incessante comincio a pormi domande assurde. Vale la pena vivere così? Mi butterei di sotto? A parte che mi trovo al piano terra e la sola idea di salire le scale mi sembra improponibile, constato che l'idea proprio non mi attrae per niente. La risposta, per fortuna, è chiara. Mi spaventa l'idea di essermi posto la domanda. Ma era interesse puramente teorico. Almeno credo.
Verso le 5 e 30, dopo 4 ore all'inferno, il dolore cala quel tanto da lasciarmi cadere stremato nel sonno.
Mi sveglio con lo stomaco nel caos ma il dolore al fianco è cessato quasi del tutto.
In questi momenti ci si sente rinascere e si apprezza, con ogni minuscola cellula, la bellezza di essere vivi. Semplicemente. Vivi, con quel magico tepore che ci nasce dentro ad ogni respiro.

martedì 19 dicembre 2017

Pantofole2 - Trappola mortale

Due piccole bare
Un minuto di silenzio per tutte le vittime delle pantofole: ne hanno uccisi più loro dell'eroina …
La prima volta.
Di solito te le regalano per un compleanno, ti fai una bella risata pensando ad uno scherzo, ti lasciano ridere da solo con un sorriso imbarazzato, ti torna in mente un episodio di qualche giorno prima quando avevi intravisto un anziano dietro ad una vetrina, per poi accorgerti che quella vetrina era uno specchio o, quell'altra volta, quando un ragazzo si era alzato per offrirti il suo posto sull'autobus e, finalmente, ti rendi conto. Io invece me le sono comprate da solo! Erano sempre state lì esposte sullo scaffale del supermercato ma non le avevo mai notate o prese in considerazione. E invece quel giorno l'occhio mi ci si è appiccicato sopra e non ho saputo resistere a quella morbida trappola, pur sapendo che una volta indossate sarebbe stato difficile uscirne.
Assuefazione.
Ricordo ancora la sensazione di morbidezza che provai la prima volta: mi sembrava di camminare su una nuvola. Dopo qualche tempo, le pantofole del supermarket non riuscivano più a farmi provare quella sensazione e le ho cercate più morbide; ora poi non riesco ad indossarle se non hanno il pelo dentro.
Astinenza.
Quanta gente è morta o ha ucciso altra gente in incidenti stradali solo per arrivare un minuto prima a casa ad infilarsi le pantofole?
Overdose
Calzature infide, che ti portano comodamente fino all'uscio di casa ma poi non ti lasciano andare oltre o, al massimo, ti fanno accasciare su una panca accanto alla porta, di fronte alla strada o al giardino, ad ascoltare le voci dei bambini, i cinguettii degli uccelli, a guardare passare la gente, i cani, la vita.

domenica 17 dicembre 2017

Giancarlo corre – tapasciando al colle

Mi tasto le tasche per la quarta volta. Poi svuoto lo zaino e lo riempio per la seconda volta. Dovrei avere più fiducia in me. Le chiavi dell'auto infatti erano al loro posto, buone buone, in auto, ad aspettarmi.
Tapasciando. Foto di Fernando Usai
Bella gara al colle. Attardatomi in chiacchiere, alla partenza mi sono ritrovato nelle retrovie e ho dovuto slalomare superando con impeto grintose camminatrici per poter raggiungere il mio ritmo superiore di 4'40. Troppo veloce; si suda. Ok, devo rallentare per togliermi la giacca e legarla, elegantemente, alla vita. Controvento, cerco riparo dietro ai più corpulenti per poi superarli con passo leggero appena si cambia direzione.
Arriva la salita e sembra di scalare il monte bianco; ho dovuto camminare per non far scoppiare il cuore poi, dopo la vetta, ho lasciato andare le gambe e superato atleti di un certo livello. In discesa, i piedi, resi poco reattivi dallo scarso allenamento, sbatacchiano sull'asfalto facendo il tipico suono “tapash-tapash” dell'appoggio tacco-punta; spero che nessuno lo noti; faccio finta di non sentirli e mi diverto facendo le pieghe in curva. Con lo slancio della discesa cerco di tenere la velocità anche in pianura ma ho già corso più di 3 chilometri e sono un po' stanco. Avvicinandomi al traguardo faccio lo sprint al contrario per sembrare rilassato all'arrivo. È non competitiva e non c'è nessuno che arrivi con me per un bello sprint per la centordicesima posizione. Pazienza, vanno tutti dritti per gli altri 2 giri della competitiva. Nonostante ciò, ho anche i miei bei tifosi, quelli personali, i più belli di tutti. Arrivo soddisfatto. 4 km a 4'45 al km e ho camminato davvero poco. Ormai sto prendendo gusto al tapasciare; basta non allenarsi e si riesce a faticare anche andando piano, almeno quel tanto da saziare la voglia di correre, giustificare un ricco buffet e avere qualcosa da raccontare.
Sono uscito dalla crisalide. La metamorfosi da sacchettaro a tapascione è ormai completa.

domenica 3 dicembre 2017

Cagliari respira - Tutto bene, a parte me.

Tutto bene ... a parte me. Foto di Gavino Sole
“Vengo a correre se mi sveglio e non c'è arietta”. Alle 7 sono sveglio e le pale eoliche di Macchiareddu giacciono immobili: mi tocca andare. Mi guardo allo specchio: ho ancora il segno degli occhialini anche se sono 6 mesi che non vado in piscina. Avevo sentito dire: “domani dalle 8 alle 11 piove.” Il sole sfida, anzi, irride gli annunci fatti senza condizionale e i creduloni del meteo offrendoci una mattinata ideale per correre.
Dimentico tutto e comincio a pensare al fatto che, con una giornata così bella, potrei fare tutta la mezza. Dimentico me, il “tutto bene, a parte me” che sta diventando la mia risposta standard ai “come va?”.
Nell'ultimo mese, i miei lunghissimi consistevano nell'affiancare i master del mio gruppo nei 4-6 giri di pista del riscaldamento per scambiare due chiacchiere e decidere l'allenamento della serata prima di lasciarli andare e hanno quindi sfiorato i 2 km e mezzo ma l'ambiente è così familiare e coinvolgente che me ne scordo e penso ad indossare qualcosa di leggero per correre meglio.
Lo scarso allenamento poi non ha migliorato il mio quadro patologico e ogni volta che corro un po' più veloce o un po' più a lungo dei 5 giri di riscaldamento mi succede qualcosa che se fossi ipocondriaco morirei dalla paura di morire ma nel calore della grigliata di partenza me ne scordo e mi infilo davanti ai camminatori.
Con Priamo. Foto di Claudia Lazzara
Lo sparo è lontano ma in poco più di un minuto riesco a passare sotto lo striscione e inizio a superare con la mia classica progressione. Il lungo da 2km e mezzo non è sufficiente e la mia progressione imperiale si ferma ad un ritmo intorno a 4'30. Poi si ferma con i figli di Rita, poi con Priamo, Poi torno indietro a salutare Paolo. Poi con Gavino, poi ad un ristoro e di nuovo con Priamo. Sento dolorini alla schiena e alle gambe, sento i 5 kg in più e i 1000 km in meno. La maglietta nuova non basta a volare; “jumpin' jack flash” suonata dal vivo sì, ma è un voletto di pollo e mi ritrovo starnazzante a terra 20 metri dopo.
Dopo averla ignorata la prima volta, seguendo l'indicazione “21” ora non mi lascio sfuggire l'indicazione per la “6km” che mi fa l'occhiolino e curiosamente coincide con la scritta sul mio pettorale: “non competitiva”. Sono io. Ora capisco.
Gioisco per gli altri: Priamo che finisce la sua prima mezza, i bravissimi figli di Rita, tutti gli atleti della mia squadra e moltissimi altri amici, tutti contenti. Qualcuno non lo vedo da molto e ho tempo di parlarci, altri riesco solo a salutarli. Insomma è la solita bella festa e mi sono divertito davvero molto.
A parte me, è andato tutto benissimo!

