lunedì 21 gennaio 2019

I sette mostri – 3. Crisi di crampi.

Avete visto il film “Alien”? Ecco, il mostro che vi presento oggi somiglia molto ai graziosi xenomorfi protagonisti della pellicola americana. Avete sudato troppo o calzate scarpe troppo leggere che fanno stancare i piedi o, forse, siete solo capitati nell'astronave sbagliata e, improvvisamente, sentite di avere qualcosa sottopelle che si muove indipendentemente dalla vostra volontà. Dovrete allora procedere con ogni cautela, perché quando si svegliano, cominciano a mordere e sono dolori! Provate a reintegrare i sali ma, soprattutto, a tenere uno stile di corsa il più regolare e tranquillo possibile. Dovete trovare un compromesso con i vostri muscoli e ogni movimento brusco potrebbe causare l'arrivo di un crampo duro.
Meglio, allora, prevenire. Occhio alle sudate! Se al raduno di partenza fa freddo, partite ben coperti ma appena inizia la salita spogliatevi. Attenti, poi, alle calzature. Quando ho corso trail di 40-50 km (circa 5h di gara) con scarpe “veloci”, negli ultimi 10 km mi sono sempre venuti i crampi, mentre in gare più lunghe (anche oltre le 10 ore), corse con scarpe-toffolette-marshmallow, non ho avuto questo problema.
L'arrivo dei crampi non significa necessariamente la fine della gara. Io sono riuscito sempre ad arrivare al traguardo, perdendo qualche posizione ma niente più. Ecco le sintesi di quelle 3 esperienze:

Ultratrail dei cervi 2015
Sembra tutto perfetto ma sento che qualcosa di strano sta per accadere dentro di me. I muscoli si stanno ribellando! Dico loro di fare una cosa e ne fanno un'altra, contraendosi a caso! Accorcio i passi e rallento cercando di riprenderne il controllo. Basta però una piccola variazione di pendenza, un appoggio sbagliato o un passo troppo lungo per provocare contrazioni dolorose a cosce e polpacci. Intanto ciuccio dal camelback sperando di ripristinare, con un po' di sali, la catena di controllo neuromuscolare. Raggiungo un compromesso con le parti in rivolta ottenendo il minimo sindacale. Ecco i termini dell'accordo: per i cinquantenni, rivendicano, sono previsti passetti lunghi non oltre 70 cm, velocità non superiore ai 10 chilometri orari e salita al passo. Insomma, è sciopero bianco. Il traguardo non è lontano ma con tutti questi vincoli sindacali, si avvicina troppo lentamente. Infatti, quando manca poco più di un chilometro all'arrivo, sento un rumore, mi volto e vedo arrivare Stefano come un falco. Sta scendendo davvero veloce e non posso fare altro che spostarmi per lasciarlo passare. Mi distraggo un attimo e inciampo su una pietra. Per non cadere devo fare un brusco movimento che mi provoca un crampo grosso. Mi devo fermare per scioglierlo ma riesco comunque a ripartire e conservare il terzo posto fino all'arrivo. Enrico arriva poco dopo. Peccato: senza i miei errori di abbigliamento e quell'incrocio non segnato, quasi sicuramente sarei arrivato secondo. Ma sono contento. L'accoglienza è davvero bella e festosa e poi è podio. Un bel podio, perché quasi tutti gli atleti sardi più forti sono qui. E fra loro c'è anche un anziano velleitario canuto.

