martedì 29 dicembre 2015

Scusi, oggi che anno è?

A fine anno, quando la terra ha completato il giro intorno al sole, scatta l'ingranaggio del contagiri celeste e cambia l'ultima cifra dell'anno in corso. In questo periodo, nel mondo c'è confusione e molta gente perde coscienza della data esatta. Il tempo si aggira sperso e spesso torna indietro sfidando la freccia di senso unico in avanti: a gennaio molti bambini segnano sul diario la data dell'anno prima e perfino qualche adulto, nonostante tanti anni di esperienza, salta indietro di 365 giorni.
Io, che sono previdente, entro nell'ottica dell'anno nuovo con un po' di anticipo, così il cambio di anno non mi coglie mai impreparato. Certo anche questa strategia ha qualche piccola controindicazione.
Ieri, quando siamo arrivati a Firenze al bellissimo residence che ho prenotato io personalmente on line, ci hanno detto che non avevano posto; come?? Ho prenotato!  È vero, 2 notti, dal 28 al 30 dicembre, ma per il 2016.

L'anno prossimo, fra natale e capodanno, so già dove andare.

sabato 26 dicembre 2015

Carbo load, bi-carbo load e bicarbonato

Ecco che arriva il Natale. Le antiche tradizioni culinarie, gonfiate dal moderno benessere, si esprimono in un susseguirsi di banchetti: la cena della vigilia, il pranzo di Natale, santo Stefano … . Per noi sportivi, il cibo è carburante per l'attività fisica e mangiare è fare “carbo-load” ovvero rifornimento. In questo periodo, per quanto mangio dovrei fare un ironman al giorno per ristabilire il bilancio calorie ingerite – calorie consumate ma un problema muscolare mi impedisce di correre, la bici è a pezzi e la piscina è chiusa.
Fra un carbo-load e l'altro, non mi resta allora che star seduto e coltivare quella grande pancia che darebbe autorevolezza ai miei pensieri, bevendo un bicchiere di acqua e bicarbonato per il ruttino. 

lunedì 21 dicembre 2015

Giancarlo corre con noi


Bellissima manifestazione organizzata da amici in ricordo di Giancarlo: 9 km su un bel circuito che si aggira su e giù per il colle San Michele a Cagliari. Il freddo della mattina presto si scioglie al tepore del sole, del calore umano e delle gare dei bimbi. Io sono qui per accompagnare i bimbi della squadra, per fare le ultime iscrizioni per i miei master e per incontrare tanti amici; poi, almeno questo sarebbe il piano, dovrei correre anch'io, insieme a tutti, con Giancarlo. Il muscolo che mi aveva rallentato nel finale della mezza di Cagliari – presumibilmente un adduttore – mi farà partire: ci siamo messi d'accordo con una serie di impulsi nervosi. Mi sono però dimenticato di chiedergli che mi facesse anche arrivare.
Oggi si corre l'ultima gara dell'anno e in palio c'è anche il primo posto del campionato sociale della mia squadra, il G.S. Atletica Capoterra. Grazie all'intensa attività agonistica primaverile, compresi i 14 punti guadagnati con il massacro del passatore, avevo accumulato un vantaggio in classifica all'apparenza incolmabile. Poi, però, durante l'estate e l'autunno, con il passaggio temporaneo al triathlon ho perso, via via, terreno e ora sono ancora in testa, ma con un solo punto di vantaggio su Fabio. Oggi, in 9 chilometri, ci giochiamo tutta una stagione di sacrifici fatti per conquistare questo trofeo internazionale o, direi di più, intracomunale. Per il prestigio presidenziale, sarebbe importante che lo vincessi io. Se riuscissi, potrei anche approfittare del mio triplo ruolo di ideatore, presidente e atleta per premiarmi con mille euro per poi rinunciarci con un gesto di clamorosa generosità. Mi basterebbe terminare la gara per confermare quel punticino. Basterebbe finire questi 9 chilometri che mancano: meno di un decimo dei 100 del passatore, forse un centesimo dei chilometri corsi in gara quest'anno. Basterebbe partire piano per essere sicuro di non ledere ulteriormente l'adduttore e arrivare al traguardo.
Durante il minuto di silenzio, colgo lacrime di vera commozione scendere attorno a me, poi ecco lo sparo che uccide i miei propositi di prudenza. Il primo chilometro lo chiudo in 3'30: è il ritmo del cuore ma non quello dell'adduttore che comincia a segnalare avarie al motore. La leggera salita che chiude il primo giro, mi fa capire che devo rallentare per non rompere del tutto.
Fa male! Foto di Arnaldo Aru
Lascio sfilare a malincuore i miei soliti “rivali” che ero riuscito a staccare con una buona partenza, ma ormai è tardi, fa male. Nel punto più ripido cammino. Quando arriva la discesa riprovo a corricchiare. Ma proprio non va. La spia rossa dice “INFORTUNIO”.
Fermo a bordo strada, guardo passare le centinaia di atleti che avevo dietro e, quasi in fondo al gruppo, ecco Fabio col suo passo tranquillo; ora mi ha visto anche lui e sul viso gli si allarga un sorriso raggiante …

venerdì 18 dicembre 2015

Io e il mio a...ore

La nostra conoscenza è intima come una mutanda. Stiamo invecchiando insieme e ormai non abbiamo bisogno di parole e neppure di sguardi. La comunicazione avviene direttamente a livello nervoso, tecnicamente potrei definirla come telepatia via cavo.
A letto, a volte, sento che vuole attenzioni, forse pretende il mio affetto o forse vuole solo affermare la sua esistenza che io altrimenti, dopo anni di convivenza, tenderei a dimenticare. Percepisco la sua presenza con un leggero fastidio, come un rumore di sottofondo vagamente minaccioso; in fondo, però, ci vogliamo bene e, dopo una carezza, mi lascia prendere sonno.
Ma è solo quando esco a correre che riesco a cogliere davvero il suo stato: qualche volta si arrabbia mentre altre volte mi lascia andare felice. Con una varietà di segnali più ricca di un alfabeto, mi fa capire cosa vuole da me.

Come dicevo all'inizio, non c'è bisogno delle parole dei dottori e neppure degli sguardi radio-ecografici. Io e il mio adduttore destro comunichiamo direttamente. Oggi l'ho interrogato con una corsetta variegata al cioccolato e mi ha dato il via libera per partecipare alla gara di domenica del colle.  

domenica 13 dicembre 2015

Mente contorta

Disegna la prima cosa che ti viene in mente. Però che sia semplice, non intricata come l'altra volta che si sono persi tutti”
Ho fatto questo, va bene dottore?”
Proposta percorso “secondo trail di Capoterra”

giovedì 10 dicembre 2015

Se avessi una grande pancia …

Se avessi una grande pancia … me ne starei seduto con un gran sorriso a distribuire grandi verità. La seconda, forse, sarebbe questa:

Il fenomeno dell'immigrazione è un fenomeno fisico.
Dove c'è un gradiente di benessere, c'è un flusso di persone. Esattamente come il calore che dal caldo fluisce verso il freddo, l'uomo da dove si vive male si sposta a dove si vive meglio. Per ridurre il flusso allora, continuando l'analogia, si potrebbe forse mettere un buon isolante, tipo un doppio vetro, nel mediterraneo. Fino a qualche anno fa, il mediterraneo era già di per sé un buon isolante. Ora non lo è più perché qualcuno ha scoperto che con un investimento di mille euro per comprare un barcone se ne ricavano migliaia trafficando persone. E non è combattendo i trafficanti che si risolve il problema; è come nella lotta alla droga: appena dieci trafficanti vengono arrestati, ce ne sono altri dieci pronti a prendere il posto che si è liberato sul ricchissimo mercato.
Allora, se non si può mettere un isolante, l'unica soluzione per frenare il flusso è ridurre la differenza di benessere fra europa ed africa e ci sono due modi per farlo: i) star peggio noi o ii) far star meglio loro.
i) lasciamo la finestra aperta; lasciamo che il flusso prosegua e, condividendo le nostre risorse con gli immigrati, diventeremo più poveri mentre quelli rimasti in africa saranno in meno a distribuirsi le risorse e diventeranno più ricchi. A un certo punto il benessere raggiungerà l'equilibrio e il flusso si arresterà. Anzi, se organizzassimo noi, legalizzandolo, il trasporto di persone attraverso il mediterraneo, ci guadagneremmo qualcosa.
ii) investiamo in africa, non per sfruttarla come abbiamo fatto finora ma per favorirne lo sviluppo. Per esempio potremmo aiutarli a trasformare tutto quel sole che arriva sui deserti in energia elettrica o in idrogeno per poi comprarlo da loro.
Le opzioni sono queste, non ce n'è una terza.
Ma io non ho una grande pancia e me ne sto qui, in silenzio, ad ascoltare le farneticazioni degli stolti

lunedì 7 dicembre 2015

Cagliari Respira 2015

Il pettorale è interessante: N°17, il numero della fila che manca sugli aerei perché potrebbe farli cadere. Io non sono un aereo e non me ne curo anche se poi, a posteriori, quando me lo fanno notare, collego strani circuiti mentali. Più importante è il bollino rosso ben visibile a sinistra del numero. Purtroppo non è il pass per un locale sexy. Per fortuna non è neanche un avviso di traffico intenso, anzi, col bollino rosso sul pettorale si evita il traffico dei quasi duemila podisti in partenza per destinazioni balneari, grazie all'accesso alla griglia riservata a noi “very important podist”.
Dietro la rete, si accalca la plebe podistica e ci guarda con aria aggressiva. In particolare uno spilungone di nome Teo mi ha adocchiato e mi fa gesti minacciosi. Non faccio in tempo a dire “speriamo che non tolgano quella rete se no ce li troviamo addosso”, che le gabbie dello zoo vengono aperte. Ci sono addosso e la temperatura si alza immediatamente di 4-5 gradi; per fortuna dopo pochi minuti si parte. Siamo in lievissima discesa, con un leggero vento a favore e mi sembra di correre veloce ma chiudo il primo km in 3'56 e sono già in ritardo rispetto all'obiettivo. Mi rendo conto che sto respirando troppo facilmente e allungo il passo. Raggiungo il gruppo di testa della gara femminile, stanno facendo gara tattica. Anch'io vorrei ma non posso fare gara tattica contro me stesso, maledizione, contro me stesso funziona solo il massacro. Poco prima del quinto chilometro, il percorso gira, tornando indietro verso il punto di partenza e proseguendo poi verso il mare e verso l'origine dei venti. Il mio passo rallenta e vedo il gruppo delle donne, con anche Francesco e l'intero podio della mia categoria allontanarsi avanti a me. Viaggio appena sotto i 4' al km, il fiato non è molto impegnato ma non riesco proprio a spingere a sufficienza per stare dietro a loro. Anche tutto il lungo-poetto lo percorro alla stessa velocità accomodato in un gruppetto di 4-5 atleti; ogni tanto provo a fare selezione ma mi seguono tutti.
Poco dopo il tredicesimo chilometro il percorso lascia il lungomare per inoltrarsi nel parco del Molentargius. Si cambia direzione rispetto al vento e finalmente riesco ad aumentare il ritmo. Finalmente riesco ad avere il fiatone. Finalmente stacco tutti quelli del mio gruppetto e vado a raggiungere e superare atleti. Finalmente sto correndo a 3'50 al chilometro. Finalmente mi diverto davvero a sfogare tutte le energie spingendo indietro l'asfalto. Finalmente sono tornato giovane. Finalmente vedo Francesco che si avvicina, lo raggiungo, prova ad accodarsi ma è in affanno e si stacca anche lui. Sono ormai 6 chilometri che spingo a 3'50, la stanchezza comincia a farsi sentire ma sono al diciannovesimo, ne mancano solo due e avrei ancora abbastanza energie per resistere a quel ritmo e forse coronare il mio obiettivo di scendere sotto 1h22'. Sennonché, dal numero 17 del pettorale parte una fitta che mi colpisce dietro la coscia destra e mi costringe a rallentare fin quasi a fermarmi. È una contrattura muscolare e non posso certo forzare.
Passeggiando verso il traguardo 
Improvvisamente, sono tornato cinquantenne; non riesco più a spingere. Mi raggiungono diversi atleti che avevo superato poco prima e per salvare il muscolo rinuncio a seguirli. Ecco anche Francesco: per un po' mi accodo a lui ma arrivato nella pista per gli ultimi 300 metri, invece di accelerare per lo sprint, non posso fare altro che andare d'inerzia. 1h23'02: non è male ma mi è mancato qualcosa. Mi è mancato il classico finale delle mezze, dove, dopo la fase stazionaria in cui si bada a tenere qualcosa per il futuro, bisogna dare tutto per arrivare al traguardo esausti, avendo dato fondo a tutte le energie. Finire una mezza senza affanno dopo un mese passato ad allenarmi per resistere all'affanno mi lascia insoddisfatto. È come alzarsi da tavola avendo ancora appetito. Non lo sopporto.

giovedì 3 dicembre 2015

Sinis nature running - La sabbia di is arenas

La sabbia mi prende i piedi, provo a sfuggirle cercando traiettorie inesplorate … forse dovrei superare il confine del bagnato. Invento passi leggeri: vorrei liberarmi dal peso, spostandolo indietro, poi davanti ma senza esito. Quando il piede arriva al suolo cercando il principio di azione-reazione, i maledetti granelli si spostano lasciandomi sprofondare. Sergio e Damaso che poco prima, sul duro, pensavo di aver staccato definitivamente, mi superano e scappano via. Anche Francesco nonostante i zig zag che spesso superano il confine dell'acqua si sta allontanando. Dietro c'è uno che si avvicina.
Un brivido mi corre per la schiena … guardo meglio … non è Teo, tranquillo, non è Teo. Una decina di chilometri prima, nell'altro tratto in cui ero piantato nelle sabbie mobili, mi aveva raggiunto e superato ma, appena il suolo era tornato compatto, avevo ripreso a fare l'andatura e si era staccato. Ora sono di nuovo su queste maledette sabbie mobili. Un milione di granelli di sabbia, tutti contro di me; mi si aggrappano addosso, si infilano nelle scarpe, vorrebbero risalirmi le gambe e poi la schiena per seppellirmi ma li scrollo via.
Si soffre, sì, ma non mi posso lamentare. Sarebbe un po' come lamentarsi che il pane integrale fa cagare. Sì, è vero, fa cagare ma è fatto apposta. Ci sono le fibre che stimolano l'intestino, lo buttano giù dal letto a frustate e tutto ciò che segue. Questa sofferenza è fatta apposta per essere vissuta e poi raccontata e loro, questi maledetti lillipuziani di pietra sono solo lo strumento, sono le fibre indigeste che infestano la mia corsa.
La mia tecnica di corsa è annullata. Come in un incubo cerco di scappare ma le gambe non rispondono e restano piantate. Sembra infinito questo ultimo chilometro di spiaggia ma ecco le bandiere; mi sono svegliato, l'incubo è finito: la sabbia tiene e finalmente arrivo.
Corsa anomala, divertente, fra pini, dune e tracce di prato che tentano di conquistare il deserto. Si corre alla continua ricerca del suolo compatto, con Teo, Damaso e Sergio alle calcagna e Francesco poco avanti; ero convinto di poter puntare al quinto posto … poi quell'ultimo chilometro d'inferno.

Ieri sono tornato a correre in montagna per 17 km. I piedi a circa metà percorso hanno cominciato a bruciare; ho sentito una strana sensazione di sfregamento e i primi vagiti di una piccola vescica crescere sull'alluce destro. Quando, nella doccia, ho tolto la scarpa e sfilato la calza, li ho finalmente trovati; erano lì, fra le dita dei piedi. Ancora loro, i maledetti granelli di is arenas. Si erano nascosti in qualche piega della scarpa per farmi soffrire ancora, anche in montagna.

venerdì 27 novembre 2015

Se avessi una grande pancia ...

