mercoledì 28 dicembre 2016

Il wellrunnessaro

Il wellrunnessaro corre per correre bene. È convinto che la corsa vada somministrata nelle giuste dosi, come una pillola: 1 ora al dì, lontano dai pasti. Superare le dosi consigliate non è salutare e si va incontro agli effetti collaterali da sovraddosaggio che potrebbero portare anche all'abbandono.
Se deve correre 42 km e proprio quel giorno hanno organizzato una maratona a due passi da casa, li corre comunque da solo a lato della statale, perché vuole dimostrare che non deve dimostrare niente a nessuno e che corre solo per sé stesso.
Il wellrunnessaro ha un profeta: Albanesi. È lui che ha inventato il termine “wellrunness” e ne ha perfino registrato il marchio. Lo definisce così: "la pratica della corsa con lo scopo di correre fino alla fine dei propri giorni." Omette però di specificare se questa fine dei giorni è anticipata o posticipata dalla pratica del "wellrunness". A pensarci bene, infatti, anche correre verso un burrone rientra nella definizione di "wellrunness" riportata qui sopra.
Io? Per me il fine ultimo è vivere bene. Correre può essere un mezzo per raggiungere questo fine ma nulla più. Per questo prendo la corsa con leggerezza, divertimento e passione e, finché dura, me la godo. Se dovesse finire mi dispiacerà ma troverò qualcos'altro.
Il test: sei un wellrunnessaro?
  • Prima di uscire a correre, consulti i sacri testi? (tabelle di Albanesi)
  • Hai ripudiato tutte le altre motivazioni perché sono effimere?
  • Se devi fare 15km e gli amici ne fanno 18 preferisci correre da solo?
Se hai risposto “sì” ad almeno 2 delle 3 domande, complimenti, sei un wellrunnessaro, correrai fino al tuo ultimo giorno di vita e puoi pigiare il tasto corrispondente nel sondaggio qui accanto.

martedì 27 dicembre 2016

La morte nera




L'amor tenero dominava sull'universo e l'arcobaleno splendeva in cielo. Poi un comitato per la parità di genere ha deciso che era ingiusto usare “lamortenero” e “larcobaleno” al maschile anche per le donne e ha inventato “lamortenera” e °lorcobalena”. Così, con un semplice cambio di genere, un'apparente formalità, si è passati dalla forza al suo lato oscuro e ora “la morte nera” domina e l'orcobalena incombe minacciosa in cielo.

