lunedì 28 novembre 2016

Gli spiriti del trail

Molti pretendono di conoscere il vero spirito del trail e giudicano con disprezzo chi lo tradirebbe.
Secondo me il trail ha tanti spiriti e ognuno di essi ha poche mogli e tante amanti che si sentiranno tradite dagli amanti di altri spiriti in un menage incontrollabile: peggio di una soap a puntate. Meglio allora rinunciare ai rapporti tradizionali ed accettare l'amore libero.
Il trail è un po' come la musica: ci sono i sentieri “pop”, piacevolissimi ma che dopo la terza volta, stufano, mentre i sentieri “avant-garde” si lasciano scoprire volta per volta dando il meglio di sé solo dopo ripetuti passaggi. C'è lo spirito melodico classico della corsa nella natura bella, più bella possibile. C'è quello hard della lotta con la natura più dura e selvaggia possibile. C'è poi quello rock&roll del divertirsi a correre veloce saltando sassi e radici e buttandosi giù per sentieri più tecnici possibile
Ho elencato solo i tre spiriti con i quali ho una relazione fissa ma sono sicuro che ne esistono tanti altri e che ognuno colga particolari sfumature che rendono la corsa in montagna un piacere “personale”. Per questo, parlare di “tradire” lo spirito del trail non ha molto senso; gli spiriti sono tanti e qualcuno lo si tradisce per forza: troppo corto, troppo lungo, troppo tecnico, troppo liscio, troppo segnato, poco segnato …
Poi ci sono le mode, la visibilità mediatica, i punti per l'UTMB … tutti aspetti deprecabili per i puristi elitari del trail ma che comunque, come l'industria discografica fa per la musica, aiutano la diffusione di una disciplina sana e contribuiscono a togliere atleti dalla strada e dal disagio sociale del bitume.
Gli spiriti del trail ci guardano sudare e sbuffare, aprire le braccia dalla meraviglia o tremare di freddo ripercorrere per la ventesima volta lo stesso sentiero o andare in cerca di posti sempre diversi, escursionisti che guardano il paesaggio o competitivi che preferiscono la vista dei numeri sul gps … lasciamo che ognuno si goda il suo spirito personale senza giudicarlo e gustiamoci il nostro.

lunedì 21 novembre 2016

Maratonina di Uta

Uta, sembra una cosa seria. È quasi uno stato unito: basta aggiungere una lettera mutah e diventa Utah. Penso a capoterrah, maracalagonish, ma non funziona. Invece Utha sì. Capitale Salt lake city, per gli indigeni Sa bidd'e lacu saladu. Perché parlavo di Huta? Ah, già, ieri si correva la mezza. La mezza non è tutto, è mezza, quindi vale quello che vale: metà appunto. Sto forse tergiversando? Ebbene sì e ho buoni motivi per farlo: Bruno è arrivato 3 minuti prima di me, i miei fantasmi mi hanno deriso vedendomi arrancare e le quotazioni del mio seme sono precipitate. Ecco ho confessato tutto e ora che ho ritrovato la pace interiore ne posso parlare con serenità.
Foto di Francesca Erbì
Si parte, si corre, le gambe sono dure, l'asfalto è duro, le scarpe sono dure, le molle dei piedi sono arrugginite. In queste due settimane ho fatto un po' di abitudine alla velocità ma ho trascurato la durezza, correndo quasi sempre su sterrato. Quant'era morbido il molentargius! Qui invece l'asfalto mi martella i polpacci e cerco, più volte ma invano, un assetto di corsa che mi consenta di ridurre l'impatto dei colpi sulla carne. Un ironman dovrebbe essere più duro dell'asfalto e lasciare le impronte dei piedi metallici scavate nel bitume ma non succede; forse non sono più ironman. Dicono che il percorso fosse veloce ma non è vero. Altro che veloce: era assolutamente immobile e ho dovuto fare io tutto il movimento. Fin dal km 3 capisco che non riuscirò a tenere il ritmo previsto di 4' al km e che Bruno e tutti i miei soliti rivali (a parte uno alto e pelato) mi batteranno. Da lì all'arrivo saranno 18 km di resistenza e di domande sul perché di tanta lentezza e sul perché si debba soffrire tanto per tornare due volte al punto di partenza. Per fortuna 21 km passano relativamente veloci e in 1h25 e spicci arrivo, appena prima di trovare le risposte definitive ai miei dubbi esistenziali.

