mercoledì 18 ottobre 2017

Corro ergo S.U.M. (Sardinia Ultra Marathon)

Scusa René … Grazie Carlo per l'ispirazione.

Foto di Luca Nicelli
Corro ergo S.U.M. L'indubitabile certezza che l'uomo ha di sé stesso in quanto essere fisico si esprime al meglio qui alla Sardinia Ultra Marathon (S.U.M.). Corro dunque sono, vivo, esisto. Qui si trova un bignami della vita, condensata in 2 giorni. La fisicità dell'essere espressa nella corsa, fino a sfinimento. La socialità, nella sua espressione migliore, come piacere di condividere, di aiutarsi o, semplicemente, di stare insieme ... 24 ore su 24, anche alle 4 del mattino. Il rapporto con la natura, sia quella magnifica ricca di profumi e di alberi millenari che quella ostile come quando la natura si fa polvere nera che si aggrappa alle scarpe e si solleva cercando di coprire e compenetrare tutto in ricordo di quando era eruzione vulcanica mortifera.

Parto dal fondo, supero, incoraggio, mi prendo una storta. Riparto dal fondo, risupero, mi fermo a fare una visita turistica all'area archeologica. Riparto dal fondo, supero, incoraggio e ora sto andando al mio ritmo. Alla salita del km 12 mi rendo conto che sto forzando più di quanto dovrei. Il rapporto con il mio cuore è ora di rispetto reciproco, in attesa di accertamenti che mi dicano che posso ricominciare a maltrattarlo, decido di salire al passo. Ad ogni ristoro mi fermo a scambiare due parole con i ragazzi che ho visto lì tutti gli anni; forse è un congedo. Molti mi sorprendono e, in pochi secondi, colgo qualche particolare della loro essenza, della loro grandezza. Lo stesso succede con i compagni di viaggio. Ci sono colleghi di lavoro o vicini di casa che ho incrociato migliaia di volte nel corso degli anni, vedendone solo la buccia, qui, invece, in un momento reso magico dalla fatica e dalla festa, le persone si aprono, io ci entro dentro e mi godo lo spettacolo.
L'esistenza è anche sfida e sofferenza. La gastrite mi ha lasciato vuoto e la storta mi fa zoppicare. Ho perso l'abitudine a questo. Che ci faccio qui? Non sono in gara, sto soffrendo per niente. All'ultimo ristoro mi siedo su una sedia da spettatore, a bere una birra dopo l'altra e intanto mi godo i passaggi degli atleti, tutti rallegrati dalla festosa accoglienza … Sara, Sabrina “gorgonzola”, silenzio parla Agnese .... Sono quasi deciso a restare a guardare lo spettacolo fino alla fine in compagnia del mitico muggine ma quando vedo Alessandra ripartire senza esitazione, decido di partire con lei per farmi trasmettere un po' di quella grinta. Succhio la sua e poi quella di Agnese, faccio finta di accompagnarle e motivarle ma sono io quello che ha più bisogno di motivazioni o, forse, ne gioviamo entrambi. Si entra in risonanza e le poche energie si esprimono con una grande spinta comune. Alla fine dei 30 km del primo giro io sono arrivato e le guardo partire senza esitazione verso il secondo giro, quello che rivoltandoti dentro-fuori, ti fa uscire ogni dubbio esistenziale.



Fra un panino, una birra e una chiacchiera mi preparo a vedere gli arrivi. Faccio il tifo per il mio fantasma di 6 anni prima che, per una volta, non lotta contro di me ma per restare nella top 10. I primi due campioni lo fanno scivolare al decimo posto, poi arriva Filippo che completa il podio ma era già in classifica. Aspetto Davide, che sta facendo una gran gara ma, allo sprint la spunta il mio fantasma. I secondi decidono che sono ancora nella top10 all time, al decimo posto. Ma questi sono numeri. L'essenza della vita è altrove, è nella birra, nel maiale arrosto, nelle facce stravolte ma felici di chi arriva. Teo, Marco, Silvio, Leonarda, Massimo, Mimmo, Donatella, Salvatore, Gigi, Manuela, Lorenzo, Bruno, Checco, Alessandra, Agnese …
Il mio percorso esistenziale riprende in infradito da doccia. Percorro a ritroso il tracciato di gara per andare incontro a Benedetto e poi percorrere con lui l'ultimo chilometro con i sassolini a spingere sule piante dei piedi per togliere ogni dubbio.
E infine arriva Maria Cristina con il suo sovraccarico di sensazioni ed emozioni che esplode in un pianto liberatorio, lasciandola con l'indubitabile certezza di sé stessa.
Corro ergo S.U.M.

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