lunedì 19 dicembre 2016

Giancarlo corre con noi

Appuntamento obbligato di fine stagione. Per il quarto anno consecutivo, rispondo molto volentieri all'invito degli amici Gigi e Efisio a questa bella gara sui saliscendi del colle San Michele di Cagliari.
Il Natale si avvicina e il suo spirito aleggia, amichevole e festoso. Atleti sfoggiano corna di renna e non mi viene neanche un rigurgito. Siamo tutti più buoni. Perfino la FIDAL non fa pagare la sovrattassa per le iscrizioni sul posto e, addirittura, tutti tacciono durante il minuto di silenzio in ricordo del povero Giancarlo.
Trovo la mia posizione in seconda fila senza dover spingere e si parte. Siamo tutti buoni e si corre con gentilezza. Francesco passa e non reagisco. Prego, prima lei, si figuri.
A metà del secondo giro, mi supera anche Flavio dicendomi una parola di incoraggiamento. Improvvisamente mi sento un rospo in bocca e lo sputo; stava crescendo lì da tempo ma non me ne ero reso conto; era lo spirito natalizio. Le campanelle che mi rintronavano in testa finalmente tacciono. Ora tutto è più chiaro. Mi astraggo dal contesto generale e tutti gli atleti di categoria diversa dalla nostra diventano comparse insignificanti. Siamo soli io e lui a lottare per il primo posto fra i 50enni. Guardandolo passare, confronto la sua apparente facilità con il mio affanno e temo l'ennesima disfatta. Due settimane prima, alla mezza di Cagliari mi aveva staccato di 4 minuti. Non mi arrendo, provo a reagire e, compensando il disagio fisiologico con la cattiveria, lo tengo a portata.
Foto di Giovanni Anedda
Sulla salita ripida, sputo i polmoni per non perdere altro terreno e nella successiva discesa, pestando i piedi come un ossesso, riesco anche a riavvicinarmi. Ormai è la mia preda. Sono un lupo affamato con la bava che sbrodola dagli angoli della bocca. Resto in agguato pochi metri dietro di lui. Non mi vede ma sente sicuramente il mio ansimare affannoso e il ringhio soffocato dalla saliva. Ultimo giro. Per l'ultima volta affrontiamo il terribile strappo che porta al castello. Sfioro il rantolo ma mi metto alle sue costole. In discesa lo affianco ma reagisce e corriamo i ripidi tornanti, spalla a spalla, piegando e rischiando il contatto, come moto in curva. Fallito l'attacco mi rimetto dietro. Per un momento perdo lucidità e penso che potremmo arrivare insieme mano nella mano ma è solo un altro bolo; basta uno sputo e risfodero il coltello. Il sangue inietta i muscoli e ne resta ben poco per il cervello; contare fino a quattro diventa un'impresa e, per un attimo, pensando che ci sia un altro giro riprendo un po' di fiato. Pollice – uno, indice – due, medio – tre, anulare … Cosa sto facendo! Siamo all'ultimo giro, manca meno di un chilometro e lo sto lasciando andare! È invece il momento di tirare fuori gli artigli e tutto quello che non c'è. In un attimo lo raggiungo poi, al penultimo strappo, sferro l'attacco. Esco dalla trincea con una sortita suicida. Sono sicuro che sta provando a reagire ma non mi volto. Le caldaie stanno per esplodere, 500 metri corsi con il cuore in gola sono lunghissimi ma non mollo. Sento un atleta che mi affianca ma è solo una comparsa che ha reagito al mio sorpasso e non sono costretto ad abbatterlo con una gomitata. Flavio invece ha ceduto. Ecco il tappeto rosso, tutto per me. Taglio il traguardo impennando d'orgoglio.
Sfida epica per il primo posto di categoria fra i cinquantenni. Grazie Flavio, sei riuscito a tirarmi fuori i polmoni e una forza che non pensavo di avere. Mi sono davvero divertito.
Altro che il dolciastro panettone. Ha vinto lo spirito delle interiora, la trippa alla romana. Prosit.

