domenica 27 gennaio 2019

Montiferru Winter Trail

Andando in auto con Checco verso Santu Lussurgiu, vediamo il Montiferru spruzzato di bianco nella parte alta. Il cielo è completamente sereno e si preannuncia una giornata splendida. Il percorso del Montiferru Winter Trail sarà lo stesso dell'anno scorso ma a differenza di allora, quando l'acqua cadeva e restava in sospensione creando coltri impenetrabili alla vista, oggi è abbondantissima ma resta tutta a terra, in mille forme: ruscelli, pozzanghere, fango, ghiaccio e neve … tanta neve. In compenso il cielo è terso e salendo da Santu Lussurgiu verso le cime del Montiferru, la vista diventa sempre più ampia e splendente, illuminata dal riflesso della neve.
Nel punto più alto, a su Mullone, la visuale raggiunge uno dei culmini di tutta la Sardegna, tanto che il grande geografo Lamarmora, usava quel punto come vertice trigonometrico. Vale il viaggio e merita una sosta. Credevo che sedersi sul vertice di un triangolo fosse doloroso, invece mi è piaciuto … guardate come godo!
Si prosegue, scendendo nei ricchi boschi. Con Gianni, compagno di servizio scopa, chiudiamo la gara seguendo gli ultimi atleti. Io sono Mike 4, lui Mike 5. Le nostre radio di servizio gracchiano, raccontando strane storie di ambulanze fantasma, ristori liquidi senz'acqua … sarebbe più piacevole non avere coscienza di ciò e, magari, ascoltare un po' di musica ma non si può cambiare stazione. Poi, in fondo è utile sapere che dobbiamo fare affidamento solo su di noi e sul nostro zainetto, sulle nostre risorse fisiche, mentali e tecnologiche e sulla natura. Il ristoro liquido della sorgente naturale di Elighe Uttiosos infatti non ci ha abbandonati e sprizza acqua con generosità. La natura non tradisce con tutto il suo splendore e la sua durezza.
Mike 5 resta con l'ultimo atleta e io corro avanti per sfogare l'istinto e per vedere la situazione dei 5 o 6 atleti poco avanti a noi; mi assicuro che stiano bene e che abbiano la lampada frontale, perché il rischio di arrivare col buio è grande. Poi mi fermo e aspetto. Riparto e riaspetto. Le attese sono sempre più lunghe e siamo sempre più in ritardo rispetto alla tabella di marcia che avevo preparato per arrivare entro il tempo limite. Ma Pierpaolo lo sa. Ha già preventivato un'ora di ritardo. Si impegna; in discesa corre ma io lo supero camminando. All'ultimo ristoro approfittiamo dell'enorme camino acceso per farci riscaldare qualche pezzo di pancetta arrosto, avanzo del pranzo e qualche calzino fraAdicio. Dopo un quarto d'ora Pierpaolo riparte. Dopo un altro quarto d'ora ripartiamo anche noi, Mike 4 e Mike 5, io con in mano una braciola e in gola un mezzo bicchiere di cannonau.



Grazie a Pierpaolo, arriviamo in cima all'orario perfetto per ammirare le mille sfumature di un tramonto magnifico, dal momento in cui il sole sfiora il mare, fino all'ultima luce. Mi assicuro che, oltre alla lampada frontale, lui abbia anche la traccia gps da seguire e batteria sufficiente per arrivare in fondo. La segnatura non è catarifrangente e al buio quasi non si vede. Abbiamo tutto e, quando all'ultimo presidio esprime la volontà di proseguire, mi adeguo, pronto a passare due ore e più a lottare contro neve e fango, con i piedi nell'acqua gelida, con il freddo che l'umidità notturna infila sotto i vestiti e con la sua sofferenza che arriva al limite della sopportazione ma con il sostegno e la sicurezza della tecnologia. Stavo immaginando un finale simile a quello di Baunei, con l'arrivo dell'eroe nella notte ma la parte epica di questa storia resterà nella mia immaginazione. La direzione di gara prende la saggia decisione di fermare la nostra intrepida marcia notturna e ci chiede di rientrare con un mezzo della Protezione Civile.
Intanto Mike 5 si era buttato giù per la discesa, sperando di andare più veloce della rotazione terrestre e arrivare in paese prima del buio. Non aveva traccia gps né lampada frontale ma, seguendo i nastri con la luce del cellulare e grazie alle sue risorse, è riuscito ad arrivare anche lui.
Un'altra bellissima giornata piena di vita e ricca di particolari è registrata sul grande libro dove, fino a prova contraria, mi restano altre 16814 pagine da scrivere.

