lunedì 27 febbraio 2017

Volare ...

Forse c'è qualcosa che non va. In tutta una settimana bianca sono caduto solo una decina di volte.
Quand'ero ragazzo, alla mia prima settimana bianca, le cadute erano state almeno un centinaio. Sto forse invecchiando?
Sono caduto 0 volte in sci da discesa. Li ho usati solo per un giorno ma, guidato da Gildo, ho percorso quasi tutte le piste del comprensorio “3 cime” senza cadere neanche una volta. Erano 5 anni che non sciavo quindi le condizioni per qualche caduta c'erano tutte ma questi sci “moderni” sono troppo sicuri ed è quasi impossibile perderne il controllo. Ho provato ad andare troppo veloce, a fare le gobbette, a fare una pista nera, ad andare anche fuori pista per qualche pezzetto ma niente. Nonostante le mie scarse capacità, solo una volta stavo per perdere il controllo: una gobbetta inaspettata mi ha impedito di completare una curva costringendomi alla massima pendenza; il tempo di riprendere l'assetto e la velocità era già salita ben oltre i limiti di sicurezza; un attimo di emozione poi una frenata da acido lattico fulminante mi ha permesso di riprendere il controllo lasciandomi con i quadricipiti in fiamme e il cuore a mille. Un giorno intero senza cadute, quasi tutte le piste fatte, compresa la splendida pista UNESCO che dalla Croda Rossa scende al passo Monte Croce, e per tutta la settimana non ho sentito il bisogno di riprendere gli sci da discesa. Per altri 5 anni sono soddisfatto.
Sono caduto una volta correndo. Correre sulla neve e capire come le tacchettature delle speed cross si comportano a seconda del colore e della lucentezza della neve è divertente. Le mie impronte in certi punti erano più profonde di una scarpa intera mentre in altri tratti erano solo leggere scalfiture nella neve dura: un millimetro di meno e sarei finito per terra. Però, a parte qualche mezza scivolata, ho fatto una sola vera caduta ma è stato un bel volo di soddisfazione, in discesa, con atterraggio alla boeing 747, per lungo, in avanti.
Sono caduto 3-4 volte camminando. Quando il ghiaccio è visibile e occupa tutta la strada, non si può correre. Non basta però camminare attaccati ad una ringhiera per evitare di cadere. Il piede parte e immediatamente il sedere finisce per terra. Belle cadute classiche, soprattutto quelle col pubblico che aspettava fiducioso di vedermi per terra.
Sono caduto 3-4 volte in sci da fondo. Qui, quando comincia una discesa, bisogna valutarne la pendenza. Se si resta nei binari quando si acquista troppa velocità si potrebbe deragliare in curva con conseguenze imprevedibili. Si può allora tentare un'uscita controllata dai binari ma, agli incapaci come me, capita che il primo sci, fuori dal binario, comincia ad allargarsi impedendo di poggiarci su il peso per fare uscire anche l'altro; il triangolo isoscele formato dalle due gambe si allarga fino a che l'angolo con vertice nel sedere diventa ottuso, come dimostra l'impronta stampata per terra. Bellissima la sciata fino al fondo della val Fiscalina e soprattutto il rientro in discesa, di sera su neve mezza ghiacciata, dopo un ottimo pranzo arricchito da un paio di birrone. La pista, ormai chiusa, mi invitava continuamente a lanciarmi senza pensare alle conseguenze. In una quindicina di chilometri ho incontrato solo il gattone delle nevi che mi ha costretto a buttarmi da un lato.
Sono caduto 4-5 volte in slittino, facendo mitiche gare con i ragazzi. È fantastico buttarsi giù per la prima pista della vita, superare tutti in posizione super aerodinamica e quando arriva il tornante chiedersi “e ora come faccio a girare?” Poi, dopo aver sbattuto in velocità contro il parapetto in legno, scoprire con meraviglia di essere ancora tutto intero e ripartire a tutta fino alla prossima curva ...
Il gusto è lì, al limite fra il controllo e la mancanza di esso. È lì che l'adrenalina entra in circolo trasformando il placido bue Lorenzo in un toro da combattimento. Sono quegli attimi da supereroe che lasciano con la palpebra semichiusa e il sorriso ebete.