martedì 6 dicembre 2016

Cagliari respira

Festa, sole, musica, sorrisi. Tre anni fa era un coro di claxon, quest'anno ho sentito solo una signora lamentarsi: “ma dimmi tu se devono bloccare una città per questi ...” L'aggettivo qualificativo, per fortuna, si è involato, sfumando nella distanza.
L'anno scorso, come 3 anni fa, avevo diritto a partire nella griglia dei VIP, gli anni pari invece mi mettono nella gabbia dei polli. Siamo tantissimi, tremila dicono, e decido di ingrigliarmi subito, quasi senza riscaldamento, per poter partire in buona posizione. Dalla gabbia provo a chiedere noccioline ai visitatori ma non capiscono la mia mimica scimmiesca.
Si parte. Soffro un po' la mancanza di riscaldamento ma la posizione è perfetta e riesco a correre subito al mio ritmo senza ostacoli. Poco avanti a me c'è Alice Capone, fortissima triatleta che ha concluso la mezza di Uta in 1h24. Va al ritmo giusto e decido che sarà il mio riferimento; un gran bel riferimento, il che non guasta.
Il piano di restare regolarmente sotto i 4' al km naufraga anche questa volta già al decimo chilometro. Provo a reagire: “adesso aziono la spinta di piede e riparto”; al settimo km mi era riuscito ma ora sono rigido e resto lì. Alice si allontana in avanti anche se non uscirà mai dalla portata dei miei radar.
Al poetto c'è musica dal vivo per noi! Il primo gruppo suona un classico garage rock che mi fa venire un brivido e staccare dal suolo per qualche metro ma dura poco, atterro e il brivido si trasforma in sudore freddo. Il lungo poetto continua, bello ma un po'etto lungo. Il tempo si ferma. È più noioso della formula uno. Situazione di stallo; non succede niente, nessun sorpasso; si guadagnano o perdono frazioni di secondo al chilometro.
Comincia il gioco al massacro. Foto di Roberto Puddinu
Per fortuna arriva il giro di boa, si entra nel parco delle saline e posso cominciare il conto alla rovescia; ai meno 5 si può aumentare il livello di sofferenza perché si sa che finirà. Si trae forza vedendo altri che soffrono di più. Comincia il gioco al massacro, la mia specialità. Bluffo nascondendo la mia fatica e supero gli atleti in crisi senza nessuna pietà. Ad un chilometro dalla fine una breve discesa fa da trampolino di lancio per la progressione finale. Metto nel mirino gli atleti avanti a me e l'ingresso allo stadio mi coglie quasi di sorpresa. Gli ultimi 300 metri sono sulla pista di atletica del campo CONI, il traguardo è in fondo al rettilineo opposto davanti alla tribuna piena di pubblico e la pista celeste ci guida verso di esso evocando la grande atletica vista in tv. Ho già usato tutta la resistenza negli ultimi 5 km e, dopo l'ulteriore accelerazione dell'ultimo chilometro, penso di avere già dato tutto ma lo stimolo è irresistibile e dopo un'ultima esitazione decido di tirare fuori l'anaerobico dall'impermeabile per esibirmi in uno sprint “regale” percorrendo gli ultimi 200 metri in 38 secondi, un tempo inferiore al record mondiale dei 400. Van Niekerk non mi avrebbe doppiato! Riesco anche a superare 3 o 4 atleti, fra cui Alice e, lo scoprirò solo dopo, il quarto della mia categoria! Finisco in un'ora e 24, poco più di un minuto in meno rispetto ad Uta. L'operazione di recupero velocità è riuscita solo parzialmente e ho corso bene solo a sprazzi ma il finale mi ha riempito di soddisfazione.
Lo sprint - foto di Bianca Figus
Sacchettaro perfetto, anche questa volta riesco a cogliere l'ultimo posto buono per il sacchetto, grazie allo sprint e al fatto che il primo atleta della mia categoria, il fortissimo Gabriele Carta, è rientrato fra i primi dieci assoluti lasciando così un posticino per me sul terzo gradino del podio. Podio virtuale, a dire il vero, visto che le premiazioni sono ridotte alla consegna dei sacchetti in un sottoscala; qualcuno si è lamentato ma per noi sacchettari DOC la gloria è secondaria e conta solo il contenuto del sacchetto, guarda caso un impermeabile. L'ideale per noi esibizionisti. Adesso però mi servirebbe un po' di biancheria: mutande, canottiere e calzini senza buchi. Odio fare shopping ma la situazione sta diventando seria e quindi spero di vincerla alla prossima gara. Speriamo, se no mi tocca scrivere una letterina a riguardo a Babbo Natale.
Anche se è un tema che mi sta a cuore, non posso finirla parlando di mutande bucate.
Tutti coloro che ancora si lamentano della chiusura del traffico dovrebbero vedere gli splendidi sorrisi delle atlete, da quello radioso di Claudia, la vincitrice, a quelli stanchi ma pieni di soddisfazione e felicità delle ultime arrivate. Cagliari respira e riempie il cuore.
sprint royal - foto di Arnaldo Aru