venerdì 1 dicembre 2017

Vieni, Tore!


Sopravvivere è una condizione necessaria per vivere bene
Un eroe rischia la sua vita per salvare quella di altri. Chi la rischia per divertimento non è un eroe ma un incosciente. È più eroico riuscire a rinunciare al pericolo sacrificando una parte del piacere presente per quello futuro e non spaventarsi di fronte alla prospettiva di vivere cento anni da pecora. Restare vivi è condizione necessaria per provare piacere e divertirsi e chi rischia la vita commette un ingiustizia nei confronti del sé stesso del futuro che vorrebbe esistere per divertirsi anche lui. Come direbbe Brassens, morire per la gloria, va bene, ma di morte naturale.
Vieni, Tore, unisciti all'armata dei leoni inidonei. Andiamo a goderci la vita, fino in fondo, senza fretta. Chi va piano va sano e … non va molto lontano, a meno che non abbia un mucchio di tempo. Ma ad ogni differente scala di lunghezze, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo, corrisponde un mondo diverso, tutti ugualmente complessi e meravigliosi. Basta rinunciare all'infinito e concentrarsi sugli infiniti particolari del finito, rinunciare alla totalità per nutrirsi di dettagli, di ogni filo d'erba di questo prato. Sarà una nuova fase di crescita, anche se verso il basso, verso l'interno. Una fase di ingrandimento verso il minuscolo per fare di ogni sasso una montagna e poi scalarla col respiro leggero e senza affanno. Siamo già stati mille volte al di là dell'orizzonte. Smettiamo di inseguirlo, ora è il tempo di soffermarsi a guardarlo. Per i prossimi cento anni da pecora, non ci resta che rallentare il cuore, alleggerire il respiro e masticare, masticare, masticare …

mercoledì 29 novembre 2017

Un istruttore velleitario alle scuole elementari

Questo caos che vedete è il mio metodo di lavoro, non è mancanza di metodo.
Non ho nessuna esperienza pedagogica ma sono uno “scienziato” capace di osservare fenomeni e razionalizzarli e mi ci è voluto poco per capire che i bambini contengono uranio-235. Basta concentrare un certo numero di bimbi in uno spazio limitato e agitare leggermente che essi entrano in risonanza innescando una reazione a catena che sprigiona energia nucleare. Da dove esce tutta quell'energia? Come fanno, quegli esserini così piccoli a sprigionare megatoni di gioia urlante? Uranio-235, non c'è dubbio. Io, per ottenere il massimo del risultato nell'insegnamento dell'atletica, cerco di lavorare in questo caos supercritico. Basta infatti indirizzare anche solo una piccola parte di quell'energia pazzesca verso l'obiettivo pedagogico desiderato per ottenere risultati impensabili. Certo che indirizzare quell'energia verso l'apprendimento delle tabelline potrebbe essere complicato. Indirizzarla, invece, all'apprendimento di attività motorie appare quasi naturale. Sotto massa critica sono più attenti, ordinati, silenziosi ma si stancano subito, vanno più piano, hanno male di qua e di là. In condizione supercritica, invece, la stanchezza non esiste, dopo ogni caduta si rialzano senza un lamento, corrono come dei fulmini e non si fermerebbero mai.
Ogni cambio di gioco richiede lo spegnimento e la riaccensione della reazione con dispendio energetico dell'istruttore e l'utilizzo di dosi massicce di fischietto ma ne vale la pena. Ogni volta sembra un miracolo. Pigiare il bottone d'innesco e guardare esplodere la gioia infantile è uno spettacolo terribile e bellissimo allo stesso tempo. Si deve tenere ben saldo il controllo della barra di piombo (fischietto), perché quando le urla superano un certo livello, anche il suono del fischietto rischia di fondersi con il nocciolo, mister whistle perde il controllo e l'esplosione potrebbe uscire dalla palestra; è rischioso e faticoso ma ne vale la pena. Per dirigere quell'orchestra scatenata ci vorrebbero megafono e tappi nelle orecchie ma ormai mi sto ambientando nel personaggio dell'istruttore ingegnere atomico e, immerso nell'urlo continuo dei bimbi, mi sento quasi a mio agio. “Urlate sottovoce che se no svegliate i vostri compagni che stanno facendo lezione!” Guardo le maestre temendo uno sguardo di muto rimprovero per la battuta irriverente e per il caos. Qualcuna non capisce, cerca di intervenire e tentando un “in fila per uno” resta travolta, reagisce e rovina il gioco, altre sorridono divertite. È dura ma ne vale la pena. Loro sono il futuro e il caos è il metodo. E come se ne vale la pena!

martedì 14 novembre 2017

Mandrolisai o mandrononlisai?

Mandrolisai o mandrononlisai? Questo è il dilemma. Cerco facili risposte nel cibo, poi nella stufa a pellet e infine nel vino. La bottiglia di mandrolisai si svuota ma anche il terzo bicchiere, quello della salute, quello della “veritas”, del wiki-vino, continua a porre domande. Dopo averlo visto mezzo pieno, il bicchiere inevitabilmente si svuota. Ottimismo di merda.
Al bicchiere, preferisco la tazza: L'ottimista la mattina si alza dal cesso, guarda in giù e vede la tazza mezza piena … Il pessimista invece, la mattina si alza dal cesso guarda in giù e vede la tazza mezza vuota
Dal punto di vista del significato metaforico, il bicchiere mezzo pieno rappresenta la tendenza ad apprezzare ciò che si possiede piuttosto che a pensare a ciò che manca, (presente) mentre la tazza mezza piena rappresenta la tendenza ad apprezzare ciò che si è fatto piuttosto che rimpiangere ciò che si sarebbe potuto fare (passato). Per quanto riguarda il futuro, poi, la visione positiva porta a mezza azione mentre quella negativa a mezza inazione. La verità è che non cambia un cazzo e il bicchiere ora è vuoto.

