Non l'ho vinto.
Non ancora. Ecco perché continuo a partecipare a gare, ad allenarmi
duramente; ecco cosa desidero in cambio di tutti quei litri di
sudore.
Ho vinto chili di
pecorino, diversi metri di salsiccia, casse di frutta e verdura,
prodotti tipici di quasi ogni comune sardo, capi di abbigliamento da
uomo e da donna, integratori e creme di bellezza, anche soldi con cui
avrei potuto comprarne ben più d'uno ma lui, il mitico prosciutto,
la fenice dei premi in natura, mi è sempre sfuggito.
Perché proprio il
prosciutto? Non so bene; il mito del prosciutto forse mi è entrato
in testa ascoltando il racconto di qualcuno che lo avrebbe vinto dopo
una fuga solitaria o uno sprint rabbioso. Forse invece è perché
rappresenta le immagini della coscia, simbolo del corridore, e del
maiale simbolo dell'abbuffata fuse in un unica entità …
Vincere è come un
amplesso, si dice. Per noi che gareggiamo contro noi stessi, vincere
contro sé stessi è dunque un po' come farsi una sega. Ne vale la
pena? Possiamo correre allora contro il tempo, ma il tempo, per
quanto uno cerchi di fermarlo pigiando il tasto “stop” del
cronometro, tende a sfuggire; in mano ci ritroviamo solo aria e se
stringiamo la mano se ne va anche quella. Il prosciutto no. È di una
concretezza assoluta, sfugge alle astrazioni e, se solo sapesse
cantare, delizierebbe tutti i cinque sensi. Allora punto al
prosciutto, la mia lepre da inseguire con la bava alla bocca, il mio
oro olimpico, il mio sogno di gloria …sul podio con un prosciutto
al collo e un ramo d'alloro in testa … . Quanti atleti, sognando il
prosciutto, hanno provato ad addentare l'oro olimpico rischiando di
rompersi i denti in pubblico e quante affettatrici hanno rotto
nell'intimo delle loro abitazioni.
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