martedì 7 marzo 2017

Trail del Marganai – Vola solo chi osa farlo

C'è gente estremamente attiva che soffre di intestino pigro. Io sono esattamente al contrario. La mia pigrizia è compensata da un'attività intestinale invidiabile. Anche questa notte, mentre io dormivo, lui lavorava incessantemente. Fuori dall'equilibrio termodinamico, continue transizioni di fase lungo l'isoterma dei 37 gradi, provocavano sbalzi di pressione con conseguenti aumenti di volume e movimenti incessanti. Era come se avessi un motore a vapore nel ventre e fra sbuffi e spinte, anche se cercava di non far rumore, ha finito per svegliarmi.
La sveglia è puntata alle 5 e 10 ma, dopo avere indugiato una mezz'ora fra letto e WC, alle 4 e mezza sono già in piedi.
Quando mi sveglio davvero, mi trovo intorno al quarto chilometro. Mi rendo conto di essere già molto in ritardo rispetto alla tabellina del 5 che mi ero fatto per chiudere intorno alle 5 ore: sono partito proprio piano. La mia lampada frontale, obbligatoria per il passaggio attraverso la splendida grotta di San Giovanni, ha anche l'opzione lampeggiante: “questa la userò per segnalare il cambio di direzione quando vi sorpasserò” avevo spiegato agli amici ma dormivo e ora sono già fuori dalla grotta, l'ho riposta nello zainetto e non ho superato ancora nessuno. Allungo il passo e ne approfitto per scambiare due parole con gli amici che raggiungo: Ivan, Luca, Gianni, poi Teo, K e Giuseppe. Tutti outsider, i favoriti sono spariti davanti. L'asfalto intanto ha lasciato posto alla terra, poi la strada al sentiero e il falsopiano alla salita.
Poi la finestra del bosco si apre e mi affaccio a guardare. Bello svegliarsi qui. Vola chi osa farlo e il coraggio di alzarsi prima dell'alba, sfidando previsioni meteo nefaste e disagi intestinali, è già ampiamente ricompensato dalla bellezza del marganai, dei suoi boschi, panorami, miniere, grotte, monumenti archeologici e naturali.
Comincia la discesa che affronto con grande cautela. Al decimo chilometro, sento già dolorini alla schiena, al ginocchio destro e sotto il piede sinistro. Cerco di evitare di pestare le pietre per non peggiorare la situazione: è presto per soffrire davvero ma mi rendo conto che è impossibile fare un trail di 47 km evitando le pietre. Intanto l'unghia dell'alluce sta come d'autunno sugli alberi le foglie e cade senza un lamento.
Risalendo l'ennesimo dentino dell'altimetria, raggiungo Enrico, anche oggi in crisi. Visto che gli appelli personali non funzionano, vorrei organizzare una raccolta di firme per sostenere la petizione “fermate Enrico Di Cosimo” per convincerlo a non partire troppo forte.
Sono contento. Vola chi osa farlo e affrontare i dolori, le unghie cadenti e i sassi è ricompensato dalla sensazione di onnipotenza che provo volando leggero sulle salite mentre gli altri arrancano. Il podio è irraggiungibile ma sto bene, Teo ed Enrico sono dietro e mi diverto scendendo lungo il bellissimo sentiero che porta al tempio di Antas. Sono a metà strada e al ristoro mi informano che sono risalito fino alla sesta posizione.
Negli ultimi 10 km, il percorso di gara si unisce a quello della 27, partita due ore dopo e della 17 partita 3 ore dopo. Dopo molti chilometri solitari, lungo la salita verso la forestale del Marganai, vedo una bella fila di gente. Dopo quasi 40 km mi sentivo lento e pesante ma, con grande sorpresa, mi rendo conto che, nonostante i 30 km in più sulle gambe, riesco a correre dove gli altri camminano, superando tutti. L'entusiasmo aumenta quando incontro gli amici Tito, Carlo e Sebastiano, che, sapendo che sono al quarantesimo, mi incitano con calore. Ora mi sembra di volare. Starei proprio bene, non fosse per una sensazione di crampo incombente. Si sta ripetendo, pari pari, la situazione del finale di gara della Ronda! Inizio il conto alla rovescia: -10, le contrazioni sono ancora sotto controllo. Al ristoro -9 mangio una banana che sembra attenuare le vibrazioni dei polpacci e mi consente di arrivare senza troppi problemi all'imbocco del sentiero -6 che scende dagli 800 metri della punta San Michele verso i 200 del traguardo.
Vola solo chi osa farlo. Nell' “osare” è implicito il rischio di cadere, soprattutto se non si hanno le ali. Dopo lunghi convenevoli, ecco il crampo. Il polpaccio destro si ribella con violenza. Il dolore, all'inizio sembra insopportabile e mi devo sdraiare per terra per cercare di scioglierlo ma, dopo 10 secondi, 20 secondi, 1 minuto, 2 minuti, 4 minuti di tentativi inutili, sono ancora vivo. Si può sopportare, quindi. Anzi, mi ci sono quasi abituato. È parte di me; è come un cagnolino che ha la cuccia nel polpaccio e dopo 4 ore di sballottamenti comincia a mordere. Forse è passato, penso, ma vedo il polpaccio ancora deformato da un orribile bozzo. Mi aiuta un gentile signore e dopo 5 minuti di agonia finalmente il crampo si scioglie e riesco a rialzarmi. Mancano 4 km e prima con estrema cautela, poi solo con attenzione, riesco a scendere corricchiando fino al traguardo. Arrivo settimo, in 5 ore e 18 minuti. Ho osato, volato, sono caduto, mi sono rialzato e ora sono molto contento. Come me, quasi tutti hanno osato, volato, sono caduti e sono contenti anche se qualcuno è caduto davvero, altri sono arrivati doloranti e moltissimi si sono persi allungando di 1-2 chilometri il percorso di gara. Quando si osa, a volte si sbaglia ma fa parte del divertimento. C'è un magnifico clima di entusiasmo. Dopo un volo così è bello anche atterrare e condividere le emozioni provate, riempiendo e svuotando di birra per 7 volte il mug riservato ai finisher. C'è scritto 7 e io l'ho interpretato così.

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