venerdì 25 gennaio 2019

Correndo sulla neve.

Il programma d'allenamento prevedeva scarico: riposo o corsetta. Da quasi un mese, stavo seguendo alla lettera il protocollo sperimentale per la preparazione di un ultra-trail. Ma tutto il castello logico, improvvisamente è crollato. Ieri, mentre stavo per arrivare al lavoro in auto, ho visto uno spruzzetto di bianco in cima al Monte Santo e mi è venuto un gran sorriso. Qui non nevica tutti i giorni e neanche tutti gli anni: ne devo approfittare. Siccome sono io l'inventore del protocollo, ho trasformato il 9+5+2 in un 9+3+4 e anche se la scienza resterà con un buco teorico, ci sono ragioni di ordine superiore: ci voglio andare!
Balcone con vista
Definisco il percorso: salire per il sentiero “tritone” e, quando sbuca sulla strada, andare su fino a trovare la neve. Quel “fino a trovare la neve”, distanza indefinita, è poco professionale dal punto di vista della preparazione atletica ma molto bello da quello umano in quanto esprime uno scopo: la realizzazione di un sogno.
Non mi resta che eseguire. All'ora di pranzo parto. Il tempo è decente: un po' freddo, a tratti molto ventoso e alterna nuvole con pioggerella a sole. La neve che avevo visto arrivando in auto non si vede neanche quando il bosco si allarga e sul sentiero si aprono balconi con vista sui monti. Temo che si sia già sciolta tutta ma mi attengo al piano. Del resto è un posto bellissimo e, al diavolo lo scarico, dopo 3 giorni di astinenza un po' di corsa in montagna ci vuole.
La prima chiazza
Improvvisamente eccola! Nel punto in cui il sentiero comincia a spianare, davanti ai miei piedi ecco la prima chiazza. La tocco, le faccio una foto ricordo e riparto. Continuo a salire fino a quando gli occhi si riempiono di bianco e i piedi lasciano impronte sulla strada … sciac sciac. A quasi 54 anni mi comporto ancora come un bambino. Cerco di razionalizzare ma solo per giustificare comportamenti gioiosamente infantili. Mi sento diversamente bambino.
Oggi, andando al lavoro, ho visto che quello spruzzo di bianco è già sparito; era neve effimera come il sorriso di una bella passante ma il ricordo non si è sciolto. Ieri, seguendo l'istinto infantile, ho saputo cogliere l'occasione e ho realizzato un sogno. I bambini hanno ragione, sempre.

lunedì 21 gennaio 2019

I sette mostri – 3. Crisi di crampi.

Avete visto il film “Alien”? Ecco, il mostro che vi presento oggi somiglia molto ai graziosi xenomorfi protagonisti della pellicola americana. Avete sudato troppo o calzate scarpe troppo leggere che fanno stancare i piedi o, forse, siete solo capitati nell'astronave sbagliata e, improvvisamente, sentite di avere qualcosa sottopelle che si muove indipendentemente dalla vostra volontà. Dovrete allora procedere con ogni cautela, perché quando si svegliano, cominciano a mordere e sono dolori! Provate a reintegrare i sali ma, soprattutto, a tenere uno stile di corsa il più regolare e tranquillo possibile. Dovete trovare un compromesso con i vostri muscoli e ogni movimento brusco potrebbe causare l'arrivo di un crampo duro.
Meglio, allora, prevenire. Occhio alle sudate! Se al raduno di partenza fa freddo, partite ben coperti ma appena inizia la salita spogliatevi. Attenti, poi, alle calzature. Quando ho corso trail di 40-50 km (circa 5h di gara) con scarpe “veloci”, negli ultimi 10 km mi sono sempre venuti i crampi, mentre in gare più lunghe (anche oltre le 10 ore), corse con scarpe-toffolette-marshmallow, non ho avuto questo problema.
L'arrivo dei crampi non significa necessariamente la fine della gara. Io sono riuscito sempre ad arrivare al traguardo, perdendo qualche posizione ma niente più. Ecco le sintesi di quelle 3 esperienze:

Ultratrail dei cervi 2015
Sembra tutto perfetto ma sento che qualcosa di strano sta per accadere dentro di me. I muscoli si stanno ribellando! Dico loro di fare una cosa e ne fanno un'altra, contraendosi a caso! Accorcio i passi e rallento cercando di riprenderne il controllo. Basta però una piccola variazione di pendenza, un appoggio sbagliato o un passo troppo lungo per provocare contrazioni dolorose a cosce e polpacci. Intanto ciuccio dal camelback sperando di ripristinare, con un po' di sali, la catena di controllo neuromuscolare. Raggiungo un compromesso con le parti in rivolta ottenendo il minimo sindacale. Ecco i termini dell'accordo: per i cinquantenni, rivendicano, sono previsti passetti lunghi non oltre 70 cm, velocità non superiore ai 10 chilometri orari e salita al passo. Insomma, è sciopero bianco. Il traguardo non è lontano ma con tutti questi vincoli sindacali, si avvicina troppo lentamente. Infatti, quando manca poco più di un chilometro all'arrivo, sento un rumore, mi volto e vedo arrivare Stefano come un falco. Sta scendendo davvero veloce e non posso fare altro che spostarmi per lasciarlo passare. Mi distraggo un attimo e inciampo su una pietra. Per non cadere devo fare un brusco movimento che mi provoca un crampo grosso. Mi devo fermare per scioglierlo ma riesco comunque a ripartire e conservare il terzo posto fino all'arrivo. Enrico arriva poco dopo. Peccato: senza i miei errori di abbigliamento e quell'incrocio non segnato, quasi sicuramente sarei arrivato secondo. Ma sono contento. L'accoglienza è davvero bella e festosa e poi è podio. Un bel podio, perché quasi tutti gli atleti sardi più forti sono qui. E fra loro c'è anche un anziano velleitario canuto.

