venerdì 27 dicembre 2013

Mio padre è un tonto

Ho fatto cose che voi umani ...  ovvero: come sono arrivato a 48 anni ad affrontare il primo ironman quasi come fosse una passeggiata.
Disclaimer: non è un programma di allenamento, sono solo esperienze personali e, per finire un ironman non è obbligatorio anzi è sconsigliato fare sedute di adattamento all'addiaccio schiacciati da parenti.


Per affrontare un ironman come fosse una passeggiata, devi avere dietro una famiglia, che, già da piccolo, ti stimola e ti spinge ad uscire dalla tua zona di comfort, ad avventurarti nell'ignoto, a "curiosare" fuori dalla tua testa. C'è chi ce l'ha e chi no. Io, per fortuna, l'ho avuta.
Mio padre è un tonto. Cominciava così il tema "parla di tuo padre" che avevo svolto alle scuole elementari. Per me era bonaria ironia, certo molto lontana dal tono col quale quasi tutti i miei compagni di classe celebravano il loro genitore. A dimostrazione di quest'asserzione iniziale, raccontavo un paio di episodi. Uno era questo.
1974 – autunno inoltrato; come tutte le domeniche, si andava a camminare in montagna; c'erano i miei genitori Cesare e Flavia, mio fratello Marco e Carla, collega di mio padre. Quel giorno, l'altro fratello Claudio era rimasto a Torino ospite da amici di famiglia.
Il dubbio si cela in quella chiara oscurità
Nel primo pomeriggio stavamo ancora salendo verso la nostra meta di giornata quando scese la nebbia e Cesare decise che era meglio rientrare. Qualcuno protestò, ma era lui il responsabile e decideva per tutti. La nebbia diventava sempre più fitta avvolgendo tutto. A pochi metri non si vedeva niente. Era un continuo chiamarsi, voci emergevano dal bianco nulla, da quella chiara oscurità: “Non vi allontanate!” “Dove siete?” Tutto era magico e pauroso, quasi sovrannaturale. Diverso. Così diverso che non riconoscevamo i posti e il dubbio, nascosto nella nebbia, ci circondava sempre più vicino fino a diventare certezza. Quella baita non l'avevamo mai vista: da lì non eravamo passati. “Fermi tutti – ci siamo persi”. Mio padre decise di tornare indietro per cercare il punto dove avevamo perso il sentiero. La nebbia, che continuava a coprire tutto, lo inghiottì e, mentre aspettavamo infreddoliti, la precoce sera autunnale cominciava a calare togliendo luce. Quando mio padre riemerse, la nebbia era ormai grigia, sul suo volto, in mezzo agli occhi una ruga di preoccupazione. Non aveva ritrovato il sentiero. Quella ruga era l'unico segno che traspariva. Niente scene di panico, voci concitate o gesti nervosi. Io non ero molto preoccupato. Per me la vita era quella, piena di situazioni strane, disagevoli ma anche di risorse per uscirne. Ormai era tardi e il freddo, approfittando dell'umidità, si infilava sotto i vestiti. Poco più su c'era quella baita in pietra abbandonata e aperta. Forse un ricovero per bestie. Solo pietra - dura, grigia e fredda. Pareti di pietre a secco, banconi di pietra e pavimento di pietra ricoperto d'acqua. Cesare decise che avremmo passato la notte lì, dormendo sui banconi. Il freddo era come fuori ma almeno non entrava il vento. Ormai era buio e non c'erano alternative. I tentativi di accendere un fuoco per riscaldarci furono inutili. Era tutto bagnato e l'unica cosa che riuscimmo a bruciare era l'orario dei treni di Carla. Ricordo i numerini che sparivano nel fumo emettendo una bava di calore e un puzzo acre e penetrante che si infilava nei pori della pelle e dei vestiti. Ci sistemammo sui banconi di pietra. Mio padre, per scaldarmi, si appoggiò sopra di me. Mia madre dormiva con Marco. Mi ricordo il peso di mio padre, il rumore del suo respiro che piano piano si trasformava in un ronfo. Lui dormiva, io no, schiacciato dal suo affetto contro la dura pietra, infreddolito affamato e con addosso quel puzzo di carta bruciata che infilandosi dalle narici penetrava fino alle tempie. Se fossimo congelati ci avrebbero ritrovati in quell'abbraccio pompeiano. La notte fu lunga e insonne ma, per fortuna, non eccessivamente fredda. Siamo sopravvissuti. Alle prime luci del mattino ci siamo alzati; le ossa scricchiolavano ma dovevamo muoverci per scaldarci; la nebbia si era alzata anch'essa e … sorpresa! Ci siamo subito resi conto che non avevamo mai perso il sentiero, ci stavamo sopra senza riconoscerlo. Mio padre è un tonto. Era lui il responsabile, a lui davamo tutta la colpa e lui se la prendeva senza obiettare. Tornammo velocemente a valle, al paese, alla stazione. 
Lunedì mattina, la scuola ormai era persa, siamo andati dagli amici di famiglia che avevano ospitato mio fratello Claudio per la notte. Quando ci vide, le sue prime parole furono "credevo che eravate tutti morti". Come scoprimmo anni dopo, la montagna è davvero pericolosa e mortifera, ma non quella volta, e non tutti.


