venerdì 27 dicembre 2013

Mio padre è un tonto

Ho fatto cose che voi umani ...  ovvero: come sono arrivato a 48 anni ad affrontare il primo ironman quasi come fosse una passeggiata.
Disclaimer: non è un programma di allenamento, sono solo esperienze personali e, per finire un ironman non è obbligatorio anzi è sconsigliato fare sedute di adattamento all'addiaccio schiacciati da parenti.


Per affrontare un ironman come fosse una passeggiata, devi avere dietro una famiglia, che, già da piccolo, ti stimola e ti spinge ad uscire dalla tua zona di comfort, ad avventurarti nell'ignoto, a "curiosare" fuori dalla tua testa. C'è chi ce l'ha e chi no. Io, per fortuna, l'ho avuta.
Mio padre è un tonto. Cominciava così il tema "parla di tuo padre" che avevo svolto alle scuole elementari. Per me era bonaria ironia, certo molto lontana dal tono col quale quasi tutti i miei compagni di classe celebravano il loro genitore. A dimostrazione di quest'asserzione iniziale, raccontavo un paio di episodi. Uno era questo.
1974 – autunno inoltrato; come tutte le domeniche, si andava a camminare in montagna; c'erano i miei genitori Cesare e Flavia, mio fratello Marco e Carla, collega di mio padre. Quel giorno, l'altro fratello Claudio era rimasto a Torino ospite da amici di famiglia.
Il dubbio si cela in quella chiara oscurità
Nel primo pomeriggio stavamo ancora salendo verso la nostra meta di giornata quando scese la nebbia e Cesare decise che era meglio rientrare. Qualcuno protestò, ma era lui il responsabile e decideva per tutti. La nebbia diventava sempre più fitta avvolgendo tutto. A pochi metri non si vedeva niente. Era un continuo chiamarsi, voci emergevano dal bianco nulla, da quella chiara oscurità: “Non vi allontanate!” “Dove siete?” Tutto era magico e pauroso, quasi sovrannaturale. Diverso. Così diverso che non riconoscevamo i posti e il dubbio, nascosto nella nebbia, ci circondava sempre più vicino fino a diventare certezza. Quella baita non l'avevamo mai vista: da lì non eravamo passati. “Fermi tutti – ci siamo persi”. Mio padre decise di tornare indietro per cercare il punto dove avevamo perso il sentiero. La nebbia, che continuava a coprire tutto, lo inghiottì e, mentre aspettavamo infreddoliti, la precoce sera autunnale cominciava a calare togliendo luce. Quando mio padre riemerse, la nebbia era ormai grigia, sul suo volto, in mezzo agli occhi una ruga di preoccupazione. Non aveva ritrovato il sentiero. Quella ruga era l'unico segno che traspariva. Niente scene di panico, voci concitate o gesti nervosi. Io non ero molto preoccupato. Per me la vita era quella, piena di situazioni strane, disagevoli ma anche di risorse per uscirne. Ormai era tardi e il freddo, approfittando dell'umidità, si infilava sotto i vestiti. Poco più su c'era quella baita in pietra abbandonata e aperta. Forse un ricovero per bestie. Solo pietra - dura, grigia e fredda. Pareti di pietre a secco, banconi di pietra e pavimento di pietra ricoperto d'acqua. Cesare decise che avremmo passato la notte lì, dormendo sui banconi. Il freddo era come fuori ma almeno non entrava il vento. Ormai era buio e non c'erano alternative. I tentativi di accendere un fuoco per riscaldarci furono inutili. Era tutto bagnato e l'unica cosa che riuscimmo a bruciare era l'orario dei treni di Carla. Ricordo i numerini che sparivano nel fumo emettendo una bava di calore e un puzzo acre e penetrante che si infilava nei pori della pelle e dei vestiti. Ci sistemammo sui banconi di pietra. Mio padre, per scaldarmi, si appoggiò sopra di me. Mia madre dormiva con Marco. Mi ricordo il peso di mio padre, il rumore del suo respiro che piano piano si trasformava in un ronfo. Lui dormiva, io no, schiacciato dal suo affetto contro la dura pietra, infreddolito affamato e con addosso quel puzzo di carta bruciata che infilandosi dalle narici penetrava fino alle tempie. Se fossimo congelati ci avrebbero ritrovati in quell'abbraccio pompeiano. La notte fu lunga e insonne ma, per fortuna, non eccessivamente fredda. Siamo sopravvissuti. Alle prime luci del mattino ci siamo alzati; le ossa scricchiolavano ma dovevamo muoverci per scaldarci; la nebbia si era alzata anch'essa e … sorpresa! Ci siamo subito resi conto che non avevamo mai perso il sentiero, ci stavamo sopra senza riconoscerlo. Mio padre è un tonto. Era lui il responsabile, a lui davamo tutta la colpa e lui se la prendeva senza obiettare. Tornammo velocemente a valle, al paese, alla stazione. 
Lunedì mattina, la scuola ormai era persa, siamo andati dagli amici di famiglia che avevano ospitato mio fratello Claudio per la notte. Quando ci vide, le sue prime parole furono "credevo che eravate tutti morti". Come scoprimmo anni dopo, la montagna è davvero pericolosa e mortifera, ma non quella volta, e non tutti.


domenica 22 dicembre 2013

Giancarlo corre con noi.

Lo conoscevo solo di vista. So che aveva la mia età, era un MM45 – fra atleti gli anni si contano 5 alla volta – e, un anno fa, è morto.
Gli amici di Giancarlo hanno organizzato una gara in suo ricordo, su un bellissimo percorso panoramico su e giù dal colle San Michele; la foschia attenua la visuale accentuando le lontananze e lasciando spazio all'immaginazione, ai “sovrumani silenzi e profondissima quiete”. Il percorso è divertente, mosso con moto ondoso in aumento, mi fa inghiottire il cuore nelle salite e poi pestare le gambe nelle discese, inclinare in curva per non rallentare aspettando la scivolata che non arriva. Divertimento, fatica, suggestione, soddisfazione per un risultato che illumina un miglioramento, un altro piccolo passo verso l'eterna giovinezza. Giancarlo corre.
Mi sono fermato a guardare la sua foto in grandezza naturale, anche lui con quell'espressione di fatica ed entusiasmo, quella passione che ci fa amare la vita, attaccarci ad essa e volerla vivere ancora a lungo, o almeno ancora un po' e a volerne un'altra quando questa finisce. Ancora una, una soltanto. Chiedo poco: voglio solo un'altra vita.

Il cielo ha cominciato a lacrimare dolcemente.

sabato 21 dicembre 2013

Ispirazione

Ieri, mentre facevo la doccia, mi è venuto da canticchiare una stranissima canzone. Cominciava così:
“Lo confesso senza imbarazzo
uso il balsamo per i peli del c....”

Eh, sì, quando arriva l'ispirazione se ne cagano fuori di belle poesie …  

giovedì 19 dicembre 2013

Pignolerie – Il calendario perfetto.

Quanta carta sprecata in alto
a sinistra e in basso a destra.
Con il calendario perfetto si
salverebbe anche l'amazzonia 
L'anno prossimo al primo maggio c'è il ponte? E Natale che giorno cade?” Ogni anno diversi kilojoule di energia mentale se ne vanno per calcolare date: divisioni per sette, resti, addizioni … e il riscaldamento di miliardi di meningi sommandosi all'effetto serra, contribuisce ad aumentare il rischio di disastri climatici.
Negli Stati Uniti, hanno cercato di ridimensionare il problema ponendo le festività nazionali in giorni fissi della settimana, tipo il quarto giovedì di novembre ecc.. In questo modo garantiscono il ponte ma, ogni anno, sono costretti a ricalcolare la data. Insomma la coperta è stretta e se la tiri da una parte ti scopri dall'altra.
Eppure la soluzione c'è, semplice ed efficace: basterebbe adottare il “calendario perfetto”.
La teoria del tempo.
Il giorno e l'anno sono legati al periodo di rotazione della terra attorno al suo asse e al periodo dell'orbita terrestre intorno al sole e sono le unità di base del calendario. Un anno solare dura circa 365.25 giorni.
Consideriamo assodata anche la settimana di 7 giorni come ciclo lavorativo, ormai cristallizzata da millenni di sviluppo culturale e sociale; cambiarne la durata costerebbe dure lotte sociali e guerre di religione.
Veniamo al mese. Il periodo dell'orbita lunare è di 27.3 giorni (è il tempo che passa fra due momenti in cui la luna è alla minima distanza dalla terra e la sua attrazione gravitazionale è massima). Il periodo fra due lune piene è invece di 29.5 giorni. Ma il vero ciclo che influenza la vita dell'uomo sulla terra è il ciclo mestruale di 28 giorni circa.
Matematica superiore.
Mettiamo insieme questi numeri in modo razionale usando la matematica superiore (ricordate le tabelline?)
7x4=28
28x13=364=365.25-1.25
Il calendario perfetto.
Nel calendario perfetto ci sono 13 mesi, ognuno di 28 giorni. Comincia sempre un lunedì e finisce sempre la domenica, il 2 di qualsiasi mese di qualsiasi anno sarà sempre un martedì e così via. Se la festa è il 25 aprile o il primo maggio, ci sarà sempre il ponte e se cade il quarto giovedì di novembre sarà sempre il 25 del mese. Il tuo compleanno cadrà sempre lo stesso giorno della settimana e lo festeggerai sempre la domenica più vicina. Le mestruazioni saranno più o meno sempre lo stesso giorno del mese con meno rischi di gravidanze indesiderate e meno divorzi (“ah, oggi è il 20, devo stare attento a come parlo a mia moglie”).
Avanzano 1.25 giorni all'anno. Volete sprecarli? No, si festeggia! Ogni anno ci sarà un giorno festivo extrasettimanale (potrebbe essere il capodanno) e ogni quattro anni la grande festa bisestile.
Rivoluzione a costo zero.
E ora aspetto con velleitaria fiducia il clamore e il passaparola mediatico che questa proposta geniale solleverà, dopodiché si passerà alla petizione con raccolta di firme per realizzare questa rivoluzione a costo zero, salvando famiglie dalla dissoluzione, l'economia dalla crisi e il mondo dal sovrappopolamento e dal riscaldamento globale.