Foto di Gavino Sole
Le piacevoli chiacchiere del dopo gara mi distolgono da ulteriori riflessioni. Sono anche quinto di categoria e ultimo dei premiati e salire sul podio consola parzialmente il mio ego e mi consente una piccola rivincita sui miei fantasmi che anche se molto più veloci, spesso restavano giù a guardare.
Tonino mi riaccompagna alla mia auto che avevo lasciato a Capoterra. Salgo, infilo le chiavi e parte la musica. La macchina invece no. Spengo, riaccendo e invece del rumore del motorino di avviamento si sente la musica dei fiery furnaces. Dopo altri due tentativi capisco che la mia auto è ormai ridotta ad un impianto stereo. Chiamo a credito Maria ma non risponde. Potrei insistere o provare a chiamare il numero di casa ma decido di non farlo. Esco dalla cabina stereo e mi avvio a piedi verso casa, per il primo minuto camminando, poi accennando una corsetta. Ogni tre passi i calzoni calano e devo ritirarli su con la mano prima che finiscano in terra. Allora svuoto le tasche, tenendo in mano il portafogli e liberi dal peso del denaro ora i calzoni stanno su da soli. La maglietta e le mutande di cotone si inzuppano subito di sudore, non vedo l'ora di pisciare, sono stanco ma la corsa è rilassata; devo solo andare dal punto A al punto B senza che nessuno mi controlli il tempo e con una forte motivazione: tornare a casa, aprire il frigo e prendere una birra! Questi 4 km imprevisti mi fanno ritrovare il significato originale della corsa e ripensare con serenità al futuro.
Fra due settimane c'è Cagliari. Sembra una cosa seria. È quasi una città americana: Calgary, …

venerdì 18 novembre 2016

Maratonina di Uta – preview

La meteorolo-zia per quest'autunno prevede dritti e rovesci anche di moderata intensità.
Intanto sento tuonare la domanda: la trasformazione in zombie è reversibile?
Secondo Albanesi no. Ecco cosa scrive:
Conosco personalmente due atleti che sono centochilometristi, il primo si trascina fra ultramaratone con qualche proiezione su gare più brevi (evidentemente dei test di velocità…), correndo i 10000 in circa 45′ quando prima li correva in 34-35′; l’altro, runner da molti anni, da quando ha deciso di passare alla 100 km è durato due anni: ora lo si trova mentre cammina nelle non competitive, ormai incapace di correre”
Che tristezza. Forse anche io sono diventato così, zombie senza ombrello sotto la pioggia autunnale con un buco nella testa l'acqua mi entra nel cervello. Flavio e Bruno ora mi massacrano, Teo mi asfalta, la vecchia zia mi infilza sferruzzando e poi mi investe sulle strisce con la macchina da cucire ma forse non è per sempre.
Come lo scorso novembre, anche quest'anno mi sono posto l'obiettivo di ritrovare la velocità, frangendo gli spazi con tempi sempre meno infiniti, spaziando di meno, spazientando senza temporeggiare e raccogliendo con la scopa tutti i frammenti di spazio per non sporcare.
Così mi sono dato una mossa, mi sono scrollato di dosso la polvere del tempo e dei trail, ho dissotterrato i piedi dalle hoka, dove giacevano tumefatti, ho suonato come trombe gli alveoli polmonari e mi sono buttato con velleità convinto che in due settimane si possa ritrovare la velocità smarrita.

Domenica a Uta correrò la classica mezza maratona. Ci saranno Bruno e Teo a misurare il gonfiore delle mie velleità e il cronometro che impietosamente girerà sotto lo sguardo beffardo dei miei fantasmi. Gli agenti finanziari aspetteranno con scetticismo le nuove quotazioni del mio seme ma io emergerò trionfante. L'autunno lascerà posto ad una nuova primavera … aspetta, non c'era qualcosa in mezzo? No, sono finiti i carciofini, non ci sono più le pizze con le mezze stagioni.

domenica 13 novembre 2016

Corri, Molentargius, corri ...