mercoledì 22 febbraio 2017

Il ventunesimo dito

Anche oggi, come ieri, decido di uscire sul presto a correre sulla neve per un paio d'ore. Alle 8 sono già fuori, così alle 10 sarò di ritorno, pronto per l'escursione familiare in sci di fondo.
Obiettivo il rifugio “tre scarperi”, nella valle campo di dentro. Ieri, dal crinale del monte Elmo vedevo le cime dolomitiche che sovrastano il rifugio e avevo deciso di andarle a vedere da più vicino.
Si corre bene, prima sulla neve battuta a lato della pista da fondo, poi, entrato nella valle campo di dentro prima sul sentiero poi sulla strada ricoperta di neve. Qualche breve tratto è ghiacciato e fa parte del divertimento continuare a correre provando a non cadere.
Sono vestito come ieri ma qui è più freddo: sul fondo valle di mattina non arriva il sole. In più oggi soffia un bel vento freddo ma ho pensato a tutto. Indosso la maglia termica che mi copre braccia e torace. Ai piedi ho le ottime speed cross che non fanno entrare la neve. Le mani sono coperte da guantini appositi, gli occhi e parte del viso da occhiali da sole. Sento però, fra le gambe, una sensazione di bruciore e mi rendo conto che un unico punto del corpo è rimasto esposto alle intemperie: mi si sta congelando il ventunesimo dito! Indosso un pantaloncino corto senza mutande e la giacca antivento arriva fino al basso ventre ma non copre la zona genitale. In Alto Adige a 1500 metri di quota in un mattino invernale con un vento a -10 gradi, l'ho coperto solo con un sottilissimo strato di lycra! Per paura delle conseguenze di un eventuale assideramento sulle sue funzionalità organiche, lo copro con una mano e mi accorgo che è praticamente annichilito. Tento un massaggino per ripristinare la circolazione ma desisto subito. Ci vorrebbe ben altro. Lo so perché non è la prima volta che tenta la fuga e si ferma solo un attimo prima di sparire del tutto. È successo altre volte, nel finale di ultramaratone. Anche allora avevo tentato inutilmente di ripristinare un aspetto decente per essere presentabile entrando in doccia. Per fortuna non succede solo a me e, da questo punto di vista, le docce maschili post ultramaratona sono molto diverse da quelle dei centometristi, con tutte le dita ancora protese in avanti verso il fotofinish.
Per un attimo mi distraggo guardando la parete imponente della "punta dei tre scarperi”, sempre più vicina, poi penso alle dita dei piedi di Messner, amputate in seguito a congelamento. Ricordo anche racconti di alpinisti che hanno perso qualche dito della mano; in realtà non ho mai sentito racconti di amputazioni del ventunesimo dito per cause analoghe ma forse non se ne parla solo perché è argomento scabroso … Però, anche con la mano destra fissa a coppetta a fare da mutanda, si corre proprio bene. Finalmente si apre il fondo valle in una magnifica piana circondata da pareti dolomitiche ed ecco il rifugio.
Sarebbe bellissimo allungare, facendo il giro della piana; non fosse per quel piccolo particolare starei benissimo ma non ho tempo e voglio salvare l'intimità. Mi giro e inizio la goduriosa discesa balzando leggero sulla stradina innevata. Il vento ora è alle spalle e piano piano torna la sensibilità. È una sensazione dolorosa ma molto tranquillizzante.
Alla fine, ho salvato tutto; senza l'inesperienza di un sardo sulle dolomiti, sarebbe stato proprio magnifico. La prossima volta indosserò mutande di pelliccia.