E infine, modestamente, mi metterò paziente ad aspettare il premio nobel per la pace familiare …  

martedì 17 dicembre 2013

Occhiali

Tempo fa ebbi una brutta esperienza con le pantofole (http://pisanilorenzo.blogspot.it/2013/03/pantofole.html). Per fortuna, essendo calzature di bassa qualità, si erano disintegrate in poco tempo lasciandomi libero di girare a piedi scalzi, di saltellare, correre, uscire di casa. Nei negozi altre pantofole si esibivano, morbidamente ammiccanti, pronte a sostituirle, ma io, dopo uno sguardo distratto, mi dirigevo con passo sicuro, senza voltarmi, verso il reparto delle calzature sportive.
Il mio passato di vecchio sembrava definitivamente alle mie spalle, finché, sabato scorso, improvvisamente e senza preavviso, sono ricaduto nella spirale discendente, ho imboccato di nuovo quel vicolo cieco a senso unico. Dev'essere stata la cattiva influenza di quel vecchietto di mio fratello Marco, ormai ultracinquantenne (la vecchiaia è contagiosa!) con cui stavo girando per negozi. Questa volta sono stati degli occhiali da vecchio; erano in una cartoleria e mi hanno colto di sorpresa: mi hanno fatto l'occhiolino e non ho saputo resistere.
Sono da lettura, dicono, ma che rimane da leggere con questi occhiali da vecchio? Niente più fumetti, riviste rock o blog sportivi, solo necrologi sul giornale e “modalità d'uso” dei medicinali geriatrici.
Sono anche stato fortunato, pensa se fossi stato sedotto da una dentiera!

Ora ci manca solo che mi vengano i capelli bianchi …  

domenica 15 dicembre 2013

Kit antiforatura

Sabato. La giornata comincia a Teulada, appena sceso dalla macchina, con i ravioli dolci appena fritti offerti da Alberto.
Cosa fosse successo prima resta avvolto in una coltre di sonno, tanto che il kit antiforatura che ero riuscito a procurarmi in quel nebbione era costituito da una bomboletta “gonfia e ripara” vuota e da una camera d'aria per bici da corsa.
Il raviolo fresco e appetitoso fa da antipasto ad una gustosissima giornata in mountain bike. Il clima è fresco e splendente, il percorso quasi completamente nuovo per me, la compagnia simpatica, salite lunghe ma piacevoli, viste aeree sterminate, sentieri sottobosco, discese fantastiche su piste disegnate con linee artistiche nel bosco, e, ovviamente nel punto più lontano, foratura. Faccio lo sbruffone “tranquilli, ho tutto!” Prima figura da scemo: la bomboletta sputacchia poche bollicine di bava, prima di esalare l'ultimo respiro con una pernacchia. La seconda: provo a riempire l'enorme copertone diametro 29 della mia mtb gonfiando la minuscola camera d'aria da strada.
La sensazione di impotenza (figurata) è ben rappresentata fisicamente dalla moscezza del copertone che non ne vuole sapere di indurirsi nonostante le pompate ...
Senza l'assistenza di Marco e Alberto l'avrei finita a piedi.
Giàqquante volte mi son ritrovato a dover percorrere chilometri camminando o correndo su basi inadatte e con la bici in mano. Ricordo corse giù dalle montagne con l'ultima luce dalle lontane ciminiere incendiate di Sarroch o scalzo sull'asfalto col calore dell'attrito che fondeva le piante dei piedi in una grande vescica (http://pisanilorenzo.blogspot.it/2013/04/forature.html ). Ho promesso: mai più!
Domenica. Avevo deciso di uscire in mtb anche oggi. Come ogni domenica il signore si riposava, i negozi erano chiusi e non potevo comprare pezzette camere o bombolette; la promessa era di ieri, non potevo ignorarla: come fare?
A volte la risoluzione dei problemi è ovvia ma non si vede; intuizione, colpo di genio, follia? Niente di tutto ciò: basta aprire gli occhi!

Per non rischiare di dover correre con le scarpe da bici, c'era una sola cosa da fare: ho tolto dallo zainetto la bomboletta vuota e la camera d'aria da strada e, al loro posto, ho messo un bel paio di scarpe da corsa! Il mio nuovo kit antiforatura.

venerdì 13 dicembre 2013

Una mezza a settimana …


Questo titolo me lo gioco: una mezza sette – 1 ½ 7 – terno secco. Un bussolotto si apre, il numero si frantuma e, per la prima volta, vengono estratti numeri frazionari sulla ruota di Torino.

L'omino Michelin prende il volo ...
La domenica dopo la mezza di Cagliari, sono a Torino per il compleanno di mio fratello e, casualmente, c'è un'altra mezza pomposamente chiamata Royal Half Marathon. In settimana non ero riuscito ad allenarmi perché avevo una coscia ammaccata da una caduta in mtb. Ho titubato fino all'ultimo, poi mi sono iscritto, sperando di non risentirne. Avevo anche paura del freddo.
Dopo una notte sottozero, la massima prevista è di 3 gradi. Decido allora di uscire da casa di mia madre all'ultimo momento, meno di mezz'ora prima della partenza, e di fare di corsa i tre km per arrivare al ritrovo. Indosso maglia e guanti da ciclista e giubbino antivento. Qualcuno corre in canottiera. Io sembro l'omino michelin. Non fa poi così freddo e posso togliere il colbacco … Anche l'antivento finisce presto nella tasca della maglia da ciclista. 

Pecora o spermatozoo? Qualche giorno fa, mi chiedevo che origini avesse lo spirito che mi spinge a partecipare a gare affollate. La risposta ora l'ho chiara. Mi piace correre in mezzo a tanti ma non per belare nel gregge. Vorrei uscirne, avanti a tutti, scodinzolando allegramente ma oggi proprio non ci riesco. Da un punto di vista andrologico, non sono però uno di quegli spermatozoi pigri che si aggirano svogliatamente senza puntare la meta, sono invece uno lento, con molta buona volontà ma bassa motilità; mi sento invischiato, come se invece dell'aria fossi costretto a correre in un liquido viscoso …

diciamo che sono in affanno, prima che questa metafora mi spinga su terreno troppo scabroso. Rallento un po' fino a 4' al km, ritmo che mi permette di non rantolare e, in prospettiva, di migliorare leggermente l'ora e ventisei della mezza di Cagliari. Riesco a godermi anche il percorso, quasi tutto sul lungo po, lontano dal traffico e dalle macchine …

ah sì, le macchine, a Torino l'automobile regna sovrana, ma qui, ora, non ci si disturba

con mio sommo piacere c'è anche molto fondo naturale, qualche lieve saliscendi, le pozzanghere sono dure, scivolose, sembra ghiaccio … improvvisamente mi ritrovo per terra.
Mi rialzo subito ma devo rallentare e mettermi dietro a quelli che avevo superato pocanzi per lasciar scemare un po' il dolore.

Cadere, rialzarsi, … per me è quasi routine. Indosso fieramente, con sconcertante regolarità, le croste sui ginocchi; sono simbolo di fanciullezza e perciò le tengo care.