domenica 22 dicembre 2013

Giancarlo corre con noi.

Lo conoscevo solo di vista. So che aveva la mia età, era un MM45 – fra atleti gli anni si contano 5 alla volta – e, un anno fa, è morto.
Gli amici di Giancarlo hanno organizzato una gara in suo ricordo, su un bellissimo percorso panoramico su e giù dal colle San Michele; la foschia attenua la visuale accentuando le lontananze e lasciando spazio all'immaginazione, ai “sovrumani silenzi e profondissima quiete”. Il percorso è divertente, mosso con moto ondoso in aumento, mi fa inghiottire il cuore nelle salite e poi pestare le gambe nelle discese, inclinare in curva per non rallentare aspettando la scivolata che non arriva. Divertimento, fatica, suggestione, soddisfazione per un risultato che illumina un miglioramento, un altro piccolo passo verso l'eterna giovinezza. Giancarlo corre.
Mi sono fermato a guardare la sua foto in grandezza naturale, anche lui con quell'espressione di fatica ed entusiasmo, quella passione che ci fa amare la vita, attaccarci ad essa e volerla vivere ancora a lungo, o almeno ancora un po' e a volerne un'altra quando questa finisce. Ancora una, una soltanto. Chiedo poco: voglio solo un'altra vita.

Il cielo ha cominciato a lacrimare dolcemente.

sabato 21 dicembre 2013

Ispirazione

Ieri, mentre facevo la doccia, mi è venuto da canticchiare una stranissima canzone. Cominciava così:
“Lo confesso senza imbarazzo
uso il balsamo per i peli del c....”

Eh, sì, quando arriva l'ispirazione se ne cagano fuori di belle poesie …  

giovedì 19 dicembre 2013

Pignolerie – Il calendario perfetto.

