lunedì 26 settembre 2016

Con tutti i sacrifici ...

Con tutti i sacrifici che ho fatto per preparare la gara di Baunei …
Ho sprecato due sabati girovagando per il supramonte di Orgosolo, solo per ritornare, dopo ore e ore, al punto di partenza.
Sono uscito a correre alle 4:30 di notte, faticando, incespicando e cadendo fino a vedere il sorgere del sole, invece di rigirarmi piacevolmente fra le lenzuola.
Quasi tutti i giorni, invece di accumulare energie mangiando in mensa, me ne andavo in giro per i monti a consumarle.
Tutte le sere sono stato costretto a bere un paio di birre per reintegrare i fluidi corporei persi a causa dell'irraggiamento diretto del sole sula pelle.
Sul duro calcare, ho stracciato scarpe da 100 euro (stile alpino), unghie da 10 euro (topino delle unghie) e tabelle da un euro e mezzo (cartoleria).
Ho ricomprato le tabelle in cartoleria e finalmente ho capito che 3x2 non è altro che 6 (in cartoleria avevano solo le tabelline per bambini: piccole ma estremamente chiare ed esaurienti. Neanche Albanesi parla mai del 7x8=56)
E, infine, il sacrificio per antonomasia. Il dislivello del calvario è circa 50 metri; per otto giorni consecutivi ho salito l'equivalente di 20 volte al giorno il calvario per un totale di circa 160 “via crucis” e mi sono buttato altrettante volte giù per la discesa.
… ma quanto mi sono divertito?

venerdì 23 settembre 2016

Insonnia

Questa notte mi sono svegliato prima delle 4 con un leggero mal di pancia. Mi giro nel letto a pancia in giù ma non prendo sonno. Nella testa girano pensieri. Decido di alzarmi per andare in bagno a liberarmi da quei pensieri rotondi. Poi entro nello studio, apro il computer e mi viene un'illuminazione: affronterò quest'insonnia di petto! Chiudo il computer.
Alle 4.30 sono fuori casa, con frontale e zainetto con dentro il “materiale obbligatorio”: riserva idrica, torrone, pile di ricambio, telo termico, fischietto e fascia elastica.
Quando il sentiero sbuca sulla sterrata che sale a s'enna sa craba, spengo la frontale approfittando della flebile luce della luna ammantata di foschia per seguire la striscia chiara della strada, che così tutto è più bello, più affascinante: il profilo dei monti, le luci della città ... dopo 10 metri, alla prima pietra, inciampo e mi ritrovo per terra con abrasioni ad una mano. Mi rialzo, NON accendo la frontale e proseguo alzando meglio i piedi.
L'alba ad ovest alle 5 e mezza del mattino è molto sospetta: sono infatti le luci della raffineria di Sarroch che da dietro i monti illuminano le nuvole. Quella ad est si fa ancora aspettare. Rientro sul sentiero e riaccendo la frontale.
Noto due punti luminosi sulla strada. Gli occhietti di un topo? Mi avvicino e il topo si alza in volo. Era un uccellino. Tutto è confuso, illusorio. I topi diventano uccelli, il sole è una raffineria. I profili delle pietre si appiattiscono e tante volte prendono la punta della scarpa per farmi lo sgambetto ma non cado più.
Finalmente, verso le 6.30, dopo una breve parentesi di bianco e nero, arriva il technicolor: i primi colori sembrano irreali, il cielo variopinto tinge i monti di colori tenui. La rappresentazione del reale sembra falsata da un filtro rosa. Poi arriva il rosso.
Il bosco si tinge di macchie, proiezioni del disco di fuoco attraverso i rami .
Schiena e ginocchio fanno male, la settimana di supercarico si fa sentire ma mi scappa da ridere per lo spettacolo. La natura mi fa sopportare la stanchezza. Penso a quella di Baunei, ancora più affascinante, che sarà con me ad incitarmi e sostenermi fino al novantesimo chilometro.
Poco dopo le 9 sono di nuovo a casa, dopo 40 km e quasi 5 ore di immersione totale nella natura selvaggia. Alle 11, in ufficio, la sonnolenza comincia ad impossessarmi di me.
Insonnia? Finalmente ti ho battuto!