Dove avro' lasciato la bici?
Dopo qualche minuto i dolori della caduta si mescolano ai vari indolenzimenti e si fanno dimenticare.
Finisco in un'ora e venticinque, indolenzito ma soddisfatto. Sono arrivato 25esimo su 500, non male. Certo il tempo è circa 5 minuti sopra il mio standard, ma qualcuno sostiene che con l'allenamento si possa migliorare. E allora alleniamoci: è ora di ripartire e di porsi qualche obiettivo. Il 9 febbraio, giorno del mio compleanno, si correrà la mezza di Pula. Quale migliore occasione per mettersi alla prova? Ho due mesi di tempo e vorrei scendere di nuovo, dopo un paio d'anni, sotto l'ora e venti. Velleitario? Modestamente, sì!

ps. La mattina dopo, in stazione ho incrociato un gruppo di “forconi” . Li ho osservati: giovani ma brutti, neri, sembravano più teppisti da stadio che manifestanti. Inquietante.

mercoledì 11 dicembre 2013

La fase discendente - Per i 50 anni di mio fratello Marco

50 anni, inizia la fase discendente. Detto così sembra brutto ma noi ciclisti sappiamo che non c’è niente di meglio di una bella discesa nel finale.  Allora diciamolo alla “ciclista”: “tranquillo Marco, da qui in avanti è tutta discesa”.
Sai tutto ormai, ora puoi cominciare a dimenticare: lascia che, piano piano, la testa si svuoti.
Hai dato molto ai tuoi figli, ora è arrivato il momento che comincino a restituirti qualcosa: e se non te lo vogliono dare, fai pure i capricci.
Hai lavorato tanto per salire sulla cresta dell’onda, ora surfaci, lasciati trasportare da quest’onda, fin quando non si esaurisce. Ogni giorno, lavora un pochino di meno, così  arrivi gradualmente alla pensione, senza traumi.
Sei uscito più volte dalla tua zona di comfort per renderla più larga e più bella, ora ti ci puoi accomodare tranquillo e godertela tutta, finché non fa la muffetta.

Io? Che c’entro ora io? Ho ben 14 mesi ancora per migliorare i miei primati personali, per far carriera, per rinnovare l'arredamento della mia zona di comfort, per guadagnarmi la gratitudine dei miei figli, e poi basta pedalare, non mi resterà che scendere, dovrò solo stare lì sulla vita e lasciarmi scivolare… oddio … mi sa che farò presto a venir giù da 'sto cavalcavia!

giovedì 5 dicembre 2013

Pignolerie: vuvvuvvu e chiocciolina

Pignolerie – ovvero piccole cose dette con enfasi.
Ricordate il vuvvuvvu? Quello che ora non si dice quasi più perché si dà per scontato? Bene, a me faceva venire ogni volta un brividino di raccapriccio: perché dire vu se è vu doppia? Perché è più breve? Allora, se una lettera vale l'altra, perché non u-u-u che è ancora più breve? Poi, volendolo semplificare, basterebbe usare la matematica: vu doppia+vu doppia+vu doppia=3(vu doppia)=6vu
"6vu", ancora più breve e matematicamente esatto.
Sapete quanta gente ha provato a connettersi ad indirizzi vvv? E non era colpa loro. L'ignoranza vera era di chi li aveva pronunciati male.
Io non ci sono mai cascato. In compenso però, quando un vecchio compagno di liceo mi aveva dettato il suo indirizzo di posta elettronica, avevo scritto “chiocciolina” sull'agenda. E mentre lo scrivevo lui mi guardava strano ma senza dirmi niente. Più tardi ho capito e mi sono un po' vergognato anche se non avevo colpe. Per me quel simbolo era “at” o, in italiano “su”, breve ed esatto. Perché usare quella parola sterminata, mentre tutto intorno le parole venivano accorciate? E perché proprio chiocciolina? Io per esempio, se proprio devo dirlo, in quel simbolo ci vedo uno stronzetto arrotolato o un uovo fritto ma non mi sono mai sognato di dettare “pisani stronzetto crs4 punto it”. Chissà perché … forse suonava male ...

martedì 3 dicembre 2013

eggialosapevo

"L'uomo è un incrocio tra scimpanzé e maiale": l'ipotesi shock dello scienziato McCarthy. Questo il titolo di un articolo pubblicato su repubblica-scienze: http://www.repubblica.it/scienze/2013/12/03/news/l_uomo_un_incrocio_di_scimmie_e_maiali_l_ipotesi_shock_del_genetista_mccarthy-72579034/?ref=HRLV-11
Fanno passare come ipotesi "shock" teorie che nel mio "bar" erano già discusse da tempo: "Qualche esimio collega da bar potrebbe suggerire che il comportamento alimentare descritto sopra dimostrerebbe una maggiore affinità genica con i maiali piuttosto che con i predatori, e che quel verso somigli più a un grugnito che a un ruggito. Che teoria strampalata! Se così fosse, mi dovrei essere divertito a grufolare nel fango alla campestre di Guspini di domenica scorsa ... oddio!
Grunf." cit. da: http://pisanilorenzo.blogspot.it/2013/02/scienza-da-bar-mucca-o-predatore.html
Già una trentina di anni fa, quando ancora Mccarthy studiava le tabelline, avevo intuito l'ipotesi genetica considerata e l'avevo inserita nella strofa finale: "finché mi rendo conto che discendiamo dai maiali e mi lascio cadere nel fango" di una mia canzoncina citata qui: http://pisanilorenzo.blogspot.it/2013/03/pioggia.html. Era già pop. Se volete ve la canto ...

Cagliari Respira … o almeno ci prova!

Grazie Antonello: http://www.antonellovargiu.com/
CagliariRespira - ½ maratona della città di Cagliari.
Gli automobilisti strombazzano festosi e scherzosamente definiscono “gara del cazzo” la nostra bella maratonina. Avrebbero preferito la solita “Cagliari Boccheggia” di tutti i giorni ma oggi no, è un giorno speciale, una vera festa. Siamo più di mille a correre in mezzo alla strada. Loro sono rigorosamente esclusi dal percorso di gara e ci guardano con invidia dall'interno delle loro scatole, ferme e impilate nella strada come sugli scaffali di un supermarket. Qualcuno di loro pensa: “non è giusto, quella strada è mia”. Avrebbero molti sentimenti, ragionamenti, considerazioni da esprimere ma riescono solo ad abbaiare con i claxon. Utilitarie-barboncino rispondono a SUV-alano aizzandosi l'un l'altro. Forse qualcuno ci azzannerebbe volentieri una caviglia, forse invece esprimono la gioia di vederci passare: è difficile interpretare l'espressione monocorde del claxon; avessero almeno una coda da agitare … . Di sicuro, siccome dentro le scatole ci sono persone intelligenti, l'anno prossimo passeranno dall'altro lato della barricata di vigili e saranno a correre con noi.
Cagliari Vola, Corre, Arranca, Strascica e Respira moltissimo, profondo, affannato, a volte ansimante. Cagliari Vive, almeno un giorno all'anno.

domenica 1 dicembre 2013

Patate dolci

Per cena stavo preparando arrosto di maiale con patate. Francesco faceva lo sguattero tagliando le patate. Quando stavo per infornare, mi ha detto: "oggi però è thanksgiving, avremmo dovuto mangiare le patate dolci americane". "Ah sì? Vuoi le patate dolci? Ecco le tue patate dolci" ho risposto io cospargendo di zucchero le patate con finto furore. "Vorresti anche il tacchino, per caso?? Devo mettere le ali a questo maiale??" E, facendo il pazzo, ho conficcato due ramoscelli di rosmarino nella carne. Francesco era proprio contento e rideva di gusto. Niente male poi il risultato, è stato tutto ingurgitato con gusto.
Un altro modo di dire la stessa cosa:
Ieri mentre preparavo un arrosto con patate, mi è venuta l'ispirazione, e per dare un tocco di delicatezza e nobiltà al volgare tubero, l'ho arricchito con una spolverata di zucchero. All'assaggio si è comportato con pacata signorilità insolita per un maiale, carezzando il palato e scivolando giù delicatamente.
Il principio è sempre quello: "viva la cucina stocastica!".

sabato 30 novembre 2013

L'altro lato dell'avventura

50%
Per ogni avventura finita bene che possiamo raccontare con la voce profonda o scrivere con i polpastrelli callosi dei sopravvissuti, ce n'è un'altra finita male, che, magari nessuno può più raccontare. Provo a dar voce ad una di queste storie, una che mi ha sfiorato in questo straordinario terribile intreccio che è la vita.