Scena quinta. Astronave “Nostromo” in rotta veloce verso il traguardo con a bordo i 5 obiettivi. Lasciata la strada si entra nel bosco. Il terreno è morbido e correrci sopra è una goduria. Non c'è sottobosco e si corre in piena libertà, su fondo naturale, slalomando fra alberi e rocce. Starei proprio bene, non fosse per una strana sensazione di alieni sottopelle che tentano di uscire. I polpacci si stanno per ribellare e cominciano a tremolare scossi da piccole contrazioni estemporanee. Mancano meno di 10 km e nel punto in cui il sentiero esce dal bosco per ritornare sulla strada, arriva il primo crampo duro. Mi devo fermare per scioglierlo. La battaglia con l'alieno dura una ventina di secondi e riesco a domarlo. Riparto con grande cautela. Dietro non arriva nessuno. Progressivamente riesco ad accelerare anche se sento una nidiata di xenomorfi che mi cresce nei polpacci. Si sale di nuovo e riesco anche a raggiungere un ragazzo più in crisi di me. Mi accorgo che la maglia da bici è bagnata di sudore e che la borraccia con i sali è ancora piena. Non è la prima volta che faccio questi errori. È un po' tardi per rimediare ma ci provo. Sfilo la maglia e, a piccoli sorsi, comincio a svuotare la borraccia. Piccole contrazioni si alternano su entrambi i polpacci. Devo correre come un tapascione per non usarli e non svegliare i bebè xenomorfi che stanno sonnecchiando là dentro. Cerco di atterrare col tallone ma non mi viene naturale e le forzature stimolano ulteriori contrazioni. In discesa, basta un piccolo inciampo del piede destro, per svegliare, nel polpaccio sinistro prima ancora di toccare il suolo, il secondo crampo duro. Mi devo fermare di nuovo per scioglierlo e ripartire con ancora maggior prudenza. Ecco l'ultimo ristoro. Chiedo sali. Mancano 5 km quasi tutti in discesa. Prima guardavo solo in avanti, ora mi guardo sempre indietro ma non si vede ancora nessuno. Altra contrazione del 4 grado richter. Mi fermo e questa volta si scioglie subito. Mi volto ancora. … Come un bambino stanco dal viaggio chiedo in continuazione: “Babbo, quanto manca? Fra quanto arriviamo?” Ad ogni persona che incontro faccio la stessa domanda. 5000 2000 1000 … mi volto sempre più spesso. L'ultimo chilometro inizia con un passaggio in bilico su un argine. Il passaggio è stretto e irregolare e arriva un altro morso. Gli alieni si stanno espandendo: dal polpaccio sono arrivati alla coscia e me la stringono fra i denti. Non so come liberarmi, provo a continuare camminando ma mi devo fermare. Riesco ad indovinare la posizione giusta e mollano la presa. Si torna su strada e torno a correre. Mancano 100 metri, ormai è fatta! Ecco l'arrivo. Sono 41esimo su quasi 500 partenti, terzo su quasi 100 di categoria, primo della rappresentativa sarda, 5 ore e 9 minuti. Mi riempiono un bel boccale di birra e Matteo e il padre mi accolgono festosamente. Ci sarebbe da essere raggianti ma l'ultima penosa ora ha lasciato il segno. Mi è mancato, nel finale, l'obiettivo più importante, il divertimento, e mi ci vuole un po' a realizzare quanto mi fossi divertito prima.

Vola solo chi osa farlo. Nell' “osare” è implicito il rischio di cadere, soprattutto se non si hanno le ali. Dopo lunghi convenevoli, ecco il crampo. Il polpaccio destro si ribella con violenza. Il dolore, all'inizio sembra insopportabile e mi devo sdraiare per terra per cercare di scioglierlo ma, dopo 10 secondi, 20 secondi, 1 minuto, 2 minuti, 4 minuti di tentativi inutili, sono ancora vivo. Si può sopportare, quindi. Anzi, mi ci sono quasi abituato. È parte di me; è come un cagnolino che ha la cuccia nel polpaccio e dopo 4 ore di sballottamenti comincia a mordere. Forse è passato, penso, ma vedo il polpaccio ancora deformato da un orribile bozzo. Mi aiuta un gentile signore e dopo 5 minuti di agonia finalmente il crampo si scioglie e riesco a rialzarmi. Mancano 4 km e prima con estrema cautela, poi solo con attenzione, riesco a scendere corricchiando fino al traguardo. Arrivo settimo, in 5 ore e 18 minuti. Ho osato, volato, sono caduto, mi sono rialzato e ora sono molto contento.

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mercoledì 2 gennaio 2019

I sette mostri – 2. Crisi di freddo

Il corpo umano funziona grazie ad una serie di meccanismi biochimici regolati per una temperatura di 36-37 gradi. Basta alzare di un grado la temperatura corporea che una metà della popolazione crolla a letto. Se poi la temperatura corporea si sposta di 2-3 gradi, crollano anche le femmine. La temperatura viene mantenuta nel range ottimale da una serie di meccanismi di regolazione termica. La regolazione termica di un atleta in corsa è alterata dal fatto che per ogni watt usato per la spinta, si devono bruciare almeno 4 watt di carboidrati e i 3W rimanenti si esprimono sotto forma di calore. È una specie di stufetta interna che ci permette di correre seminudi mentre la gente normale gira in cappotto.
Alla fine di una maratona o di un ironman, quando la stufetta si spegne e le energie rimaste sono davvero poche, mi è capitato spesso di iniziare a tremare subito dopo il traguardo. Non capita solo a me …