lunedì 13 febbraio 2017

Nuovi equilibri

Dopo 7 km di prologo con gli amici ultratrailer e un'altra ventina con Paolo e il gruppo dell'atletica Pula, manca l'epilogo. Sono stanco, un po' per il ritmo sostenuto, brillante, anche se intervallato da numerose soste per ricompattare il gruppo, un po' per stanchezza arretrata, un po' per la bottiglia di vino che mi sono scolato ieri sera per mandar giù tutte quelle castagne che mangiavo per riuscire a vuotare il bicchiere. L'ultimo fondo nell'ultimo bicchiere poi aveva un forte retrogusto di zampirone e anche se non sono una zanzara mi ha lasciato un segno a spirale nell'intestino.
Teo, Stefano e K. Decidono di fermarsi e tornare a casa. Resto solo, stanco, completamente fuori zona comfort; sono le condizioni ideali per cercare nuovi equilibri.
La prima salita mi porta, prima su strada poi su sentiero, verso i 500m di Conca Mojo. Non riesco a salire veloce perché mi viene l'affanno. Devo dimenticare il mio ritmo abituale e cercare un equilibrio diverso. Ma quando sono arrivato su pensando che per oggi ne avevo avuto abbastanza e che la strada comoda per la discesa era ormai raggiunta, si è inserito il pilota automatico che al bivio mi ha portato, senza esitare, nell'altra direzione. Come una signorina tom-tom, cerco di ricalcolare una nuova rotta che mi consenta di tornare all'auto col minor sforzo possibile. Ma niente da fare: automaticamente, imbocco il sentiero che allunga salendo ancora nel bosco. La stanchezza mi fa soffrire e non mi diverto più a correre, neanche in discesa, ma non sto male. Quando sono circondato dal bosco, con i rami che mi sfiorano o con i piedi nell'acqua dei ruscelli, mi sento nel posto giusto. Ho raggiunto un nuovo equilibrio fra sofferenza e piacere che mi potrebbe portare avanti quasi all'infinito. In altre tre occasioni mi ha portato a scegliere non già la strada più comoda ma quella più bella, senza esitare, come se ci fossero le indicazioni segnaletiche di una gara. È l'equilibrio che cercavo, non solo per raggiungere lo zen, ma soprattutto per raggiungere traguardi altrimenti impossibili.
Sì, perché non si può sperare di raggiungere un traguardo dopo 60, 90 o più chilometri senza mai andare in crisi. Dopo ogni crisi bisogna cercare un nuovo equilibrio e io sono contento perché oggi ne ho trovato uno buono, di quelli che trascinano in avanti.

giovedì 9 febbraio 2017

compleanno


Un altro anno compiuto e sono 52. È tempo di bilanci.

Se il mio obiettivo fosse vivere il più a lungo possibile direi che ho compiuto un passo avanti. Più che alla quantità, però, punto alla qualità, a vivere nel miglior modo possibile. Più che al numero di respiri, alla loro profondità e anche su questo direi che è stato un anno proficuo.

Ma l'uomo è un animale sociale e se volessi meritarmi il paradiso, oltre a godermela, dovrei puntare a trasmettere un alone di benessere anche a chi mi vive intorno. Certo su questo potrei migliorare e ci sto ancora lavorando. Basterebbe, per esempio, un gesto semplice come lavare le nike che spesso uso anche in ufficio, per migliorare sensibilmente le qualità organolettiche del mio alone.

Ma basta un alone? L'uomo, ambizioso per natura, vorrebbe lasciare un segno del suo passaggio nell'universo; un piccolo passo verso il progresso che compensi, almeno in parte, il fatto di aver trascorso una vita a trasformare ottimo cibo in merda e CO2. Non un alone effimero, quindi, non un'impronta nella sabbia destinata a sparire insieme a lui ma una piccola impronta fossile. E se non può lasciare il segno personalmente, vorrebbe almeno generare un figlio che possa lasciare il segno o che, se non riuscisse a lasciare il segno personalmente, almeno generi un figlio che …

