domenica 24 febbraio 2019

Trail di Capoterra – evento popolare.

Si parla molto dei prezzi delle manifestazioni sportive, in particolare di quelle podistiche e ancora più in particolare, dei trail. Esiste un costo di riferimento “1 euro al km” che, secondo me, è arbitrario e non ha alcuna giustificazione economica in assoluto: esistono due tipi di gare e si dovrebbe distinguere fra di esse.

Esistono le gare “evento figo” che offrono una medaglietta del cazzo fighissima, ingaggiano come testimonial il super atleta internazionale che trasmette fighezza solo a passarci vicino - immaginati poi se ci fai un selfie! -, “regalano” la maglietta all'ultima moda, in tessuto fanta-spaziale con il logo disegnato da Picasso, animano la festa con le urla di un DJ di radio pop international, offrono un bel menù “a sottrazione”, in cui, cioè, sono stati tolti tutti gli ingredienti “non fighi”. Magari ci si sporca anche di fango ma solo dal momento in cui sporcarsi di fango fa figo. Gli atleti vengono anche da fuori, perché è un evento figo, ne parla il gazzettino dello sportivo figo; si respira un'atmosfera figa, chi se ne frega del costo. Se non te lo puoi permettere, non partecipare, per te ci sono le gare popolari. Tanto il tuo posto verrà preso da un manager milanese; il prezzo, devi sapere, lo fa il mercato.

Poi esistono le gare “popolari”, in cui conta solo la corsa, il territorio e la festa. Solo natura, birra, sudore e dita sporche di grasso di salsiccia. I super atleti qui hanno la pancia e se la curano con passione; niente maglietta, niente medaglietta del cazzo o, al massimo, medagliette penosissime fatte con i tappi delle birre bevute. Il logo è disegnato da un tecnico delle telecomunicazioni che, il giorno della manifestazione, diventa anche speaker. Non c'è fango figo ma melma. Ovviamente il costo è contenuto perché tutto il lavoro è svolto da volontari che lo fanno per pura passione e che non vogliono che nessuno debba rinunciare a partecipare perché non se lo può permettere.

Il problema è che quasi tutti puntano ad organizzare gare “evento figo”, inseguendo quello standard di “qualità” e di prezzo e chi non se lo può permettere è costretto a rinunciare o a selezionare pochi eventi all'anno a cui partecipare.
Io personalmente sono invece affezionato all'idea di “gara popolare”; vorrei organizzare una festa in cui un allegro crogiuolo di umanità reso bello dalla spontaneità e dalla passione se la goda, sfogando la propria natura umana fino a completa sazietà ed esaurimento delle forze.
Dopo i 12 euro dell'anno scorso, quest'anno per avere un minimo di margine forse aumenteremo un po', facendo comunque pagare l'iscrizione sia della 20km che della 35km, non più di 15 euro, offrendo, perfino, ad ogni finisher, una medaglietta del cazzo fatta col tappo di una non filtrata bevuta personalmente da uno di noi. Aiuteremo tutti i nostri super atleti a curare il ventre con pranzo e birra a volontà obbligatori e compresi nel prezzo.

Con questo, non intendo assolutamente criticare gli organizzatori di “eventi fighi” che, finché raggiungono i propri obiettivi e riescono a coinvolgere tanti atleti, fanno un lavoro di promozione del territorio e dello sport che ha un importantissimo valore sociale, se non per tutti, almeno per la maggior parte delle persone, dalla classe media in su.
Mi piacerebbe però dimostrare che non bisogna per forza imitare quel modello, che si possono organizzare belle competizioni anche spendendo e facendo pagare pochi soldi e che si possono far stare bene le persone senza dovere per forza far girare l'economia. Io preferisco agire così, anche perché a me, se dovessi usare il mio tempo libero e la mia passione per fare “girare l'economia”, automaticamente mi girerebbero anche le palle: credo di avere un ingranaggio fra quelle due ruote. E poi, chi dice che “il prezzo lo fa il mercato”? Il prezzo, finché sarò in condizioni di autosufficienza e di libertà, lo farò io. Caro mercato, già ne fai di danni, alla mia gara ci penso io.