Ogni cambiamento è riposante in senso lato, in quanto allontana dall'attività consueta anche se solo per intraprenderne un'altra. Dopo mesi passati a resistere per scavalcare catene montuose, da due settimane ho ripreso a cercare la velocità dimenticata e anche questo è riposo.
Tenendomi alla ringhiera con la mano sinistra e appoggiandomi al muro con la destra, riesco a scendere le scale e ad uscire di casa per recarmi al parco del Molentargius a Cagliari. Quale occasione migliore di una gara piatta di 12 km per cercare la velocità smarrita? Non sarà facile; le gambe sono irrigidite dai DOMS. Per andare veloce, dovrei curare queste gambe indolenzite o stordire la testa per scordare questi dolori; cercasi citrullina, cretinina o amminoacidi a corna di cervo in fioritura. Oppure sole e aria di festa.
Foto di Francesca Erbì

Foto di Gavino Sole
Dopo un breve riscaldamento, sono sulla linea di partenza. Gioco d'azzardo: non so come andrò ma punto su di me. Tutto sul “501”, rouge, dispari! Les jeux sont fait. Il primo chilometro scorre in 3'50, un bel ritmo anche se moltissimi sono avanti a me. Il podio della categoria è almeno 100 metri avanti. Non mi azzardo a cercare di raggiungerli, sto già correndo troppo veloce. Aspetto invece come un avvoltoio che almeno uno dei tre ceda per soffiargli onore e premi. Cedono in due; prima Paolo, poi Luigi mentre Angelo aumenta il ritmo e sparisce in avanti. Io mi barcameno intorno al limite delle mie attuali possibilità. Più che cercare la velocità, cerco di resistere alla lentezza, che mi vorrebbe fare arretrare il busto, come a cercare la poltrona, e accorciare i passi come se dovessi anche oggi scavalcare montagne. Riesco a mantenere un ritmo appena superiore al limite della lentezza, 15km/h, e pure ad accelerare in vista del traguardo.
Ventitreeseimo su oltre 500 atleti al traguardo e quello di cui vado ancora più fiero, primo assoluto al buffet, con un tempismo da buffettaro doc. Purtroppo non posso indugiare fra tutte queste torte salate e dolci; devo salire sul podio e poi tornare a casa e così salta il secondo giro del buffet. Pazienza; mi dispiace partire e lasciare la festa, il sole, il cibo, la fatica, gli amici e il divertimento ma ritroverò tutto e tutti a Uta la settimana prossima
Tutto questo riposo mi sta distruggendo le gambe ma è divertente; non bisognerebbe mai smettere di cambiare.

sabato 12 novembre 2016

Il riposo - effetti collaterali

Sta per finire la seconda settimana di riposo di questa mia nuova vita oziosa. Riposo per me vuol dire non superare limiti quotidiani di attività fisica: ogni giorno, al massimo, posso nuotare per 45' in piscina o andare in bici per non più di 2 ore o correre per non più di un'ora. Ma correre non più di un'ora per me vuol dire correre più veloce di quando non riposavo e ne correvo due. Giovedì ho riposato correndo 59 minuti in montagna con 500 m di dislivello a salire e altrettanti a scendere precipitevolissimevolmente. È dopo avere riposato in tal guisa che ora mi ritrovo con le gambe a pezzi. E non m'ha aiutato l'uscitina di scioglimento in bici di ieri, perché, anche se c'è vento forte, scendere sotto i trenta di media non è dignitoso e ho dovuto pestare orgogliosamente sui pedali per non farmi sconfiggere dal maestrale.
Risultato? DOMS: prognosi di tre giorni. Domani, il mio ritorno alle garette sarà compromesso dalla fase semiacuta dei DOMS. Sapete cosa vuol dire? Dolori Originati da Muscolo Spappolato rende l'idea ma mi sono documentato su wikipedia e il vero significato di DOMS è Delayed Onset Muscolar Soreness; sono quei dolori muscolari che insorgono alcune ore dopo la fine di un allenamento e si protraggono per 3-5 giorni. Sempre da wikipedia apprendo che:
La formazione del DOMS viene spesso collegata all'esercizio di tipo “eccentrico” come la corsa in discesa”
L'assunzione di 8 grammi del'amminoacido “citrullina malato” ha mostrato di portare ad un significativo decremento dei DOMS”

Parrebbe quindi che le conseguenze di codesta esagerata eccentricità possano essere limitate con dosi consistenti di “citrullina”. Da un punto di vista psichiatrico, sembra sensato: la citrullina, farmaco lobotomizzante, inibisce i comportamenti eccentrici. Io, però, in farmacia a comprare “citrullina” non ci vado. Immagino troppo bene la scena: “Citrullina? Perché? Non sei già scemo abbastanza?” No. Con una buona dose di citrullina, infatti, me ne starei buono buono, fermo sul divano col telecomando in mano invece di buttarmi di corsa in discesa come se non ci fosse un domani e questo riposo mi stancherebbe di meno.

