giovedì 22 agosto 2019

Passato remoto

Cosa abbiamo fatto negli ultimi 50 anni?
Io feci, tu feci, egli feci, noi feci, voi feci, essi feci ...
e oggi siamo nella merda.

sabato 10 agosto 2019

Runswiminchia adriatica

Doveva essere una corsa seria. Le giornate sono afose anche qui a Fermo; per evitare le salite della collina e per godere del fresco del mare, decido di andare a correre sulla ciclabile del lungomare.
Sono passate le 9 da poco; serio sì, ma in vacanza si dorme. In mano lo scheletro di Suunto con il cinturino disintegrato per verificare tempi e distanze: niente di ché, voglio semplicemente fare 10 km ad un ritmo appena più svelto di 5’ al km. La brezza non c’è. Non ho valutato che alle 9 è in atto il cambio della guardia fra quella di terra e quella di mare. L’ombra non c’è neanche perché in adriatico, la mattina il sole è sul mare che non fa ombra. Parto comunque al ritmo previsto che non mi affatica molto ma mi scalda. Non riesco a smaltire il calore corporeo, sudo ma l’umidità è alta, non c’è vento e la temperatura dell’aria supera i 30 gradi. Continuo al ritmo previsto, prima lungo la ciclabile, poi sul largo marciapiede del lungomare. Supero qualcuno che corre e mi diverto a slalomare fra i bagnanti ma la temperatura corporea aumenta e comincio a soffrire. Non ho fatto neanche 4 km e passando davanti alla doccia di uno stabilimento balneare, decido di bagnarmici la testa. L’acqua è calda e il refrigerio è minimo. Al km 5, come da programma, inverto il senso di marcia per rientrare. Sono già cotto e, rientrando, quel minimo di arietta che mi soffiava in faccia ora è alle spalle e l’aria intorno a me è immobile e mi circonda un’aura sempre più colma del mio calore e dei vapori del mio sudore. Cerco di sciacquarla via nella stessa doccia dell’andata ma mi resta lì, appiccicata addosso. Quest’aria che mi segue è opprimente. Sto soffrendo troppo. Ho fatto poco più di 7 km e ne mancano quasi 3 all’auto. Basta. Decido che non ha senso continuare. Lascio la pista ciclabile, attraverso la spiaggia, tolgo le scarpe e mi butto in acqua. È acqua adriatica, caldiccia e poco trasparente ma immergendomi completamente e nuotando per qualche centinaio di metri, finalmente quell’aura calda e appiccicosa mi si è staccata di dosso. Riprendo a correre sul bagnasciuga poi iniziano le pietruzze, mi rimetto le scarpe e torno a correre in strada. Dopo altri 2 km sono di nuovo in mare.
Doveva essere una corsa seria ma, come al solito, l’ho finita in runswiminchia.

martedì 6 agosto 2019

Runswiminchia International di sant’Antioco

Ho concesso l’utilizzo del marchio “runswiminchia international” agli organizzatori di sant’Antioco sicuro che ne avrebbero colto lo spirito. E infatti Marina ci ha offerto un percorso prevalentemente costiero con tempi di percorrenza da minchiatleti e con viste sul mare, sull’isola del toro e sulla costa occidentale sarda che lasciano amminchioniti dalla bellezza.

Siamo 10 uomini e un cane. Non siamo ciechi, solo un po’ minchioni ma ci lasciamo comunque guidare dal cane Camillo seguendolo in acqua, prima per un tuffo rinfrescante, poi per la traversata a nuoto di una baia e, infine, per andare a visitare la meravigliosa grotta delle sirene. Camillo, lui sì che ne sa di runswim. Nuotatori? Beh, non proprio. Si nuota ma nessuno ha gli occhialini; o con la maschera o con la testa fuori, come Checco, che nuota 500 lunghissimi metri procedendo quasi in verticale come se stesse continuando a camminare. Nuotando alla grotta delle sirene mi sono portato dietro una borsa stagna da 70 litri con dentro solo il cellulare e tanta aria buona. Siamo fatti un po’ così, in stile swiminchia.