Io non so se voglio lasciare un segno, forse un alone effimero mi basta. Forse è meglio vivere bene e, quando è ora, andarsene via, senza sporcare. Non ne sono sicuro. Fra 365 giorni ci ripenserò e troverò la soluzione a questo dilemma esistenziale. Intanto, per sicurezza, un paio di figli li ho generati e potrò concentrare il mio impegno nel godermi, il più possibile, un altro anno di vita. Prosit, e che il mio alone sia con voi!

martedì 7 febbraio 2017

Villacidro skyrace - prova percorso

Sabato ho provato, per voi, il percorso di gara della Villacidro Skyrace del 9 aprile. Per capire le sensazioni di un runner di medio livello, ho portato la mia controfigura: un podista anzianotto irrigidito dalla ronda.
Contento di rivedere gli amici, anche se assetati di vendetta. Lascerò che si sfoghino contro questo pupazzo che mi assomiglia.
Sulla prima salita di “riscaldamento” al 30%, Zac guida con una corsetta leggera. Enrico e Teo lo seguono con lo stesso passo. Io penso “sono pazzi” e arranco dietro camminando. Continuo a pensare: “li lascio stancare poi li supero” Per un po' riesco a tenere la loro andatura, poi cedo qualche metro, finché si fermano ad aspettarmi. In termini tecnici, mi stanno “asfaltando”. Dopo una breve discesa, si segue il profilo orografico: la via più naturale per non bagnarsi i piedi nel rio coxinas è seguire la linea di cresta. Non siamo pesci, siamo aquile e voliamo sulle creste di Monte Omu, punta Margiani e Santu Miali. Sempre più in alto. Si corre obliqui, piegati dal vento a 50 km/h e da pendenze al 30%.
Profumo di timo selvatico riempie il naso, balsamo per i polmoni scoppiati, viste aeree riempiono gli occhi dalle creste spoglie. Pietre riempiono i piedi. È terreno per capre; non avendo portato le ali, l'ideale sarebbe avere quattro zampe motrici.
Ultima discesa. Inseguo a distanza Zac e Teo che scendono come fulmini sul sentiero pietroso. Io soffro ma cerco di non farmi staccare troppo. Enrico mi sta dietro e in certi tratti mi sembra che si stia staccando. Poi mi spiegherà che stava dietro e a distanza di sicurezza perché aveva paura che gli cadessi addosso. Piedi, caviglie, ginocchia e cosce sono irrigiditi dalla stanchezza in parte residua dalla ronda, in parte fresca di giornata e il mio passo è insicuro. Mi rendo conto che qualche incapace qui potrebbe cadere e decido di provare per loro la qualità del terreno in caso di caduta. Inciampo col destro su una pietra e Enrico mi vede per terra. Se lo aspettava: “ecco, lo sapevo” ma non riesco a cadere. “Tranquillo, sono abituato a questi mezzi inciampi” ma nell'ultimo tratto pietroso, già in vista del paese, riprovo e questa volta finisco per terra, sulle pietre. La sensazione è di terreno duro, non troppo abrasivo ma contundente. I punti di contatto con le pietre del suolo lasciano una sensazione intensa di “legnata con bastoni di rovere” che sfuma lentamente lasciando un retrogusto di bastonata di mandorlo. Mi rialzo subito ma ho dolori al ginocchio e alla caviglia e scendo piano piano scortato da Enrico e Teo mentre Zac va avanti a prendere l'auto per risparmiarmi l'ultimo tratto di asfalto in paese. Che umiliazione. Ritiro in prova percorso! Teo ed Enrico, almeno in apparenza, si sono presi una bella rivincita. Tranquilli, quello che hanno asfaltato non ero io ma la mia controfigura. Io tornerò in tutto il mio splendore per la prossima gara al Marganai.