Ma io resto ottimista e la mattina mi alzo dal cesso, guardo in giù e vedo la tazza mezza piena di piscio color rosa speranza ...

domenica 5 novembre 2017

Piove, governo ladro!

Sono dell'idea che le istituzioni, quando elette democraticamente, meritino rispetto, se non altro per il rispetto che si deve a tutti gli imbecilli che le hanno votate.

Non vale solo per le istituzioni politiche nazionali ma anche per gli amministratori locali, assessori comunali, presidenti eletti di associazioni, federazioni sportive … La critica non dovrebbe mai essere denigratoria ma costruttiva, deve puntare alle “cose”, ai fatti. Poi, ci saranno le elezioni per cambiare le “persone” e tutti noi elettori saremo chiamati nuovamente a scegliere chi rappresenti adeguatamente la nostra imbecillità.

I politici sono espressione del popolo che li ha eletti a propria rappresentanza; perciò, quando un popolo si scaglia contro la propria “classe politica” è come se si scagliasse contro sé stesso e allora, forse, è meglio fuggire all'estero aspettando che gli passi l'attacco di schizofrenia.

Psicoterapia di massa. “Sogno di essere ricco ma poi mi sveglio che non lo sono abbastanza e mi rode lo stomaco. È grave dottore?“ “Parli, si rilassi e continui a parlare ...”

venerdì 3 novembre 2017

Ciclisti kamikaze

Oggi ho scoperto che malati terminali, ciclisti professionisti e terroristi islamici sono uniti da un fattore comune: tutte queste categorie usano (o abusano) uno stesso medicinale. Il "tramadol" è stato trovato nel sangue di 675 ciclisti e di un terrorista, nelle borracce di molti giovani dilettanti e nei covi dei terroristi del bataclan.
Tutti pronti a morire. Vedremo terroristi pedalare in salita ai 30 all'ora e ciclisti gettarsi addosso ad altri ciclisti in sprint kamikaze.
È inquietante. Lasciamo gli antidolorifici a chi soffre davvero e il mal di gambe e la percezione del pericolo a chi è vivo, che la sofferenza è vita, vita pesante, concreta, reale.
In fondo in fondo, potrei anche capire i ciclisti ma i terroristi no. Che martiri siete se non volete soffrire? Siete solo dei dopati del martirio. Vergogna, squalifica e revoca del paradiso.

martedì 31 ottobre 2017

Challenge Forte Village – Alex Zanardi

Foto di Claudia Lazzara
Al triathlon del Forte Village, ho avuto l'onore di fare da “apripista” in bici per Alex Zanardi nella frazione di corsa. Devo stargli davanti alla distanza giusta perché trovi strada libera quando passa con la sedia a rotelle. Siccome la sua velocità varia moltissimo con la pendenza, devo guardarmi continuamente alle spalle per sapere dov'è. Fischio e urlo in continuazione ai malcapitati concorrenti che intralciano il nostro incedere veloce: “stai a destra! Keep the right!” “Arriva Zanardi! A wheelchair is coming!” Lungo la prima discesa mi sorprende con la sua velocità e me lo trovo quasi appiccicato dietro. Accelero per dargli strada e passiamo in mezzo al ristoro a 40km/h; temo la strage ma va tutto liscio. La discesa finisce con una curva a gomito a sinistra. Mentre guido la bici, fischio, guardo avanti e indietro e mi sbraccio per segnalare ad Alex la curva. Passata la curva, sento stridere i freni, mi giro e lo vedo spuntare sano e salvo. Mi tranquillizzo, forse sopravviveremo. Ha corso per anni in formula uno e 40 km/h nel circuito di Santa Margherita non dovrebbero spaventarlo. 200 metri dopo c'è una nuova breve discesa e un'altra curva a gomito a sinistra. Questa volta, sono più rilassato e segnalo la curva con meno vigore. Sento stridere i freni, mi giro e lo vedo sparire fra i cespugli. … non faccio in tempo a svenire che rispunta sano e salvo. Non faccio in tempo a tornare indietro che si è già rimesso in strada. “Tutto a posto, sono di gomma!” Grande Alex! Al secondo giro ho preso confidenza col mio compito e comincio a divertirmi e sentirmi partecipe della sua impresa. Ammiro la grinta con cui spinge in salita e la precisione delle traiettorie che nelle curve gli fanno sfiorare il margine della carreggiata. Anche io ho preso la misura e tutto viene più facile. Alla funzione di “apripista” e di “guida” aggiungo anche la funzione “incita ad incitare”, con un gesto in su delle mani a stimolare un applauso dal pubblico e poi indietro ad indicare lui, il grande Alex.
Siamo arrivati. Mi fermo fuori dal campo. L'onore e il pubblico sono per lui. Con 1h09, abbiamo fatto il miglior tempo nella mezza!
Aspetto che finiscano le interviste per presentarmi: “sono stato il tuo apripista, com'è andata?” “Sei stato un grande! Vi siete divertiti quando sono caduto?” Chiede con tono scherzoso. Quello davvero grande sei tu, vorrei dirgli ma è già andato via.
Quando capita un incidente che toglie qualcosa, si può vivere una vita minore oppure cambiare direzione e tirare fuori il meglio di sé con ciò che resta. Senz'altro, Zanardi ha scelto questa seconda strada. Penso anche ad un mio collega, Andrea, che da quando una malattia gli ha tolto la vista, ha tirato fuori doti di ironia, intelligenza e capacità relazionali che quando era “contabile” restavano nascoste nei cassetti della scrivania o in famiglia; “sto vivendo il miglior periodo della mia vita” afferma ora con orgoglio.
Dovremmo imparare da loro a considerare i problemi, anche quelli grossi che ci tolgono qualcosa d'importante, come stimolo per fare il meglio possibile con ciò che ci resta.
Anch'io, col mio piccolo handicap non posso certo lamentarmi di ciò che mi offre ora la vita. Ho le gambe, cazzo, e la vista. Accompagnare altri atleti o fare l'istruttore, mi costringe poi a tirare fuori doti relazionali che, da vecchio orso, non pensavo di avere superando, all'occasione, anche il limite vertiginoso delle 200 parole pronunciate in un solo giorno.
200 parole al giorno sono sufficienti per esprimere tutte le cose sensate, originali o utili per sopravvivere che un uomo di intelligenza normale come me può concepire in 24 ore. Chi ne pronuncia di più sta chiacchierando. ... al diavolo ... e che chiacchiera sia! Grazie Alex!

domenica 29 ottobre 2017

Forte Village triathlon ...