Avevo 5 o 6 anni, non ricordo ma, se proprio volete saperlo e sapete leggere, sta scritto qui sulla pietra. Volevo tornarci al fiume. Da solo. Babbo e mamma l'ultima volta erano stati così noiosi … e lì c'è il fango, … e lì è pericoloso, uffa che barba … potevo tornarci da solo, tanto la strada la conoscevo e per uscire di casa senza essere fermato dal solito :“dove stai andando?” di mamma, bastava trovare una buona scusa. Ho preso il camion dei pompieri, l'ho sporto bene, con le due manine, dal balcone della mia cameretta, l'ho lasciato cadere e mi sono fermato un secondo a guardarlo cadere giù in giardino. Uffa,  c'era un signore che mi guardava dalla strada! Mi sorrideva ma scuoteva la testa: “ma che stai facendo” mi ha detto senza parlare; sembrava simpatico; gli ho fatto un sorrisone ma sono diventato tutto rosso, mi aveva beccato e avevo paura che lo dicesse ai miei genitori; i grandi si impicciano sempre e rovinano tutto. Sono scappato dentro ma di nascosto, da dietro la tendina, l'ho visto allontanarsi. Via libera! Parola d'ordine “mi è caduto il camioncino” e, come previsto, mamma m'ha lasciato uscire. E io ho cominciato a correre, non mi tenevo per l'emozione e la contentezza e poi dovevo fare presto prima che si accorgessero e mi potessero fermare.
Non ricordo bene cosa successe quando arrivai al fiume, forse mi ero sporto per recuperare la mia barchetta, forse ero semplicemente scivolato; so solo che improvvisamente mi sono ritrovato in acqua. Ho gridato, chiamato la mamma, pianto ma tutto restava silenzioso ... l'acqua …  faceva tanto male …  avevo tanta paura … ero tanto solo

Ricordo ancora quel pomeriggio. Ero studente a Pisa e stavo tornando a casa dalla stazione. Ricordo di avere visto  quel bimbo che lasciava cadere il gioco e poi si sporgeva a guardarlo, il breve e muto dialogo, le sue guanciotte piene e il bellissimo sorriso, mezzo sfrontato e mezzo timido. Potevo essere io, il timido avventuriero di 15 anni prima. In quel sorriso, così comunicativo, avrei potuto leggere la storia o almeno intuirne il potenziale tragico e cercare di intervenire, di “impicciarmi” per cambiare il corso degli eventi. La lessi invece solo il giorno dopo, sul giornale.

giovedì 28 novembre 2013

Il cornicione – versione deluxe

Ho accolto con entusiasmo l'invito di Stefano La Cara a contribuire all'e-magazine di triathlon Zona Cambio (http://www.zonacambio.com/ ve lo consiglio: è bello, sembra vero ed è GRATIS). La mia rubrica è intitolata "ho fatto cose che voi umani ..." in cui mi do un po' di arie da sopravvissuto. Per l'occasione, ho riscritto l'episodio della passeggiata sul cornicione riesumando anche un mio vecchio acquarello, un po' pasticciato ma rende l'idea.

Ho fatto cose che voi umani ... ovvero: come sono arrivato a 48 anni ad affrontare il primo ironman quasi come fosse una passeggiata.
Disclaimer: Non è un programma di allenamento, sono solo esperienze personali e si può, anzi si deve, arrivare ad affrontare un ironman in modo diverso – NON FATE LE RIPETUTE SUL CORNICIONE!

Il senso della sfida, lo spirito di avventura, la voglia di uscire dalla zona di comfort, di provare nuove sensazioni, insomma quell'insieme di qualità che chi non le possiede definisce come “follia” ma che in realtà è solo “curiosità” – quella curiosità che ci spinge ad uscire fuori di testa per vedere cosa c'è ed a rimanerci perché là fuori è bello – sono doti quasi indispensabili per chi vuole affrontare un impegno duro come un ironman. C'è chi se le deve guadagnare forzando la sua natura di amante della vita comoda e chi invece le ha innate. Io, modestamente, “curioso” ci nacqui e, a testimonianza di ciò, vi racconto un episodio della mia infanzia.
Il cornicione. Ho esordito negli sport estremi a 5 anni con un'uscita di alpinismo urbano, uno sport che allora, nel 1970, era praticato solo da ladri di appartamento. All'epoca vivevo a Torino, in un appartamento all'ultimo dei 5 piani di un palazzo di via Saluzzo, vicino alla stazione di Porta Nuova. All'esterno della casa, proprio sotto le nostre finestre, passava il cornicione, una striscia di lamiera larga poco più di mezzo metro, inclinata verso l'esterno per convogliare l'acqua piovana in una canalina orizzontale e poi giù alla gronda. Il cornicione faceva il giro esterno del palazzo, unendo, come una sorta di via ferrata, tutte le finestre lato strada. Nella mia mente di cinquenne "curioso", quella pista sospesa era un passaggio segreto fantastico fra una stanza e l'altra.
Un giorno che i miei genitori erano fuori casa, con mio fratello Claudio che all'epoca aveva 3 anni, decidemmo di provare l'avventura. Per salire sul davanzale bastava una sedia; abbiamo aperto la finestra e con un passo ... hop siamo scesi sul cornicione. Ricordo che non mi sentivo molto a mio agio: l'inclinazione verso l'esterno mi dava l'impressione di poter scivolare giù; vedere la strada 20 metri più in basso e sentire il rumore metallico della lamiera che si deformava sotto il peso dei miei passi mi rendeva inquieto ed esitante; Claudio invece era tranquillo e passo passo si stava avviando verso l'altra finestra. All'improvviso si sentì un urlo agghiacciante. Ero ancora di fronte alla finestra e la baby sitter, che non sapevo fosse in casa (o che forse consideravo una presenza irrilevante), mi aveva visto ed aveva iniziato ad urlare isterica. Urlava così forte che mi sembrava pazza; ricordo che le urlai: “sei una scema!”
La mia prima uscita sportiva finì con un indecoroso ritiro. Dovemmo rientrare e sorbirci una bella sgridata. Non ricordo cosa mi dissero i miei genitori ma furono convincenti e non ci riprovammo più.
Quella baby sitter non è più tornata da noi, credo anzi che abbia cambiato mestiere.
Se ripenso a mio fratello Claudio là fuori, a 3 anni, mi vengono ancora i brividi. Io invece non credo di avere rischiato molto, perché, a modo mio certo, ero stato prudente. Avevo fatto solo 2 o 3 passi. Ancora non lo sapevo ma erano i primi passi verso l'ironman.

martedì 26 novembre 2013

Ricomincio da 21

"Da zero! Ricominci da zero!" direbbe Lello.
"Nossignore, da 21; ricomincio da ... cioè, ho fatto 21 cose buone nella vita, perché dovrei perdere pure queste?" replicherebbe Gaetano (il grande Massimo Troisi).
Io, a dire il vero, 21 cose buone non le ricordo, forse al più discrete … stavo solo parlando di chilometri.
In mancanza di stimoli “interni” che mi spingano a ricominciare a correre (gli stimoli interni, in questo periodo mi fanno fare tutt'altro: roba grossa), ho deciso di cercarli da fuori iscrivendomi alla mezza di Cagliari di domenica prossima. Mi ha convinto il gran numero di iscritti, forse più di mille, e l'idea di mettermi in mezzo, al centro geometrico della folla, per confondermi fra la gente e lasciarmi trascinare.
E' lo spirito della pecora, che si sente sicura solo se circondata da altre pecore succulente. Forse c'è rimasto quell'atavico istinto di conservazione, quell'antieroico "non spingete scappiamo anche noi". Forse invece è ricordo gioioso della gara più affollata e più bella della nostra esistenza, l'unica che abbiamo vinto, quando eravamo un branco di piccoli spermatozoi.  Sia quel che sia, spero di ritrovarlo quello spirito, lo stesso che da bambino mi spingeva a infilarmi nella folla della stratorino, correrla tutta senza allenamento, passare i 3-4 giorni successivi senza quasi riuscire a camminare per i dolori muscolari e ripresentarmi alla partenza l'anno dopo, rigorosamente senza allenamento. "Adesso che son grande, ringrazio il Signore mi è passato ogni disturbo senza bisogno neanche del dottore" ed ho previsto ben tre allenamenti per prepararmi al meglio. Tre corsette per riesumare i miei muscoli e farli uscire dal coma. "Alzati e corri", il miracolo di Lazzaro si rinnoverà, moderno e dinamico, quasi futurista. Domenica riparto, "cioè, se ti sto dicendo che parto, parto... e poi me ne vaco Rafè, nu ci'a faccio cchiù! Cioè,  chell ch’è stato è stato... basta, ricomincio da 21".

domenica 24 novembre 2013

Meteossessione

Sarebbe bello conoscere il futuro ... o forse no. Il passato è pieno di esperienze istruttive, di giornate di sole, di bei ricordi; il futuro invece è solo pieno di cose da evitare, incombe su di noi minaccioso. La paura, che è uno dei protagonisti della società in cui viviamo, trae linfa vitale dalle previsioni funeste o presunte tali. C'è la morte che ci aspetta, certo ma soprattutto tanta e tanta pioggia.
“Stasera avrei voluto andare al cinema ma ho visto le previsioni e con questo tempo mi sa che resterò a casa” “Portati un ombrello e vacci lo stesso” suggerisco io. “L'ombrello lo avrei, ho anche un bell'ombrellone grande ma col vento che ci sarà la vedo dura”.
Le previsioni meteo sono solo estrapolazioni modellistiche della situazione attuale e di quelle passate. Sempre più spesso però, sono presentate e considerate come realtà di fatto. Non si dice più “per domenica è prevista pioggia” ma “domenica piove”. Non si usa neanche il futuro che potrebbe far balenare dei dubbi in chi ascolta. La sicurezza diventa totale quando il clima si manifesta nei suoi aspetti negativi: “domenica piove, c'è vento, troppo caldo, troppo freddo ...” e viene usata come scusa per rinunciare a uscire, fare, vedere, vivere; è una trappola mortale per chi avrebbe bisogno di motivazioni, un ergastolo autoinflitto per evitare terribili goccioline. La paura di bagnarci ci fa restare rintanati nel buco come merde in attesa dello sciacquone.
Anch'io guardo regolarmente le previsioni meteo ma ho imparato a interpretarle bene: quando c'è scritto 80% probabilità di pioggia, in realtà vuol dire 20 probabilità su cento di sole. E non me ne lascio sfuggire neanche una di queste splendide probabilità!