lunedì 19 settembre 2016

Supramonte - Buona la seconda

Entrando in supramonte si dovrebbe lasciare fuori ogni legame, ogni riferimento spazio-temporale, ognuno di quei fili che legano al mondo esterno. Niente Peppino, nessuna Santa Lucia; meglio lasciare a casa anche le tabelle, tutti quei sassi le rovinano o al più, accettare la garanzia del comandante: “tabella rovinata, tabella rimborsata”. Bisognerebbe immergersi completamente in quel mondo di calcare come fanno alberi e acqua e, come loro, spuntare meravigliosamente puri dalla roccia.
Martina prende il posto dell'ingegnere in fondo al gruppo ma, per fortuna, non canta e ha piedi più graziosi. Santa Lucia prende il posto di Peppino e ogni tanto chiama, per l'appuntamento pomeridiano, Ivan, che prende il posto di Flavio, che intanto esegue alla perfezione la tabella di Ivan con 30 km di corsa veloce in pianura. L'ingegnere viene evocato fra i rovi col frac.
Io sono al mio posto; i miei pantaloncini preferiti - quelli della foto di copertina del blog per intenderci - cominciano a lasciar trapelare particelle di natica visibili ad occhio nudo e, quel che è peggio, anche un foruncolo che nessuno avrebbe mai dovuto vedere.
Il comandante questa volta vede bene e, oltre a notare foruncoli, legge meglio anche la bussola e le deviazioni dal percorso ideale sono inversamente proporzionali al cubo delle diottrie di presbiopia; le mani del destino sono salde e oggi non moriremo, non tutti, almeno. Per maggior sicurezza, poi, segna il percorso innaffiando il terreno con impressionante frequenza.
Io prendo il posto di Flavio, infilando la faccia nelle foto naturalistiche del comandante Gianni, ma sono talmente piccolo al cospetto di quella natura, così perfettamente immerso in essa, coi capelli che mutano colore mimetizzandosi col grigio del calcare, che, per fortuna, quasi sparisco.
Le immagini parlano con lingua sincera: questa natura è sexy anche senza Photoshop.

Nuraghe Mereu

Pischina Urtaddara

Pieghe del flumineddu - buona la seconda

Sa giuntura

La stanchezza finale ci fa ricordare che era anche un allenamento con le virgolette per l'UTSS. Serve per la gara? Non serve per la gara? Troppo lungo? Troppo corto? Il dibattito scorre inutile. Non me ne frega un cazzo. Ho tagliato tutti i fili e anche la gara, oggi, è rimasta fuori.

venerdì 16 settembre 2016

Una passeggiata speciale

Sono passati 5 anni.
Oggi il cielo è limpidissimo; il Monte Bianco splende sopra di noi senza la sbavatura di una nuvola. Allora invece era una giornata infernale e la pioggia non smetteva di scendere. Insieme a me, ai miei fratelli e a mia madre, amici e parenti, giovani e anziani, ci accompagnano nel percorso e nel ricordo. Ogni tanto qualcuno sparisce fra le pietre, con una nuvoletta di polvere. Nessuno si farà male davvero, oggi è giorno di pace. Mi soffermo sul ponticello. Il torrente Fresney, alimentato dallo sciogliersi dei ghiacciai, scorre con meraviglioso impeto sotto di me ma non fa paura. Guardo i cavi che ancorano saldamente il ponte a due massi enormi e sembra impossibile che 5 anni fa il torrente lo abbia potuto trascinare a valle impedendo a mio padre Cesare e mia madre Flavia di rientrare all'auto per ripararsi dal maltempo. Risaliamo il torrente ripercorrendo grossomodo il tragitto che Cesare e Flavia avevano fatto 5 anni fa per cercare un possibile guado, fino al grande masso dov'era successo l'incidente. Ora su quel masso ci sono due foto e una targa: “qui è morto Cesare e ovunque qui intorno giace” in riferimento alle polveri di Cesare restituite lì, in segno di pace, a quella natura rabbiosa. Scendo al torrente, mi tolgo i sandali e ci entro immergendomi fino alla coscia. Lo sento amico: l'acqua fresca mi massaggia piacevolmente. Cerco di immaginare come potesse essere quel giorno, durante quella piena improvvisa. Immagino Cesare: il passo imprudente, la scivolata, la sosta miracolosa sul masso circondato dai flutti, il cenno di saluto con la mano, forse a dire “sto bene” o forse “addio”, poi il salto.
Ricordo, quella sera, la telefonata di Marco e come mi tremava la voce mentre riportavo la notizia ai ragazzi. Ora è pace; la natura non chiede mai scusa ma si fa amare sorridendo benevola col suo fascino immenso.
Dopo pranzo, piacevolmente brilli, sotto un tiepido sole che carezza la pelle, ci fermiamo a guardare il monte Bianco di fronte a noi. Un rumore sordo in lontananza, una frana di ghiaccio e pietre sul bordo del ghiacciaio, come un respiro: il monte è vivo. Courmayeur è addobbata a festa con gli striscioni del “Tor De Geants”. Sono tutte cose belle; solo cose belle.

