domenica 28 agosto 2016

Solitudine condivisa

Comandante Gianni: “La solitudine in Supramonte regala spazio, libertà, silenzio, mal di piedi e sogni agitati. La solitudine in Supramonte è un'esperienza senza paragoni.”
Io: “La prossima volta ti accompagno, dev'essere proprio bello condividere la solitudine.”
CG: “Certo, poi là ce n'è tanta, basta per tutti.”

Sabato Eravamo in 4 a condividere la solitudine. Con me e il comandante Gianni, Checco l'ingegnere e su dottore Cirro Flavionis soprannominato “Flavio Cirronis”. E in 8 ore non abbiamo incontrato nessuno … Peppino a parte.

Il comandante era attrezzatissimo: gps cartografico con mappe igm sovrapposte ad immagini satellitari e sopra, disegnata con una linea rossa, la traccia da seguire. Sarebbe stato perfetto se solo non avesse scordato gli occhiali in macchina e tutta questa meraviglia tecnologica non fosse poco più che una macchia sfocata ai suoi occhi. Ma il comandante ha intuito da vendere e facendoci credere di vedere benissimo, ci ha condotti con piglio sicuro e poche sbavature lungo un bellissimo giro di 45 km sul supramonte e, quando qualcuno aveva dubbi, veniva rincuorato con un “moriremo tutti”.
Le rocce spuntano maestose dalla foresta con pareti verticali apparentemente inaccessibili. Una lunga strada prima ne raggiunge la base per poi aggirarle; la solitudine ci attanaglia ma ecco Peppino. L'ingegnere cerca di tagliare corto: “avevo detto sabato pomeriggio, ora sono fuori”. Si entra nel regno di roccia. Pietre, massi e distese di roccia bianca disegnate con pazienza millenaria da acqua e vento, con alberi tenaci che spuntano direttamente dalla roccia. Le calpesto e loro reagiscono con durezza segnandomi di nero le punte dei piedi. Checco invece saltella leggero con i suoi sandali infradito e viene risparmiato. Dopo chilometri il comandante avverte : “Occhio, Cirro, c'è una pietra sul sentiero!”
Intanto Peppino si è accampato a casa dell'ingegnere che si lascia sfilare dietro con discrezione ma ne sentiamo la voce: “SABATO POMERIGGIO, avevo detto POMERIGGIO”
Ecco cuile Pistoccu, eretto con arte millenaria: una base circolare di pietra su cui sono appoggiati e legati a cono, alti fusti di ginepro. Il pastore veniva per stare 6 mesi l'anno nutrendosi solo di pane carasau e pecorino. Mi siedo e proprio accanto a me noto un beauty case alitalia con dentro tutto il necessaire per la bellezza; immagino bagni in camera e wifi all'hotel Pistoccu.
Ed ecco su suercone: voragine immensa, pendenza negativa, spettacolo della natura. Sembra un cratere su questo pianeta di pura roccia.
Quando arriviamo a campu donianigoro, si calpesta finalmente un po' di morbido humus. “Terra!” urlo, non siamo più sulla luna.
È pomeriggio, pensiamo a Peppino che aspetta l'ingegnere con rinnovata speranza.
Al Poetto non ci sono pietre, non c'è solitudine. La disidratazione avanza nel caldo pomeriggio e colpisce prima le borracce, poi le gole, poi i cervelli. L'ingegnere intanto canta. È una canzone sarda, per fortuna non è un'aria d'opera, ci sono speranze. Attraversiamo foreste di maestosi alberi millenari. Distese di felci, un'altra voragine, non mi stupirei di vedere spuntare un dinosauro. Ecco invece un camaialonte che si mimetizza, immobile, su sfondo grigio. Ho visto anche un daino o forse era un leone. La fontana sputacchia sparute gocce di saliva calda. Puh, puh, 10 minuti per riempire ogni borraccia e si riparte. Mancano 7 km … ora 9. Il comandante non riesce a leggere e dà numeri buoni da giocare. Ora però riconosciamo la strada dell'andata e le birre nel cofano da miraggio si trasformano in prospettiva probabile e poi in realtà tangibile.
“La solitudine in Supramonte regala spazio, libertà, silenzio, mal di piedi e sogni agitati. La solitudine in Supramonte è un'esperienza senza paragoni.”
Grazie, comandante, per averla condivisa con noi.

martedì 23 agosto 2016

L'Italia avrebbe dominato le olimpiadi di Rio, se solo …

Se solo avessero eliminato tutte le regole, l'Italia avrebbe sicuramente vinto i giochi olimpici.

Siamo dei veri cecchini: 2 ori e 3 argenti nel tiro a volo, 2 ori nel tiro a segno

Né i russi con le loro spade mosce, né i tedeschi con i giavellotti e neanche gli arcieri coreani avrebbero potuto opporre molta resistenza: col loro arsenale antiquato sarebbero stati spazzati via come gli indios all'arrivo dei “conquistadores”. Per non parlare di pugili, judoki e lottatori: pura carne da macello per la nostra artiglieria.
Vogliamo parlare dell'atletica? “Campriani! C'è quel tipo nero che sta scappando! Mira al tendine d'achille!” E ora corri Bolt, corri; prova a scappare …

martedì 16 agosto 2016

Un cornetto per colazione

Tre settimane dopo la Trans d'Havet, finalmente sento tornare la forma. Gli strascichi di stanchezza, affanno, dolorini che si sono protratti per più di 15 giorni, stanno sparendo e una nuova forza, forse superiore a quella precedente alla gara, mi riempie le gambe. Correre mi dà di nuovo sensazioni appaganti e ne voglio approfittare. “Vado a fare una corsetta, colazione la faccio dopo.”