martedì 19 febbraio 2019

Ultratrail is xrebus – Ballando coi cervi

Sorrido perché non so cosa mi aspetta. Foto di Roberto Puddino
Lo sapevo. Ho anche scritto, da poco, un articolo a proposito. Senza calzature adeguate, non riesco a correre più di 30-35 km in montagna senza soffrire di crampi. Infatti, da quando, quasi due mesi fa, ho cominciato a prepararmi per questa gara, avevo deciso che avrei usato le mie “brooks” un po' goffe ma protettive. Poi, il giorno prima della gara, ho cambiato idea. Volevo divertirmi a ballare! Sapevo che correre 48 km con delle scarpette da ballo, di quelle che si sente ogni sasso sotto la suola e che, alla minima pressione, si piegano, non aveva molto senso. Sapevo che mi sarei lussato l'alluce sinistro e che avrei rischiato crampi e mal di cosce ma sono fondamentalmente stupido e ho pensato che preferivo ballare piuttosto che scarpinare. Comunque, il mio compito di apripista sarebbe finito al 29esimo km e fino a lì, pensavo che sarei arrivato un po' al limite ma sano. Da quel punto in avanti, se avessi avuto problemi avrei potuto fermarmi. Sembra facile, no? Basta poggiare il culo per terra. Ne parliamo dopo. E allora eccomi con le scarpette “salewa”, calzature buone per ballare fra i sassi facendo attenzione ad ogni passo a seguire il ritmo del terreno. È puro divertimento per 10km, ci potrei arrivare bene anche a 20, poi … . Parto alle 7, un'ora prima della gara. Nella lunga salita, riesco a tenere il ritmo che mi ero prefissato. Il lavoro di apripista è semplice, la segnatura è ottima. Solo in un punto mi devo fermare per tirare su una freccia divelta. Si entra nel bellissimo bosco del parco dei sette fratelli e, per un po' mi diverto a ballare su quei bei sentieri in saliscendi. Al 17esimo km arrivo al ristoro e da lì, si fa dura. Comincia il ballo fra pietre e massi. È un ballo pesante, fisicamente sfiancante; le ginocchia sono sottoposte a continue sollecitazioni e anche la mente dev'essere sempre vigile perché ad ogni passo si rischia di cadere. Il posto è magnifico, si passa fra graniti e alberi monumentali, ma gli occhi sono fissi a terra a scegliere l'appoggio giusto, alzandosi ogni tanto giusto per vedere i nastri. Sapere di essere inseguito da 3 giovani e fortissimi trailer, 2 corsi e un bergamasco, non aiuta: me li immagino saltellare leggeri fra sasso e sasso come se non avessero due ginocchia e una schiena da salvare. Maledetti giovani! Cerco di avanzare ad un ritmo decente ma faccio fatica e sono costretto a prendere qualche rischio. Basta infatti una piccola scivolata su una pietra bagnata per piegare il piede sinistro e lussarmi l'alluce. È un dolore che scema lentamente ma non si fa dimenticare; il divertimento si arricchisce di quel segnale e il passo di danza si storce un po'. Poi, i continui colpi delle pietre sulle suole, fanno nascere due piccole vesciche gemelline, una per ogni pianta del piede. Continua il ballo, ma è un ballo goffo e lento. Scarpinare con le ballerine è come ballare con gli scarponi, pestando i piedi della partner; io, nel mio ballo solitario, me li pesto da solo.
Foto di Loredana Lai
Eccomi al 29esimo. Proprio nel momento in cui sbuco nell'asfalto per raggiungere la forestale, mentre scambio due parole con un volontario, mi volto e vedo il primo dei concorrenti che passa. Missione compiuta … per un pelo. Ora potrei fermarmi, il mio compito di apripista è finito ma decido di proseguire; sono fuori gara e vado avanti per “puro divertimento”.
