giovedì 14 novembre 2019

Buoni e cattivi

Si parla tanto di buoni e cattivi. La definizione è ovvia: se uno agisce per il “vivere bene” di sé e degli altri è buono. Chi invece agisce contro è cattivo (o fesso se non lo fa apposta). Punto. Com’è ovvio dalla definizione, più sono i “buoni”, più si vive meglio.
I cattivi sono gli egoisti, i paurosi, i rancorosi e il colesterolo LDL; i buoni invece sono gli altruisti, i generosi e il colesterolo HDL.
Tutto il dibattito su buoni e buonisti, su dove si trovino i confini dell’altruismo e se difenderli col filo spinato, sulle diete ipo e iper, sulle vene che si otturano e i coglioni che si riempiono si può ridurre ad un semplice principio etico: “se il colesterolo buono supera quello cattivo, si muore lo stesso ma si va in paradiso”.

lunedì 11 novembre 2019

Corri Molentargius - Una bellissima giornata di pioggia.

Foto di Sonia Siddi
2018
Per uscire dalla “zona notte” sono costretto ad aggrapparmi alla ringhiera delle scale. Ho anche mal di gola e mi cola il naso. Forse farei meglio a restare in zona notte ad aspettare il prossimo tramonto ma lì fuori, in zona giorno, ci sarà “una bellissima giornata di sole, di sport, di festa …”.

2019
Domenica mattina, alle 6:30 ho già lasciato la “zona notte” per un viaggio di sola andata. Non sono ancora iscritto alla “corri Molentargius” e non so se farlo. C’è allerta meteo e, per vedere quanto le prospettive di pioggia fossero probabili, mi sono messo davanti al computer ad osservare macchie gialle che si allargano su mappe satellitari. Poi, appurato che la pioggia sarebbe stata una certezza, dovevo decidere se mi andasse di correre sotto la pioggia. Ho immaginato i piedi che entrano nelle pozzanghere, il fango che schizza e la fresca acqua piovana che scorre sulla pelle penetrando attraverso i vestiti … e ho deciso di partecipare. “Sarà una bellissima giornata di pioggia, di sport, di festa …”
La realtà non smentisce le previsioni e prima della partenza sta già diluviando. Gavino decide la strategia: restiamo in auto fino a 5 minuti prima della partenza, poi corriamo dal parcheggio fino allo start. E, puntualissimi, alle 9:55, io, Bruno e Gavino usciamo di corsa dall’auto. Arriviamo giusto in tempo per qualche saluto e per osservare la bizzarra fauna di podisti alla linea di partenza:
Valentina correrà con l’ombrello, Luca con l’impianto stereo nello zaino a sparare decibel, altri partono insaccati come salsicce, altri ancora paiono voler essere assolutamente sicuri di non inseminare nessuno.
Correte, che sta per piovere!
È bello correre in spinta, con i piedi che sollevano schizzi di fango e il bocchettone semiaperto per far entrare aria in abbondanza. Non sono allenato per questo e l’andatura non è molto veloce ma il gesto mi dà gusto. Dopo un paio di km mi tolgo la giacchetta e la lego elegantemente alla vita. Sono caldo a sufficienza per sentire l’acqua fresca che scorre sulla pelle senza congelarmi. Smetto anche di evitare le pozzanghere che se anche arrivo a casa infangato il papà non mi sgrida, perché il papà ora sono io.
Al bivio per la non-competitiva, sono già un po’ stanco ma non abbastanza da battere in ritirata e giro a destra seguendo il flusso principale.
Ultimi 2 km. Gli atleti intorno a me spremono le ultime energie. Io le ultime energie le devo tenere. Quel pezzetto di cuore che resta mi serve anche per mangiare, dormire, cagare e tutto il resto. Sono non-competitivo per necessità e quando mi superano, sento un clic nella testa ma spara a salve e lascio passare senza reagire. Arrivo in poco più di 52 minuti, in una decentissima posizione media. La festa è ridotta ai minimi termini, giusto il tempo di dissipare il calore accumulato e cominciare a tremare. La birra fresca non attira e si torna in fretta all’auto ma è comunque stata una “bellissima giornata di pioggia, di sport, di festa …” che chi è rimasto in zona notte non può neanche immaginare.
P.S. Purtroppo, a causa dei 52 minuti di ammollo, si è cancellato quell’orlino nero disegnato con la magica polvere nera di Macomer, che, da 3 settimane, mi decorava le unghie dei piedi. 
Foto di Silvio Figus

