mercoledì 27 luglio 2016

Trans d'Havet - A tutta birra!

Leggi la prima parte Il sentiero sale quasi subito ripido e fatico a tenere il passo di quelli accanto a me. Recupero un ramo da usare come bastone ma più che "nordic walker" mi sento vecchietto. Oltre ai normali dolori, percepisco infatti una sensazione di affanno tipo "vecchietto che sale le scale". Quando finisce la salita ripida il sentiero scende veloce per un breve tratto, mi sento rigido tipo "vecchietto che scende le scale", poi finalmente spiana, ringiovanisco, getto via il bastone e ricomincio a correre. Che piacere correre sui dolci saliscendi verso passo Campogrosso, con quel gesto fluido ed elastico che conosco così bene e che oggi ho potuto fare così poco. Recupero qualche posizione e raggiungo di nuovo Enrico. Questa volta è in piena crisi di fame. Correndo con troppo slancio ha esaurito le riserve di carboidrati. Lo accompagno al passo per un tratto di strada poi corro avanti per aspettarlo al ristoro. Bevo la solita birra e chiedo informazioni sul percorso. Sapevo, anche dai racconti di Antonello, che qui inizia la parte più selvaggia e dura e che per un bel pezzo sarebbe stato anche difficile ritirarsi. "Il sentiero passa da lì" mi dicono Indicando un canalone quasi verticale sulla bella parete dolomitica del monte Carega. Mi siedo ad aspettare Enrico e quando arriva gli spiego la situazione e chiedo che intenzioni abbia. Non ha nessuna esitazione e toglie anche a me ogni traccia di dubbio. E' ancora in piena crisi ma vuole andare avanti.  Nessuno dei nostri amici sardi è mai andato oltre, noi lo faremo.
Non ho fretta e faccio volentieri un pezzo di salita con lui. Anch'io sono molto stanco e credo che faccia bene anche a me andare piano. Ci mescoliamo agli escursionisti che salgono per lo stesso sentiero andando ad un passo appena più veloce del loro. Ogni tanto ci supera qualche concorrente ma non importa, voglio solo arrivare. Offro ad Enrico un pezzetto del torrone vinto a Tonara, che ho confezionato appositamente per questa gara, con la carta d'alluminio ormai inglobata come le mandorle nel fluido mieloso. Forse grazie al miele o all'alluminio, piano piano si riprende. Il sentiero entra nel canalone e diventa ripidissimo. Nonostante siano appena passate le 9, a 1800 metri di quota fa un caldo quasi afoso. A metà salita mi rendo conto che non sto più aspettando Enrico: questo è il mio passo. Dopo diversi sorpassi subiti, ora siamo noi che  guadagnamo qualche posizione e gli escursionisti ora sembrano fermi. Enrico resta leggermente indietro ma alla forcella mi raggiunge. La salita non è finita, dopo un bel traverso pianeggiante, si scorge, 200 metri più su, il passo dov'è situato il punto più alto di tutto il percorso. Il cielo sta brontolando già da un po'. "Fra poco piove" dico. "E' presto, deve piovere nel pomeriggio" "non senti i tuoni?" Poco dopo iniziano a cadere grosse gocce che non fanno presagire niente di buono. Enrico ora è avanti, fatico a seguirlo. Mi raggiunge Sabrina, con cui avevo fatto un po' di strada di notte. E' preoccupata. Inizia a diluviare. Ci fermiamo ad infilare la giacca e cerchiamo di affrettare il passo per arrivare presto al ristoro in cima. Appena arrivati al passo ci accorgiamo che il ristoro non è altro che un telo spazzato da un vento terribile, sotto al quale, insieme ad un'altra decina di persone ammassate per cercare riparo dalla pioggia, c'è anche Enrico che mi ha aspettato per decidere cosa fare. Il rifugio Fraccaroli è più su, il percorso invece scende verso il rifugio Scalorbi non troppo distante. "Scendiamo" dico, "qui si muore di freddo". Intanto comincia a grandinare, il sentiero è un torrente ma appena iniziata la discesa, il vento si placa e capisco che stiamo facendo la cosa giusta. I muscoli però sono induriti dal freddo e le articolazioni, dalle ginocchia ai talloni fanno male e mi impediscono di correre. Dico a Enrico di non aspettarmi e continuo al passo.  Continua a tuonare sempre più forte. Incrocio una famigliola con bambina e cane che stavano salendo al rifugio Fraccaroli ma si erano fermati bloccati dalla paura e dall'indecisione. "Vi conviene scendere" dico loro. Mi supera Sabrina "abbiamo fatto bene a scendere" dice. Poi altri; vanno tutti a velocità doppia rispetto a me ma non riesco proprio ad accelerare. L'acqua ormai è penetrata sotto la giacca e i piedi ci sono immersi. Il temporale, per fortuna, sta calando d'intensità ma mi rendo conto di avere freddo. Guardo le mani, gonfie e rosse, e le scuoto per riattivare la circolazione. Vedo il rifugio poco lontano ma sono così lento che impiego un'eternità per raggiungerlo.