Se avessi una grande pancia, me ne starei seduto con un gran sorriso a distribuire grandi verità. La prima, forse, sarebbe questa: Né la scienza, né il progresso sono il male. Non è la scienza che fa venire il tumore, la scienza è quella che lo cura. Il male è essere dominati dall'interesse per il soldo e non da quello per l'uomo. È lui che, invece di usare la scienza per farci stare meglio e progredire, la usa per alimentare il suo pastone di maiale. Spesso è questo stesso male che ci fa comprare il “naturale”, l'“integrale” e, talvolta, ci tappa gli occhi spingendoci perfino a negare il progresso. Non lo fa per farci stare meglio, ma solo, semplicemente e chiaramente per vendere di più.
Concluderei così, stringendo un po' gli occhi per consentire alla pelle di allargare il sorriso.  

domenica 22 novembre 2015

Uta - Camminata ludico motoria.

Foto di Tore Orrù
Stamattina mi sveglio, guardo l'orologio e decido di andare a Uta dove si corre la Maratonina. L'anno scorso avevo partecipato alla “corsa non competitiva” sprintando con i ragazzini, quest'anno la degenerazione continua e partecipo alla “camminata ludico motoria” che comunque è meglio della “camminata statica” dell'anno prossimo.
L'idea è semplice. Nello spirito della manifestazione, voglio provare a muovermi camminando ludicamente a 3'54 al km per due giri del percorso (poco più di 14 km). L'esecuzione è molto più complessa. In quanto “camminatore” sia pure “ludico motorio”, mi tocca partire dietro i 700 “atleti competitivi” e, per almeno un km e mezzo, resto imbottigliato e come uno spumante ben scosso, appena trovo spazi liberi, mi tolgo di dosso la faccia da sonno e schizzo dietro al tappo. Poi c'è il vento. Poi ci sono i km tomtom che sono diversi dai km garmin e a quelli del percorso e viaggio quindi a velocità misteriosissime come i neutrini del Gran Sasso. Poi c'è il “ludico” che mi obbliga a scherzare con gli amici che raggiungo. E poi, poco dopo il sesto chilometro, un volontario sul percorso ci dice che quella partenza era falsa e che si riparte fra poco. Questo sì che è un bello scherzo ludico motorio. Molti competitivi l'hanno presa male. A me invece scombina solo mesi di preparazione concepita un'ora prima della partenza e invece di un medio da 14 mi tocca fare un 2x7 che sembra uguale ma è tutt'altra cosa. Come i competitivi rabbiosi, rivoglio indietro i miei 8 euro per ripagarli con 2x4 euro. Comunque, dopo oltre mezz'ora di attesa si riparte. I muscoli sono rigidi, invece il percorso, grazie alla passata di acido che ha sciolto metà dei competitivi, si sgorga prima e riesco a trovare il mio passo dopo un solo chilometro. Ma c'è ancora il vento; i neutrini del Gran Sasso, con la scusa che è una non competitiva, si rifiutano di superare la luce o forse rispettano solo la doppia striscia continua tracciata da Einstein nel tunnel scavato dalla Gelmini. Insomma, c'è confusione là fuori, ma è una confusione ludico motoria e mi diverte. Nei pressi dell'arrivo incrocio il marciatore Nello, lo collego mentalmente con la “camminata” e, per un attimo, ho la tentazione di arrivare a passo di marcia. Una pacca sulla spalla agli organizzatori che, dopo 19 edizioni praticamente perfette, sono incappati nel tipico “incidente”. Esattamente come il mio “trail di Capoterra”, incappato nell'incidente proprio prima delle prossime 19 edizioni perfette.

martedì 17 novembre 2015

Cronache dall'inferno. Il medio

Il medio, situato fra l'indice e l'anulare, per definizione, non dovrebbe essere né lungo né corto, né lento né veloce … o forse quello è il mediocre? I miei medi sono troppo lunghi per la loro velocità o troppo veloci per la loro lunghezza e mi portano sempre a sprofondare in abissi scavati dalla fatica.
Dopo un paio di chilometri di riscaldamento, raggiungo il mio girone infernale di 13.3 km. I primi 10 sono di iniziazione: servono per stancarmi con variazioni di ritmo sui saliscendi, per sfregare dolorosamente i piedi sull'asfalto ruvido del lungomare, per accumulare affannosamente qualche secondo di vantaggio da spendere nel finale e per raggiungere la porta dell'inferno. È lì, dopo quella maledetta curva, su quella salita apparentemente insignificante, che raggiungo il massimo della pena, è lì che il medio si trasforma in calvario. Il vantaggio accumulato invece di usarlo per assecondare la salita e la stanchezza, cerco di tenerlo con le unghie e con i denti per trasformarlo in progresso. E poi, ogni volta che arrivo lì dove finisce l'asfalto e inizia quell'ultimo maledetto chilometro sterrato in salita, nonostante sia dolente, affannato, col viso incendiato di calore non dissipato, con i piedi consumati a sangue, invece di dire “è finita, basta così” mi sento in dovere di accelerare. In quell'ultimo chilometro esco davvero dalla zona di comfort, esco dal fisico per raggiungere il metafisico (o per lo meno il patafisico), l'alienazione. Esco da questo corpo straziato sperando di trovarne, al rientro, uno nuovo più forte. E finalmente arrivano gli ultimi 100 metri, sono già a tutta ma devo accelerare ulteriormente, la strada si restringe, sposto le fronde dell'eucalipto con la faccia che tanto non è più mia … fermo il cronometro a 52'27” a 3'57” al km e, ancora boccheggiante, comincio a fare calcoli e considerazioni. Sono molto più lento dei 51' dei tempi d'oro ma anche molto più veloce dei 55' di esattamente un mese fa, quando cercavo il ritmo per la mezza del Challange Forte Village. Per scendere sotto 1h22 nella mezza di Cagliari dovrò migliorare ancora un po', ma mi restano quasi tre magnifiche settimane d'inferno per provarci.   

sabato 14 novembre 2015

Cronache dall'inferno - 3x2

3x2 = 6: questa è matematica. Sono numeri che però non hanno la leggerezza astratta dell'aritmetica ma sono fisici, reali, pesanti, lunghi: sono i chilometri della mia scatola di cioccolatini.
Ho fatto un patto col demone velleitario per scendere nuovamente sotto l'ora e 22 nella mezza maratona e ora devo espiare le pene previste nel girone infernale dei podisti ambiziosi: le ripetute.
Il riscaldamento mi trova con le gambe indolenzite dai 19km di montagna dell'altro ieri: comincio davvero bene, scendendo all'inferno già dolorante. Dopo una splendida cagata nel cespuglio e 2 allunghi, parto per la prima ripetuta. Le gambe non fanno troppa fatica a tenere la velocità prevista e nonostante l'andata sia in leggera salita, non sono affannato. Arrivato al livello dell'albero miliare del primo km, punto il piede con forza in terra per fare inversione senza perdere troppi secondi e riprendere subito velocità. Un ultimo strappo in salita mi costringe ad accorciare il passo ed intensificare il respiro e poi è tutta lieve discesa: posso allungare il passo senza forzare troppo e alla fine sono solo un po' stanco. 7'30 per due chilometri. Non un gran tempo ma, date le caratteristiche del percorso e la condizione attuale, va benissimo: la condanna mi imponeva di stare sotto i 7'40. Dopo 3'30 di corsetta blanda, riparto. La velocità è uguale a prima ma gambe, polmoni e cuore fanno più fatica. Le stesse identiche cose che avevo fatto solo 10 minuti prima – l'inversione, le salite, il finale – sono ora più pesanti. Questa volta, alla fine mi sento stanco e affannato. I 3 minuti di recupero non bastano più a farmi passare la sensazione di disagio dovuto all'andatura forzata. Davvero devo ripartire? Ce la farò? Non ho alternative; è ora, andiamo! Per i primi 2-300 metri le sensazioni tornano sorprendentemente buone, poi la stanchezza mi invischia i muscoli e il ritmo rallenta. Carenza di ossigeno, cuore a mille, l'affanno aumenta ma la consapevolezza di essere all'ultima mi spinge ad accelerare per recuperare il tempo perduto: sputo i polmoni sui sassi che ricoprono gli ultimi 50 metri tanto non serve più ossigeno, si va di puro lattacido. Il tempo è, al secondo, lo stesso 7'30 delle altre due ripetute, ma sono morto. È questo l'inferno?
Mentre, dopo il breve passaggio nell'aldilà, mi trascino corricchiando verso le docce lasciando attenuare lentamente dolori e affanno, sono molto soddisfatto. Sono sopravvissuto, ho fatto il mio dovere e già penso alla prossima. Per la prossima volta voglio una scatola di cioccolatini 4x2 e sarò ancora più contento.
p.s. Grazie Mariano per i cioccolatini