Si scende. Ricordo due settimane fa come scendevo spedito su quello stesso sentiero, saltellando fra i sassi. Ora, in confronto, sono lentissimo. Qui, il percorso della 48, per qualche chilometro è in comune con quello della 27. Mi aspetto che mi sfreccino accanto atleti con la metà dei chilometri sulle gambe ma non mi supera nessuno. Anzi, lungo una breve risalita, raggiungo e supero diversi concorrenti della 27. Sono capitato circa a “centro gruppo” e salgo meglio di loro nonostante la stanchezza. Bene, questo se non è puro divertimento, è comunque una bella soddisfazione. Solo il secondo della 48 mi supera scendendo con passo leggerissimo. Si attraversa la statale e il sentiero comincia a salire deciso. Alternando corsa e cammino, continuo a superare agevolmente, fino a che il percorso della 27 gira a sinistra in discesa. Mi ritrovo solo e le pendenze aumentano: dal 18% si passa al 32%. Il sentiero non c'è più e si seguono tracce di capra. Mi raggiunge Nicola, il terzo della 48, uno dei più forti trailer italiani. Scambio due parole. Non va molto più veloce di me e lo seguo da vicino. Dopo 500 metri al 32%, la pendenza passa al 47%. In 200 metri se ne salgono quasi 100. Matteo sarebbe a vista, dalla sua postazione di direttore di gara si vede la maledetta cresta e le maledizioni potrebbero arrivargli dirette, in linea d'aria; ad averlo saputo, mi sarei girato verso di lui per prendere bene la mira ma le mie imprecazioni sono rimaste lì nell'aria. Bisogna aiutarsi con le mani e i piedi devono spingere forte per arrampicarsi da un masso all'altro. Siamo al 35esimo km e, come previsto, i polpacci si ribellano e arrivano i crampi. Il “puro divertimento” sta diventando qualcosa di sporco. Ora arranco. La mia velocità ascensionale scende da 900 a 600 metri all'ora. Nicola, salendo leggero, è sparito dalla visuale. Dopo oltre mezz'ora di sofferenza, finalmente finisce la salita e si percorre una bella cresta con panorami vastissimi, magnifici, eccetera eccetera, ma preferisco guardare i maledetti sassi per soffrire un po' di meno. Mancano “solo” una dozzina di km da fare in compagnia di crampi, vesciche, con piedi e ginocchia doloranti. Il ballo continua, ha perso ogni grazia ma continua lento, strascicato, appassionato.
Se avessi poggiato il culo a terra, non mi sarei ritirato, perché non ero in gara. Mi sarei dovuto solo fermare. Bastava sedersi, appoggiare le natiche sul morbido per liberare i piedi, le ginocchia, le cosce e i polpacci dal male. Fossi stato in gara, ritirarsi sarebbe stato un atto di coraggio e di saggezza; non ero in gara se non con me stesso e non potevo ritirarmi. Non ci si ritira da sé stessi. Mi sono dato due obiettivi: non farmi raggiungere da nessun altro e finire entro le 7 ore e mi sono bastati come stimolo per andare avanti. La sensibilità alla sofferenza di noi vecchi ultratrailer è una cosa particolare, la corteccia celebrale sembra quella di una quercia e il dolore arriva molto attutito. Non siamo eroi, siamo solo un po' rimbambiti con i nostri neuroni di cellulosa. Quando riesco, corricchio a ritmo lento. Ad ogni crampo, il ballo si fa sincopato, arricchito da un saltello di dolore. L'infermiera mi ha portato in questo dancing su una sedia a rotelle e più che la musica, seguo il ritmo dei dolori e il passo che non mi fa cadere; soffro ma ballare mi fa sentire vivo. Sento le voci, si vede il parcheggio. Ormai ci sono! Sono contento: non mi ha raggiunto nessuno e finisco in 6 ore e 50. Fossi stato in gara sarei arrivato nono. Vorrei fare uno sprintarello per il pubblico ma un ultimo crampo mi fa desistere. Arrivato, non mi siedo, non mi cambio, continuo a ballare, aggirandomi fra gli amici con una birra in mano. Comincia la festa. Poi mi abbandono al pranzo, ottimo e abbondante.
Puro divertimento? No, è stato qualcosa di più. È divertimento sporco, pesante, appassionato, che mi ha trasformato, lasciando indelebili tracce di granito nel cervello. Come sempre, le maledizioni si sono mutate in sincera gratitudine per Matteo, Tore, Cristina e tutti quelli che hanno lavorato per offrirci una giornata piena di vita e ricca di particolari, che ricorderò a lungo.
Alla salute! Foto di Luca Mannoni