Quanta carta sprecata in alto
a sinistra e in basso a destra.
Con il calendario perfetto si
salverebbe anche l'amazzonia 
L'anno prossimo al primo maggio c'è il ponte? E Natale che giorno cade?” Ogni anno diversi kilojoule di energia mentale se ne vanno per calcolare date: divisioni per sette, resti, addizioni … e il riscaldamento di miliardi di meningi sommandosi all'effetto serra, contribuisce ad aumentare il rischio di disastri climatici.
Negli Stati Uniti, hanno cercato di ridimensionare il problema ponendo le festività nazionali in giorni fissi della settimana, tipo il quarto giovedì di novembre ecc.. In questo modo garantiscono il ponte ma, ogni anno, sono costretti a ricalcolare la data. Insomma la coperta è stretta e se la tiri da una parte ti scopri dall'altra.
Eppure la soluzione c'è, semplice ed efficace: basterebbe adottare il “calendario perfetto”.
La teoria del tempo.
Il giorno e l'anno sono legati al periodo di rotazione della terra attorno al suo asse e al periodo dell'orbita terrestre intorno al sole e sono le unità di base del calendario. Un anno solare dura circa 365.25 giorni.
Consideriamo assodata anche la settimana di 7 giorni come ciclo lavorativo, ormai cristallizzata da millenni di sviluppo culturale e sociale; cambiarne la durata costerebbe dure lotte sociali e guerre di religione.
Veniamo al mese. Il periodo dell'orbita lunare è di 27.3 giorni (è il tempo che passa fra due momenti in cui la luna è alla minima distanza dalla terra e la sua attrazione gravitazionale è massima). Il periodo fra due lune piene è invece di 29.5 giorni. Ma il vero ciclo che influenza la vita dell'uomo sulla terra è il ciclo mestruale di 28 giorni circa.
Matematica superiore.
Mettiamo insieme questi numeri in modo razionale usando la matematica superiore (ricordate le tabelline?)
7x4=28
28x13=364=365.25-1.25
Il calendario perfetto.
Nel calendario perfetto ci sono 13 mesi, ognuno di 28 giorni. Comincia sempre un lunedì e finisce sempre la domenica, il 2 di qualsiasi mese di qualsiasi anno sarà sempre un martedì e così via. Se la festa è il 25 aprile o il primo maggio, ci sarà sempre il ponte e se cade il quarto giovedì di novembre sarà sempre il 25 del mese. Il tuo compleanno cadrà sempre lo stesso giorno della settimana e lo festeggerai sempre la domenica più vicina. Le mestruazioni saranno più o meno sempre lo stesso giorno del mese con meno rischi di gravidanze indesiderate e meno divorzi (“ah, oggi è il 20, devo stare attento a come parlo a mia moglie”).
Avanzano 1.25 giorni all'anno. Volete sprecarli? No, si festeggia! Ogni anno ci sarà un giorno festivo extrasettimanale (potrebbe essere il capodanno) e ogni quattro anni la grande festa bisestile.
Rivoluzione a costo zero.
E ora aspetto con velleitaria fiducia il clamore e il passaparola mediatico che questa proposta geniale solleverà, dopodiché si passerà alla petizione con raccolta di firme per realizzare questa rivoluzione a costo zero, salvando famiglie dalla dissoluzione, l'economia dalla crisi e il mondo dal sovrappopolamento e dal riscaldamento globale.

E infine, modestamente, mi metterò paziente ad aspettare il premio nobel per la pace familiare …  

martedì 17 dicembre 2013

Occhiali

Tempo fa ebbi una brutta esperienza con le pantofole (http://pisanilorenzo.blogspot.it/2013/03/pantofole.html). Per fortuna, essendo calzature di bassa qualità, si erano disintegrate in poco tempo lasciandomi libero di girare a piedi scalzi, di saltellare, correre, uscire di casa. Nei negozi altre pantofole si esibivano, morbidamente ammiccanti, pronte a sostituirle, ma io, dopo uno sguardo distratto, mi dirigevo con passo sicuro, senza voltarmi, verso il reparto delle calzature sportive.
Il mio passato di vecchio sembrava definitivamente alle mie spalle, finché, sabato scorso, improvvisamente e senza preavviso, sono ricaduto nella spirale discendente, ho imboccato di nuovo quel vicolo cieco a senso unico. Dev'essere stata la cattiva influenza di quel vecchietto di mio fratello Marco, ormai ultracinquantenne (la vecchiaia è contagiosa!) con cui stavo girando per negozi. Questa volta sono stati degli occhiali da vecchio; erano in una cartoleria e mi hanno colto di sorpresa: mi hanno fatto l'occhiolino e non ho saputo resistere.
Sono da lettura, dicono, ma che rimane da leggere con questi occhiali da vecchio? Niente più fumetti, riviste rock o blog sportivi, solo necrologi sul giornale e “modalità d'uso” dei medicinali geriatrici.
Sono anche stato fortunato, pensa se fossi stato sedotto da una dentiera!