Al secondo giro della frazione di corsa, accompagno l'ungherese Ildiko che è l'ultima in gara. Sentito che le parlo in inglese, decide di togliersi il terribile dubbio che le gira in testa da almeno 5 ore, chiedendomi informazioni dell'uomo sulla spiaggia. “I have bad news” le dico semplicemente, confermando quello che probabilmente già sapeva.

Ho provato a premergli il torace ma eravamo in acqua e non ci riuscivo proprio” mi racconta in inglese con negli occhi l'espressione di chi ha vissuto un incubo. L'acqua che cede inconsistente al tentativo di massaggio cardiaco ricorda quel senso di assoluta impotenza che si prova negli incubi più terribili. Poi mi racconta che gli ha tenuto la testa fuori dall'acqua mentre lo trasportavano, morente a riva.

Ci sarebbero tante altre cose da raccontare di questa giornata in cui ho accompagnato anche il mitico Alex Zanardi, ma ne scriverò forse dopo. Ora scivola tutto in secondo piano

Quando raggiungiamo il belga Ugo, la sprono ad andare avanti: “Go, you are a great woman!” Risponde con un dolcissimo sorriso ma non ci liberiamo da quel senso di tristezza ed impotenza che ormai pervade anche me. La consapevolezza della tragedia ha schiacciato come un macigno questa bellissima gara.

sabato 28 ottobre 2017

Challenge Forte Village – preview

L'ottobre sardo è un mese con tre avvenimenti sportivi straordinari: l'UTSS, la Sardinia Ultramarathon e il Challenge Forte Village. Non me ne vogliano gli organizzatori del trail di Capoterra, che poi sono io, se non li cito, ma questi tre eventi sono davvero speciali. Qualcuno, maldestramente, ha provato a fare una graduatoria fra di loro ma è impossibile, viste le diverse caratteristiche che li contraddistinguono: il primo è al top per quanto riguarda la valorizzazione di uno dei territori più straordinari del mondo, il secondo è praticamente ineguagliabile per quanto riguarda l'ospitalità e il terzo organizzativamente è un'eccellenza a livello internazionale.
Dopo diversi anni in cui ho partecipato come atleta ad almeno due di questi eventi, quest'anno sono riuscito ad intrufolarmi nei primi due dalla porta di servizio. Ormai sono uno specialista delle gare al contrario, quelle viste dal didietro, quelle dove viene premiata la lentezza, quelle dove vince chi resiste più tempo in gara. È un onore accompagnare questi grandissimi atleti che con passione, grinta e coraggio affrontano sfide che sembrano più grandi di loro. E, sia pure da quella posizione, sono riuscito anche a godere della magnificenza della natura della prima gara e dell'incredibile ospitalità della seconda.

Mi manca solo la terza. Ma un modo lo troverò, a costo di scavalcare la rete; il cartello “fine corsa” sarà mio!

domenica 22 ottobre 2017

Blade Phone 2049

Il futuro è inquietante, per lo meno in California e nel campidanese. Il mondo, sconvolto dalle conseguenze dello sfruttamento dell'uomo e di guerre nucleari, non avrà più le mezze stagioni. I replicanti Nexus, disubbidenti e obsoleti, nascondono un segreto sconvolgente. La svolta drammatica avviene però quando meno me l'aspetto: durante l'intervallo fra il primo e il secondo tempo. Il gran fracasso di quel futuro rumorosissimo si quieta per 5 minuti. Nel silenzio della sala semi-deserta sento un “plic”. Dalla provenienza del suono, capisco che si tratta di un oggetto caduto dalle mie tasche. Le luci si spengono. L'agente K ormai indaga su sé stesso, sulle sue origini. Anch'io indago su me stesso. Mi tasto le tasche, faccio un inventario e capisco che l'oggetto caduto è l'i-phone appena ereditato da Francesco in sostituzione del telefono perduto per sempre in supramonte solo 2 settimane prima. Mentre K cerca di recuperare il telecomando per ologrammi ostacolato dalla tirapiedi di Wallace, io infilo con indifferenza la mano fra i sedili per provare a recuperare il cellulare ma nessuno dei due ci riesce. Gli intrecci della trama si complicano. Deckard non ha lasciato niente al caso, ha pensato a tutto. Se fosse caduto 5 minuti prima o due minuti dopo, non avrei certo sentito il rumore e quasi sicuramente l'avrei perso ancora prima di inserire la scheda SIM. I replicanti saranno la salvezza del mondo o la sua condanna? Chi sono i buoni? I replicanti sono più umani degli umani? Dove si sarà infilato il cellulare? Joe trova la pace ma, sui titoli di coda, la tensione resta alta e tutti questi interrogativi restano senza risposta. Con finta indifferenza mi infilo fra i sedili della fila dietro. Mi chino e, con nonchalance, raccolgo il cellulare e lo metto in tasca. “Tutto a posto” dico a Maria che mi guarda con aria interrogativa. Ora il mondo è salvo davvero.

mercoledì 18 ottobre 2017

Corro ergo S.U.M. (Sardinia Ultra Marathon)

Scusa René … Grazie Carlo per l'ispirazione.

Foto di Luca Nicelli
Corro ergo S.U.M. L'indubitabile certezza che l'uomo ha di sé stesso in quanto essere fisico si esprime al meglio qui alla Sardinia Ultra Marathon (S.U.M.). Corro dunque sono, vivo, esisto. Qui si trova un bignami della vita, condensata in 2 giorni. La fisicità dell'essere espressa nella corsa, fino a sfinimento. La socialità, nella sua espressione migliore, come piacere di condividere, di aiutarsi o, semplicemente, di stare insieme ... 24 ore su 24, anche alle 4 del mattino. Il rapporto con la natura, sia quella magnifica ricca di profumi e di alberi millenari che quella ostile come quando la natura si fa polvere nera che si aggrappa alle scarpe e si solleva cercando di coprire e compenetrare tutto in ricordo di quando era eruzione vulcanica mortifera.