martedì 10 novembre 2015

Un mese d'inferno

22 gennaio 2012 – Maratonina di Pula: 1h18'50. È il mio record ufficiale definitivo. Fino all'anno scorso pensavo che sarebbe bastato fare qualche allenamento specifico, trovare buone condizioni climatiche, un percorso piatto e una giornata di grazia per migliorare quel tempo ma sono ormai due anni e mezzo che non riesco a scendere sotto 1h22'. Adesso mi rendo conto che quel ritmo non mi appartiene più. Erano altri polmoni ad assorbire tutto quell'ossigeno, un altro cuore a pomparlo ai muscoli …
aspetta aspetta aspetta … non dirmi che ci stiamo arrendendo così facilmente! Non facciamo vere ripetute da anni, cosa ti aspettavi che i ritmi alti tornassero da soli mentre noi ce ne stavamo sul divano a bere birra? Proviamoci. Sul serio però, questa volta!
Vuoi dire che dovremmo rimetterci a fare quelle variazioni di ritmo che lasciano con il cuore nel culo e poi, dopo due minuti, quando ancora non è rientrato nel torace, ripartire a tutta … e quelle progressioni, che parti veloce e quando non ce la fai più devi accelerare? Bella roba. A che pro? Tanto l'idea di tornare a quei ritmi è chiaramente velleitaria e poi il tallone … e poi il cuore … e poi qualche podio fra i cinquantenni riusciamo ad ottenerlo anche senza ammazzarci …
Bla Bla Bla. E perché no invece? Alziamoci dalla poltrona del “tanto non ce la farò mai”; dobbiamo almeno provarci. Abbiamo quasi un mese per la mezza di Cagliari, vedrai che lì riusciremo a scendere sotto 1h22', poi il resto verrà da sé.

E sia. E ora mi aspetta un mese d'inferno. Come mai mi lascio sempre convincere da quel folle velleitario?

venerdì 6 novembre 2015

Autunno

Autunno. Cadono le foglie vecchie lasciando spazio a nuovi virgulti. È tempo di aggiornare la tabella delle velleità registrando sconfitte e inventando nuove sfide per l'anno prossimo o, siccome mi piace sbattere la testa contro il muro, riciclando testardamente quelle vecchie.

Velleità numero uno. Voglio imparare a nuotare. Mi sono iscritto ad un corso di nuoto per adulti e imparerò i 5 trucchi magici per scivolare sull'acqua e andare veloce senza far fatica. Faccio finta di non ricordare che per 3 anni (2008-2009 e 2011) ho già frequentato un corso per adulti con tre istruttori diversi e nessuno è riuscito a trasformarmi in orata. Come obiettivo, diciamo che punto a nuotare i 1500 metri entro mezz'ora. Se vi sembra facile provateci voi col sedere che affonda e l'acqua che si appiccica ai peli.
Velleità numero due. Sono ancora convinto che il trail a tappe faccia per me. Penso che, con un paio di scarpe da trail senza squarcio laterale e pantaloncini a compressione per salvare i quadricipiti dagli squassi in discesa, l'anno prossimo, al terzo tentativo, riuscirò finalmente ad arrivare fra i primi cinque nel “Sardinia Trail”. Mi toccherà fare shopping per comprare scarpe e pantaloni o per lo meno un buon nastro adesivo, che quello che sto usando adesso per tenere insieme la scarpa dopo i primi 10 km si stacca.

E poi ... e poi cresceranno tante altre foglioline verdi che faranno sentire giovane il vecchio albero. 