martedì 12 febbraio 2019

Trail dei cervi, preview – La sfida

17 febbraio. Trail dei cervi – 48km con 2400m D+
Grazie a Matteo, domenica avrò un ruolo di assistenza particolare: per una volta non sarò dietro a chiudere il gruppo come scopa ma davanti ad aprire, per controllare che sia tutto in ordine e, eventualmente, integrare o ripristinare la segnaletica.
Partirò con un anticipo limitato, non più di un'ora, per cui la difficoltà principale del mio ruolo di apripista sarà di non farmi raggiungere dagli atleti in gara. Il mio compito finirà al 29esimo km, da dove partirà un altro apripista ma io continuerò fino all'ultimo dei 48 km per una mia sfida personale.
Dopo quasi 2 anni di corse molli e corte, per prepararmi a questa nuova sfida ho inventato un programma di allenamento che consiste in cicli bisettimanali con 9 giorni di carico e 5 di scarico. Scriverò e pubblicherò il razionale che ha portato a concepire tale schema, il vitigno della bottiglia che mi ha ispirato e le procedure di applicazione, solo se il modello teorico supererà la verifica sperimentale. Per il momento le sensazioni sono buone. Un'unghia è andata, un'altra sta andando e una terza mi si è infilata nel dito accanto. Come ai tempi migliori. Ma la parte più difficile del programma sono i 5 giorni di scarico. È in quei 5 giorni che il corpo si deforma per adattarsi alla sua nuova dimensione di supereroe. Le metamorfosi sono dolorose, faticose. Le difese immunitarie sono sotto i piedi a curare vesciche e basta un attimo per ammalarsi o infortunarsi. Ora sono all'ultimo scarico e non vedo l'ora che finisca e arrivi domenica! Non vedo l'ora di tornare a tirare le salite fino a sentire i quadricipiti che bruciano, di correre fra i magnifici roccioni granitici dei sette fratelli, di mollare i freni e danzare fra i sassi in discesa. Domenica ci saranno, ad inseguirmi, Nicola Bassi e Donatello Rota, due atleti fortissimi, giovani, sani fra i più forti in Italia. Io, 54enne cardiopatico lieve, scapperò, cercherò di resistere il più a lungo possibile; il destino sembra inevitabile ma li sfido. Sfido poi i miei amici sardi: Filippo, Stefano, Dario, Teo, … Per me, per la scienza e per la buona riuscita della gara, vi lancio la sfida: venite a prendermi! Sarò lì davanti a voi e lascerò tracce di testosterone sul sentiero per stuzzicare il vostro istinto predatorio Se domenica mi supererete, vi offrirò una birra, butterò nel cesso il mio programma e lo seguirò per allenare ultraratti di fogna. Altrimenti avrete assistito al ritorno del supereroe.

mercoledì 6 febbraio 2019

Improvvisi

Lunedì sera, mi ha chiamato Ivan: “Domattina salgo al Corrasi; vuoi venire?” “Mi piacerebbe molto ma non posso … domani lavoro … forse potrei … perché no? In fondo le ferie sono fatte per questo … vengo!” In dieci secondi, il mio futuro prossimo è cambiato radicalmente e chissà che non possa avere conseguenze anche su quello remoto. 

Fantasia-improvviso in Me minore e Ivan per piano, forte e sole.