In conclusione, percorso bellissimo e molto duro, l'ho sentito sulla pelle. Le difficoltà non vanno sottovalutate e qualche incapace potrebbe anche cadere. Riservato agli amanti della montagna che verranno ampiamente ripagati dalle sofferenze e agli amanti della sofferenza che godranno a sbattere contro la durezza della montagna.

venerdì 3 febbraio 2017

Ronda Ghibellina

Alla partenza, i miei obiettivi erano chiari:
  1. arrivare fra i primi tre della squadra per dimostrare di non essere solo una mascotte
  2. arrivare fra i primi 5 vecchietti ultracinquantenni per salire sul podio e conquistare il sacchetto
  3. battere il molise nella classifica delle regioni
  4. raggiungere entro 5 ore e mezza il boccalone di birra riservato ai finisher
  5. ultimo ma più importante di tutti: divertirmi!
Il molise, forse per paura, non si è neanche presentato; quindi, l'obiettivo numero 3 è stato raggiunto senza colpo ferire.
La mattina è bella ma fredda. L'ideale per provare la maglia termica comprata il giorno prima. Con 50 euro di maglia termica, vuoi che non riesca a battere Teo e la sua maglia decathlon da 20?
Mentre Enrico si scalda correndo con i top runners, noi ci scaldiamo col calore umano della folla ammucchiata dietro la linea di partenza. Lui partirà veloce, come al solito e sono sicuro che non lo vedrò più fino al traguardo. Noi si sta come spumanti a capodanno: conto alla rovescia, qualcuno toglie il tappo e sgorghiamo.
Scena prima. Strade di Castiglion Fiorentino. Si corre in salita verso il centro del paese. Diego mi supera a gran velocità. Non vedrò più neanche lui, penso. Stefano mi ha superato poco prima e Teo è partito davanti. Sono ultimo della squadra maschile. L'incubo “mascotte” si sta realizzando. Tengo lo sguardo attaccato a Teo, non è lontano e ci giocheremo i posti di mascotte e portaborse. In un tratto di leggera discesa lo raggiungo e supero con uno sguardo di sfida. Ricambia lo sguardo ma non mi segue. Sposto lo sguardo su Stefano, l'unico dei nostri ancora in vista. Si passa nella bella piazza del paese ma ho occhi solo per lui e lo vedo allontanarsi.
Scena seconda. Km 4. Ora siamo nel bosco, su un sentiero in ripida salita. È difficile superare ma stare in coda non mi piace e colgo ogni occasione buona per passare qualcuno. Poco avanti a me ecco di nuovo Stefano; lui sta buono in fila, è prudente e conserva energie per dopo; io non penso al futuro, sono qui, ora, vivo, mi diverto e lo raggiungo. Un saluto, una mano sulla spalla e supero anche lui.
Scena terza. Ristoro del km 17. “Ciao Lorenzo” “Ciao Diego, non ti avevo riconosciuto! Cosa fai qui? Ti sei fermato a mangiare?” “Sì ma ora riparto”. Riparto anche io. Poco dopo, in salita, inserisco la spinta dei glutei, lo supero e lo perdo di vista.
Scena quarta. Sono quasi al trentesimo chilometro.“Oh Lorè” mi volto e dietro di me si materializza Enrico. “che ci fai là dietro??” “Mi sono dovuto fermare per problemi intestinali, è la terza volta”. “Allora sono primo dei sardi!” Io vado a passo costante. Enrico invece alterna momenti in cui va piano ad altri in cui corre veloce. Ho ancora buone gambe, sono un po' doloranti ma obbediscono e quando Enrico accelera, provo a seguirlo aumentando un po' il livello di sofferenza e ci riesco. Quando poi rallenta, lo supero. Continuiamo così, alternandoci per qualche chilometro. Mi diverto perché sto bene … forse qualcuno non capisce come si possa stare bene soffrendo, ma è così.
Scendendo sul fondo erboso di in un frutteto, lo vedo un po' rigido e lo supero. Lungo la successiva salita forzo leggermente il passo, mi volto e non lo vedo più. Mi sento un drago. L'orsetto di peluche questa volta ha staccato, con le sue zampette pelose, uno alla volta, tutti i componenti della squadra.