Parto dal fondo, supero, incoraggio, mi prendo una storta. Riparto dal fondo, risupero, mi fermo a fare una visita turistica all'area archeologica. Riparto dal fondo, supero, incoraggio e ora sto andando al mio ritmo. Alla salita del km 12 mi rendo conto che sto forzando più di quanto dovrei. Il rapporto con il mio cuore è ora di rispetto reciproco, in attesa di accertamenti che mi dicano che posso ricominciare a maltrattarlo, decido di salire al passo. Ad ogni ristoro mi fermo a scambiare due parole con i ragazzi che ho visto lì tutti gli anni; forse è un congedo. Molti mi sorprendono e, in pochi secondi, colgo qualche particolare della loro essenza, della loro grandezza. Lo stesso succede con i compagni di viaggio. Ci sono colleghi di lavoro o vicini di casa che ho incrociato migliaia di volte nel corso degli anni, vedendone solo la buccia, qui, invece, in un momento reso magico dalla fatica e dalla festa, le persone si aprono, io ci entro dentro e mi godo lo spettacolo.
L'esistenza è anche sfida e sofferenza. La gastrite mi ha lasciato vuoto e la storta mi fa zoppicare. Ho perso l'abitudine a questo. Che ci faccio qui? Non sono in gara, sto soffrendo per niente. All'ultimo ristoro mi siedo su una sedia da spettatore, a bere una birra dopo l'altra e intanto mi godo i passaggi degli atleti, tutti rallegrati dalla festosa accoglienza … Sara, Sabrina “gorgonzola”, silenzio parla Agnese .... Sono quasi deciso a restare a guardare lo spettacolo fino alla fine in compagnia del mitico muggine ma quando vedo Alessandra ripartire senza esitazione, decido di partire con lei per farmi trasmettere un po' di quella grinta. Succhio la sua e poi quella di Agnese, faccio finta di accompagnarle e motivarle ma sono io quello che ha più bisogno di motivazioni o, forse, ne gioviamo entrambi. Si entra in risonanza e le poche energie si esprimono con una grande spinta comune. Alla fine dei 30 km del primo giro io sono arrivato e le guardo partire senza esitazione verso il secondo giro, quello che rivoltandoti dentro-fuori, ti fa uscire ogni dubbio esistenziale.



Fra un panino, una birra e una chiacchiera mi preparo a vedere gli arrivi. Faccio il tifo per il mio fantasma di 6 anni prima che, per una volta, non lotta contro di me ma per restare nella top 10. I primi due campioni lo fanno scivolare al decimo posto, poi arriva Filippo che completa il podio ma era già in classifica. Aspetto Davide, che sta facendo una gran gara ma, allo sprint la spunta il mio fantasma. I secondi decidono che sono ancora nella top10 all time, al decimo posto. Ma questi sono numeri. L'essenza della vita è altrove, è nella birra, nel maiale arrosto, nelle facce stravolte ma felici di chi arriva. Teo, Marco, Silvio, Leonarda, Massimo, Mimmo, Donatella, Salvatore, Gigi, Manuela, Lorenzo, Bruno, Checco, Alessandra, Agnese …
Il mio percorso esistenziale riprende in infradito da doccia. Percorro a ritroso il tracciato di gara per andare incontro a Benedetto e poi percorrere con lui l'ultimo chilometro con i sassolini a spingere sule piante dei piedi per togliere ogni dubbio.
E infine arriva Maria Cristina con il suo sovraccarico di sensazioni ed emozioni che esplode in un pianto liberatorio, lasciandola con l'indubitabile certezza di sé stessa.
Corro ergo S.U.M.

lunedì 16 ottobre 2017

Sardinia Ultramezzamarathon

Sono passate ore e sono stremato; la testa è ovattata, non sento più le gambe … ogni tanto sono costretto a fare una pausa. La resistenza è ormai al limite. Credevo di essere vicino alla fine ma ricomincia un altro giro. Sono ormai alla frutta. Non ha nessun senso continuare. Non ce la faccio proprio più! La decisione è sofferta ma inevitabile: mi ritiro. Mi devo proprio alzare da questa tavola..

Quando il medico sportivo mi disse che non mi avrebbe rinnovato il certificato, gli chiesi se, per favore, mi potesse permettere di partecipare ad un'ultima gara d'addio.
Avrei voluto godere di quel “gusto particolare dell'ultima volta” che si prova solo quando gli addii sono consapevoli. Avrei voluto organizzare una festa per godermi consapevolmente l'ultima gara con gli amici. Pensavo che il posto migliore per chiudere fosse proprio qui a Macomer,
Mi guardò pensando “questo è pazzo”. E così eccomi qui lo stesso ma in versione ridotta, in veste semi clandestina con un permesso di soggiorno di Tonino ma senza idoneità né per la corsa né per l'abbuffata agonistica.
Sono venuto con l'idea di fare un giro su due alla 20km e un giro su due alla 60 km. Ero convinto però che, per la legge di conservazione del momento angolare, avrei compensato i due giri in meno sul percorso con due giri in più a tavola. Invece, nonostante la partenza sprint, la gastrite latente mi ha bloccato completamente dopo il primo giro; ho capito allora che anche il momento angolare ha data di scadenza e non si conserva in eterno; col passare degli anni tutto gira più piano e quest'anno dimezzeranno anche i giri al buffet. Ed è un vero peccato vedere tutto quel ben di dio entrare in bocche altrui … ecco il motivo della mia espressione affranta durante la cena. Anche lo stomaco ha le gambe stanche e indolenzite e quello che doveva essere il mio pezzo forte si è risolto in un misero bluff. 

Ma nonostante tutto è stata davvero una bellissima festa piena di gente straordinaria.
Come dice l'ingegnere “grazie a tutti, nessuno escluso”
Nessuno, neanche “quello delle 4”
Mi sveglio sentendo rumori e vedo la luce accesa. Guardo l'orologio. “4h19? Sono pazzi questi!” Penso ad alta voce. Anche la mosca si sveglia e comincia svogliatamente a fare il suo lavoro di mosca, svolazzandomi intorno senza convinzione, anche lei infastidita dalla sveglia anzitempo. Intanto la macchinetta del caffè lavora, mascelle masticano, la macchinetta del caffè fa il bis … . Alle 4h40 la luce si spegne. La mosca torna a dormire beata. Io faccio i miei conti. La gara parte alle 8h30 a 20 metri da qui. Ha fatto colazione. Gli restano 4 ore per cagare.
17 minuti più tardi, ecco quello delle 5 che fa suonare la sveglia alle 4h57. 3 minuti d'anticipo perché non si sa mai, 3 ore per cagare potrebbero non bastare.

Quello delle 4 alla fine farà un'ottima gara, arrivando quinto assoluto e resterà convinto che fare un pasto 4 ore prima della partenza sia essenziale per ottenere il rendimento ottimale in gara. Io resto convinto che dormire sia almeno altrettanto importante.
Ma grazie anche a te.
Mi ripeto ma, come dice l'ingegnere “grazie a tutti, nessuno escluso”.
Perfino quello del microfono con il suo crescendo di fuochi artificiali di cazzate ha contribuito ad animare la serata.
Alla fine non ho sentito quel retrogusto amarognolo dell'ultima volta per cui non riesco a dire addio. Arrivederci all'anno prossimo.

giovedì 12 ottobre 2017

Memorie di un atleta cazzaro – La Sardinia Ultramarathon

Dopo 8 edizioni, sono ancora nella top 10 all time della Sardinia Ultramarathon (60km).