domenica 4 dicembre 2016

Calzini sporchi sulla tomba

“Calzini sporchi sulla tomba” è un finale convenzionale, tipo “e vissero tutti felici e contenti” o “amen”. Credo che si addica bene a questo referendum.
Dopo 21 km di riflessione mi sono convinto che non esiste risposta giusta. Anche l'astensione è sbagliata. Apro la cassetta della posta per vedere se per caso mi abbiano mandato la tessera elettorale nuova che la vecchia è piena. Non c'è ma in compenso trovo l'ultimo numero di “internazionale” con la copertina dedicata al referendum. Dopo essere passato in comune a ritirare il certificato, mi fermo in macchina in via Diaz a studiare. Leggo le opinioni della stampa internazionale sulla questione e scopro che anche secondo loro siamo in un'“impasse”. Non esiste risposta giusta. Bisogna cercare la meno sbagliata e su questo anche la stampa estera si divide. Dopo mezz'ora riparto per recarmi alla sezione elettorale in stato confusionale avanzato.
Ecco, si sta per realizzare l'incubo! Sono sicuro che sbaglierò risposta e appena infilato la scheda nell'urna mi diranno “risposta sbagliata! La risposta esatta era “...”. Non ha superato l'esame da elettore e le dovremo trattenere il certificato”.
Invece me la riconsegnano. Forse allora ho risposto bene. Ma non faccio in tempo a rilassarmi. Esco e trovo la macchina bloccata da un'altra che blocca l'uscita del parcheggio. Dopo 10 minuti arriva la proprietaria e mi dice che ha parcheggiato lì perché dove avevo lasciato io l'auto non era un “parcheggio”. La domanda clou che si aggira fra i miei gangli ora diventa un'altra: “cos'era quello spiazzo asfaltato senza cartelli di divieto dove ho lasciato la mia auto?” Grandi domande con piccole risposte.
Stasera vedremo chi vincerà e nei giorni futuri ne vedremo le conseguenze. Vedremo se arriverà il tecnico, il comico o l'idraulico, come sarà questo meno peggio, diluvio universale e calzini sporchi sulla tomba.

sabato 3 dicembre 2016

Sì o no? Maratonina di Cagliari – preview

Meglio bilocale con camera letto, sala senato e gabinetto ministeriale o monolocale con angolo cottura?
Sono contrario al “voto di protesta”. Sono dell'idea che le proteste debbano essere manifestate pubblicamente, sui media o anche in strada con un bello striscione esplicativo e non votando alla “cazzo”. Mi devo perciò concentrare sulla domanda del quesito. Avrei gradito un bilocale su doppio livello con camera superiore di controllo ma è già stato affittato . Bilocale o monolocale? Non so rispondere, non sono ancora pronto, devo studiare ancora se non voglio saltare anche questo appello. Avrò 21 km per pensarci ma forse ci vorrebbe una maratona o meglio ancora un “passatore”. Alla fine del passatore tutto sarebbe diventato chiaro: una visione mistica mi avrebbe chiarito le conseguenze delle modifiche all'articolo 37 anche se forse sarei arrivato dopo la chiusura delle urne.
I quesiti per la gara, invece, sono più semplici:

Volete voi che Lorenzo Pisani arrivi al traguardo in meno di 1h24? Sì o No?
Volete voi che Lorenzo Pisani asfalti Teodoro Antonello Mura? Sì o No?

Votate per me e io volerò al traguardo sulle ali della volontà popolare … non fate scherzi però!



lunedì 28 novembre 2016

Gli spiriti del trail

Molti pretendono di conoscere il vero spirito del trail e giudicano con disprezzo chi lo tradirebbe.
Secondo me il trail ha tanti spiriti e ognuno di essi ha poche mogli e tante amanti che si sentiranno tradite dagli amanti di altri spiriti in un menage incontrollabile: peggio di una soap a puntate. Meglio allora rinunciare ai rapporti tradizionali ed accettare l'amore libero.
Il trail è un po' come la musica: ci sono i sentieri “pop”, piacevolissimi ma che dopo la terza volta, stufano, mentre i sentieri “avant-garde” si lasciano scoprire volta per volta dando il meglio di sé solo dopo ripetuti passaggi. C'è lo spirito melodico classico della corsa nella natura bella, più bella possibile. C'è quello hard della lotta con la natura più dura e selvaggia possibile. C'è poi quello rock&roll del divertirsi a correre veloce saltando sassi e radici e buttandosi giù per sentieri più tecnici possibile
Ho elencato solo i tre spiriti con i quali ho una relazione fissa ma sono sicuro che ne esistono tanti altri e che ognuno colga particolari sfumature che rendono la corsa in montagna un piacere “personale”. Per questo, parlare di “tradire” lo spirito del trail non ha molto senso; gli spiriti sono tanti e qualcuno lo si tradisce per forza: troppo corto, troppo lungo, troppo tecnico, troppo liscio, troppo segnato, poco segnato …
Poi ci sono le mode, la visibilità mediatica, i punti per l'UTMB … tutti aspetti deprecabili per i puristi elitari del trail ma che comunque, come l'industria discografica fa per la musica, aiutano la diffusione di una disciplina sana e contribuiscono a togliere atleti dalla strada e dal disagio sociale del bitume.
Gli spiriti del trail ci guardano sudare e sbuffare, aprire le braccia dalla meraviglia o tremare di freddo ripercorrere per la ventesima volta lo stesso sentiero o andare in cerca di posti sempre diversi, escursionisti che guardano il paesaggio o competitivi che preferiscono la vista dei numeri sul gps … lasciamo che ognuno si goda il suo spirito personale senza giudicarlo e gustiamoci il nostro.