domenica 1 novembre 2015

Challenge Forte Village

Uscendo dall'acqua alla fine del primo giro, sento la voce dello speaker che urla eccitata. Rintronato dalla transizione di fase liquido-gas, con gli occhialini appannati e l'acqua nelle orecchie non capisco bene cosa stia urlando: odo distintamente solo la parola “primo”. Il cervello mi parte in quarta: “che bello, forse sono primo fra i race directors, non credevo di aver nuotato cobene!”. Improvvisamente sopraggiunge da dietro un'ombra, seguita da un atleta che mi supera volando sulla sabbia. Ora capisco. È il primo dei pro che mi sta doppiando. L'entusiasmo mi scivola via e quando mi butto di nuovo in acqua si perde sul fondale. Si è alzato il vento e c'è un po' d'onda. Seguo schizzi che mi portano fuori rotta e mi sento stanco. A questo giro le boe sono tutte più lontane. Vorrei tanto respirare. Mi rassegno: punto alla pura sopravvivenza ed esco dall'acqua in 41 minuti, uno in più dell'anno scorso.
In zona cambio l'incubo continua. La muta si trasforma in un coacervo di anguille e tenta in tutti i modi di sgusciare via dal sacco dell'umido in cui la devo infilare. Anche i taschini del body preferiscono stare all'aria aperta piuttosto che a contatto col mio culo e quando provo a farli rientrare in sede per infilarci fazzoletti e gel, si ribellano. Insomma, come al solito il cambio mi costa oltre un minuto in più di quello di un triatleta con un quoziente intellettivo medio e 2 minuti e mezzo più di un pro.
Finalmente in bici. L'aria è fresca e il body bagnato; per non sentire freddo devo accendere subito la stufetta interna e sprigionare i watt. È quello che si chiama “riscaldamento globale”: nessun rispetto per l'ambiente e tantomeno per le gambe. Imposto il dolorimetro su “bruciore lieve”, il respirometro su “impegnato” e spingo con forza su e giù le pedivelle. Partire fra gli ultimi mi consente di superare facilmente, soprattutto in salita e questo risveglia l'entusiasmo perduto. Sono quasi a cantoniera, alla fine della salita più lunga quando raggiungo Teo. Un saluto, complimenti a lui che sta facendo un ottimo esordio e a me che ho raggiunto il mio primo bersaglio. Il contenuto della borraccia mi sorprende con un'effervescenza innaturale, effetto del bicarbonato che avevo aggiunto per aiutare la digestione ma, tutto sommato, non mi dispiace. Anzi, potrei suggerirla come ricetta stocastica per l'integrazione sportiva.
Nel tratto a bastone verso la base militare di Sant'Anna Arresi, lancio gesti rabbiosi contro quelli che incrocio in scia. Al contrario dell'anno scorso, questa volta i giudici daranno qualche penalità e squalifica, ma la maggior parte dei furbetti se la caveranno senza essere visti. Incrocio Francesco con circa 6 chilometri di vantaggio: sono più di dieci minuti e sarà impossibile raggiungerlo … a meno che … . Sulla costiera mi diverto. Conosco a memoria gli strappi, le curve, le discese e ho ancora forza nelle gambe per ingranare la trazione, spingere e superare in continuazione.
A dieci km dalla fine della frazione, dopo l'ultimo spettacolare strappo della strada costiera, le difficoltà altimetriche sono finite ma il vento soffia contrario. Mi supera un atleta che avevo passato poco prima ma appena passa avanti rallenta. Lo risupero immediatamente ma dopo un minuto me lo ritrovo avanti a fare la stessa operazione. Provo a rallentare e lasciargli spazio per non stare in scia, ma va troppo piano. Mi sento ostacolato come Valentino Rossi. Supero di nuovo. Ho capito cosa fa: mi sta in scia e poi passa avanti per darmi il cambio. Sarebbe gentile da parte sua, ma in un altro sport: qui è vietato e non voglio il suo cambio! Quando mi ripassa per la quarta volta mi lascio sfilare, allargo le braccia e scuoto la testa. Poi mi alzo sui pedali, prendo velocità e lo supero a velocità doppia per evitare che mi si attacchi di nuovo. Finalmente capisce e mi lascia andare. Grazie Giorgio. Mi supererà nella transizione e correrà un'ottima mezza arrivando qualche minuto avanti a me.
In zona cambio guardo con diffidenza le scarpe nuove. Mi sento insicuro. Insicuro delle scarpe, delle gambe, del fiato. Gli ultimi allenamenti che avrebbero dovuto darmi confidenza con le scarpe e col ritmo gara, sono finiti con affanno, fatica, dolore ai polpacci, lasciandomi dubbi e insicurezze. Ma non c'è tempo per ripensamenti: metto le scarpe e parto. Le gambe sono pesanti ma cominciano quasi subito a girare decentemente. Sto andando piano, ma la confidenza aumenta e gradualmente riesco anche ad accelerare. Infatti, dai 4'41 del primo chilometro riesco a passare a 4'24 al secondo per poi assestarmi intorno ai 4'15, un buon ritmo per questo tipo di gara. Sono vivo e, come un avvoltoio, comincio la caccia ai moribondi. La corsa si svolge tutta su un percorso da fare due volte avanti e indietro e perciò permette di incrociare più volte tutti i concorrenti e di puntare quelli che danno segni di cedimento. Chi mi conosce, quando mi vede volteggiare facendo un gesto di saluto, sa di essere condannato. Non tutti però. Incrocio Degasperi in lotta per la vittoria con un atleta ungherese. Gli faccio un applauso e gli dico “grande!”, lui mi risponde “grande tu”. Resto a bocca aperta con un sorriso ebete. Un atleta in lotta per la vittoria che spreca fiato per rispondere ad un amatore qualsiasi. Grande davvero, non solo come atleta.
Poi incrocio Francesco, è vicino, a poco più di un km “mi hanno dato 5 minuti di penalità” mi spiega. Resto allibito. Francesco non sta in scia neanche in allenamento, controvento, quando è stanco morto, figuriamoci in una gara in cui è vietata! Comunque ora è a portata, e volteggio verso di lui. All'ultimo chilometro lo incrocio di nuovo, solo un centinaio di metri davanti “Se non mi sprinti ti aspetto”. Sto correndo ancora bene, supero diversi concorrenti ma non lo vedo. Eccolo! Che bello, si è fermato davvero ad aspettarmi 50 metri prima del traguardo! Lo afferro e passiamo il traguardo insieme. Sono felice!
Qualche ora più tardi, quando espongono le classifiche, vedo che lo hanno classificato 30 centesimi avanti a me. Per prenderlo in giro gli dico “sì vabbeh, mi hai aspettato ma poi hai messo avanti il piede con il chip” “Ma tu hai messo il chip sul sinistro, si mette sempre sul destro che è il piede che va avanti” “Boh, io di solito li alterno”. La prossima volta, lancerò anche io il piede in avanti come una ballerina di can can.

L'ho chiusa in 4h57' a due minuti dal me stesso dell'anno scorso, a un minuto e mezzo dal podio e dalle premiazioni di categoria, a un piede da Francesco e terzo fra i race directors. Insomma, di poco, ma ho perso tutte le sfide. Come mai allora sono così soddisfatto?

martedì 27 ottobre 2015

Triathlon medio forte village – intro


Il buffet. Sono qui anche per godere del magnifico contorno che il Forte Village resort offre a tutti i partecipanti, a partire dal buffet della sera prima.
Se non assaggiassi tutto, compresa la decina di varietà di dolci, rimarrei col rimorso di essermi perso qualcosa. Faccio a gara a chi riempie più il piatto con Francesco, anche lui uno che soffre i rimorsi della fame, e aiuto la digestione con qualche bel mezzo bicchiere di vino – mezzo alla volta, certo, che sono un atleta e mi potrebbe far male. A fine pasto non ho rimpianti ma mi sento un bidone e nonostante la tisana finale, ingurgitata senza zucchero – senza zucchero, certo, che sono un atleta e non posso esagerare con i dolci – resto appesantito. A casa, prima di coricarmi, preparo le due borracce per la bici aggiungendo alla fine un cucchiaino di bicarbonato per favorire la digestione. Non immaginavo che, durante la notte, il bicarbonato reagisse con l'integratore trasformando il contenuto di una di esse in un intruglio frizzante.
La sveglia. La notte fra sabato e domenica scatta l'ora legale. Gioco la solita partita a scacchi con la sveglia del mio smartphone Qilive. “Se io puntassi la sveglia un'ora dopo e l'orologio del telefono si aggiustasse automaticamente, invece che alle 5 e mezza mi sveglierei alle 6 e mezza e arriverei in ritardo!” Con una mossa degna di Kasparov, decido allora di lasciare la sveglia alle 5 e mezza (scacco al re). Alle 4 e mezza la sveglia suona (matto in due mosse).
Giochiamo subito la rivincita: “metto la sveglia avanti di un'ora e mi rimetto a dormire … ma lei capirà che mi voglio svegliare fra un'ora o è così intelligente da sapere che ci si sveglia una volta al giorno e si programma per domattina?” Provo a dormire ma il dubbio mi tiene sveglio … per fortuna, perché mi sarei svegliato l'indomani. Insomma alle 5 e mezza ho già perso due partite a scacchi col mio Qilive. Pensa quante ne avrei perse se avessi avuto un I-phone che è ancora più “smart”!
Le sfide. Durante le ultime due settimane di allenamento ho cercato di migliorare la velocità di corsa, per tornare al livello dell'anno scorso ma senza successo. Già pochi chilometri a 4'10 mi stancavano molto. La sfida con me stesso e con le 4h55 dell'anno scorso è già persa.
Studiando l'elenco degli iscritti, ho notato due italiani della mia categoria che partono con un ottimo “rank” e parecchi stranieri. Anche se mancano i sardi più forti, il primo posto di categoria mi pare quindi anch'esso irraggiungibile.
Ci sono poi gli amici da sfidare. Teo è all'esordio e in bici, nonostante il casco spaziale, fa ancora fatica. Francesco invece, dopo la batosta di Mallorca, mi sembra irraggiungibile.
C'è poi un'ultima sfida. La gara vale come campionato per i direttori di gara del circuito Challenge e siccome sono l'unico rappresentante della squadra del Forte Village in gara, mi hanno assegnato la cuffietta gialla che distingue i partecipanti a questa sfida particolare. La sento pesante. In gara con me ci sarà anche il CEO del marchio Challenge che ha un passato nella nazionale polacca, che è sicuramente più direttore di gara e più forte di me.
Insomma, mi aspettano quattro sfide e tutte e quattro già perse in partenza.
Di fronte al mare, aspettando lo sparo, continuo a massaggiarmi lo stomaco. Con la mia cuffietta gialla di 10 chili e tutti quei sassi nel ventre, probabilmente andrò a fondo.  