Al ristoro del rifugio Scalorbi
Fisicamente distrutto ma sorridente
Il ristoro è un tendone montato a ridosso del  rifugio. Mi faccio servire brodo caldo e lo bevo dalla scodella. Mi aiuta ma non basta e comincio a tremare. Enrico intanto si è cambiato. Vado anche io a cambiarmi in una stanzetta del rifugio a nostra disposizione. La maglietta a maniche lunghe è in un sacchetto di plastica ancora asciutta. I famosi pantaloni lunghi sono invece fradici e inutili. Prima di rimettere la giacca cerco di asciugarne l'interno per evitare di infradiciare subito la maglia asciutta. Intanto continuo ad essere scosso da brividi. Bevo due bicchieri di the caldo e aspetto lì al chiuso seduto su una panca, ma il freddo mi esce da dentro e l'ambiente non è abbastanza caldo da smaltirlo. Fuori ha quasi smesso di piovere e provo ad uscire sognando il caldo afoso di poco prima ma l'aria è ancora quella fresca del dopo-temporale. Intanto stanno arrivando i primi concorrenti della 40 km. Qualcuno di loro è in canottiera, fradicio ma, scaldandosi dall'interno con i residui dell'azione di corsa, non soffre il freddo. Io dentro sono vuoto, ho solo freddo. Se ci fosse stato un pullman o una tenda calda per ritirarsi, mi sarei ritirato ma non c'era. Non so quanto tempo ho passato lì, forse un quarto d'ora, probabilmente di più. Non vedo più Enrico, sicuramente  è partito quando ero dentro a cambiarmi e a meditare. Per la terza volta ho pensato “lo rivedrò al traguardo” e anche questa volta mi sbagliavo. Provo a ripartire anche io; camminando in salita forse riesco a scaldarmi.  Alzo il bavero della giacca sopra la bocca in modo che il fiato tiepido resti intrappolato intorno al corpo e riprendo a camminare. Mancano 26 km al traguardo e sono le 11. Se anche camminassi per tutto il tempo  arriverei entro le 18, in tempo per l'aereo. Su queste pendenze dolci non soffro tanto e penso quanto sia meglio camminare ora su questi sentieri piuttosto che di notte lungo la statale Marradi-Faenza con le macchine che mi sfrecciano accanto ... link.
Insomma, non me la godo ma ho vissuto di peggio e piano piano comincio anche a scaldarmi. Mi superano ancora diversi concorrenti, quasi tutti della 40 km. Dopo la salita e una ripida discesa, le pendenze si ammorbidiscono, la temperatura interna sale e le gambe, incredibilmente fanno sempre meno male. Ora che sto tornando vivo, mi rendo conto di avere un sasso nella scarpa e la vescica gonfia ma non mi fermo subito, voglio aspettare di avere meno freddo. Quando finalmente tolgo il sasso dalla scarpa mi sento rinascere e ricomincio a correre. Prima della pisciata faccio ancora almeno un chilometro per trovare il punto più panoramico! Svuoto la vescica e rinasco ancora di più. Appena ripartito mi superano altri 2 della corta, ma ora sono un altro e li seguo a distanza senza difficoltà. I due raggiungono altri che mi avevano superato prima e quando la strada inizia a risalire camminano tutti. Io continuo a correre e li supero di slancio. Sto proprio bene e solo quando le pendenze diventano ripide cammino, non perché non riuscirei a correre ma per tenere un po' di energie per il futuro. Non so quanto durerà questa resurrezione miracolosa e mancano ancora 15-20 chilometri al traguardo.