lunedì 21 novembre 2016

Maratonina di Uta

Uta, sembra una cosa seria. È quasi uno stato unito: basta aggiungere una lettera mutah e diventa Utah. Penso a capoterrah, maracalagonish, ma non funziona. Invece Utha sì. Capitale Salt lake city, per gli indigeni Sa bidd'e lacu saladu. Perché parlavo di Huta? Ah, già, ieri si correva la mezza. La mezza non è tutto, è mezza, quindi vale quello che vale: metà appunto. Sto forse tergiversando? Ebbene sì e ho buoni motivi per farlo: Bruno è arrivato 3 minuti prima di me, i miei fantasmi mi hanno deriso vedendomi arrancare e le quotazioni del mio seme sono precipitate. Ecco ho confessato tutto e ora che ho ritrovato la pace interiore ne posso parlare con serenità.
Foto di Francesca Erbì
Si parte, si corre, le gambe sono dure, l'asfalto è duro, le scarpe sono dure, le molle dei piedi sono arrugginite. In queste due settimane ho fatto un po' di abitudine alla velocità ma ho trascurato la durezza, correndo quasi sempre su sterrato. Quant'era morbido il molentargius! Qui invece l'asfalto mi martella i polpacci e cerco, più volte ma invano, un assetto di corsa che mi consenta di ridurre l'impatto dei colpi sulla carne. Un ironman dovrebbe essere più duro dell'asfalto e lasciare le impronte dei piedi metallici scavate nel bitume ma non succede; forse non sono più ironman. Dicono che il percorso fosse veloce ma non è vero. Altro che veloce: era assolutamente immobile e ho dovuto fare io tutto il movimento. Fin dal km 3 capisco che non riuscirò a tenere il ritmo previsto di 4' al km e che Bruno e tutti i miei soliti rivali (a parte uno alto e pelato) mi batteranno. Da lì all'arrivo saranno 18 km di resistenza e di domande sul perché di tanta lentezza e sul perché si debba soffrire tanto per tornare due volte al punto di partenza. Per fortuna 21 km passano relativamente veloci e in 1h25 e spicci arrivo, appena prima di trovare le risposte definitive ai miei dubbi esistenziali.

Foto di Gavino Sole
Le piacevoli chiacchiere del dopo gara mi distolgono da ulteriori riflessioni. Sono anche quinto di categoria e ultimo dei premiati e salire sul podio consola parzialmente il mio ego e mi consente una piccola rivincita sui miei fantasmi che anche se molto più veloci, spesso restavano giù a guardare.
Tonino mi riaccompagna alla mia auto che avevo lasciato a Capoterra. Salgo, infilo le chiavi e parte la musica. La macchina invece no. Spengo, riaccendo e invece del rumore del motorino di avviamento si sente la musica dei fiery furnaces. Dopo altri due tentativi capisco che la mia auto è ormai ridotta ad un impianto stereo. Chiamo a credito Maria ma non risponde. Potrei insistere o provare a chiamare il numero di casa ma decido di non farlo. Esco dalla cabina stereo e mi avvio a piedi verso casa, per il primo minuto camminando, poi accennando una corsetta. Ogni tre passi i calzoni calano e devo ritirarli su con la mano prima che finiscano in terra. Allora svuoto le tasche, tenendo in mano il portafogli e liberi dal peso del denaro ora i calzoni stanno su da soli. La maglietta e le mutande di cotone si inzuppano subito di sudore, non vedo l'ora di pisciare, sono stanco ma la corsa è rilassata; devo solo andare dal punto A al punto B senza che nessuno mi controlli il tempo e con una forte motivazione: tornare a casa, aprire il frigo e prendere una birra! Questi 4 km imprevisti mi fanno ritrovare il significato originale della corsa e ripensare con serenità al futuro.
Fra due settimane c'è Cagliari. Sembra una cosa seria. È quasi una città americana: Calgary, …