Mi ritrovo all'improvviso sul monte Corrasi. Striscio il badge e, come per magia, entro in un ufficio incantato, con pareti di calcare bianco, boschi secolari, voragini senza fondo, grandi branchi di mufloni che si muovono veloci per mantenere le distanze, cristalli di ghiaccio modellati dal vento in forme mai viste. Superata la cima, la neve copre tutto, inghiottendo il sentiero. Le uniche tracce sulla bianca distesa, sono le impronte di un cane solitario che come un angelo ci guida preciso sul sentiero; con le zampette ha scalfito la neve giusto quel tanto per farci da guida senza rovinare l'incanto del monte imbiancato di fresco, dove noi, invece, sprofondiamo fino al ginocchio. Ho i pantaloncini corti e le gambe nude affondano nella neve ma, come in un sogno, non sento freddo. Sembra un sogno ma sono magie che succedono quando le prospettive cambiano all'improvviso.
Sento un forte gusto di libertà.




sabato 2 febbraio 2019

Esorcismi a is cioffus

Oggi avevo un demonio da esorcizzare e sfidando previsioni meteo nefaste, mi sono fatto, in solitaria i 35 km del percorso di gara del trail che sto organizzando per il 5 maggio. Scopi collaterali: registrare la traccia, fare un trail lungo “tirato” e stabilire un tempo di percorrenza di riferimento. Avrei voluto partire alle 8 ma ho preferito aspettare di vedere se riuscivo a digerire la colazione. In questo periodo sono posseduto da un demonietto che si è introdotto nel mio corpo, due dita sottopelle, più o meno in corrispondenza dell'ombelico.
Non è ancora riuscito a farmi parlare in sanscrito con gli occhi rovesciati. Mi fa però pronunciare messaggi in bassa frequenza dal sedere. Lo sento che respira forte e il suo alito sulfureo mi gonfia e poi sfiata dall'ano con voce profonda; non ho mai detto niente di così profondo come in queste notti. L'odore è inconfondibile. Il tanfo di zolfo non lascia dubbi. È un parente di Satana.
La corsa è una forma di esorcismo, di purificazione fisica e mentale. Prima di rivolgersi al medico o al prete, vale la pena provare a fare una bella corsa. Perciò, quando ha smesso di diluviare, un cielo ottimista mi ha convinto a partire.
Ogni tanto piove poi esce il sole, l'arcobaleno, poi piove di nuovo. Vedo subito che i torrenti sono ben più gonfi di come li avevo lasciati a inizio gennaio. Il percorso è bello, vario e quasi tutto corribile, almeno fino al 17esimo km, all'ingresso della gola. Qui si seguono tracce di sentiero guadando ennanta volte il torrente con passaggi spettacolari su rocce e fra gli alberi plurisecolari di un bosco primordiale; intanto le pareti della gola si alzano sempre di più fino ad incombere vicinissime da entrambe le parti.
Le mie brooks nuove scivolano sulle pietre bagnate. Lo capisco quando mi ritrovo col sedere nel torrente e lo capisco ancora meglio quando mi ci ritrovo dentro con la pancia. Altro che bagnare o non bagnare le scarpe. Oggi immersione completa, purificatrice, esorcizzante. Oltre ai guadi, anche fuori le rocce sono bagnate di pioggia e in molti passaggi devo andare molto piano e appoggiarmi con le braccia per non scivolare ma non riesco a evitare un tuffo nei rovi. Maledico l'organizzatore che però, essendo io, è già maledetto e posseduto e la maledizione scivola via leggera. Qui la natura è dura, difficile, selvaggia e meravigliosa. Si fatica, si soffre ma vale la pena, eccome! Per la gara c'è da lavorare, tagliare rovi, sistemare pietre e sperare in una giornata asciutta per offrire una versione più soft. Oggi è hard. Esco dalla gola ma continuo a guadare: piedi nell'acqua a altri piedi nell'acqua … o forse erano gli stessi … . Durante un guado mi entra sabbietta nella scarpa destra ma basta il guado successivo per lavarla. Al 24esimo km si ritrovano strade e sentieri facili e dopo gli ultimi 2 guadi, non mi resta che correre. Si torna a vedere il mare, l'arcobaleno; ormai sono libero dal male.
34.5 km in 3h43, trenta guadi, dieci scivolate, due cadute e un maligno estirpato. Questo il bilancio. Preparatevi bene che il 5 maggio dovrete fare meglio di me.