Calcaterra, … , Pisani, … , Olmo.
Essere in questo elenco, insieme a tanti campioni e a due veri miti, per me è un sogno, tipo quello che avevo da bambino, di abitare in un'enorme torta alla panna. Quest'anno, alla partenza, ci saranno Pablo Barnes, Georg Piazza, Giuliano Cavallo e Davide Cheraz, atleti di livello nazionale che, con una schicchera, mi butteranno fuori da quella lista. Prima di venire sfrattato, lasciatemi però leccare le pareti e scavare col dito in questo elenco di panna montata.

Non è stato facile entrare in quella lista. 2 anni prima, alla mia prima partecipazione, avevo seguito “quasi” alla lettera la tabella di Pizzolato per la Pistoia-Abetone; non avevo fatto la 20 km del sabato e nessuna “gara a caso della settimana prima” ma, nonostante ciò, a metà gara ero già a pezzi e non mi ero ritirato solo perché ero secondo. L'avevo finita in 5h13 e con i quadricipiti maciullati. Da allora ho mollato il Pizzolato per seguire il Brizzolato che mi ha portato a questo risultato con un programma sperimentale personalizzato. Per ottenere quel risultato, mi sono infatti inventato esercizi specifici come il “minimo sindacale”, il “gli straordinari”, il “3 in 1” e la “gara a caso della settimana prima”, tutti allenamenti per i genitali, eseguiti rigorosamente nell'ordine dei numeri del lotto estratti sulla ruota di Napoli.

Sono arrivato alla gara con “due palle così” e mettendo in fila cinque “minimo sindacale”, con gli “straordinari” ero riuscito a staccare Davide Ribichesu e ad arrivare terzo, ad un soffio da Trentadue e 20 minuti da Re Giorgio.
Morale?
Liberatevi delle tabelle e imparate ad ascoltare il cazzaro brizzolato che è dentro di voi o, se non lo avete, ascoltate me!

E ora, vediamo chi osa buttarmi fuori da questa lista; mi difenderò con il cucchiaino fra i denti!



Legenda:
Il “minimo sindacale” sono 12km da fare entro un'ora. Sostituisce il “riposo” delle tabelle tradizionali. Tipicamente, interviene il giorno dopo o il giorno prima di allenamenti duri o gare impegnative. Si parte con le gambe doloranti ma si deve andare avanti, senza nessun dubbio o esitazione, per non essere licenziato. È un allenamento per la testa e per i genitali.
Il “gli straordinari” è basato sullo stesso principio ma si attacca subito dopo una gara o un allenamento veloce. Tipicamente erano 7 km corsi a ritmo “ultra” fra 4'30-5'00 dopo una 21 corsa a 3'50. Una volta ho fatto il “3 in uno” con: riscaldamento; 12km a ritmo mezza (3'45); 10km a ritmo maratona (4'00) e 8 km a ritmo ultra (4'45). Programmato ed eseguito.
Ciliegina sulla torta del programma, è la “gara a caso della settimana prima” che, in questa occasione, era un triathlon medio corso a tutta 7 giorni prima e concluso al tredicesimo posto. Ha lo scopo di divertirsi e di offrire una scusa in caso di fallimento.

mercoledì 11 ottobre 2017

UTSS – Scopa forever

Servizio scopa
S. Maria Navarrese, sono le 5h55' del 7 ottobre. Maria Vittoria è appena arrivata; vedo nella sua auto volare oggetti vari, confusione animata dal panico; alla fine ne esce con scarpe mai usate, la frontale con le batterie completamente scariche e senza il pettorale, portato via da una folata di vento. Alle 6 in punto gli altri partono. Io l'aspetto e partiamo con quasi 5 minuti di ritardo nella semioscurità dei miei avanzi di batteria. Per fortuna c'è ancora la luna. In breve schiarisce e le meraviglie si disvelano: la guglia di perda longa si staglia sempre di più sullo sfondo del mare. Il bianco e nero si colora di verde e di azzurro. Raggiungiamo Francesca, riservata e decisa e poi l'arzilla Adele che con la sua allegria copre i meravigliosi silenzi del supramonte. La terribile salita è addolcita dal ritmo tranquillo, dalle chiacchiere e dallo spettacolo della natura. Si passa a metà di una parete verticale di centinaia di metri che apre la porta del mondo di pietra. Nella prima discesa raggiungiamo anche Marina.
Donne straordinarie. Una con una bambina piccola, l'altra ultrasessantenne, la terza in sandali infradito ad affrontare la più dura delle sfide tutte con leggerezza e animate da vera passione per la natura; Maria Vittoria vorrebbe abbracciare gli alberi, Adele appesantisce lo zainetto di pietre e insegue gli asinelli per carezzarli, Marina carezza le pietre con i piedi e mi parla di ragni lupo.
Sono l'uomo delle pulizie e rappresento la fine ma loro non hanno paura di me. L'importante è essere qui, ora, non come va a finire. Maurizio, invece, ogni volta che si accorge che mi sto avvicinando cambia ritmo per non farsi raggiungere. La quarta volta, glielo faccio notare. Ride e si arrende. In discesa tenta di nuovo la fuga ma alla salita fra Sisine e Luna deve cedere al destino e alla stanchezza. Lo vedo spegnersi pian piano. Si aggrappa agli alberi, poi si ferma guardando con aria sconsolata il sentiero che non smette mai di salire. A me era già chiaro da un pezzo, ora lo capisce anche lui. Inesorabile, lo sto accompagnando con risoluta gentilezza verso la fine.

Terra!
Dalla tolda, l'avvistamento. Quasi come la ciurma sfinita di Cristoforo Colombo che, dopo giorni di attesa, vede l'America o come astronauti che, dopo avere trascorso mesi sulle pietre rossicce di Marte, tornano a vedere il pianeta verdeazzurro, così anche noi dopo diversi chilometri di rocce aguzze e abbaglianti ci emozioniamo alla vista del tenue color marrone della terra morbida e fertile. È solo un'isoletta lunga 5 metri in mezzo ad un oceano di pietre ma l'urlo mi scappa: terra! .

Aminoacidi
Gli aminoacidi essenziali sono molto più digeribili della salsiccia e un mix di fruttosio e glucosio con la giusta dose di sali minerali è molto più sano della birra. Il dottor Giordano mi aveva convinto. È bastata però la vista di un salamino a fette e di una bottiglia di birra per azzerare i miei propositi salutistici. Li tengo per la prossima volta; del resto, l'ha detto anche lui, è sconsigliato cambiare all'improvviso. Il gusto della birra, per me, è uno dei 50 motivi per correre e neanche l'ultimo. Mi preparo un mezzo panino pieno di aminoacidi ingarbugliati sotto forma di salamino e pecorino. Quelli ramificati, altri essenziali e altri utilissimi per il gusto. Sicuramente sbaglio, ma mi piace così.