Ora ci manca solo che mi vengano i capelli bianchi …  

domenica 15 dicembre 2013

Kit antiforatura

Sabato. La giornata comincia a Teulada, appena sceso dalla macchina, con i ravioli dolci appena fritti offerti da Alberto.
Cosa fosse successo prima resta avvolto in una coltre di sonno, tanto che il kit antiforatura che ero riuscito a procurarmi in quel nebbione era costituito da una bomboletta “gonfia e ripara” vuota e da una camera d'aria per bici da corsa.
Il raviolo fresco e appetitoso fa da antipasto ad una gustosissima giornata in mountain bike. Il clima è fresco e splendente, il percorso quasi completamente nuovo per me, la compagnia simpatica, salite lunghe ma piacevoli, viste aeree sterminate, sentieri sottobosco, discese fantastiche su piste disegnate con linee artistiche nel bosco, e, ovviamente nel punto più lontano, foratura. Faccio lo sbruffone “tranquilli, ho tutto!” Prima figura da scemo: la bomboletta sputacchia poche bollicine di bava, prima di esalare l'ultimo respiro con una pernacchia. La seconda: provo a riempire l'enorme copertone diametro 29 della mia mtb gonfiando la minuscola camera d'aria da strada.
La sensazione di impotenza (figurata) è ben rappresentata fisicamente dalla moscezza del copertone che non ne vuole sapere di indurirsi nonostante le pompate ...
Senza l'assistenza di Marco e Alberto l'avrei finita a piedi.
Giàqquante volte mi son ritrovato a dover percorrere chilometri camminando o correndo su basi inadatte e con la bici in mano. Ricordo corse giù dalle montagne con l'ultima luce dalle lontane ciminiere incendiate di Sarroch o scalzo sull'asfalto col calore dell'attrito che fondeva le piante dei piedi in una grande vescica (http://pisanilorenzo.blogspot.it/2013/04/forature.html ). Ho promesso: mai più!
Domenica. Avevo deciso di uscire in mtb anche oggi. Come ogni domenica il signore si riposava, i negozi erano chiusi e non potevo comprare pezzette camere o bombolette; la promessa era di ieri, non potevo ignorarla: come fare?
A volte la risoluzione dei problemi è ovvia ma non si vede; intuizione, colpo di genio, follia? Niente di tutto ciò: basta aprire gli occhi!

Per non rischiare di dover correre con le scarpe da bici, c'era una sola cosa da fare: ho tolto dallo zainetto la bomboletta vuota e la camera d'aria da strada e, al loro posto, ho messo un bel paio di scarpe da corsa! Il mio nuovo kit antiforatura.

venerdì 13 dicembre 2013

Una mezza a settimana …


Questo titolo me lo gioco: una mezza sette – 1 ½ 7 – terno secco. Un bussolotto si apre, il numero si frantuma e, per la prima volta, vengono estratti numeri frazionari sulla ruota di Torino.

L'omino Michelin prende il volo ...
La domenica dopo la mezza di Cagliari, sono a Torino per il compleanno di mio fratello e, casualmente, c'è un'altra mezza pomposamente chiamata Royal Half Marathon. In settimana non ero riuscito ad allenarmi perché avevo una coscia ammaccata da una caduta in mtb. Ho titubato fino all'ultimo, poi mi sono iscritto, sperando di non risentirne. Avevo anche paura del freddo.
Dopo una notte sottozero, la massima prevista è di 3 gradi. Decido allora di uscire da casa di mia madre all'ultimo momento, meno di mezz'ora prima della partenza, e di fare di corsa i tre km per arrivare al ritrovo. Indosso maglia e guanti da ciclista e giubbino antivento. Qualcuno corre in canottiera. Io sembro l'omino michelin. Non fa poi così freddo e posso togliere il colbacco … Anche l'antivento finisce presto nella tasca della maglia da ciclista. 

Pecora o spermatozoo? Qualche giorno fa, mi chiedevo che origini avesse lo spirito che mi spinge a partecipare a gare affollate. La risposta ora l'ho chiara. Mi piace correre in mezzo a tanti ma non per belare nel gregge. Vorrei uscirne, avanti a tutti, scodinzolando allegramente ma oggi proprio non ci riesco. Da un punto di vista andrologico, non sono però uno di quegli spermatozoi pigri che si aggirano svogliatamente senza puntare la meta, sono invece uno lento, con molta buona volontà ma bassa motilità; mi sento invischiato, come se invece dell'aria fossi costretto a correre in un liquido viscoso …

diciamo che sono in affanno, prima che questa metafora mi spinga su terreno troppo scabroso. Rallento un po' fino a 4' al km, ritmo che mi permette di non rantolare e, in prospettiva, di migliorare leggermente l'ora e ventisei della mezza di Cagliari. Riesco a godermi anche il percorso, quasi tutto sul lungo po, lontano dal traffico e dalle macchine …

ah sì, le macchine, a Torino l'automobile regna sovrana, ma qui, ora, non ci si disturba

con mio sommo piacere c'è anche molto fondo naturale, qualche lieve saliscendi, le pozzanghere sono dure, scivolose, sembra ghiaccio … improvvisamente mi ritrovo per terra.
Mi rialzo subito ma devo rallentare e mettermi dietro a quelli che avevo superato pocanzi per lasciar scemare un po' il dolore.