Scena quinta. Astronave “Nostromo” in rotta veloce verso il traguardo con a bordo i 5 obiettivi. Lasciata la strada si entra nel bosco. Il terreno è morbido e correrci sopra è una goduria. Non c'è sottobosco e si corre in piena libertà, su fondo naturale, slalomando fra alberi e rocce. Starei proprio bene, non fosse per una strana sensazione di alieni sottopelle che tentano di uscire. I polpacci si stanno per ribellare e cominciano a tremolare scossi da piccole contrazioni estemporanee. Mancano meno di 10 km e nel punto in cui il sentiero esce dal bosco per ritornare sulla strada, arriva il primo crampo duro. Mi devo fermare per scioglierlo. La battaglia con l'alieno dura una ventina di secondi e riesco a domarlo. Riparto con grande cautela. Dietro non arriva nessuno. Progressivamente riesco ad accelerare anche se sento una nidiata di xenomorfi che mi cresce nei polpacci. Si sale di nuovo e riesco anche a raggiungere un ragazzo più in crisi di me. Mi accorgo che la maglia da bici è bagnata di sudore e che la borraccia con i sali è ancora piena. Non è la prima volta che faccio questi errori. È un po' tardi per rimediare ma ci provo. Sfilo la maglia e, a piccoli sorsi, comincio a svuotare la borraccia. Piccole contrazioni si alternano su entrambi i polpacci. Devo correre come un tapascione per non usarli e non svegliare i bebè xenomorfi che stanno sonnecchiando là dentro. Cerco di atterrare col tallone ma non mi viene naturale e le forzature stimolano ulteriori contrazioni. In discesa, basta un piccolo inciampo del piede destro, per svegliare, nel polpaccio sinistro prima ancora di toccare il suolo, il secondo crampo duro. Mi devo fermare di nuovo per scioglierlo e ripartire con ancora maggior prudenza. Ecco l'ultimo ristoro. Chiedo sali. Mancano 5 km quasi tutti in discesa. Prima guardavo solo in avanti, ora mi guardo sempre indietro ma non si vede ancora nessuno. Altra contrazione del 4 grado richter. Mi fermo e questa volta si scioglie subito. Mi volto ancora. Immagino Enrico e Stefano che sopraggiungono a tutta. In una situazione molto simile, al trail dei cervi, Stefano mi aveva soffiato il secondo posto assoluto superandomi nell'ultima discesa come un falco. E Diego? E Teo? Se sarò costretto a rallentare ancora, perfino Teo potrebbe superarmi e dal trionfo passerei alla gogna di mascotte a vita. Come un bambino stanco dal viaggio chiedo in continuazione: “Babbo, quanto manca? Fra quanto arriviamo?” Ad ogni persona che incontro faccio la stessa domanda. 5000 2000 1000 … mi volto sempre più spesso. L'ultimo chilometro inizia con un passaggio in bilico su un argine. Il passaggio è stretto e irregolare e arriva un altro morso. Gli alieni si stanno espandendo: dal polpaccio sono arrivati alla coscia e me la stringono fra i denti. Non so come liberarmi, provo a continuare camminando ma mi devo fermare. Riesco ad indovinare la posizione giusta e mollano la presa. Si torna su strada e torno a correre. Mancano 100 metri, ormai è fatta! Ecco l'arrivo. Sono 41esimo su quasi 500 partenti, terzo su quasi 100 di categoria, primo della rappresentativa sarda, 5 ore e 9 minuti. Mi riempiono un bel boccale di birra e Matteo e il padre mi accolgono festosamente. Ci sarebbe da essere raggianti ma l'ultima penosa ora ha lasciato il segno. Mi è mancato, nel finale, l'obiettivo 5, il più importante e mi ci vuole un po' a realizzare quanto mi fossi divertito prima.
Enrico arriva 2 minuti dopo di me e Teo e Stefano arrivano insieme a 5 minuti. Diego arriverà un po' più tardi attardato da un'infiammazione. Poi K, Maria Vittoria e Martina. L'ego intanto comincia a gonfiarsi e si gonfierà così tanto che continuerà a sfiatare per buona parte della notte.
Anche oggi, dopo 5 giorni, ogni tanto, mentre sto qui a scrivere, uno sbuffetto d'ego mi fuoriesce dal colon.