venerdì 22 novembre 2013

Roba grossa

Questa la voglio raccontare. Mi dispiace per voi ma in fondo questo blog è un diario e non posso non riportare la cosa più bella che mi è successa oggi.
Una cagata a Porcili Marriu.
Piove. Anche oggi. Ed è una pioggia continua, noiosa, più torinese che sarda. Verso le 3 del pomeriggio, dalle finestre dell'ufficio penetra finalmente un po' di chiarore. Dovrei andare in bagno ma ho paura di perdere l'attimo e mi fiondo nello spogliatoio, mi cambio, inforco la mtb ed esco.
A 150 metri dal CRS4, comincia una sterrata forestale che si inoltra subito nel bosco cominciando a risalire il monte lungo una bella dorsale panoramica. Il bosco bagnato profuma di bosco bagnato. Salgo con calma godendomi l'uscita insperata. In breve, intorno ai 400m di quota, la strada arriva su una splendida selletta poco sotto punta “Porcili Marriu” e finalmente spiana. Esco dalla strada per inoltrarmi su tracce di sentiero nel boschetto ma finiscono presto. Mentre scendo dalla bici per girarla e tornare sulla forestale, arriva l'ispirazione. E' roba grossa. Mollo la bici, lascio cadere casco e occhiali e mi addentro velocemente nel boschetto. Ho la salopette da ciclista e per fare quello che sto per fare devo togliermi quasi tutto. Via la giacca, via maglia e canottiera, butto i guanti a terra, tiro giù la salopette e finalmente mi accomodo. Sono seminudo immerso nella natura, mi sento selvatico, quasi parte dell'ambiente. Il cielo comincia a brontolare minaccioso ma in un attimo ho fatto, rapidissimo e lei è lì, sotto di me, monumentale. Senza fretta mi alzo e la contemplo con soddisfazione: se ne sta lì, accoccolata come un gattino che dorme; forse la mia migliore espressione corporale degli ultimi tempi. A malincuore copro il mio capolavoro con una grossa pietra. Mentre mi rivesto comincia a piovere devo rinunciare a salire oltre ma sono già completamente soddisfatto e comincio a scendere. Cosa vuoi di più dalla vita? Cosa c'è meglio di una splendida cagata a Porcili Marriu?

giovedì 21 novembre 2013

Forze della natura

Non respirare che fai la nebbiolina; non mangiare l'insalata che è brava e con le foglioline assorbe energia solare e CO2; fai come me: tingiti i capelli di bianco che così la riflettività del pianeta aumenta e si scalda di meno; resta in poltrona che spostarsi è fatica, fatica è energia, energia è CO2. O se proprio ci tieni a respirare, a mangiare, ai tuoi capelli corvini e a muoverti, quando ti sposti cerca almeno di evitare di portarti appresso una tonnellata di ferraglia, quando mangi cerca di evitare cibo che ha fatto il giro del mondo, quando hai freddo metti la maglia e spegni la stufa.
Il calore e soprattutto la CO2 che immettiamo nell'ambiente contribuiscono ad aumentare l'energia del sistema “terra atmosfera”. Energia sotto forma di calore, si trasforma in energia meccanica del vento, che nasce fra gradienti termici, nel cambio di fase dell'evaporazione dell'acqua, in fenomeni meteorologici. La percepiamo nel vento impetuoso, nelle valanghe d'acqua che ci sommergono sempre più forti, sempre più distruttivi. Ma quella forza distruttiva la alimentiamo anche noi con l'energia e la CO2 che immettiamo nell'ambiente spostandoci, riscaldandoci o mangiando un gelato.
Non prendiamocela sempre con i politici. Siamo anche noi che abbiamo soffiato su quel vento o alimentato quell'acqua che ha tirato giù il ponte. Proviamo allora a cambiare qualcosa cominciando da noi.
Consideriamo per esempio quell'oggetto con due ruote che teniamo nella teca di cristallo e che ci affanniamo a raggiungere dopo il lavoro correndo in macchina. Cerchiamo di snebbiare la vista offuscata dalla passione. La bicicletta, in fondo in fondo, è un mezzo di trasporto. So che vi sembrerà offensivo ma è proprio così: sposta il nostro culo dal punto A al punto B è quindi solo un fottutissimo mezzo di trasporto. Proviamo allora ad usarla come tale.
Io ci sto pensando seriamente. Sarebbe un segno di rispetto per le vittime dei recenti nubifragi e soprattutto per questo bellissimo pianeta.

martedì 19 novembre 2013

Il segno

Fiacca, stanchezza, jet lag all'intestino. A New York Maria si è preoccupata perché sono andato a correre solo 2 volte in una settimana. Anch'io un po' mi preoccupo. Per non uscire a correre cerco scuse come Francesco quando non vuole andare a scuola: lo zaino è troppo pesante, la professoressa mi bullizza, ieri abbiamo bullizzato i bidelli percui oggi faranno sicuramente sciopero e non ci faranno entrare, c'è freddo, sono stanco, ho mal di pancia ... la strada è troppo dura,  il pantaloncino non si intona con la maglietta, le miglia sono troppo lunghe, gli scoiattoli mi faranno inciampare ... quando me lo dice lui non attacca ma se me lo dico io da solo ci casco sempre.  
 Forse avrei bisogno di essere trascinato da qualcuno, di avere delle tabelle da seguire, di una maestra che mi dia le note o di un padre che non creda alle mie scuse ma forse, più semplicemente, ho solo bisogno di un altro po' di riposo. Intanto fuori vanno tutti come treni, le mezze sono gioiosamente affollate, la gente corre e si diverte.
Io invece aspetto: un segnale dalle gambe o un segno. Stasera, dopo una giornata davvero buia e tempestosa, tornando a casa in macchina, ho visto un arcobaleno lunare. Non mi era mai capitato: era flebile e i colori si percepivano appena ma la sorpresa e la meraviglia mi hanno fatto trasalire; quando, arrivato a casa di corsa, sono uscito con Francesco per farglielo vedere, era già sparito. Era solo per me. Un segno dal cielo. Lo dovevo solo interpretare. Un arcobaleno, la luna. Forse era in codice. Freccia, balena, notte. Cavoli, non si capisce niente. Ora tuona di nuovo, la palpebra scende e il mio segno è ormai sparito per sempre incompreso e inutile. Domani pioverà, l'asfalto sarà troppo duro e la testa troppo molle per correre. Dovrò aspettare il prossimo segno, sperando che sia più chiaro.

sabato 16 novembre 2013

Il cornicione

Ho fatto cose che voi umani ... - ovvero: come sono arrivato a 48 anni ad affrontare il primo ironman quasi come fosse una passeggiata. Ecco un'altra possibile, forse probabile, rubrica in cui racconto episodi del mio passato che potrebbero interessare qualcuno o anche solo per evitare che ...  tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia.
Il cornicione. Ho esordito negli sport estremi a 5 anni. All'epoca vivevo a Torino, in un appartamento all'ultimo dei 5 piani di un palazzo di via Saluzzo, vicino alla stazione di Porta Nuova. All'esterno della casa, proprio sotto le nostre finestre, passava il cornicione, una striscia di metallo larga poco più di mezzo metro e un po' inclinata verso l'esterno, per convogliare  l'acqua piovana in una canalina orizzontale e poi giù alla gronda. Il cornicione faceva il giro esterno della casa, unendo, come una sorta di via ferrata, tutte le finestre lato strada. Nella mia mente, quella pista sospesa era un passaggio segreto fantastico fra una stanza e l'altra.
Un giorno che i miei genitori erano fuori casa, con mio fratello Claudio che all'epoca aveva 3 anni, decidemmo di provare l'avventura. Per salire sul davanzale bastava una sedia; abbiamo aperto la finestra e con un passo ... hop siamo saliti sul cornicione. Ricordo che non mi sentivo molto sicuro: l'inclinazione verso l'esterno mi dava l'impressione di poter scivolare giù; Claudio invece era tranquillo e passo passo si stava avviando verso l'altra finestra. All'improvviso ho sentito un urlo. Ero ancora di fronte alla finestra e la baby sitter, che non avevo proprio considerato nel mio piano, mi aveva visto ed aveva iniziato ad urlare isterica. Urlava così forte che mi sembrava scema e glielo dissi. Missione fallita. Dovemmo rientrare e sorbirci una bella sgridata.
Quella baby sitter non è più tornata da noi, credo anzi che abbia cambiato mestiere.
Io non credo di avere rischiato molto, perché, a modo mio certo, ero stato prudente. Se ripenso invece a mio fratello Claudio là fuori, a 3 anni, mi vengono ancora i brividi. Agghiacciante.