giovedì 10 novembre 2016

domenica 6 novembre 2016

Cronache dalla casa di riposo – Il weekend di corse

Prima settimana di riposo della mia nuova vita. Ormai il corpo giace come un mucchietto di membra ora sul divano, ora sul letto e solo ogni tanto si ricompone esprimendosi compiutamente con una corsetta, una breve pedalata o 45' in piscina a imparare la bracciata perfetta. Intanto mando il mio spirito ad aleggiare in giro al posto mio.
Sabato era a Berchidda, ad aleggiare sui 37 km delle splendide vie del carbone, osservando il successo del grande Filippo e i bei risultati degli amici Davide, Enrico e Stefano oltre che ammirare le gesta degli instancabili Teo, Giuseppe, Vincenzo, Ivan, Gigi e Manuela qualcuno con me al triathlon della settimana scorsa, altri a Macomer, per non parlare di Agnese che era con me dappertutto e ancora non si ferma! E poi a inzupparsi di zuppa berchiddese … spirito incorporeo? Ancora un po' e diventa più grasso del corpo.
Il mio spirito si è poi spostato aleggiando ad Ozieri e questa volta sul serio. Il mio odore si spande sulla cittadina logudorese proveniente da un sacchetto pieno di particelle di spirito glorioso ancora attaccate ai vestiti che avevo dimenticato davanti al camino di Macomer ad asciugare il sudore della ultramarathon. La gloria, dopo tre settimane, comincia a puzzare di ascella e Tonino ha portato questo spirito sperando di liberare Macomer dall'odore e di trovare qualcuno che me lo potesse riportare. E il mio alone di gloria ora ricopre Teo e Gigi, anche oggi in gara nella mezza maratona! E gloria anche per i miei compagni di categoria Flavio e Bruno che dopo avermi stroncato a Macomer fanno risultati sempre più strabilianti: 8o in 1h19 Flavio e 13o in 1h20 Bruno. Tempi che io facevo negli anni 2008-2012; eh sì, erano bei tempi quelli.
E poi, mentre il corpo si sposta a fatica dalla camera da letto al divano di fronte alla tv, lo spirito vola, attraversando raggi catodici, su New York, a correre la Maratona più famosa del mondo. Laggiù dove l'abbraccio del pubblico annulla la percezione della fatica. È una sensazione che ho provato a sprazzi e che, nonostante l'avversione che nutro per le mode, volevo provare appieno a New York; e come provarla meglio che indossando con il mio spirito le gambe di Gebresselasie? Intanto, un altro amico instancabile, Luca, dopo Macomer, dopo il triathlon, indossando le sue gambe personali sta arrivando ora la traguardo. Grande!
Ecco, il mio sforzo è finito. Ora sono troppo stanco per la briscola; mi vado a fare un eccitantissimo solitario e poi a nanna.