Al ristoro Fabrice decide di ritirarsi, si siede e comincia a tremare. Quando si rompe l'equilibrio fra l'interno e l'esterno, fra il nostro mondo interiore e il mondo esterno, la tensione accumulata si sfoga in brividi che scuotono la pelle accapponata. Impediscono di compiere qualsiasi azione che richieda movimento fine ma se ci si abbandona ad essi, diventano piacevoli; è la nostra stessa pelle che ci abbraccia per sfogare la tensione e riportare l'equilibrio. Bevo una birra e aspetto che rispondano con la radio per verificare che non si sia perso nessuno. Ho il via libera e lascio Fabrice ancora scosso da brividi avvolto dal telo termico davanti al fuoco. Non aveva mai fatto tanta strada, oggi ha superato i suoi limiti e al di là ha trovato brividi d'emozione e sofferenza.

In una gara lunghissima, soprattutto nella seconda parte, la potenza che si riesce ad esprimere è limitata; la stufetta interna è quindi molto meno efficace e basta una pioggia improvvisa e un po' di vento per lasciarci senza la capacità di ripristinare l'equilibrio termico anche durante la gara. Diventa allora fondamentale l'abbigliamento. Innanzitutto dobbiamo portarci appresso abbigliamento adeguato anche a condizioni impreviste, anche se potrebbe sembrare un peso inutile. Poi conviene prevenire, coprendosi subito; bisogna essere veloci nel cambiarsi perché le soste lunghe sono deleterie: i muscoli si raffreddano e si irrigidiscono, le mani si raffreddano e anche un gesto banale come tirare su una cerniera o allacciarsi le scarpe può diventare terribilmente difficile. Ricordatevi che nello zainetto avete un telo termico, perché, se è facile dimenticare di mettercelo, è ancora più facile scordarsi di averlo. Altri piccoli espedienti: espirare dentro gli indumenti aiuta a intrappolare il fiato caldo; il fiato però è anche umido e potrebbe bagnare i tessuti. Se resta un minimo di energia, provare ad aumentare un po' il passo: automaticamente aumenterà anche il calore prodotto. Amate le salite che vi aiuteranno a scaldarvi e anche i boschi che vi faranno da coperta. Sappiate anche che non ha senso ritirarsi a meno che non ci sia un posto ben caldo per farlo. Il calore esterno ci metterà molto tempo per scaldarvi dentro. Se potete è meglio continuare; può bastare un cambio d'abito, un miglioramento delle condizioni atmosferiche o una bella salita per uscire dalla crisi.
Quando, al 55o km della trans d'havet. il temporale mi aveva lasciato tremante se avessi trovato un posto caldo mi sarei ritirato ma avrei fatto male. Ecco una sintesi di quell'esperienza, crisi di freddo e resurrezione.