venerdì 9 settembre 2016

Ultra Track Supramonte Seaside - "90" La paura

Matteo mi ha promesso che toglierà tutte le pietre ma non mi fido. Mi porterò una borraccia di “viacal” e tutti i libri di “zerocalcare” che ho in casa ma non credo che basti. Ormai però mi sono iscritto all'UTSS e calcare il calcare del supramonte per 90 chilometri mi fa paura. Esorcizzo con la cabala.
90 è la paura di affrontare una prova così dura ma “la paura” è anche metafora dell'emozione che ci travolgerà al traguardo. Ogni chilometro ha il suo significato e la sua metafora. Qualcuna l'ho capita e la riporto qui sotto, altre mi sfuggono o non son sicuro. Per esempio: “30”, “le palle d'o tenente” si riferisce all'irritazione ai genitali che insorge al trentesimo chilometro? Aiutatemi che se riesco a dare l'interpretazione corretta, saprò esattamente, chilometro dopo chilometro, cosa aspettarmi in gara. A proposito, devo dire a Matteo, che offrire fagioli al ristoro del decimo chilometro non mi sembra proprio una buona idea ...

km
Italiano
Napoletano
Significato della metafora
1
L'Italia
Uno stivale con suola vibram
2
'A piccerella
Quella piccola pietra in calcare che sta per sbattere contro lo stinco dello stivale Italia: il supramonte.
3
La gatta
'A jatta
Tanto va sul calcare che ci lascia lo zampino
4
Il maiale
'O puorco
... ci lascia lo zampone
5
La mano
'A mano

6
Quella che guarda verso terra
Chella ca guarda 'nterra
Chella ca non vole 'nciampare
7
Il vaso di creta
'O vasetto
'A vaselina
8
'A Maronna
L'ho vista! Non è presto?
9
La figliolanza
'A figliata

10
'E fasule
Ristoro proteico
11
'E suricille

12
'O surdato
Ho sudato
...
...


90
La paura
'A paura
Emozione pura!

domenica 4 settembre 2016

E Martino è partito

Gli ultimi giorni in Sardegna, prima di partire per Torino per studiare fisica all'università, Martino li ha passati a recuperare oggetti. Lo zaino con i documenti è stato recuperato miracolosamente in un club di Cagliari castello, aperto solo di notte, dove lo aveva scordato un paio di giorni prima. La carta di debito, prestata ad un'amica, dopo un mancato appuntamento – con i due ad aspettarsi ai due lati opposti di piazza Matteotti – è arrivata a destinazione solo la sera prima della partenza e persa di nuovo qualche ora dopo. La mattina, dopo aver cercato in tutte le tasche, Martino è sicuro: “sarà al Bronx, allora”. Il “Bronx” è il piazzale di una villa abbandonata dove i ragazzi di Poggio si ritrovano e dove aveva passato tutta la notte a salutare gli amici. Un minuto prima di partire per l'aeroporto, passiamo dal Bronx ed era lì, per terra. Il suo sorriso di soddisfazione sembra dire “vedi? Era inutile preoccuparsi, tutto si sistema”.

E Martino è partito. Mi mancheranno le sue risate profonde, la sua incoscienza programmatica, il suo allegro fatalismo, la sua simpatica nonchalance.