mercoledì 2 novembre 2016

Challenge Forte Village

Avevo atteso 7 mesi per recuperare l'ora di sonno persa a fine marzo, con l'inizio dell'ora legale.
Ne avrei avuto proprio bisogno – mi sarei alzato alle 10 scoprendo che erano le 9, sarei rimasto un'altra ora a letto e la stanchezza di tutti questi mesi sarebbe sparita magicamente – ma domenica alle 5 suona la sveglia. È ora di prepararsi per andare al lavoro. C'è una missione da compiere, amici da battere. I polpacci sono indolenziti e scendo le scale attaccato alla ringhiera. Il cuore ballonzola irregolare. Non ho ancora digerito la cena buffet della sera prima e la pancia brontola. Ma dove vado? E perché?
Per dare un significato a questa levataccia, mentre guido la mia auto ascoltando Frank Zappa che mi prende in giro, scatto con gli occhi fotografie al cielo che si colora del rosso dell'alba e le memorizzo nel cervello. Pare proprio una bella giornata e sto andando a fare la più bella delle gare. Nonostante me, credo che mi divertirò.
In zona cambio i miei vicini vip accarezzano le loro bici per togliere l'umidino della notte e gonfiano le ruote a 9 bar … io i 9 bar li girerò dopo la gara per le birre e mi basta un pizzicotto al culo delle gomme per sentirle belle sode. Sono un proletario della zona cambio e sono finito qui per un equivoco.
Pronti a schizzare! Foto di Arnaldo Aru
Ammucchiati in spiaggia, eccitati come spermatozoi in attesa, aspettiamo il via libera per schizzare. Non ho nessuna speranza di raggiungere per primo l'ovulo e mi tolgo dalla mischia per godermi la nuotata. L'acqua è liscia e piacevole. Non spingo ma curo la bracciatina tecnica che sto imparando in piscina: la mano sfiora l'acqua elegante e quando arriva all'orecchio si infila in acqua, si appoggia piegata verso il basso allungandosi in avanti poi, disegna una “s” tornando indietro con le dita chiuse – una specie di nuoto sincronizzato, insomma. Qui mi riesce meglio che in piscina: la muta mi tiene su e non devo pensare a non annegare. Le boe filano lisce e relativamente veloci. Passeggiando, con poca fatica e nessun affanno, finisco in 40', un buon tempo per i miei standard anche se l'ovulo è stato fecondato da un quarto d'ora. Come previsto, sto scivolando come una supposta verso il traguardo. Nella zona vip della zona cambio è rimasta solo la mia cara vecchia carretta ad aspettarmi. “Ma ora li riprendiamo tutti quei palloni gonfiati, vero bella?” Tanto non conta la bici, contano le gambe. Ah, già, le gambe. Mi ero scordato di non essere allenato. I novanta chilometri della distanza di gara non li faccio da almeno 6 mesi.
Ma si comincia con brio; in salita spingendo “il giusto” e in discesa volando. 30 km nella prima ora: non è male. Dopo Teulada il percorso diventa più facile ma fatico a spingere e mi superano molti di quelli che avevo sbeffeggiato prima. I quadricipiti si svuotano progressivamente. Andando verso il giro di boa, incrocio Francesco che è decisamente lontano e poi Teo, molto più vicino; forse lo potrei raggiungere, basterebbe spingere un po' più forte ma non ci riesco proprio e mi devo rassegnare. Quando si ritorna sui saliscendi della strada litoranea, le variazioni di pendenza e i panorami spettacolari mi rianimano e recupero qualche posizione ma non mi diverto più. La stanchezza aumenta e ora anche la schiena duole. Sono a fine turno o, forse meglio, alla vigilia della pensione. Non vedo l'ora di tornare a casa e aspettare un anno sul divano che ritorni quell'ora di riposo che mi sono perso stanotte. Mi fermo per staccare la pompetta dal telaio e darla ad un ragazzo inglese che aveva bucato. Poi mi fermo di nuovo per pisciare. Le soste mi danno sollievo e vorrei quasi sedermi per terra ma sto perdendo troppo tempo e devo ripartire. Anche nell'ultimo tratto piatto il tachimetro non raggiunge i trenta all'ora e sfondo di ben 8 minuti il limite delle 3 ore previste. Trascinandomi sul tappetino che porta in T2,.sento le gambe spente, la schiena dolente e i sassolini sotto il tappeto; sono pessimista per la corsa.
Fatico a ripartire. Il chip mi sta segando la caviglia. Ho una piaga che ad ogni passo diventa più profonda; mi basterebbero 5-10 secondi per fermarmi e spostarlo ma non lo faccio. Ormai i dolori mi fanno compagnia, il passo si sta allungando e sto ritrovando la spinta e il rimbalzo elastico. Si sta ripetendo il miracolo e non voglio fermarmi. Tengo lo sguardo alto per valutare la posizione dei miei sfidanti. Samuel, Teo, Francesco e anche i sardi più forti della mia categoria Massimo Alessandro, Corrado hanno tutti fra i 15 e i 30 minuti di vantaggio. Impossibile raggiungerli e mi devo consolare superando atleti sconosciuti o conoscenti meno forti. Negli ultimi due chilometri riesco ad aumentare ulteriormente il passo ed arrivare in gloria. Nessuno nota il mio arrivo, a dire il vero, ma io sì e mi complimento da solo. 5h25 sono tante. 1h32 per la mezza maratona è comunque un buon tempo e sono soddisfatto.
Foto di Claudia Lazzara
Mi sono divertito anche questa volta, ma ora è tempo di cercare una casa di riposo, un dopolavoro di quelli dove i vecchi operai si vanno ad ubriacare. I nove bar che gli altri hanno messo nelle gomme, io me li giro adesso, approfittando anche dello sponsor “Peroni”. Da oggi, per un anno, aspetterò, sul divano, che ritorni quell'ora di riposo che mi sono perso … e che nessuno mi parli di un Ironman in giugno o di una TDS ad agosto!