Il calvario dei ritirati.
Con la mano sinistra in avanti, passo il transponder alla mano destra di Francesco protesa all'indietro. La mia frazione da scopa finisce qui, a cala Luna al km 46. Ultima birra, almeno credevo e posso accasciarmi. Soffia un forte grecale. Il mare oggi mi respinge e tuona impetuoso. L'accesso al mare di cala luna è impraticabile e il servizio raccolta eco-differenziata avverrà via terra. I ritirati vanno conferiti più su, 500 metri più in alto. Cedo a Maurizio il posto in jeep e accompagno Marina e Adele lungo l'ultima interminabile via crucis. Il sole pian piano si spegne, e noi con lui. Le parole scarseggiano ma restano i sorrisi, ora addolciti dalla fatica.
54km: da prima dell'alba a dopo il tramonto. La giornata è completa e anche noi.

Il ritorno
Sono sul pullman. Dopo essere tornato a Capoterra a prendere copia delle chiavi che avevo smarrito alla partenza della gara, devo ritornare a S. Maria Navarrese a recuperare l'auto. Il richiamo del supramonte è forte ma non pensavo mi facesse tornare così presto, con tale urgenza. Ho dovuto prendere un giorno di ferie, così mi resta il pomeriggio da riempire, nel modo migliore.
A Tortolì mi viene il dubbio che le chiavi che ho pescato dal cassetto e messo in tasca stamattina, sovrappensiero e obnubilato dal sonno, non siano quelle dell'auto che sto andando a recuperare. Non controllo subito, non ho fretta; mi prendo il tempo per riflettere sugli imprevisti, sugli eventi che fanno girare la vita in modo non deterministico. Spesso li definiamo “contrarietà” e li respingiamo ma è grazie a loro che la routine diventa “vita”. Senza problemi di salute non avrei fatto la scopa, se non avessi perso le chiavi dell'auto non sarei tornato qui. Finisco di prendere il caffè, pago, poi, prima di risalire in pullman, tasto la tasca, infilo la mano dentro e … ecco la W di evviva. Questa volta sono stato proprio bravo.
Eccomi di nuovo a S. Maria Navarrese. Fra venerdì e domenica non ero riuscito ad entrare in mare. Ecco perché le chiavi mi hanno fatto fare questo viaggio ulteriore. La mia auto è parcheggiata a lato della spiaggia. Il mare che voglio è però a quasi due ore di cammino su un sentiero in cui rimane qualche segnavia arancione. Oggi sono ancora più lento; calzo sandali come Marina e ho la lentezza degli ultimi; vedo particolari, accarezzo gli alberi e posso deviare per mettere i piedi, la bocca e tutto il viso in acque sorgive. Poi, lascio i segnavia che salgono e continuo ancora per un po', il sentiero non scende, continua “seaside”, fra i 50 e i 100m più in alto, sempre parallelo al mare. Per il quinto postulato ci congiungeremo nell'infinito euclideo, fra un'eternità. Ma mi manca l'eternità, non ho tutto questo tempo e mi butto giù per una scarpata per raggiungere l'infinito e immergermi in quel sottofondo blu.
foto di Fabio Moro

domenica 8 ottobre 2017

UTSS – Intro. La cura del calcare.

Sono cardiopatico, piscio sangue, ho un mal di schiena che mi ha impedito di correre negli ultimi 10 giorni, soffro di gastrite e ieri notte mi è venuto un crampo che mi ha lasciato il polpaccio dolorante. I pochi fans che mi sono rimasti sono tutti antinfiammatori e per nulla steroidei.
Il mio cellulare, affascinato dal calcare, ha deciso di abbandonare il mondo delle telecomunicazioni per fare la pietra ed è saltato giù dalla spallina del mio zaino. E ora sono senza cellulare.
Anche le chiavi dell'auto mi hanno abbandonato, prendendo la fuga nella confusione prima dello start. Ebbene sì, la chiave volkswagen in cerca di padrone che faceva finta di essersi smarrita di cui parlava lo speaker era la mia. Nessuno l'ha voluta e domani la incatenerò di nuovo al portachiavi ma intanto sono anche senz'auto.
Per il resto sto perfettamente e tutto va bene.
Ci penserà il calcare a rimettere tutto a posto. Almeno questo è il mio piano. Sarà una passeggiata della salute fisica e mentale.
Il dottor Giordano, con la sua professionalità, mi ha convinto di ciò. Il calcare cura quasi tutto. Il carbonato di calcio serve alla contrazione dei muscoli e al nutrimento delle ossa. Poi, questo lo aggiungo io, riempie gli occhi, con i suoi ghirigori appuntiti, guglie, muri verticali; e riempie la mente con i suoi vuoti – buchi misteriosi e immensi, voragini, abissi.
Per completa guarigione, mi serviranno dosi massicce: 54 km e 13 ore d'immersione completa.
Foto di Antonio Monni

venerdì 6 ottobre 2017

Fantasmi del passato

Ogni volta che compiamo un'azione ben definita, come correre una maratona, completare un sudoku o anche solo preparare una torta di mele, “blip”, quasi senza che ce ne accorgiamo, una parte di noi si stacca e ci lasciamo dietro qualcosa di incorporeo, una scia, un odore … ; come una flatulenza, generiamo un fantasma.
Siamo noi, non siamo noi, poco importa; il tempo ci distacca e, immediatamente perdiamo ogni contatto, complicità o simpatia con loro. Ci somigliano molto a dire il vero ma fra noi resta solo rivalità e confronto.
Qualcuno di loro si dissolve nell'oblio ma tutti gli altri si ripresenteranno ogni volta che ripeteremo quell'azione; li ritroveremo lì, alla partenza della gara, ridacchiando col dito puntato, commentando fra loro con aria di sfida: “ma cosa crede di fare quel vecchio?”.

La cosa strana è che è grazie a quegli ectoplasmi schifosi che ci miglioriamo. Sono il nostro stimolo, la sfida continua che ci porta a crescere. È con loro che dobbiamo sempre confrontarci; gli altri, quelli con un numero diverso attaccato alla maglietta, sono solo dei concorrenti anch'essi con i loro ectoplasmi schifosi da distruggere; dobbiamo essere solidali e stimolarci reciprocamente. Gli unici veri avversari sono quegli spiriti pallidi che ci stanno davanti lasciando una scia nauseabonda e non c'è soddisfazione maggiore che batterli, lasciandoli ammutoliti dall'umiliazione.