giovedì 14 novembre 2013

Pignolerie - Il mistero della "muntanbaik"

Pignolerie-ovvero piccole cose dette con enfasi, questo è il nome di una "possibile" nuova rubrica di questo blog. In questo primo e forse unico numero, mi occuperò di uno dei principali misteri della lingua italiana, ovvero l'origine dell'orrendo "muntanbaik".
Mio nonno paterno era un glottologo di fama mondiale, esperto in sanscrito, accademico dei lincei ecc. ecc. . Mio padre, pur non avendo fatto studi classici, traduceva Puskin dal russo in rima e risolveva le parole crociate difficili leggendo le sole definizioni orizzontali. Mio figlio Martino ondeggia fra il 3 e il 5 di latino al liceo scientifico. In questa discesa lineare generazionale verso l'ignoranza assoluta, io capito piuttosto in basso. Cionondimeno (parolone) voglio provare a risolvere l'enigma della pronuncia italiana della parola inglese "mountain bike" le misteriose origini dell'arcano "muntanbaik", una questione che mi angoscia da anni.
Faccio qualche ipotesi:
Una lettura alla francese darebbe "muntenbik": ci si avvicina e ci si allontana allo stesso tempo
Il lombardo-piemontese muntagnun per montanaro ha una certa assonanza, e potrebbe essere una concausa dell'evoluzione linguistica in esame
L'ipotesi più probabile è un tentativo di semplificazione linguistica. Leggere mauntin baik, come farebbero gli anglo-americani è faticoso, non parliamo poi del modo "leggi come scrivi" "mountainbike" faticosissimo con tutte quelle vocali. Si sa che basta una vocale per separare due consonanti, allora, per facilitare la pronuncia, 2 vocali su 4 potevano essere elise. Sono rimaste 4 possibilità: muntan, muntin, montan e montin. Durante gli anni 80, con l'emergere delle mtb, si è probabilmente consumata una dura lotta fra queste 4 diciture. In quel periodo, la gente delle diverse fazioni non si capiva finché, grazie a fluttuazioni statistiche e forse anche all'assonanza con "muntagnun", muntan si è imposto per sempre e gli ultimi reduci della montin, montan e muntin baik hanno dovuto cambiare sport.
Ma allora perché "baik"! Se è "muntan" che sia "bik". "Muntanbik", semplice, si dice tutto d'un fiato, sarei disposto anche a dirlo. Ma "muntanbaik" per carità, no, non ci riesco proprio; il cervello mi inibisce le corde vocali. Io che sono preciso ma non amo distinguermi, mi trovo in grave difficoltà. Anche a dire mauntinbaik mi trovo a disagio: sembra di volermi vantare di chissà quale cultura. Allora sussurro un "mntnbaik" quasi inintellegibile. Quando il mio interlocutore chiede conferma: "stai dicendo "muntanbaik"?", io rispondo "all'incirca: il senso è quello" e sono a posto. Ma che fatica!

martedì 12 novembre 2013

New York - la settimana dopo

Jet lag, sveglia alle 5, mi alzo alle 7 e alle 8 sono fuori. A meno di un isolato dal mio appartamento c'è il central park. 47° F, lo imparo a mie spese, sono pochi. Le miglia sono lunghe invece. Comincio a correre verso Harlem. Ci sono grandi viali asfaltati, viali sterrati, stradine e sentieri. Si può andare a sentimento. Si deve andare a sentimento: il garmin non parte, è spaesato, soffre anche lui di disincronosi e non trova i satelliti.
"Satellite's gone up to the skies
Things like that drive me out of my mind"
Perfino Lou Reed, proprio qui a New York, aveva problemi con il satellite.
Il giro del reservoir mi ricorda invece Dustin Hoffmann e la sua corsa pesante nel film "Il maratoneta". Non corro veloce, mi sento affannato e pesante come lui e tutti quelli che mi corrono accanto lo sono ancora di più. Dev'essere il cibo. Però è divertente. Su e giù per collinette, intorno a specchi d'acqua, sotto alberi spettacolari, accanto a scoiattoli che corrono da tutte le parti e perfino sotto ad un picchio dalla testa rossa. Tornando verso midtown Manhattan poi lo spettacolo meraviglioso e terribile del muro di grattacieli che si ergono facendo a gara a superarsi in verticale; ha un fascino molto simile a quello delle pareti e torrioni dolomitici visti dai dolci prati sottostanti.
Più tardi, a fine mattinata, sono andato con Maria e i ragazzi a seguire la sfilata per il veterans day: prima i motociclisti rombanti, vecchi, fieri, poi le bande, i veterani e i cadetti e, per qualche secondo, sono riusciti a farmi sentire orgoglioso di essere americano. Ho immaginato la maratona che sfilava qui solo una settimana prima e il calore e la spinta della città, di questo popolo capace di esaltare. E dev'essere una spinta formidabile se riescono perfino a far partire orgogliosamente soldati per le guerre.
La voglio provare questa spinta, come si vuole provare qualche esperienza stupefacente. La voglio provare almeno una volta, tanto poi smetto quando voglio. Non riusciranno certo a farmi partire per la guerra, ma per la maratona sì, qui a New York o anche a Boston. Quest'anno ci sono andato vicino. La prossima volta non sbaglierò settimana.

giovedì 7 novembre 2013

La prima bici

Qualcuno che mi considera un ciclista ogni tanto mi chiede consigli sull'acquisto della prima bici. Se sapessero che non conosco, non dico il modello del “gruppo” della mia bici, ma neanche il numero di pignoni (8, 9 o 10? So solo che a un certo punto finiscono) forse si rivolgerebbero ad altri.
Io invece qualche consiglio da me lo accetterei lo stesso e quindi qualche consiglio, sia pure molto generico, non da esperto ma da appassionato-contabile, mi sento di darvelo. Non col cervello; ve lo do col cuore e ve lo propino con l'intestino.
1-Ammortamento. Date un valore al vostro “piacere di andare in bici (PAB)” in euro/ora (tipicamente fra 5 e 10, quello che paghereste per un noleggio), valutate il numero di ore che pensate di passare in bici nei prossimi tre anni, dividetelo per tre per ottenere un valore realistico e moltiplicate per il PAB, ottenendo così la spesa massima che potete sostenere per riuscire ad ammortare la spesa (altrimenti vi conviene affittarla). Con questa semplice formuletta vedrete che la scelta si ridurrà drasticamente. Se dopo questi primi tre anni vi sarete appassionati, il PAB aumenterà, il numero di ore anche, ci aggiungete il valore della bici vecchia e vi potrete comprare una seconda bici di gamma superiore. Se invece (come succede nell'80% dei casi) vi stuferete quasi subito, avrete risparmiato un bel po' di soldi. Traduceteli in birre e mi potrete ringraziare offrendomene una.
2-Peso. Fra un “gruppo” di alta gamma e uno di gamma medio bassa ci sono circa 500g di peso e 1000 euro di differenza. La stessa differenza, in peso e in costo, c'è fra un telaio superleggero e uno in normale acciaio. Anche per far dimagrire le ruote si paga circa una birra al grammo.
Insomma far dimagrire la bici di un chilo costa circa 2000 euro. Non conviene perderlo voi quel chilo? Considerate anche che 1kg è poco più dell'1% del peso totale ciclista più bici e quindi se ora fate una salita a 10km/h, con duemila euro in meno nel portafogli (mille birre in meno in pancia) arriverete a farla a 10.1km/h. Vale la spesa?
3-Durata e manutenzione. Al contrario di tavolette del water e lavastoviglie, per le bici il rapporto prezzo/durata è quasi invertito. La componentistica di alto livello è pensata per professionisti che cambiano la bici in continuazione, che hanno un'assistenza meccanica continua ecc. ecc. Il buon vecchio acciaio pesa di più ma in confronto è indistruttibile; allora usate l'acciaio per la bici e tenetevi le fibre di carbonio per farci la tavoletta del water che lì le prestazioni aumenterebbero in modo bestiale.
4-Accettazione sociale. Quando, fino a circa 10 anni fa, andavo in bici vestito da “civile”, strappare un saluto ad un ciclista era quasi impossibile. Non importava quanto andassi veloce ma ai miei sorrisi e cenni di saluto hanno sempre risposto con un “ma che vuole questo” espresso con la faccia. Quando invece, come mi capita spesso quando vado dai suoceri a Fermo, esco con la bici sferragliante di mia cognata ma con il completino giusto, magari solo da lontano, ma qualche saluto riesco a strapparlo. Allora, compratevi un completino particolarmente vistoso per distogliere lo sguardo dalla bici e sarete salutati dai ciclisti risparmiando le solite birre.
Se, seguendo i miei consigli avete comprato questa bici,
 forse mi avete preso troppo sul serio e vi devo una birra.
Conclusione: La prima bici dev'essere modesta. Se non vi divertite a pedalarci non è colpa sua. Se invece vi piace andare in bici, vi divertirete con qualsiasi bici. Io ho fatto cose che voi umani ... : ho fatto giri in mtb con gli amici usando la bici di mio figlio di 11 anni, sono salito sulle pendici dei Pirenei affittando a 3 euro al giorno una city bike da oltre 20 kg (con tanto di cestino sul manubrio) alla stazione di Perpignan, sono salito sul monte Serra, vetta delle colline pisane, con una bici senza cambio, ho fatto discese frenando con i piedi, ho scalato i colli del cuneese con una trarovi a 3 marce e molto altro … e tutto ciò ha solo aumentato la mia passione.
Avvertenze speciali: se mai doveste capitare nella zona cambio di un triathlon, state raggiungendo la vostra bici e vedete qualcuno che la osserva con occhi spalancati, fischiettate e passate oltre: vi potrebbero denunciare per bici oscena in luogo pubblico o, se siete fortunati, sarete solo esposti al pubblico ludibrio.