Cadere, rialzarsi, … per me è quasi routine. Indosso fieramente, con sconcertante regolarità, le croste sui ginocchi; sono simbolo di fanciullezza e perciò le tengo care.

Dove avro' lasciato la bici?
Dopo qualche minuto i dolori della caduta si mescolano ai vari indolenzimenti e si fanno dimenticare.
Finisco in un'ora e venticinque, indolenzito ma soddisfatto. Sono arrivato 25esimo su 500, non male. Certo il tempo è circa 5 minuti sopra il mio standard, ma qualcuno sostiene che con l'allenamento si possa migliorare. E allora alleniamoci: è ora di ripartire e di porsi qualche obiettivo. Il 9 febbraio, giorno del mio compleanno, si correrà la mezza di Pula. Quale migliore occasione per mettersi alla prova? Ho due mesi di tempo e vorrei scendere di nuovo, dopo un paio d'anni, sotto l'ora e venti. Velleitario? Modestamente, sì!

ps. La mattina dopo, in stazione ho incrociato un gruppo di “forconi” . Li ho osservati: giovani ma brutti, neri, sembravano più teppisti da stadio che manifestanti. Inquietante.

mercoledì 11 dicembre 2013

La fase discendente - Per i 50 anni di mio fratello Marco

50 anni, inizia la fase discendente. Detto così sembra brutto ma noi ciclisti sappiamo che non c’è niente di meglio di una bella discesa nel finale.  Allora diciamolo alla “ciclista”: “tranquillo Marco, da qui in avanti è tutta discesa”.
Sai tutto ormai, ora puoi cominciare a dimenticare: lascia che, piano piano, la testa si svuoti.
Hai dato molto ai tuoi figli, ora è arrivato il momento che comincino a restituirti qualcosa: e se non te lo vogliono dare, fai pure i capricci.
Hai lavorato tanto per salire sulla cresta dell’onda, ora surfaci, lasciati trasportare da quest’onda, fin quando non si esaurisce. Ogni giorno, lavora un pochino di meno, così  arrivi gradualmente alla pensione, senza traumi.
Sei uscito più volte dalla tua zona di comfort per renderla più larga e più bella, ora ti ci puoi accomodare tranquillo e godertela tutta, finché non fa la muffetta.

Io? Che c’entro ora io? Ho ben 14 mesi ancora per migliorare i miei primati personali, per far carriera, per rinnovare l'arredamento della mia zona di comfort, per guadagnarmi la gratitudine dei miei figli, e poi basta pedalare, non mi resterà che scendere, dovrò solo stare lì sulla vita e lasciarmi scivolare… oddio … mi sa che farò presto a venir giù da 'sto cavalcavia!

giovedì 5 dicembre 2013

Pignolerie: vuvvuvvu e chiocciolina

Pignolerie – ovvero piccole cose dette con enfasi.
Ricordate il vuvvuvvu? Quello che ora non si dice quasi più perché si dà per scontato? Bene, a me faceva venire ogni volta un brividino di raccapriccio: perché dire vu se è vu doppia? Perché è più breve? Allora, se una lettera vale l'altra, perché non u-u-u che è ancora più breve? Poi, volendolo semplificare, basterebbe usare la matematica: vu doppia+vu doppia+vu doppia=3(vu doppia)=6vu
"6vu", ancora più breve e matematicamente esatto.
Sapete quanta gente ha provato a connettersi ad indirizzi vvv? E non era colpa loro. L'ignoranza vera era di chi li aveva pronunciati male.
Io non ci sono mai cascato. In compenso però, quando un vecchio compagno di liceo mi aveva dettato il suo indirizzo di posta elettronica, avevo scritto “chiocciolina” sull'agenda. E mentre lo scrivevo lui mi guardava strano ma senza dirmi niente. Più tardi ho capito e mi sono un po' vergognato anche se non avevo colpe. Per me quel simbolo era “at” o, in italiano “su”, breve ed esatto. Perché usare quella parola sterminata, mentre tutto intorno le parole venivano accorciate? E perché proprio chiocciolina? Io per esempio, se proprio devo dirlo, in quel simbolo ci vedo uno stronzetto arrotolato o un uovo fritto ma non mi sono mai sognato di dettare “pisani stronzetto crs4 punto it”. Chissà perché … forse suonava male ...