Col passare degli anni, i nostri fantasmi continuano ad aumentare di numero e a batterci sempre più spesso; allora è finito il tempo della crescita. Per non restare soffocati dall'aria stantia che si portano dietro, conviene arrendersi e cercare sfide nuove in cui possiamo ancora migliorarci. Finalmente si respira. La finestra si apre, l'aria fresca entra e se li porta via; se ne vanno per sempre, lasciando solo una medaglia, una foto sorridente e un bel ricordo.

martedì 3 ottobre 2017

Professionalità


“Vorrei solo che fosse chiaro che questo caos che vedete è il mio metodo di lavoro e non mancanza di metodo”.
ASD. Io sono Associato, Sportivo e Dilettantistico nel profondo. La passione e il divertimento sono il mio motore. Quando però si tratta di gestire un corso per bambini, bisogna essere (e possibilmente anche apparire) professionali. Si lavora a gratis ma non alla cazzo. Flessibilità e disponibilità sui dettagli, passione come motore ma regole precise sulle cose importanti, sicurezza in primis.
Professionalità vuol dire avere fatto il corso per l'utilizzo del defibrillatore ma anche ricordarsi la sigla del corso: BLS-D, ho dovuto controllare, che se sbagli la sigla puoi salvare lo stesso la vita ma fai un'impressione peggiore che se non hai fatto il corso.
Vuol dire specificare che la bottiglia d'acqua dev'essere liscia e da mezzo litro che se è ruvida o da un litro fa troppo male sulla testa. Specificare che le calze per la palestra devono essere antiscivolo omettendo di precisare “e senza buchi”.
Vuol dire fare giardinaggio per sistemare la buca del salto in lungo estirpando col rastrello carote e rape che ci stanno crescendo e, subito dopo, pulire i cessi prima che ci entrino i ragazzi e ripulirli dopo che sono usciti visto che lo scarico non funziona. Vuol dire andare dall'assessore a parlare di sciacquoni invece che del futuro dello sport nel paese.
Vuol dire sapere quali sono i propri limiti tecnici e farli conoscere ai genitori; se sei istruttore fai l'istruttore il meglio possibile e non l'imitazione dell'allenatore che, può essere bella da vedere ma, alla lunga, viene fuori il bluff e i danni ai ragazzi.
Vuol dire accettare la concorrenza come stimolo per migliorare e diventare ancora più professionali. Non rinunciare, in nessun caso, alle regole del rispetto e della lealtà anche nei confronti di chi non le rispetta. L'educazione allo sport, infatti, è anche educazione al confronto con gli altri, al rispetto delle regole e dei concorrenti (mai “avversari”), al riconoscimento della dignità della sconfitta quando conseguita nonostante l'impegno, al rispetto e alla valorizzazione delle diversità … tutte facoltà troppo spesso dimenticate in un mondo che esalta il “successo” come unico risultato possibile. Chi non applica queste regole nel confronto quotidiano con gli altri, anche se concorrenti, non potrà mai insegnare ai ragazzi i veri valori dello sport. Anche questa è professionalità, imprescindibile, al pari di quella tecnica.
Professionalità quindi, vuol dire investire un sacco di tempo, di lavoro, fatica e anche ingoiare qualche rospo pur di tenere alta la testa. 
E poi arrivano loro, Cristian, Eleonora, Alessia, Alessandro, Danila e Lorena e capisci che
finché ci saranno loro, ne varrà la pena e pensi solo a divertirti e a farli divertire.

sabato 30 settembre 2017

Il mistero delle unghie dei piedi

Un filo di speranza
"Bello questo regalo, grazie, mi servirà come un'unghia di piede". Più che una parte del corpo è un eufemismo. A cosa serve quel mezzo guscio di cozza? Cosa sarà mai? Un atavismo? Un parassita? Uno strumento di tortura? Un optional dimenticato da Dio? Una mutanda del dito verme? Nessuno lo aveva ancora capito. L'ipotesi mutanda era la più accreditata, visto che il dito verme fa come me e, quando la mutanda diventa nera, se la cambia. L'ipotesi è caduta però quando, calata l'unghia, non è stata rilevata traccia di genitali neanche al microscopio elettronico.
Io ne ho lasciate decine sotto il cuscino sperando che la “fatina delle unghie” mi facesse diventare ricco. Ma niente, neanche un euro. Una volta, esasperato, le lasciai scritto un bigliettino: “fatina delle unghie, ti lascio la mia unghia sotto il cuscino ma questa volta non voglio soldini. Tu che sei tanto bella e magica, esaudisci solo un mio piccolo desiderio: ti prego, non farmi più ricrescere quest'unghia del cazzo.”
Tutto inutile, tirchia da morire e "bella e magica" come un pelo del naso.

Ora però, grazie alla mia esperienza decennale, finalmente, sono riuscito a risolvere il mistero della loro funzione fisiologica. E, per la serie “misteri miseri”, prima ancora della “vita segreta degli auricolari”, vi svelo ora “il mistero dell'unghia del piede”.
Probabilmente furono ideate dal DNA di Steve Jobs durante una pausa caffè corretto con doppia vodka. Non è altro che una app organica per la misura dell'intensità dell'attività podistica.
Aggiorna i piedi alla versione “uomo moderno” – che se giri ancora in sandali, non funziona – installa l'unghia e guardandoti i piedi, in un attimo, puoi capire se stai correndo troppo o troppo poco. Per applicarlo non ci vuole la laurea in scienze motorie, basta saper contare fino a 10. Contate il numero di unghie nere (o assenti) – se avete le mani occupate, potete contare direttamente con le dita dei piedi – e leggete il risultato del test qui sotto.

0) Mela col verme. I tuoi piedi sono un coacervo di dito-vermi rosa pallido. È probabile che invece il sedere sia livido per l'eccessivo appoggio. È disgustoso e anche pericoloso. Muoviti se non vuoi finire come una mela marcia e svegliarti un mattino con uno dei dito-verme che ti spunta dalla pancia.
1) Un filo di speranza. È come una gobba dell'ecg dopo qualche secondo di segnale piatto. Un piccolo segnale di speranza che va coltivato; non riporre ancora il defibrillatore nell'apposita confezione 1, 2, 3 … Scarica!
2,3) Minimo sindacale. Potete uscire dal reparto rianimazione. Il vostro pallore podalico è impressionante ma ci siete quasi; qualche chilometrino in più e ...
4-6) In medio stat virtus. Siamo al numero di unghie nere ideale. Il massimo sarebbe averle, alternatamente, una bianca e una nera, come una tastiera di pianoforte.
7-9) Né carne né pesce. Le unghie ancora bianchicce sono brutte lì in mezzo, stonano. A questo punto o rallentate o aumentate ancora il chilometraggio per arrivare a ...
10) Zombie. Perfino i dark-post punk-death metal vi invidieranno il look. Potete esibire i piedi con orgoglio ai ritrovi dell'orda del quartiere prima di andare in giro a cercare gustosi esseri umani con le unghie bianchicce da sbranare.
10-20) State cominciando a strisciare anche con le mani. È il caso che vi fermiate e, quando e se mai ci riuscirete, rialzatevi.