mercoledì 21 ottobre 2015

Eroismo


Ne va della salvezza del pianeta. Devo consegnare alla base questo chip elettronico con informazioni di vitale importanza prima che i nemici riescano ad inserire un codice falso.
Bang! Qualcuno mi sta sparando! Scappo verso il mare e comincio a nuotare furiosamente. Mi sono addosso! Prendo botte, cercano di annegarmi ma non mi lascio sopraffare, lotto per sopravvivere e finalmente riesco a districarmi. Quando esco dall'acqua dall'altra parte della baia, sono sfinito. Mi guardo dietro e mi stanno ancora inseguendo. Sono in tanti. Ancora di più ne ho davanti: tutti uguali, vestiti come me in nero neoprene, provano a precedermi alla base con un chip identico al mio contenente false informazioni.
Salgo sulla bici e spingo come un dannato, devo arrivare prima di loro. Sudo, fatico, soffro; i muscoli delle cosce sono in fiamme ma non posso fermarmi: devo resistere per il bene dell'umanità! Dopo avere attraversato le montagne e lottato contro il vento, sono stremato ma, mollata la bici, devo ancora correre. Appena raggiungo un nemico e penso di potermi rilassare ne appare un altro avanti a me. Sembrano infiniti! Ma ecco che, con le ultime energie, supero l'ultimo. Comincia a montare dentro di me una sensazione di piacere che si mescola alla sofferenza e, piano piano, la sovrasta. Gemo di soddisfazione. La base è finalmente raggiunta. È fatta. Sono un eroe! Gli applausi del pubblico mi accompagnano mentre passo il chip sul rilevatore. Sto godendo.
Mi volto. Ecco il nemico: arriva battuto e sarà fischiato ed imprigionato per aver cercato malvagiamente di impedirmi di batterlo … ma applaudono anche lui! Incredibile: mi sorride e mi abbraccia!
Forse allora non è così malvagio … forse non ho salvato il mondo … il punto d'arrivo di questa lunga corsa somiglia tanto al punto di partenza … FORSE HO SOLO GIRATO IN TONDO! Finalmente, su un pannello di plastica scura, vedo il mio riflesso, seminudo e ansimante e capisco:
Mi sono solo sparato un altro atto di autoeroismo.

lunedì 19 ottobre 2015

Verso il Forte Village Triathlon

La velleità sarebbe ripetere i tempi dell'anno scorso: 40' nel nuoto, 2h43 di bici e 1h26 di corsa, per finire in 4h55. Con quel tempo, l'anno scorso sono arrivato a pochi secondi dal primo della categoria dei cinquantenni, un triatleta svizzero, e avrei quindi qualche possibilità di arrivare primo di categoria e vincere l'iscrizione al triathlon medio del Bahrain. Il nuoto e la bici mi sembrano fattibili. Invece l'1h26'01” nella mezza – 4'06” al chilometro – sembra facile ma proprio non mi riesce.
Ci ho provato venerdì, per 13 chilometri secchi (senza prima uscire in bici) e ci sono andato vicino ma con affanno. A nove giorni dalla gara, una persona assennata avrebbe rinunciato al Bahrain e ripensato agli obiettivi. Io ho dato la colpa alle scarpe, ne ho comprato un nuovo paio velocissime e ci ho riprovato domenica: 6 km dopo 80 di bici tirati, e li ho fatti a 4'11 arrivando con le viscere rivoltate. La distanza dall'obiettivo è così palese che, a 7 giorni dalla gara, anche uno stupido avrebbe rinunciato al Bahrain e ripensato agli obiettivi. Io ho dato la colpa all'alimentazione, comprato 2 gel e ci riproverò in allenamento e poi in gara. Le ambizioni della testa non saranno seguite adeguatamente dalle gambe. La testa partirà in avanti a 4'06, lasciando indietro i piedi. Mi sbilancerò e cadrò per terra; lo svizzero, con altri cento, mi calpesterà e andrà a vincere. Ma almeno ci avrò provato. 

giovedì 15 ottobre 2015

Puntare in alto è sempre meglio che spararsi sui piedi.

La “forma” è ciò che dà, al “blob universale”, l'aspetto di un essere umano o di qualsiasi altro oggetto.
In questi giorni sento che la forma sta tornando da me e, da essere informe, mi sta dando le sembianze di atleta. La sostanza è un'altra cosa, certo. Sto tornando in forma ma non ancora in sostanza.
Insomma mi ritrovo ad essere un'imitazione di triatleta; qualcosa di meglio quindi del blob che ha affrontato gli ironman di Roth e Mallorca ma ancora vulnerabile ai capricci del “grande sciacquone”.

Fra 10 giorni ci sarà il triathlon medio del Forte Village, la bellissima gara marchiata Challenge che Andrea mi organizza sotto casa, e ne voglio approfittare per sfoggiare questa bella forma che mi è venuta. Per i primi di categoria, ci sarà in palio l'iscrizione al triathlon medio Challenge del Bahrain. Puntare in alto è sempre meglio che spararsi sui piedi. Vero? O vi sembro velleitario?

martedì 13 ottobre 2015

La lotteria

... ora che sono ritornato nel mondo reale, ricomincio a pensare alle questioni che erano rimaste sospese nei giorni magici di Mallorca. Una in particolare mi incuriosisce.
PSA totale: 6.76 = 25% di probabilità di tumore alla prostata.
Non potrebbe essere la bici, dottore? Possiamo rifare le analisi dopo l'ironman?” Il dottor Buffa sembra scettico, ma riesco ad ottenere un secondo appello: esame del sangue da ripetere 5 giorni dopo l'ironman.
Probabilità, lotteria, sospensione, attesa. Ritardo ancora l'iscrizione al triathlon del Forte Village; non ha molto senso prendere impegni per il futuro. Non sono preoccupato però; il 25% di probabilità di tumore sono un ottimo 75% di probabilità che non ci sia niente. Poi, anche se ci fosse, nella maggior parte dei casi, il tumore è benigno. Per qualche istante però la prospettiva si inverte: da “probabilmente non ho niente” a “forse ho un tumore” portandomi a considerare la realizzazione della condizione peggiore. Non ci casco, non serve a niente preoccuparsi e, nell'attesa conviene di gran lunga l'incoscenza. L'unica azione che compio è comprare un sellino per la bici col buco in mezzo. Intanto i pensieri sono altri e si vive, alla grande, partecipando all'ironman di Mallorca. Poi, al rientro, si ricomincia a pensare. Cinque giorni senza bici, con la prostata tenuta come una principessa su cuscini di piume per portarla all'esame di riparazione nelle condizioni migliori. In caso di conferma del risultato dell'analisi precedente, più che il 25% di probabilità di tumore, temo la certezza di dover fare visite ed esami fastidiosi. Dopo il prelievo, c'è ancora una settimana di attesa per l'esito e quasi mi scordo di ritirarlo.
Ecco il risultato finale della lotteria:
PSA totale: 2.32. “Era solo una prostatite” dice il dottore.

Bene. Ora mi posso iscrivere al medio del Forte Village. E mi sento così forte e così vivo che proverò a vincerlo

venerdì 9 ottobre 2015

Ironman di Mallorca – outtro

Dichiarazioni. Dopo l'arrivo Francesco e Andrea: “mai più, troppo duro”. La sera Francesco e Federico: “l'anno prossimo se non mi prendono al Norseman, facciamo quello di Lanzarote”.
Numeri. L'ho finita in 11h02'43”, 4' in meno di Roth ma ben 50' in più di Klagenfurt. Come già detto, visti i problemi fisici (infiammazione al tallone, antibiotici …) non mi aspettavo niente di meglio. 3h43'22 nella maratona, poi, è quasi il record mondiale della salita al calvario. 42esimo di categoria (la slot sarà per la prossima volta ) e 543simo assoluto; non male, peccato solo che Andrea sia arrivato 542simo (maledetto, per un pelo!), per non parlare di Francesco 332esimo in 10h33. Magno l'ha chiusa in 11h33, nonostante la rottura della catena e Federico in 12h20 nonostante in bici sembrava che stesse andando a comprare il latte (guarda la figura qui sotto).