Al ristoro del rifugio Scalorbi, fisicamente distrutto ma sorridente
La salita non è finita, dopo un bel traverso pianeggiante, si scorge, 200 metri più su, il passo dov'è situato il punto più alto di tutto il percorso. Il cielo sta brontolando già da un po'. "Fra poco piove" dico. "E' presto, deve piovere nel pomeriggio" "non senti i tuoni?" Poco dopo iniziano a cadere grosse gocce che non fanno presagire niente di buono. Enrico ora è avanti, fatico a seguirlo. Mi raggiunge Sabrina, con cui avevo fatto un po' di strada di notte. E' preoccupata. Inizia a diluviare. Ci fermiamo ad infilare la giacca e cerchiamo di affrettare il passo per arrivare presto al ristoro in cima. Appena arrivati al passo ci accorgiamo che il ristoro non è altro che un telo spazzato da un vento terribile, sotto al quale, insieme ad un'altra decina di persone ammassate per cercare riparo dalla pioggia, c'è anche Enrico che mi ha aspettato per decidere cosa fare. Il rifugio Fraccaroli è più su, il percorso invece scende verso il rifugio Scalorbi non troppo distante. "Scendiamo" dico, "qui si muore di freddo". Intanto comincia a grandinare, il sentiero è un torrente ma appena iniziata la discesa, il vento si placa e capisco che stiamo facendo la cosa giusta. I muscoli però sono induriti dal freddo e le articolazioni, dalle ginocchia ai talloni fanno male e mi impediscono di correre. Dico a Enrico di non aspettarmi e continuo al passo. Continua a tuonare sempre più forte. … Mi supera Sabrina "abbiamo fatto bene a scendere" dice. Poi altri; vanno tutti a velocità doppia rispetto a me ma non riesco proprio ad accelerare. L'acqua ormai è penetrata sotto la giacca e i piedi ci sono immersi. Il temporale, per fortuna, sta calando d'intensità ma mi rendo conto di avere freddo. Guardo le mani, gonfie e rosse, e le scuoto per riattivare la circolazione. Vedo il rifugio poco lontano ma sono così lento che impiego un'eternità per raggiungerlo. Il ristoro è un tendone montato a ridosso del rifugio. Mi faccio servire brodo caldo e lo bevo dalla scodella. Mi aiuta ma non basta e comincio a tremare. Enrico intanto si è cambiato. Vado anche io a cambiarmi in una stanzetta del rifugio a nostra disposizione. La maglietta a maniche lunghe è in un sacchetto di plastica ancora asciutta. I famosi pantaloni lunghi sono invece fradici e inutili. Prima di rimettere la giacca cerco di asciugarne l'interno per evitare di infradiciare subito la maglia asciutta. Intanto continuo ad essere scosso da brividi. Bevo due bicchieri di the caldo e aspetto lì al chiuso seduto su una panca, ma il freddo mi esce da dentro e l'ambiente non è abbastanza caldo da smaltirlo. Fuori ha quasi smesso di piovere e provo ad uscire sognando il caldo afoso di poco prima ma l'aria è ancora quella fresca del dopo-temporale. Intanto stanno arrivando i primi concorrenti della 40 km. Qualcuno di loro è in canottiera, fradicio ma, scaldandosi dall'interno con i residui dell'azione di corsa, non soffre il freddo. Io dentro sono vuoto, ho solo freddo. Se ci fosse stato un pullman o una tenda calda per ritirarsi, mi sarei ritirato ma non c'era. Non so quanto tempo ho passato lì, forse un quarto d'ora, probabilmente di più. … Provo a ripartire; camminando in salita forse riesco a scaldarmi. Alzo il bavero della giacca sopra la bocca in modo che il fiato tiepido resti intrappolato intorno al corpo e riprendo a camminare. Mancano 26 km al traguardo e sono le 11. Se anche camminassi per tutto il tempo arriverei entro le 18, in tempo per l'aereo. Su queste pendenze dolci non soffro tanto e penso quanto sia meglio camminare ora su questi sentieri piuttosto che di notte lungo la statale Marradi-Faenza con le macchine che mi sfrecciano accanto.
Insomma, non me la godo ma ho vissuto di peggio e piano piano comincio anche a scaldarmi. Mi superano ancora diversi concorrenti, quasi tutti della 40 km. Dopo la salita e una ripida discesa, le pendenze si ammorbidiscono, la temperatura interna sale e le gambe, sorprendentemente fanno sempre meno male. Ora che sto tornando vivo, mi rendo conto di avere un sasso nella scarpa e la vescica gonfia ma non mi fermo subito, voglio aspettare di avere meno freddo. Quando finalmente tolgo il sasso dalla scarpa mi sento rinascere e ricomincio a correre. Prima della pisciata faccio ancora almeno un chilometro per trovare il punto più panoramico! Svuoto la vescica e rinasco ancora di più. Appena ripartito mi superano altri 2 della corta, ma ora sono un altro e li seguo a distanza senza difficoltà. I due raggiungono altri che mi avevano superato prima e quando la strada inizia a risalire camminano tutti. Io continuo a correre e li supero di slancio. Sto proprio bene …

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