E' domenica, il mio ultimo giorno di permanenza a Vervò, paese sulle montagne del trentino dove quest'anno ho rinnovato il tradizionale soggiorno estivo.
La gita al Corno di Tres, il monte che si affaccia sulla val d'Adige, dominandola da 1600 metri più in alto e quasi mille sopra il paese, è un classico che, grazie allo spettacolo che si gode dalla cima, si ripete ogni anno con piacere.
Quando ero bambino, si partiva a piedi dal paese per la lunga camminata; su per via “Cornel”, la strada lastricata che dalla chiesa porta al parco dei “larseti” con una pendenza del 20%. Poi, da lì, il ripidissimo sentiero che attraversa il bosco fino ai prati della “Predaia” e poi ancora su, dritti per i prati fino al rifugio dei “Tedeschi”. Ora, per faticare di meno, si arriva fino a lì, a metà strada, in auto, allora no, faceva parte della gita. Dai Tedeschi, le pendenze si addolciscono, si rientra nel bosco risalendo la strada fino alla radura dove sorge la malga Rodeza, altri due chilometri di strada forestale, un ultimo strappo su un sentierino scosceso che si faceva a tutta facendo a gara per arrivare per primi e dopo un'intera mattina di fatica si era finalmente su, in cima al mitico Corno di Tres, con la vista che spazia sulle vicine pareti rocciose delle dolomiti di Brenta con dietro in lontananza le cime innevate dell'Adamello e, dall'altra parte, al di là dei precipizi sulla val d'Adige dove si ha l'impressione di poter arrivare con un salto, si possono riconoscere i gruppi dolomitici del Catinaccio, del Latemar e, con l'aiuto della fantasia, la cima piatta del Sella e forse anche quella della Marmolada col suo ghiacciaio.
La vista ripaga da tutte le fatiche. Poi si faceva un pranzo al sacco con panini resi ottimi dall'appetito e il classico strudel e infine la lunga discesa, la corsa giù per i prati, poi per il ripido sentiero per arrivare a casa a sera stanchissimi e con le gambe rotte.

Quando esco di casa so bene dove andare. Quest'anno non sono ancora mai salito al Corno. Prendo la salita più diretta per il parco, poi attraverso il bosco. Sto bene e riesco a correre quasi sempre, camminando a passo veloce solo negli strappi più ripidi. Poi attraverso i prati con l'erba alta bagnata dall'umidità notturna che mi infradicia i piedi, raggiungo la strada e in poco meno di mezz'ora sono ai Tedeschi. Continuo a correre lungo la sterrata, passo accanto alla malga e in 57 minuti arrivo all'ultima rampa prima della cima. Come quando ero bambino, la faccio a tutta, questa volta per provare ad arrivare alla cima in meno di un'ora ma non ci riesco per una decina di secondi.
È almeno la ventesima volta che salgo lassù ma provo ancora meraviglia. Che splendore. La giornata è perfetta e lo sguardo penetra l'aria per decine e decine di chilometri. Resto un paio di minuti sullo spiazzo ancora deserto della cima, corricchiando di qua e di là, agitato dall'adrenalina e dalla paura di perdermi qualche angolo di questo magnifico spettacolo. Poi mi butto in discesa ripercorrendo a ritroso il percorso dell'andata e in poco più di mezz'ora sono di nuovo a casa.
Sono cresciuto e le prospettive, ora che sono grande, sono diverse. La gita di un giorno si è trasformata in una corsetta mattutina, il mitico Corno in un cornetto ripieno di meraviglia, giusto giusto per la migliore delle colazioni.

domenica 7 agosto 2016

23 ottobre 2016 - Secondo trail di Capoterra; dai tre petali alla patata.

Dopo le esaltanti esperienze da “trailer” torno arricchito e con rinnovato entusiasmo sulla scomoda sedia dell'organizzatore.
I tre petali dell'anno scorso si erano trasformati in 100, il trifoglio in margherita (secondo alcuni, cavolfiore) e ognuno dei 100 atleti aveva fatto un percorso diverso, seguendo il suo petalo personale. Quest'anno sarà tutto più semplice, sinuoso ma senza incroci, topologicamente triviale come una patata. La difficoltà principale sarà evitare i segnali appesi dappertutto: frecce di legno e bandierine rosse, vernice arancione biodegradabile, nastri, calce, volontari ad ogni angolo, bruchi appesi, ciclisti come apripista … Non avrete problemi di orientamento, anzi, i segni vi seguiranno dappertutto, saranno il vostro incubo.
Il percorso prevede un giro base veloce ma divertente, con un continuo alternarsi fra sentieri e sterrate, salite e discese: 10-11 km tutti da correre. A questo, per chi vuole fare il giro lungo, si aggiungono due varianti tecniche, con dislivelli e pendenze importanti sia in salita che in discesa e alcuni tratti da fare al passo, per un totale di 15-16 km aggiungendo così un pizzico di sapore di impresa alla conquista del traguardo, qualche chilometro di ampiezza ai panorami, difficoltà tecniche e un bel po' di fatica: l'ideale per i palati più esigenti che apprezzano la particolare armonia che si crea mescolando giuste dosi di fatica e divertimento.
Il comune non ci darà un euro per valorizzare il territorio. Non ci darà un euro neanche per stimolare i cittadini a vivere in salute. Per noi organizzatori sarà come fare mille metri di dislivello in più per arrivare pronti alla partenza della gara ma le difficoltà ci stimolano. Se si vuole fare qualcosa con entusiasmo si trova il modo di farla, se manca l'entusiasmo si trovano le scuse per non farla e questo vale per noi come per voi. Ajoman!