La quarta frazione. Durante la dolorosa frazione di corsa, sognavo un tuffo nell'acqua fresca e un lungo riposo aspettando Federico, sfinendomi di cibo e birra al ristoro finale. Insomma, speravo fosse finita.
Del tuffo simbolico ho già parlato e per il resto non c'è tempo. Alle 20 chiude il negozio e dobbiamo restituire le bici! Con Francesco ci trasciniamo per un chilometro circa fino alla zona cambio. Recuperiamo le borse e la bici ma troviamo il negozio già chiuso. Ormai non ci resta che tornare all'hotel e con una decina di chili di borse appese alle spalle in modo estremamente precario, ci avviamo in bici a fare i tre km del rientro. Un po' nel traffico, un po' sui marciapiede, con le borse che si spostano improvvisamente rischiando di finire fra i raggi, e con la salita finale, questa quarta frazione imprevista è stata proprio dura.
Relax. In hotel dopo la doccia, alle 21.30 troviamo aperto solo il buffet. Anche lo spillatore è chiuso ma me lo faccio aprire e ci passerò parecchie volte. Arriva anche Federico e ci lanciamo sul cibo. Più tardi, al bar, niente camomilla questa volta, ma un'altra birra.
Il giorno dopo, indossiamo tutti e tre la maglia da finisher, non per gloriarcene (almeno io) ma perché era l'unica pulita. Federico è il più fiero e per un pelo, anche se non lo confessa, non si ftatuare il marchio “IM” sul polpaccio. Riportiamo le bici, mangiamo un'ottima paella, e poi in hotel approfittiamo della Spa per un po' di sani idromassaggi, bagno turco, terapia del freddo …

Ritorno alla realtà. Lunedì, la sveglia è alle 4 ma ci svegliamo prima con Francesco in preda ad una fortissima gastroenterite. Lo trasciniamo al taxi e poi da un aeroporto all'altro. Il viaggio penoso finisce dopo le 20 e ci riporta alla realtà, quella della vera sofferenza e dei problemi da risolvere. Anch'io, ora che sono nel mondo reale, ricomincio a pensare alle questioni che erano rimaste sospese in questi giorni magici.

mercoledì 7 ottobre 2015

Ironman di Mallorca - la corsa

Ed eccomi in una meravigliosa isola delle baleari in una bella giornata di fine estate alla mia frazione preferita di una gara che adoro. Sarà bellissimo, che dite? La foga agonistica mi ha fatto scappare completamente di mente il fatto di non essere allenato decentemente per la maratona. Appena uscito dalla zona cambio trovo il primo ristoro. Bevo un sorso d'acqua e nascosto fra le solite bevande isotoniche, cola, banane e gel cosa vedo? Redbull? È finito il tempo della camomilla! È l'ora degli occhi iniettati di sangue, delle narici dilatate e delle cornate nel culo. Ne ingurgito qualche sorsata con una smorfia e parto. Riesco a correre abbastanza veloce, intorno ai 13km/h, senza forzare. Su un tratto del percorso a bastone incrocio Francesco, con meno di un km di vantaggio e subito dopo raggiungo Magno, un po' giù di tono per essere rimasto attardato da un problema meccanico nella frazione di bici. Lo supero senza pietà. Dopo 4 chilometri il percorso passa sul lungomare. Un filo d'aria fresca e il pubblico caloroso me lo fanno godere; poi si passa davanti alla deviazione che porta all'arrivo in piena spiaggia e sogno il momento nel quale sarà il mio turno di girare, passare il traguardo e buttarmi in quel fantastico mare piatto e fresco.
Intorno al quinto km raggiungo Francesco, credevo di dover faticare di più ma evidentemente sto correndo proprio bene. Lo saluto calorosamente; poi noto il nastro azzurro che ha al polso … maledetto, è già al secondo giro! Il sorriso muta in un ghigno. Ha 9 km di vantaggio. Non riesce a tenere il mio ritmo ma l'aggancio è praticamente impossibile. Mi convinco del contrario e con un piccolo sforzo di proiezione mentale lo inseguo da davanti. Fa caldo e dopo il primo giro mi sento già stanco. Ad ogni ristoro mi butto un bicchiere d'acqua fresca sulla testa ma il sollievo dura poco. Decido di rallentare un po' e provare a restare sopra i 12 km/h per finirla entro le 3h30. Nel tratto a bastone, questa volta incrocio Andrea con un paio di km di vantaggio. Sono convinto che anche lui abbia un giro in più e rinuncio ad inseguirlo. Quando passo per la seconda volta davanti all'arrivo non lo trovo divertente come prima. Devo fare ancora tre giri mentre qualcuno svolta già a destra per il traguardo, salutato dalle urla dello speaker. Sto cominciando a soffrire il caldo, i muscoli poco allenati, le energie al lumicino. Al ristoro distribuiscono anche dei grandi cubi di ghiaccio. Ne prendo uno anche se non so bene cosa farne. In bocca non ci sta. Me lo passo sul collo, sul viso, provo a infilarlo nelle spalline del body ma scivola via. Quando è piccolo a sufficienza lo metto in bocca e lo succhio senza pensare a dove l'avevo messo prima. Inizia il terzo giro, prendo altra redbull per tirarmi su. Sul bastone incrocio Andrea un po' più vicino avanti a me. Gli dico “dai che hai quasi finito”. Pensavo che fosse al trentesimo ma era solo al ventunesimo e credo che mi abbia maledetto. Poi al rientro vedo Francesco circa un km dietro. È cotto ma lo sono anch'io e finalmente mi rassegno all'evidenza che non riuscirò mai a raggiungerlo. Prendo due cubi di ghiaccio e me li infilo sotto il body sopra le cosce per avere qualche minuto di lieve sollievo. Oltre che stanco muscolarmente, mi sento affannato, quasi esausto. Al km 27, dopo il ristoro, penso che mancano ancora 15 km e non ce la faccio più. “Basta torture! Confesso tutto! Non sono un ironman, sono un uomo quasi normale e sono diventato vecchio per queste cose!”
Decido di prendermi una pausa proseguendo al passo. Voglio provare a dare il tempo al mio corpo di metabolizzare gli zuccheri ingurgitati al ristoro per avere le energie sufficienti per arrivare al traguardo. Non ho idea però se funzionerà, è un'esperienza nuova. 15 chilometri strisciando non li voglio fare, per cui, se non dovesse funzionare, mi ritirerei. Mentre continuo a camminare per un tempo che mi sembra lunghissimo, mi superano atleti grassottelli che avevo superato con sufficienza qualche chilometro prima. Non sento particolari miglioramenti ma mi pongo un limite: quando mi raggiungerà Francesco proverò a ripartire con lui e, se non ce la farò, mi fermo. Ogni tanto mi volto ma Francesco non arriva e al km 28 dopo un intero chilometro camminato in 11 minuti, provo comunque a ricominciare a correre. Per qualche passo i muscoli sono sull'orlo del crampo ma poi, piano piano, si sciolgono e riesco a corricchiare. Non riesco a superare gli 11km/h ma poco importa, ormai voglio solo arrivare e buttarmi in mare. Dopo il quarto passaggio davanti al traguardo, diventa tutto un po' più facile. Almeno ora son sicuro di non dover mai più ripercorrere quelle maledette strade. Sembra tutto al rallentatore: la mia corsa, i chilometri che non passano mai. Prendo l'ultimo braccialetto e riesco, sia pure a fatica, a continuare a correre. All'ultimo bastone incrocio Andrea dolorante per un crampo. Vorrei raggiungerlo per arrivare insieme ma sto correndo come un bradipo e non riesco ad accelerare. Le ultime molecole di redbull mi fanno pensare che se arrivassimo insieme, il mio “real time” sarebbe inferiore al suo che è partito prima. Sfinito e bastonato ma pur sempre iena.
Ultimi due chilometri sul lungomare. Qualcuno in vista del traguardo accelera e mi supera. Non reagisco. Voglio solo sopravvivere, arrivare e buttarmi in acqua. Finalmente, alla quinta volta che ci passo davanti, la svolta per il traguardo è per me. Più che soddisfazione, orgoglio, quello che provo passando lì sotto è un enorme sollievo.
Subito dopo il traguardo vedo Andrea, arrivato da poco, poi Francesco che invece è lì da mezz'ora. Ora non sono più avversari ma sono di nuovo amici e sono contentissimo dei loro risultati. Anzi, approfitto della solita gentilezza ed energia di Francesco per farmi assistere. Lui cammina quasi disinvolto e mi va a prendere le borse col cambio. Sono le 7 di sera e il sole è calato. Sono arrivato in ritardo e l'anelato tuffo nell'acqua fresca che avevo sognato e mi aveva fatto arrivare fin lì è diventato quasi un obbligo formale nei confronti delle mie gambe. Con fatica mi trascino fino al mare e appena l'acqua arriva al polpaccio, mi ci lascio cadere dentro; poi esco quasi subito dall'acqua ma ormai mi sono infreddolito. Mi butto sulla sdraio avvolto nell'asciugamano e comincio a tremare.  