venerdì 18 novembre 2016

Maratonina di Uta – preview

La meteorolo-zia per quest'autunno prevede dritti e rovesci anche di moderata intensità.
Intanto sento tuonare la domanda: la trasformazione in zombie è reversibile?
Secondo Albanesi no. Ecco cosa scrive:
Conosco personalmente due atleti che sono centochilometristi, il primo si trascina fra ultramaratone con qualche proiezione su gare più brevi (evidentemente dei test di velocità…), correndo i 10000 in circa 45′ quando prima li correva in 34-35′; l’altro, runner da molti anni, da quando ha deciso di passare alla 100 km è durato due anni: ora lo si trova mentre cammina nelle non competitive, ormai incapace di correre”
Che tristezza. Forse anche io sono diventato così, zombie senza ombrello sotto la pioggia autunnale con un buco nella testa l'acqua mi entra nel cervello. Flavio e Bruno ora mi massacrano, Teo mi asfalta, la vecchia zia mi infilza sferruzzando e poi mi investe sulle strisce con la macchina da cucire ma forse non è per sempre.
Come lo scorso novembre, anche quest'anno mi sono posto l'obiettivo di ritrovare la velocità, frangendo gli spazi con tempi sempre meno infiniti, spaziando di meno, spazientando senza temporeggiare e raccogliendo con la scopa tutti i frammenti di spazio per non sporcare.
Così mi sono dato una mossa, mi sono scrollato di dosso la polvere del tempo e dei trail, ho dissotterrato i piedi dalle hoka, dove giacevano tumefatti, ho suonato come trombe gli alveoli polmonari e mi sono buttato con velleità convinto che in due settimane si possa ritrovare la velocità smarrita.

Domenica a Uta correrò la classica mezza maratona. Ci saranno Bruno e Teo a misurare il gonfiore delle mie velleità e il cronometro che impietosamente girerà sotto lo sguardo beffardo dei miei fantasmi. Gli agenti finanziari aspetteranno con scetticismo le nuove quotazioni del mio seme ma io emergerò trionfante. L'autunno lascerà posto ad una nuova primavera … aspetta, non c'era qualcosa in mezzo? No, sono finiti i carciofini, non ci sono più le pizze con le mezze stagioni.

domenica 13 novembre 2016

Corri, Molentargius, corri ...

Ogni cambiamento è riposante in senso lato, in quanto allontana dall'attività consueta anche se solo per intraprenderne un'altra. Dopo mesi passati a resistere per scavalcare catene montuose, da due settimane ho ripreso a cercare la velocità dimenticata e anche questo è riposo.
Tenendomi alla ringhiera con la mano sinistra e appoggiandomi al muro con la destra, riesco a scendere le scale e ad uscire di casa per recarmi al parco del Molentargius a Cagliari. Quale occasione migliore di una gara piatta di 12 km per cercare la velocità smarrita? Non sarà facile; le gambe sono irrigidite dai DOMS. Per andare veloce, dovrei curare queste gambe indolenzite o stordire la testa per scordare questi dolori; cercasi citrullina, cretinina o amminoacidi a corna di cervo in fioritura. Oppure sole e aria di festa.
Foto di Francesca Erbì

Foto di Gavino Sole
Dopo un breve riscaldamento, sono sulla linea di partenza. Gioco d'azzardo: non so come andrò ma punto su di me. Tutto sul “501”, rouge, dispari! Les jeux sont fait. Il primo chilometro scorre in 3'50, un bel ritmo anche se moltissimi sono avanti a me. Il podio della categoria è almeno 100 metri avanti. Non mi azzardo a cercare di raggiungerli, sto già correndo troppo veloce. Aspetto invece come un avvoltoio che almeno uno dei tre ceda per soffiargli onore e premi. Cedono in due; prima Paolo, poi Luigi mentre Angelo aumenta il ritmo e sparisce in avanti. Io mi barcameno intorno al limite delle mie attuali possibilità. Più che cercare la velocità, cerco di resistere alla lentezza, che mi vorrebbe fare arretrare il busto, come a cercare la poltrona, e accorciare i passi come se dovessi anche oggi scavalcare montagne. Riesco a mantenere un ritmo appena superiore al limite della lentezza, 15km/h, e pure ad accelerare in vista del traguardo.
Ventitreeseimo su oltre 500 atleti al traguardo e quello di cui vado ancora più fiero, primo assoluto al buffet, con un tempismo da buffettaro doc. Purtroppo non posso indugiare fra tutte queste torte salate e dolci; devo salire sul podio e poi tornare a casa e così salta il secondo giro del buffet. Pazienza; mi dispiace partire e lasciare la festa, il sole, il cibo, la fatica, gli amici e il divertimento ma ritroverò tutto e tutti a Uta la settimana prossima
Tutto questo riposo mi sta distruggendo le gambe ma è divertente; non bisognerebbe mai smettere di cambiare.