martedì 5 novembre 2013

Culo pesante

Qualche volta, alzandomi in piedi, ho l'impressione di turbare l'armonia dell'universo ...
A tavola.
"Martino, scusa, puoi alzarti un secondo ... ??? (aria di mistero)???" Martino indugia perplesso; allora aggiungo: "fammi vedere???" Finalmente si alza guardandosi i pantaloni con aria incuriosita. "Ecco, bravo Martino, visto che sei in piedi, puoi prendermi il sale, per favore?"
Non pensavo che potesse funzionare più di una volta ma Martino mi ha sorpreso anche in questo e, nel giro di 3 giorni, sono riuscito ad ingannarlo 2 volte; ora sono sicuro che, se riuscirò a coglierlo sovrappensiero, ci cascherà di nuovo.
La mia non è pigrizia, no.
Se il battito d'ali di una farfalla in Europa può provocare un uragano in Brasile, immaginate quale catastrofe potrebbe accadere se solo provassi ad alzarmi da questa sedia ... nooo, non vale la pena rischiare.  Non è pigrizia, è che non voglio intaccare la fragile armonia dell'universo, non voglio aumentare troppo l'entropia, non voglio uscire da questo minimo di energia potenziale che accoglie maternamente le mie natiche e le tiene appiccicate alla sedia.
E allora, per ovviare agli inconvenienti causati dall'immobilità, cerco di ingannare i miei figli o, extrema ratio, invento nuove ricette. Ho ideato una variante della cucina stocastica (link) che prevede l'utilizzo dei soli ingredienti che puoi raggiungere allungando la mano destra. L'esuberante combinazione "torta ai pinoli con gamberetti in salsa rosa" a cui ho accennato qui (link) ne è solo un esempio: tante altre me ne sono capitate.
Il tempo passa: Maria sta già facendo zapping in salotto, i ragazzi sono nelle loro camere a giocare e io sono ancora qui, a tavola, seduto davanti ai piatti ormai vuoti, con l'ultimo centimetro di vino nel bicchiere.
Non è pigrizia, è uno stato dell'animo: è pesantezza di culo.

domenica 3 novembre 2013

Buffet medio "al Forte Village" - Santa Margherita di Pula

Buffet medio al Forte Village - Ricco buffet "continentale" con barbecue, servito nel  retro del lussuoso resort

Comfort, cortesia, abbondanza, cura della presentazione

Birra a pagamento

Rapporto qualità prezzo: mediocre (ma potenzialmente buono - vedi commento)
Bilancio calorie ingerite - calorie consumate: negativo (ma potenzialmente positivo - vedi commento)
Giudizio sintetico:  un maiale e mezzo
Ultimo assaggio: 27 ottobre 2013. Il mio giudizio sul buffet è largamente condizionato da un mio gravissimo errore. Era possibile iscriversi su due distanze: il buffet sprint, a 25euro, che prevedeva un'oretta di attività fisica per raggiungere il pasto e il buffet medio, a 70 euro, che invece richiedeva più di 5 ore di fatica prima di poter mangiare. In un momento di stupida megalomania (quanto sarà meglio il nostro buffet, quanto sono figo ecc. ecc.), mi sono iscritto al buffet medio. Immaginate il mio sgomento quando, stravolto dalla fatica e con il portafogli leggero, ho scoperto che il buffet era unico per tutti! Ci siamo ritrovati, noi stupidi, stravolti e zoppicanti con stampato sulla faccia il sorriso dei sopravvissuti, nella stessa fila con i furbetti dello sprint che guardandoci con sorrisetti beffardi, saltellavano freschi freschi da una fila all'altra. E mentre noi, una volta seduti, restavamo appiccicati col sedere alla sedia, loro si alzavano agilmente e ripetutamente a riempire il piatto. A causa del culo pesante ho dovuto rinunciare ai primi. Ne ricordo bene il colore però: c'era una pasta rossa come il furore e un'altra verde d'invidia. A causa della mia lentezza deambulatoria, quando finalmente ho raggiunto il tavolo, la carne era già fredda.  A causa della mente offuscata dalla stanchezza, ho scambiato la torta ai pinoli per una torta salata e me la sono impiattata con gamberetti in salsa rosa e insalata caprese; il peggio è che, per non alzarmi di nuovo, l'ho pure mangiata. 
Consiglio finale: l'avrete già capito. Il medio è per gli stupidi masochisti forrest gump. Per noi buffettari c'è solo lo sprint.

venerdì 1 novembre 2013

Riposo

Dopo la sardinia ultramarathon, dopo un mese di allenamenti corsi in equilibrio sul limite fra il molto e il troppo, dopo il triathlon medio del forte village, ho promesso alle mie gambe un periodo indefinito di riposo. Ho annullato provvisoriamente tutti gli obiettivi futuri e detto no a chi mi proponeva di iscrivermi a gare.
Il concetto di riposo però ha tante sfaccettature
Per me riposo vuol dire fare un'uscitina tranquilla in bici. Per Alessandro, mio compagno di pedalate, un'uscitina tranquilla in bici sono 50km con 500m di dislivello, raggiungendo, nel finale i 52.8km/h in pianura. Ieri, mentre riposavo, ho sfiorato i 53km/h in bici in pianura.
Per me riposo vuol dire correre sul fondo morbido della pineta. La pineta però è adagiata sulla montagna. Oggi, mentre riposavo, ho corso più di 200m di dislivello.
Domani, dovrei riposare facendo un giro rilassante in bici. Se non piove, farò, con Alessandro, lo stesso giro del percorso di gara di domenica: 90 km 1000m di dislivello tranquilli tranquilli  come piace a lui. Io mi metto a ruota che tanto a ruota ci si riposa e riposare in un giro così riposante è come farsi un sonnellino. Metterò un po' di caffè nella borraccia per non cadere addormentato.
Oltre alle gare, evito le competizioni con me stesso che di solito mi spingono a forzare su percorsi noti. Mi lascio superare da me stesso senza reagire e anzi mi guardo passare con un sorrisetto ironico  sussurrando "vai, vai, ammazzati di fatica solo per battere me stesso: io domenica ne ho superati di avversari forti, oggi a te mi lascio andare" (gestire la schizofrenia dal punto di vista grammaticale è arduo, manca un pronome per individuare gli altri ego). I miei io del passato che mi superano sono tantissimi ma non mi servono confronti, sono ancora pieno delle certezze di domenica scorsa e di quella passata: oggi posso arrivare ultimo.
Insomma, per me riposo, non vuol dire immobilità, che l'immobilità è stancante; vuol dire agio, facilità, vuol dire carezzare i pedali o il terreno senza pestarli con cattiveria, vuol dire avere il lusso di potersi fermarsi se passa la voglia o appena le gambe me lo chiedono, vuol dire guardare il garmin per controllare di non andare troppo veloce o, meglio ancora, non portarlo, vuol dire non buttarsi in mare se ci sono le alghe, rimettersi a dormire se il cielo è troppo grigio.
E così facendo, con leggerezza, aspetto. Fra una settimana, 10 giorni, un mese, arriverà il momento che le gambe mi daranno un segnale di "via libera". E allora fisserò nuovi obiettivi, ricomincerò a calpestare fango e funghi poi fiori e farfalle, spiaccicherò moscerini fra le palpebre, mi lascerò spruzzare dall'acqua sporca della strada tirata su dalla ruota della bici, farò deliranti sfide all'ultimo respiro con me stesso, arriverò a casa sudato, congelato, sfiancato, sbucciato, infangato, fradicio ... insomma ricomincerò a divertirmi sul serio.

