C'è gente estremamente attiva che
soffre di intestino pigro. Io sono esattamente al contrario. La mia
pigrizia è compensata da un'attività intestinale invidiabile. Anche
questa notte, mentre io dormivo, lui lavorava incessantemente. Fuori
dall'equilibrio termodinamico, continue transizioni di fase lungo
l'isoterma dei 37 gradi, provocavano sbalzi di pressione con
conseguenti aumenti di volume e movimenti incessanti. Era come se
avessi un motore a vapore nel ventre e fra sbuffi e spinte, anche se
cercava di non far rumore, ha finito per svegliarmi.
La sveglia è puntata alle 5 e 10 ma,
dopo avere indugiato una mezz'ora fra letto e WC, alle 4 e mezza sono
già in piedi.
Quando mi sveglio davvero, mi trovo
intorno al quarto chilometro. Mi rendo conto di essere già molto in
ritardo rispetto alla tabellina del 5 che mi ero fatto per chiudere
intorno alle 5 ore: sono partito proprio piano. La mia lampada
frontale, obbligatoria per il passaggio attraverso la splendida
grotta di San Giovanni, ha anche l'opzione lampeggiante: “questa la
userò per segnalare il cambio di direzione quando vi sorpasserò”
avevo spiegato agli amici ma dormivo e ora sono già fuori dalla
grotta, l'ho riposta nello zainetto e non ho superato ancora nessuno.
Allungo il passo e ne approfitto per scambiare due parole con gli
amici che raggiungo: Ivan, Luca, Gianni, poi Teo, K e Giuseppe. Tutti
outsider, i favoriti sono spariti davanti. L'asfalto intanto ha
lasciato posto alla terra, poi la strada al sentiero e il falsopiano
alla salita.
Poi la finestra del bosco si apre e mi
affaccio a guardare. Bello svegliarsi qui. Vola chi osa farlo e il
coraggio di alzarsi prima dell'alba, sfidando previsioni meteo
nefaste e disagi intestinali, è già ampiamente ricompensato dalla
bellezza del marganai, dei suoi boschi, panorami, miniere, grotte,
monumenti archeologici e naturali.
Comincia la discesa che affronto con
grande cautela. Al decimo chilometro, sento già dolorini alla
schiena, al ginocchio destro e sotto il piede sinistro. Cerco di
evitare di pestare le pietre per non peggiorare la situazione: è
presto per soffrire davvero ma mi rendo conto che è impossibile fare
un trail di 47 km evitando le pietre. Intanto l'unghia dell'alluce
sta come d'autunno sugli alberi le foglie e cade senza un lamento.
Risalendo l'ennesimo dentino
dell'altimetria, raggiungo Enrico, anche oggi in crisi. Visto che
gli appelli personali non funzionano, vorrei organizzare una raccolta
di firme per sostenere la petizione “fermate Enrico Di Cosimo”
per convincerlo a non partire troppo forte.
Sono contento. Vola chi osa farlo e
affrontare i dolori, le unghie cadenti e i sassi è ricompensato
dalla sensazione di onnipotenza che provo volando leggero sulle
salite mentre gli altri arrancano. Il podio è irraggiungibile ma sto
bene, Teo ed Enrico sono dietro e mi diverto scendendo lungo il
bellissimo sentiero che porta al tempio di Antas. Sono a metà strada
e al ristoro mi informano che sono risalito fino alla sesta
posizione.
Negli ultimi 10 km, il percorso di gara
si unisce a quello della 27, partita due ore dopo e della 17 partita
3 ore dopo. Dopo molti chilometri solitari, lungo la salita verso la
forestale del Marganai, vedo una bella fila di gente. Dopo quasi 40
km mi sentivo lento e pesante ma, con grande sorpresa, mi rendo conto
che, nonostante i 30 km in più sulle gambe, riesco a correre dove
gli altri camminano, superando tutti. L'entusiasmo aumenta quando
incontro gli amici Tito, Carlo e Sebastiano, che, sapendo che sono al
quarantesimo, mi incitano con calore. Ora mi sembra di volare. Starei
proprio bene, non fosse per una sensazione di crampo incombente. Si
sta ripetendo, pari pari, la situazione del finale di gara della
Ronda! Inizio il conto alla rovescia: -10, le contrazioni sono ancora
sotto controllo. Al ristoro -9 mangio una banana che sembra attenuare
le vibrazioni dei polpacci e mi consente di arrivare senza troppi
problemi all'imbocco del sentiero -6 che scende dagli 800 metri della
punta San Michele verso i 200 del traguardo.
Vola solo chi osa farlo. Nell' “osare”
è implicito il rischio di cadere, soprattutto se non si hanno le
ali. Dopo lunghi convenevoli, ecco il crampo. Il polpaccio destro si
ribella con violenza. Il dolore, all'inizio sembra insopportabile e
mi devo sdraiare per terra per cercare di scioglierlo ma, dopo 10
secondi, 20 secondi, 1 minuto, 2 minuti, 4 minuti di tentativi
inutili, sono ancora vivo. Si può sopportare, quindi. Anzi, mi ci
sono quasi abituato. È parte di me; è come un cagnolino che ha la
cuccia nel polpaccio e dopo 4 ore di sballottamenti comincia a
mordere. Forse è passato, penso, ma vedo il polpaccio ancora deformato da un orribile bozzo. Mi aiuta un gentile signore e dopo 5 minuti di agonia
finalmente il crampo si scioglie e riesco a rialzarmi. Mancano 4 km e
prima con estrema cautela, poi solo con attenzione, riesco a scendere
corricchiando fino al traguardo. Arrivo settimo, in 5 ore e 18
minuti. Ho osato, volato, sono caduto, mi sono rialzato e ora sono
molto contento. Come me, quasi tutti hanno osato, volato, sono caduti
e sono contenti anche se qualcuno è caduto davvero, altri sono
arrivati doloranti e moltissimi si sono persi allungando di 1-2
chilometri il percorso di gara. Quando si osa, a volte si sbaglia ma
fa parte del divertimento. C'è un magnifico clima di entusiasmo.
Dopo un volo così è bello anche atterrare e condividere le emozioni
provate, riempiendo e svuotando di birra per 7 volte il mug riservato
ai finisher. C'è scritto 7 e io l'ho interpretato così.
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