venerdì 8 novembre 2019

Goccioline

Osservate bene: ogni goccia contiene un piccolo mondo al rovescio
Quando la mattina salgo in macchina per recarmi al lavoro, spesso trovo il parabrezza pieno di goccioline e le spazzo subito via azionando con un gesto annoiato la leva del tergicristallo. Ieri le ho guardate, loro mi hanno guardato e ho deciso di tenerle.
Viaggio col vetro decorato a pallini. Non coprono la visuale e, anzi, la rendono più pittorica. Qualcuna, fra le più grandi, approfitta della spinta dell’aria per risalire verso il cielo da dove proveniva, strisciando e lasciando una scia umida, come una lumaca. Le altre se ne restano lì, a godersi il viaggio.
Ogni goccia è un mondo rovesciato, col cielo sotto e sopra la strada. Ad osservarle bene, si vedono anche passare gli alberi, le case, … ; sono tanti piccoli pianeti meravigliosi, ognuno copia distorta di questo. Sicuramente sono anche abitati ma gli alieni sono così piccoli che non riesco a vederli. Man mano che vado avanti, l’evaporazione le fa rimpicciolire e quando arrivo al lavoro, tutti quei mondi sono svaniti, lasciando solo una macchiolina opaca sul vetro. Se anche i minuscoli abitanti avessero lanciato un urlo disperato, ne sarebbe uscito un suono così flebile che non lo avrei sentito, coperto dal rumore del motore.
Scendo dall’auto, con tante cose in testa ma tutte confuse. Sono sicuramente una metafora di qualcosa, che ora mi sfugge; comunque, per sicurezza, non userò mai più uno strumento crudele come il tergicristallo. #salviamolegoccioline!

venerdì 1 novembre 2019

La cresta punk del monte Conchioru

Ieri, esplorazione solitaria per studiare come chiudere il tracciato della 20km. Mi emoziona sempre esplorare zone che non conosco, girovagando fra i monti in cerca di qualcosa o, semplicemente, di conoscenza e immersione nella natura. È bello perdersi fra quei monti, vagando fra labirinti di rocce e boschi incantati, con in testa l’idea di trovare un passaggio fra arcu mannu e pala niedda ma senza un piano in mano.
percorsi non lineari
Seguire tracce del passaggio di esseri umani consente di non finire incastrati fra rovi e rocce instabili ma costringe a seguire le intenzioni di quelli che hanno tracciato. Qui, più che gente di passaggio che segue percorsi lineari per attraversarlo, sono “utenti” di quel territorio, cacciatori, boscaioli e i loro percorsi servono per viverlo, sfruttarlo e spesso girano su sé stessi. Sentieri di cacciatori che muoiono in punti di appostamento, stradelli che al momento cruciale girano nella direzione sbagliata. Mi inoltro nei boschi diverse volte, seguendo tracce umane ma non incontrando nessuno se non cinghiali e ne esco fuori sempre più stanco e inselvatichito e sempre nel punto sbagliato. Mi nutro di corbezzoli ma non c’è acqua. E quando, la borraccia ormai vuota, il cielo che s’inscurisce e i piedi stanchi, avevo ormai deciso che sarei rientrato per la strada facile e conosciuta, non ho resistito all’invito di un sentiero sulla sinistra che mi ha fatto l’occhiolino. “Mi infilo solo un attimo per vedere se è pulito e per registrare il punto d’accesso sulla traccia gps”. Non ho finito di pensarlo che sono già oltre, risalendo un crinale roccioso.
Su un roccione vedo il fantasma di un segno completamente scolorito del “sentiero Italia” e so che non tornerò indietro. Salendo, il bosco si dirada lasciando spazio a emergenze granitiche. Qui il sentiero si frantuma in mille tracce fra cui non è facile trovare il cammino più semplice. La testa del monte conchioru ha un’acconciatura di rocce allineate che formano un’inconfondibile linea di cresta punk che ne palesano il carattere duro, secco, aggressivo ma che trova in questa durezza il suo fascino unico. E dopo 5 ore di lento e faticoso vagare mi ritrovo finalmente sul percorso che scende ad arcu mannu e che in un’ora mi riporterà a casa, con in testa una strana idea: la 20km del 2020 sarà punk.