domenica 4 ottobre 2015

Ironman di Mallorca - La bici

In zona cambio trovo facilmente la mia wilier. Non è proprio mia, in realtà, ma presa a noleggio. Provata giovedì: foratura, ruota posteriore difettosa, sellino troppo basso. Cambiato ruota, riparato foratura, alzato sellino. Venerdì meglio ma prime sensazioni di stanchezza dopo solo una ventina di km, perso occhiali e perso pompetta su uno dei dissuasori. Ricomprato occhiali, fissato pompetta con velcro. Sabato, cambio da regolare (la catena fruscia su quasi tutte le marce), scricchiolii sinistri quando passo su asfalto irregolare, di nuovo sensazioni di stanchezza dopo solo una ventina di km (probabilmente sellino ancora basso) … insomma domenica o lunedì sarebbe stata perfetta ma sabato è oggi, la gara è già cominciata e al trentesimo km ho dovuto rallentare per non stancarmi troppo (per inciso, il valore della mia “wilier”, dichiarato dal noleggiatore dopo la gara, era di qualche centinaio di euro inferiore rispetto a quello della “merckx” noleggiata a Francesco … e questo spiega molte cose). Per non sentire il fruscio del cambio devo tenere rapporti molto lunghi o molto corti … quindi molto lunghi visto che il percorso è quasi pianeggiante. “Non si saluta?” Federico mi insegue “non ti avevo visto, come va?” Due parole anche se banali e qualche secondo affiancati rompono la monotonia del percorso. Sei ore sono tante da riempire: ci sono i sorpassi, le piccole variazioni di pendenza, i ristori (a prop.: niente redbull ai ristori né camomilla ma dopo i primi chilometri fatti a tutta, il cervello ha rigurgitato le camomille dei giorni precedenti facendo assopire l'adrenalina) ma non bastano; il percorso è piacevole ma non entusiasmante, il pubblico è scarso, il tempo e i chilometri passano molto lentamente. L'occhio va spesso al computerino e poi al gps da polso. Il mio obiettivo è stare, sia pur di poco, sopra i trenta per finirla in meno di 6 ore. Devo conservare i minuti di margine accumulati durante la prima ora di fuoco, perché mi aspetta una bella salita nel finale. Questi sono i pensieri; contare i chilometri, come le pecorelle è soporifero e rischio di assopirmi. Dopo una prima ora di continui sorpassi, ora sono in “equilibrio dinamico”: tanti mi superano quanti ne supero io. Qualche volta sono anche gli stessi; altre pecorelle … . Dopo 2h50 passo al novantesimo, in prossimità della zona cambio; si ritrova il pubblico che applaude e, finalmente, comincia la seconda parte del circuito. La salita si avvicina: è ora di svegliarsi! Per questo mi aiutano anche un paio di dossi “dissuasori” e i preoccupanti scricchiolii che emette la bici passandoci sopra.
La seconda metà del percorso è decisamente più bella e divertente.
Si comincia passando sul lungomare di Pollenca, fra bagnanti ignavi e pubblico caloroso. Poi si gira verso le montagne. L'aspettativa della salita, il falsopiano a salire o forse la stanchezza, fanno rallentare molti concorrenti e ricomincio finalmente a superarli facilmente. Le montagne si avvicinano affascinanti e un po' spaventose. Non so bene cosa aspettarmi dalla salita (qualcuno ha parlato di pendenze del 12%, altri del 6%) e neanche dalle mie gambe dopo 110km di gara, ma lo scoprirò presto. Un cartello ci svela i dettagli: saranno 7.7 km al 5.5% di pendenza media. Un'occhiata al computerino per avere una misura di quanto manca allo scollinamento e si comincia a salire. Cerco una pedalata rotonda e vedo subito che riesco a spingere bene. Senza troppa fatica comincio a superare concorrenti molto più lenti di me. La lunga fila di ciclisti, a causa del rallentamento, si è trasformata in un ammasso che occupa buona parte della sede stradale. Ne supero a grappoli. Il paesaggio si trasforma, con boschi, rocce, panorami: è montagna insomma e io l'amo. L'ombra degli alberi e qualche nuvola fanno anche fresco e i chilometri passano facili. Lungo tutta la salita e la discesa successiva non mi supererà nessuno. Mi preoccupo pensando che forse sto spingendo troppo per l'entusiasmo e che potrei pagarla nei 30 km finali pianeggianti, ma guardando le facce e ascoltando i rantoli, vedo che quelli che supero stanno facendo più fatica di me e, sadicamente, ne traggo piacere. Le rocce si fanno sempre più monumentali e lo spettacolo naturale continua anche dopo lo scollinamento, sul successivo saliscendi e raggiunge l'apice all'inizio della vera e propria discesa, dove non posso trattenermi dall'allargare le braccia per l'ammirazione, lasciando pericolosamente il manubrio. Durante il briefing hanno provato a spaventarmi parlando di discesa pericolosa, burroni … ma ho trovato solo una divertente discesa tecnica con diversi tornanti stretti. Anche qui mi sono divertito a superare moltissimi triatleti, uscendo più veloce dalle curve o ritardando la frenata prima dei tornanti. Come la salita, anche la discesa è seguita da qualche chilometro di divertente saliscendi e continuo a superare. Ad una curva stretta in discesa, supero due ciclisti ritardando la frenata ma, a causa dei copertoncini e dell'asfalto liscio, mi scappa la ruota posteriore. Grazie all'esperienza di mountain bike e ad un pizzico di fortuna, riesco a controllare la derapata e rilancio senza danni. Gli ultimi 30 chilometri sono di nuovo piatticci e noiosetti e ritorno in equilibrio dinamico con la concorrenza ma sono solo 30 e posso cominciare un eccitante conto alla rovescia. La media oraria è 30.5 km/h, come mi ero prefissato; ho solo paura che la mia bici scricchiolante vada a pezzi da un momento all'altro. Il conto alla rovescia continua: -10. Si ritorna verso il centro di Alcudia dov'è situata la zona cambio, seguendo la stessa strada del primo giro. Questa volta però il pubblico è tutto girato dall'altra parte. Si costeggia infatti il percorso della maratona. Mi giro anch'io per guardare i podisti. Mi sembra che corrano tutti veloci e mi chiedo se ci possa riuscire anche io. Fra i podisti, sento Andrea che mi saluta. Rispondo al saluto e intanto penso: quanti chilometri di vantaggio avrà? A proposito, in bici ho superato solo Federico. Anche Magno e Francesco sono ancora avantic'è ancora da lavorare.

La fine della frazione di bici mi sorprende con quasi 5 km di anticipo. Riesco a sfilare le scarpette prima di raggiungere la linea ma non c'è spazio per scendere elegantemente al volo. 5h45. Mi basterà correre una maratona decente per scendere sotto le 11 ore.