sabato 12 novembre 2016

Il riposo - effetti collaterali

Sta per finire la seconda settimana di riposo di questa mia nuova vita oziosa. Riposo per me vuol dire non superare limiti quotidiani di attività fisica: ogni giorno, al massimo, posso nuotare per 45' in piscina o andare in bici per non più di 2 ore o correre per non più di un'ora. Ma correre non più di un'ora per me vuol dire correre più veloce di quando non riposavo e ne correvo due. Giovedì ho riposato correndo 59 minuti in montagna con 500 m di dislivello a salire e altrettanti a scendere precipitevolissimevolmente. È dopo avere riposato in tal guisa che ora mi ritrovo con le gambe a pezzi. E non m'ha aiutato l'uscitina di scioglimento in bici di ieri, perché, anche se c'è vento forte, scendere sotto i trenta di media non è dignitoso e ho dovuto pestare orgogliosamente sui pedali per non farmi sconfiggere dal maestrale.
Risultato? DOMS: prognosi di tre giorni. Domani, il mio ritorno alle garette sarà compromesso dalla fase semiacuta dei DOMS. Sapete cosa vuol dire? Dolori Originati da Muscolo Spappolato rende l'idea ma mi sono documentato su wikipedia e il vero significato di DOMS è Delayed Onset Muscolar Soreness; sono quei dolori muscolari che insorgono alcune ore dopo la fine di un allenamento e si protraggono per 3-5 giorni. Sempre da wikipedia apprendo che:
La formazione del DOMS viene spesso collegata all'esercizio di tipo “eccentrico” come la corsa in discesa”
L'assunzione di 8 grammi del'amminoacido “citrullina malato” ha mostrato di portare ad un significativo decremento dei DOMS”

Parrebbe quindi che le conseguenze di codesta esagerata eccentricità possano essere limitate con dosi consistenti di “citrullina”. Da un punto di vista psichiatrico, sembra sensato: la citrullina, farmaco lobotomizzante, inibisce i comportamenti eccentrici. Io, però, in farmacia a comprare “citrullina” non ci vado. Immagino troppo bene la scena: “Citrullina? Perché? Non sei già scemo abbastanza?” No. Con una buona dose di citrullina, infatti, me ne starei buono buono, fermo sul divano col telecomando in mano invece di buttarmi di corsa in discesa come se non ci fosse un domani e questo riposo mi stancherebbe di meno.