Scena quinta. Astronave “Nostromo” in rotta veloce verso il traguardo con a bordo i 5 obiettivi. Lasciata la strada si entra nel bosco. Il terreno è morbido e correrci sopra è una goduria. Non c'è sottobosco e si corre in piena libertà, su fondo naturale, slalomando fra alberi e rocce. Starei proprio bene, non fosse per una strana sensazione di alieni sottopelle che tentano di uscire. I polpacci si stanno per ribellare e cominciano a tremolare scossi da piccole contrazioni estemporanee. Mancano meno di 10 km e nel punto in cui il sentiero esce dal bosco per ritornare sulla strada, arriva il primo crampo duro. Mi devo fermare per scioglierlo. La battaglia con l'alieno dura una ventina di secondi e riesco a domarlo. Riparto con grande cautela. Dietro non arriva nessuno. Progressivamente riesco ad accelerare anche se sento una nidiata di xenomorfi che mi cresce nei polpacci. Si sale di nuovo e riesco anche a raggiungere un ragazzo più in crisi di me. Mi accorgo che la maglia da bici è bagnata di sudore e che la borraccia con i sali è ancora piena. Non è la prima volta che faccio questi errori. È un po' tardi per rimediare ma ci provo. Sfilo la maglia e, a piccoli sorsi, comincio a svuotare la borraccia. Piccole contrazioni si alternano su entrambi i polpacci. Devo correre come un tapascione per non usarli e non svegliare i bebè xenomorfi che stanno sonnecchiando là dentro. Cerco di atterrare col tallone ma non mi viene naturale e le forzature stimolano ulteriori contrazioni. In discesa, basta un piccolo inciampo del piede destro, per svegliare, nel polpaccio sinistro prima ancora di toccare il suolo, il secondo crampo duro. Mi devo fermare di nuovo per scioglierlo e ripartire con ancora maggior prudenza. Ecco l'ultimo ristoro. Chiedo sali. Mancano 5 km quasi tutti in discesa. Prima guardavo solo in avanti, ora mi guardo sempre indietro ma non si vede ancora nessuno. Altra contrazione del 4 grado richter. Mi fermo e questa volta si scioglie subito. Mi volto ancora. … Come un bambino stanco dal viaggio chiedo in continuazione: “Babbo, quanto manca? Fra quanto arriviamo?” Ad ogni persona che incontro faccio la stessa domanda. 5000 2000 1000 … mi volto sempre più spesso. L'ultimo chilometro inizia con un passaggio in bilico su un argine. Il passaggio è stretto e irregolare e arriva un altro morso. Gli alieni si stanno espandendo: dal polpaccio sono arrivati alla coscia e me la stringono fra i denti. Non so come liberarmi, provo a continuare camminando ma mi devo fermare. Riesco ad indovinare la posizione giusta e mollano la presa. Si torna su strada e torno a correre. Mancano 100 metri, ormai è fatta! Ecco l'arrivo. Sono 41esimo su quasi 500 partenti, terzo su quasi 100 di categoria, primo della rappresentativa sarda, 5 ore e 9 minuti. Mi riempiono un bel boccale di birra e Matteo e il padre mi accolgono festosamente. Ci sarebbe da essere raggianti ma l'ultima penosa ora ha lasciato il segno. Mi è mancato, nel finale, l'obiettivo più importante, il divertimento, e mi ci vuole un po' a realizzare quanto mi fossi divertito prima.

Vola solo chi osa farlo. Nell' “osare” è implicito il rischio di cadere, soprattutto se non si hanno le ali. Dopo lunghi convenevoli, ecco il crampo. Il polpaccio destro si ribella con violenza. Il dolore, all'inizio sembra insopportabile e mi devo sdraiare per terra per cercare di scioglierlo ma, dopo 10 secondi, 20 secondi, 1 minuto, 2 minuti, 4 minuti di tentativi inutili, sono ancora vivo. Si può sopportare, quindi. Anzi, mi ci sono quasi abituato. È parte di me; è come un cagnolino che ha la cuccia nel polpaccio e dopo 4 ore di sballottamenti comincia a mordere. Forse è passato, penso, ma vedo il polpaccio ancora deformato da un orribile bozzo. Mi aiuta un gentile signore e dopo 5 minuti di agonia finalmente il crampo si scioglie e riesco a rialzarmi. Mancano 4 km e prima con estrema cautela, poi solo con attenzione, riesco a scendere corricchiando fino al traguardo. Arrivo settimo, in 5 ore e 18 minuti. Ho osato, volato, sono caduto, mi sono rialzato e ora sono molto contento.

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