mercoledì 1 febbraio 2017

Ronda Ghibellina - La vigilia

All'aeroporto di Pisa, sono con Teo, Enrico, e Martina della rappresentativa sarda, Tito che accompagna Martina e Rossano, anche lui in viaggio per la Ronda. “Rossano, vai pure con Tito e Martina, che ci sono Stefano e K che ci aspettano fuori”. Stefano è fuori dall'aeroporto, ma molto fuori. È ancora in liguria e questo innervosisce Teo. Come mascotte, tento di convincere Teo che tutto è a posto e al massimo in un'ora e mezza arriveranno a prenderci.
E infatti, dopo 90 minuti di piacevole soggiorno all'aeroporto Galileo Galilei, arrivano e finalmente si parte per Castiglion Fiorentino. Salgo in auto con Tito, Martina e Rossano che ci avevano aspettati.
La signorina, alle rotonde non dice mai di andare dritto; per paura che qualcuno possa prenderla alla lettera e seguire il diametro, dice: “prendere la seconda uscita per proseguire dritto”, così è più chiaro. Al casello dell'autostrada è sempre lei, la stessa voce, che ci dice dove infilare la scheda. Tito obbedisce. Tutti obbediamo. Senza accorgercene, siamo entrati nella dittatura della signorina tom tom.
Sbagliamo direzione, imboccando la A1 verso Bologna invece che verso Roma. La signorina si irrita perché non la stavamo ascoltando e si vendicherà. Spero solo di non sbagliare domani ad imboccare le scarpe A1 calzando la destra sul piede sinistro, né ad imboccare il percorso di gara.
Ho spento il telefono, e quando lo riaccendo, non ricordo il codice. Non l'ho dimenticato abbastanza da rinunciare e quindi tento tutte le permutazioni dei numeri 567, una volta più dei tentativi ammessi. “Rivolgersi al gestore”, mi scrive la signorina. Sarò off-line, senza telefono né internet fino a lunedì, ma almeno mi sono liberato dalla mia signorina personale; in auto però ce ne sono altre tre che si divertono a prenderci in giro: prima ci indirizzano su strade improbabili – mai più di un km e mezzo sulla stessa strada – poi, trattenendosi dal ridere, annunciano: “siete arrivati a destinazione”. Guardiamo esterrefatti. Il punto gps inviato da Matteo per la cena risulta al centro di un campo di foraggio. Non siamo mucche! Ho capito, è una caccia al tesoro. Qui infatti ci viene trasmesso un nuovo punto. Non male come inizio. La mascotte non sono io, dev'essere salita nell'altra macchina visto che gli altri sono ormai seduti a tavola.
Quando arriviamo al palazzetto sono quasi le 9 di sera. I gamberoni del pranzo sono ormai digeriti e me ne rimane solo il profumo sulle dita che ogni tanto passo sotto il naso per ricordo. Grattiamo il fondo delle pentole del pasta party e incontriamo Matteo con il padre e Diego, il fortissimo oriundo, ora residente in val d'Aosta, che l'anno scorso ha finito il mitico Tor des Geants. Mi presento: “Ciao, io sono Lorenzo, la mascotte della squadra”. Diego resta serio. Forse sembro davvero una mascotte. “Teo, prendi la borsa al signor atleta Diego” Ho scelto il ruolo di mascotte perché portare le borse potrebbe farmi male alla schiena. Ma forse portare fortuna è ancora più pesante: non ne sono proprio capace, non riesco a portare fortuna, oggi è stato un disastro. Devo trovare un altro ruolo. Non mi resta, domani, che trovare il modo di sembrare uno degli atleti.