Al ristoro di Malga Campo Davanti trovo un'ottima anguria e la solita birra. Sono euforico e riparto quasi subito correndo sui saliscendi del sentiero di cresta. So che fra non molto arriverò alla fine di questo bel crinale e il percorso scenderà ripido verso il traguardo. Non so come reagiranno le gambe in discesa ma intanto mi diverto continuando a correre e superare. La maggior parte di quelli della lunga sono quasi fermi. Mi ricordano le mie condizioni di un'ora prima e il confronto mi esalta ancora di più. Dopo il controllo chip della Sella del Campetto il sentiero diventa più tecnico ma mi diverto ancora fra sassi e roccette e … ecco Enrico! Gli chiedo come stia. E' di nuovo un po' in crisi, ma ormai è fatta. Questa volta non lo aspetto, me la voglio godere tutta fino in fondo, tutta per me. Nel tratto di discesa più ripido mi superano 3 o 4 della corta ma scendo comunque bene. Sotto al piede destro ho la pelle bagnata che ha fatto un grumo tipo "lenzuolo di letto sfatto". Duole ma non me ne curo più di tanto. Ho anche caldo e tiro su le maniche senza fermarmi.
Un altro ristoro: quanto manca? 8 chilometri e mezzo. Ma come, stavo facendo lo sprint finale! Mi coglie di sorpresa ma non mi preoccupa, continuo a stare bene, una birra (qualcuno le sta contando?) e via di nuovo a tutta. I quadricipiti e le ginocchia li sento indolenziti ma mi lasciano  correre anche se mi sento sempre più rigido. Continuo a forzare. Non sono certo fra i primi ma comunque è una gara e voglio dare tutto, non avrebbe senso arrivare riposato. Lungo una breve risalita supero Sabrina, è in crisi e mi chiede se ci siano altre donne vicine. La tranquillizzo: la terza l'avevo superata qualche chilometro più su ed era in difficoltà nella discesa ripida.
Ecco una fontana meravigliosa abbondante e freschissima. Cacciare la testa sotto il flusso dell'acqua è un altro dei tanti "migliori piaceri della vita" che ho assaporato oggi. Si entra in paese. tanti volontari controllano le strade e mi incoraggiano "forza che mancano solo 600 metri". Gli ultimi sono ragazzini, che bellezza! Lungo il rettilineo finale mi sembra giusto fare un allungo veloce ma composto e incitare il pubblico che risponde calorosamente.  Ne avrei ancora, ho dolori dappertutto ma potrei tranquillamente andare avanti. 14h14' di gara, 48esimo su 300 partenti, quasi tutti giovani e magri, e ottavo di categoria (niente prosecco per questa volta). Dopo poco più di un quarto d'ora e altre 3 birre, arriva Enrico, stanco ma felice anche lui di avere finito.Gara bellissima, organizzata perfettamente e con un percorso davvero spettacolare ... e poi mi sento un po' spettacolare anch'io. Non m'aspettavo davvero un arrivo così dopo 83 km e 5500 metri di dislivello, all'esordio nell'ultratrail e allenato in tre settimane da un allenatore (che sarei io) di scarsissima reputazione e ...  vabbè, ora basta con gli auto-complimenti, ora aspetto i vostri.
 Adesso devo tornare sulla terra. Devo reimpostare i siti meteo che sono ancora tutti puntati su Valdagno. Chiudere la finestra con l'altimetri della TdH sul desktop. Smettere di bere un bicchiere di birra all'ora. Godermi il riposo e la normalità di questa vita che ora si è arricchita di prospettive più ampie. Viva il trail, viva la Trans d'Havet!

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