mercoledì 30 ottobre 2013

Sardinia Ultrabuffet - Macomer

Mi trovo un po' in imbarazzo. Quando avevo iniziato a scrivere la "guida buffet", ero convinto che la maggioranza dei corridori fossero anche buffettari e, allora, avevo ideato un servizio per consentire loro di selezionare le gare e di avvicinarcisi nel modo più propizio. Poi, con il sondaggio, ho scoperto che solo il 16% dei podisti, di cui, modestamente, la metà sono io, si riconosce come buffettaro. Così mi crolla il mercato. La mia "guida buffet" rischia di essere uno dei più grandi flop-plop dell'editoria internettazionale. Facendo bene i conti, mi rimane solo un  potenziale lettore, che potrebbe anche solo aver sbagliato a pigiare il tasto.
Almeno io, però, la mia guida me la terrò cara. Voi, che siete disinteressati al cibo, voltate pagina e NON LEGGETE QUELLO CHE E' SCRITTO QUI SOTTO, POTREBBE CAUSARE OBESITA' , IMPOTENZA O ALTRE MALATTIE CHE VI INGRANDISCONO COSE E VE NE RIMPICCIOLISCONO ALTRE.

 Sardinia Ultrabuffet - buffet a tappe di endurance gastronomica. Una serie di veri e propri banchetti vi porteranno a conoscere i limiti più reconditi del vostro stomaco e a superarli.
Non gustavo niente di così soddisfacente, avvolgente, saziante dai tempi in cui divoravo la placenta di mia madre.
Forte rischio di dipendenza

Rapporto qualità prezzo: ottimo
Giudizio sintetico: ebbene sì, devo calare i tre maiali!
Ultimo assaggio: 19/20 ottobre 2013. Il vero buffet a tappe, in realtà partiva dal venerdì 18. per una tre giorni di full immersion nel cibo. Durante la prima giornata, l'appetito veniva stimolato parlando di "Attività fisica e nutrizione". Dopo essersi stancati sentendo nominare la "attività fisica", al pronunciarsi della parola "nutrizione", tutti i presenti hanno cominciato a salivare abbondantemente. E' dovuto intervenire un maialetto arrosto per sedare le ghiandole salivarie ed evitare danni alla moquette. In realtà io non ero presente ma è stato facile immaginare tutto ciò ... presto! Datemi uno scottex, che devo asciugare la tastiera!
Sabato invece io c'ero. L'appetito è stato stimolato percorrendo due giri di un circuito in cui si alternavano profumi di funghi e di menta, che, insieme alle tracce di cinghiale, facevano pensare ad un menù stile nouvelle cuisine stocastique: brochette de sanglier au champignon de bois en sauce de nimportequoi au parfume de menthe. A sorpresa, invece, veniva servito un classico pasto nostrano, con antipasto di formaggi e salumi, malloreddos al sugo, pecora in umido e vitello bollito con patate. Nonostante la semplicità, le pietanze riuscivano a manifestare tutta la saggezza della tradizione, il calore dell'ospitalità, la ricchezza della convivialità. La quantità di cibo, birra, vino, senza limiti apparenti, ha trasformato questo pasto in un vero e proprio banchetto.
Ehm ... ho già scritto due pagine e sono ancora al primo pasto! Sintetizziamo:
birra, birra, birra, pasta, vitello, torta, caffè, torta, coca, torta, frutta, coca, torta, frutta,  birra, birra, pasta ai porcini, birra, pasta al sugo, birra, panino all'arrosto con aggiunta di cipolle, cioccolatino, cioccolatino, birra, birra, panino all'arrosto con cipolle, uva, birra, torta, torta, torrone, torta, birra, torrone, caffè.
Più o meno, è questo che ricordo. Ho anche il vago ricordo di essermi dovuto spostare un po', domenica mattina, per inseguire le torte che erano dislocate in vari luoghi di interesse  archeo-naturalistico ma, con l'occhio nel piatto, non ho visto un granché!
Consiglio finale: convincete Benedetto a non affrettarsi, che poco dopo il suo arrivo la festa finisce.

lunedì 28 ottobre 2013

Triathlon medio Forte Village

Mi piacciono le sfide "in serie", mi piace mettere gare importanti, a cui tengo molto, una dopo l'altra e, quando il calendario m'aiuta, non mi lascio scappare l'occasione.
Mi piace perchè se la prima va male "era solo una preparazione per la seconda", se va male la seconda ho una scusa lunga 60km per giustificare la debacle e se vanno bene tutte e due, ho fatto un'impresa.
Quest'anno è capitata l'accoppiata, a una settimana di distanza una dall'altra, "Sardinia Ultramarathon" - "Forte Village triathlon",  gare a cui per motivi diversi non volevo rinunciare.
Della Sardinia Ultramarathon ho già scritto abbondantemente; ora qualche impressione sul Forte Village Triathlon, gara sulla distanza del "medio" ovvero 1.9km di nuoto, 90km di bici e 21km di corsa.


Diamo i numeri:

  • 5h07, stesso identico tempo della sardinia ultramarathon: un'accoppiata perfetta.
  • secondo di categoria
  • ventesimo assoluto
  • oltre il centesimo posto sia nel nuoto che nei pit-stop
  • settimo assoluto nella frazione di corsa

sono numeri interessanti e portano ad una facile diagnosi di gara schizofrenica.
Durante la gara, non avevo niente per misurare tempi, distanze o velocità. Il garmin da polso ha il cinturino più che rotto, frantumato; ora è diventato un garmin da taschino e, senza gilet, ho preferito lasciarlo a casa. Il garmin da bici, invece, mentre facevo le capriole con la mtb, si è rotto il vetro e ora si vede solo una macchia di luce verdastra, di scarso aiuto per regolare l'andatura. I miei riferimenti, ancora più scientifici, erano allora il livello di lattato nel sangue e la VO2, misurati con un dolorimetro nelle cosce e un fiatonimetro nei polmoni. Il sorpassometro poi mi dava riferimenti oggettivi sulla mia velocità relativa rispetto al baricentro della pancia del gruppo.
Giocavo in casa. Le onde le conoscevo una ad una. Il percorso in bici lo conoscevo a memoria e sapevo
esattamente dove guardare il panorama per fare il pieno di entusiasmo. Mi sono sentito solo un po' felicemente disorientato dall'assoluta mancanza di macchine: strada chiusa di fatto nei due sensi di marcia! Una miriade di omini blu tutti occupati a chiudere fino al  minimo accesso al percorso di gara. Meraviglioso.
 Il percorso dell'ultima frazione, essendo 3 giri a bastone, ci costringeva a ripetere 6 volte lo stesso pezzo di strada. La prima volta che incrociavo qualcuno che conoscevo, lo salutavo e incitavo, la seconda volta gli facevo solo un cenno, dalla terza in poi facevo finta di non conoscerlo per  non sembrare questo: (link).
Non ho avuto nessuna vera crisi, solo un momento particolarmente difficile, quando, a circa 20 km dalla fine della frazione di bici, ha cominciato a dolermi il solito tallone. Doleva e pulsava tanto che, oltre a farmi spingere con maggior prudenza negli ultimi strappi in salita, mi sembrava quasi impossibile che ci potessi riuscire a correre. Ho cominciato a pensare razionalmente al ritiro ma poi il cervello è partito per conto suo e mi sono ritrovato a pensare di raccontare ad altri di come pensassi di dovermi ritirare e di come poi, invece, fosse andato tutto bene. Insomma mentre io ancora pedalavo, il mio cervello aveva già finito la frazione di bici, era riuscito a fare senza problemi quella di corsa e lo stava già raccontando in giro. Era molto avanti rispetto a me e, sapere il finale, mi ha aiutato a superare lo sconforto.
In conclusione, bellissima gara, sia per il percorso, impegnativo ma vario e spettacolare, con saliscendi perfino nella frazione di nuoto, sia per l'organizzazione quasi impeccabile: chiusura al traffico, indicazioni, ristori, buffet ... , sia per le mie gambe, pelose ma belle, stanche ma forti. Due piccole critiche: 1) mancavano i premi di categoria, soprattutto per i secondi di categoria degli M2 (non scordatevi che sono sacchettaro). 2) Anni fa, quando ancora al Forte Village non consideravano seriamente il triathlon, Andrea sognava questa  gara e me ne parlava. Oggi che, grazie alla sua insistenza e impegno, si è finalmente realizzata, non è stato neanche ringraziato pubblicamente dal suo direttore, pur prodigo di ringraziamenti per sindaci e collaboratori vari. So che non è lo stesso ma ci tengo a farlo io: grazie Andrea!