martedì 3 dicembre 2013

eggialosapevo

"L'uomo è un incrocio tra scimpanzé e maiale": l'ipotesi shock dello scienziato McCarthy. Questo il titolo di un articolo pubblicato su repubblica-scienze: http://www.repubblica.it/scienze/2013/12/03/news/l_uomo_un_incrocio_di_scimmie_e_maiali_l_ipotesi_shock_del_genetista_mccarthy-72579034/?ref=HRLV-11
Fanno passare come ipotesi "shock" teorie che nel mio "bar" erano già discusse da tempo: "Qualche esimio collega da bar potrebbe suggerire che il comportamento alimentare descritto sopra dimostrerebbe una maggiore affinità genica con i maiali piuttosto che con i predatori, e che quel verso somigli più a un grugnito che a un ruggito. Che teoria strampalata! Se così fosse, mi dovrei essere divertito a grufolare nel fango alla campestre di Guspini di domenica scorsa ... oddio!
Grunf." cit. da: http://pisanilorenzo.blogspot.it/2013/02/scienza-da-bar-mucca-o-predatore.html
Già una trentina di anni fa, quando ancora Mccarthy studiava le tabelline, avevo intuito l'ipotesi genetica considerata e l'avevo inserita nella strofa finale: "finché mi rendo conto che discendiamo dai maiali e mi lascio cadere nel fango" di una mia canzoncina citata qui: http://pisanilorenzo.blogspot.it/2013/03/pioggia.html. Era già pop. Se volete ve la canto ...

Cagliari Respira … o almeno ci prova!

Grazie Antonello: http://www.antonellovargiu.com/
CagliariRespira - ½ maratona della città di Cagliari.
Gli automobilisti strombazzano festosi e scherzosamente definiscono “gara del cazzo” la nostra bella maratonina. Avrebbero preferito la solita “Cagliari Boccheggia” di tutti i giorni ma oggi no, è un giorno speciale, una vera festa. Siamo più di mille a correre in mezzo alla strada. Loro sono rigorosamente esclusi dal percorso di gara e ci guardano con invidia dall'interno delle loro scatole, ferme e impilate nella strada come sugli scaffali di un supermarket. Qualcuno di loro pensa: “non è giusto, quella strada è mia”. Avrebbero molti sentimenti, ragionamenti, considerazioni da esprimere ma riescono solo ad abbaiare con i claxon. Utilitarie-barboncino rispondono a SUV-alano aizzandosi l'un l'altro. Forse qualcuno ci azzannerebbe volentieri una caviglia, forse invece esprimono la gioia di vederci passare: è difficile interpretare l'espressione monocorde del claxon; avessero almeno una coda da agitare … . Di sicuro, siccome dentro le scatole ci sono persone intelligenti, l'anno prossimo passeranno dall'altro lato della barricata di vigili e saranno a correre con noi.
Cagliari Vola, Corre, Arranca, Strascica e Respira moltissimo, profondo, affannato, a volte ansimante. Cagliari Vive, almeno un giorno all'anno.

domenica 1 dicembre 2013

Patate dolci

Per cena stavo preparando arrosto di maiale con patate. Francesco faceva lo sguattero tagliando le patate. Quando stavo per infornare, mi ha detto: "oggi però è thanksgiving, avremmo dovuto mangiare le patate dolci americane". "Ah sì? Vuoi le patate dolci? Ecco le tue patate dolci" ho risposto io cospargendo di zucchero le patate con finto furore. "Vorresti anche il tacchino, per caso?? Devo mettere le ali a questo maiale??" E, facendo il pazzo, ho conficcato due ramoscelli di rosmarino nella carne. Francesco era proprio contento e rideva di gusto. Niente male poi il risultato, è stato tutto ingurgitato con gusto.
Un altro modo di dire la stessa cosa:
Ieri mentre preparavo un arrosto con patate, mi è venuta l'ispirazione, e per dare un tocco di delicatezza e nobiltà al volgare tubero, l'ho arricchito con una spolverata di zucchero. All'assaggio si è comportato con pacata signorilità insolita per un maiale, carezzando il palato e scivolando giù delicatamente.
Il principio è sempre quello: "viva la cucina stocastica!".