Al rientro, dopo un bel po’ di “run” su percorso che si affaccia sulla fantastica costa e di “swim” nello splendido mare variopinto, non si corre più, perché caldo e stanchezza ce lo impediscono né si nuota, perché si segue l’asfalto per raggiungere gli spaghetti prima che scuociano. Senza “run” e “swim”, resta solo “minchia” mentre ci trasciniamo lungo l’asfalto torrido. Fa parte del gioco; siamo protagonisti di un western spaghetti al pesto, inseguendo spaghetti nell’estremo ovest fra scheletri di birra e sotto un volteggiare di rapaci. Serpenti a sonagli scuotono la coda imitando il suono di birre che si stappano: “pshhh”.
Foto di Gianni Mureddu
La birra agognata si materializza, poi gli spaghetti e infine sua maestà il cocomero, subito giustiziato per chiudere in festa.
E grazie a Marina, Gianni e a tutto il gruppo di amici, un’altra magnifica giornata piena di vita e ricca di particolari è passata e me ne restano, fino a prova contraria, altre 16621.

venerdì 2 agosto 2019

Il vero lusso

La Paillote. Si mangia in piacevole compagnia per la cena sociale della scuola estiva di “molecular modeling”. Il cibo è buono, il vino non manca e il posto è molto bello, con la sua terrazza sulla scogliera di calafighera. Dopo le 23, il locale si trasforma in longue bar. Tolgono i tavoli dalla terrazza, parte la musica e compaiono donne affascinanti vestite di nero. Diventa difficile parlare e non ho bevuto abbastanza per ballare. Provo a prendere la scaletta che scende al mare ma vengo fermato: “Fino all’una non si può scendere”. Giù c’è qualcuno. Immagino che sia un magnate russo che ha pagato un milione di rubli per un paio d’ore d’intimità. Continua ad arrivare gente, il volume è troppo alto. Decido di andarmene e mentre percorro da solo la strada buia che porta a cala mosca, dove ho parcheggiato la mia auto, incrocio una ventina di auto che portano e scaricano gente verso il locale. Altri vengono a piedi. C’è una gran confusione. Poco prima di arrivare all’auto, passo davanti all’ingresso del sentiero che sale verso la sella del diavolo. Il sentiero si vede bene grazie alle luci dei locali e al faro che ogni 10 secondi, offre un lampo di illuminazione a giorno. Decido di scappare dal caos. Come il magnate russo, pago un milione di rubli per avere quella montagna tutta per me fino all’una di notte. Tolgo la camicia per sentire meglio i leggerissimi movimenti dell’aria e procedo quasi a caso fra le tante tracce che salgono su. Non incontro nessuno. Neanche coppiette o spacciatori in cerca di intimità. Il servizio d’ordine sta facendo un buon lavoro. Guardo giù e vedo che sulla strada che ho percorso poco prima a piedi ora c’è una processione continua di auto, in fila per un cocktail. Musica e rumori si affievoliscono via via che salgo e si sentono i grilli che strillano. Anche quando il sentiero si allontana dalle luci e il faro resta in ombra, la luminosità diffusa della città lascia vedere bene il calcare bianco su cui cammino e non ho problemi ad avanzare. Per avere questo paradiso tutto per me, ho pagato un milione di rubli ma ne valeva la pena. Ora il sentiero si affaccia con numerosi balconi sul porticciolo di marina piccola e si vedono le luci delle barche, del poetto e di tutta la città di Cagliari. Mi fermo a fare qualche foto e poi riprendo a salire seguendo il balcone di roccia che si affaccia sul vuoto. Il paesaggio è reso ancora più affascinante da decine di fiori di agave che si ergono spettrali. Sono decenni che non salivo qui e mai di notte; ogni cosa mi sorprende: fantasmi grigi a forma di costruzione, di croce, di formazioni rocciose … . Finalmente arrivo al limite est del tacco di roccia e, davanti a me, in basso, vedo la sella del diavolo, con la sua torre. Per procedere dovrei superare un salto di roccia e decido allora di tornare. Del resto è ora: dovrei riuscire a rientrare giusto entro l’una di notte, quando il servizio d’ordine lascerà passare l’orda di poveracci che si ammassa laggiù. Prima, però, voglio ancora approfittare di questo lusso: non ho pagato un milione di rubli solo per camminare. Cerco un posto comodo, oltre le balaustre, con vista sulle luci delle barche e sui poveretti che si ammucchiano nei pochi metri quadrati dei baretti del poetto e mi accovaccio … aaah … Che cagata di lusso!