giovedì 10 novembre 2016

domenica 6 novembre 2016

Cronache dalla casa di riposo – Il weekend di corse

Prima settimana di riposo della mia nuova vita. Ormai il corpo giace come un mucchietto di membra ora sul divano, ora sul letto e solo ogni tanto si ricompone esprimendosi compiutamente con una corsetta, una breve pedalata o 45' in piscina a imparare la bracciata perfetta. Intanto mando il mio spirito ad aleggiare in giro al posto mio.
Sabato era a Berchidda, ad aleggiare sui 37 km delle splendide vie del carbone, osservando il successo del grande Filippo e i bei risultati degli amici Davide, Enrico e Stefano oltre che ammirare le gesta degli instancabili Teo, Giuseppe, Vincenzo, Ivan, Gigi e Manuela qualcuno con me al triathlon della settimana scorsa, altri a Macomer, per non parlare di Agnese che era con me dappertutto e ancora non si ferma! E poi a inzupparsi di zuppa berchiddese … spirito incorporeo? Ancora un po' e diventa più grasso del corpo.
Il mio spirito si è poi spostato aleggiando ad Ozieri e questa volta sul serio. Il mio odore si spande sulla cittadina logudorese proveniente da un sacchetto pieno di particelle di spirito glorioso ancora attaccate ai vestiti che avevo dimenticato davanti al camino di Macomer ad asciugare il sudore della ultramarathon. La gloria, dopo tre settimane, comincia a puzzare di ascella e Tonino ha portato questo spirito sperando di liberare Macomer dall'odore e di trovare qualcuno che me lo potesse riportare. E il mio alone di gloria ora ricopre Teo e Gigi, anche oggi in gara nella mezza maratona! E gloria anche per i miei compagni di categoria Flavio e Bruno che dopo avermi stroncato a Macomer fanno risultati sempre più strabilianti: 8o in 1h19 Flavio e 13o in 1h20 Bruno. Tempi che io facevo negli anni 2008-2012; eh sì, erano bei tempi quelli.
E poi, mentre il corpo si sposta a fatica dalla camera da letto al divano di fronte alla tv, lo spirito vola, attraversando raggi catodici, su New York, a correre la Maratona più famosa del mondo. Laggiù dove l'abbraccio del pubblico annulla la percezione della fatica. È una sensazione che ho provato a sprazzi e che, nonostante l'avversione che nutro per le mode, volevo provare appieno a New York; e come provarla meglio che indossando con il mio spirito le gambe di Gebresselasie? Intanto, un altro amico instancabile, Luca, dopo Macomer, dopo il triathlon, indossando le sue gambe personali sta arrivando ora la traguardo. Grande!
Ecco, il mio sforzo è finito. Ora sono troppo stanco per la briscola; mi vado a fare un eccitantissimo solitario e poi a nanna.

mercoledì 2 novembre 2016

Challenge Forte Village

Avevo atteso 7 mesi per recuperare l'ora di sonno persa a fine marzo, con l'inizio dell'ora legale.
Ne avrei avuto proprio bisogno – mi sarei alzato alle 10 scoprendo che erano le 9, sarei rimasto un'altra ora a letto e la stanchezza di tutti questi mesi sarebbe sparita magicamente – ma domenica alle 5 suona la sveglia. È ora di prepararsi per andare al lavoro. C'è una missione da compiere, amici da battere. I polpacci sono indolenziti e scendo le scale attaccato alla ringhiera. Il cuore ballonzola irregolare. Non ho ancora digerito la cena buffet della sera prima e la pancia brontola. Ma dove vado? E perché?
Per dare un significato a questa levataccia, mentre guido la mia auto ascoltando Frank Zappa che mi prende in giro, scatto con gli occhi fotografie al cielo che si colora del rosso dell'alba e le memorizzo nel cervello. Pare proprio una bella giornata e sto andando a fare la più bella delle gare. Nonostante me, credo che mi divertirò.
In zona cambio i miei vicini vip accarezzano le loro bici per togliere l'umidino della notte e gonfiano le ruote a 9 bar … io i 9 bar li girerò dopo la gara per le birre e mi basta un pizzicotto al culo delle gomme per sentirle belle sode. Sono un proletario della zona cambio e sono finito qui per un equivoco.
Pronti a schizzare! Foto di Arnaldo Aru
Ammucchiati in spiaggia, eccitati come spermatozoi in attesa, aspettiamo il via libera per schizzare. Non ho nessuna speranza di raggiungere per primo l'ovulo e mi tolgo dalla mischia per godermi la nuotata. L'acqua è liscia e piacevole. Non spingo ma curo la bracciatina tecnica che sto imparando in piscina: la mano sfiora l'acqua elegante e quando arriva all'orecchio si infila in acqua, si appoggia piegata verso il basso allungandosi in avanti poi, disegna una “s” tornando indietro con le dita chiuse – una specie di nuoto sincronizzato, insomma. Qui mi riesce meglio che in piscina: la muta mi tiene su e non devo pensare a non annegare. Le boe filano lisce e relativamente veloci. Passeggiando, con poca fatica e nessun affanno, finisco in 40', un buon tempo per i miei standard anche se l'ovulo è stato fecondato da un quarto d'ora. Come previsto, sto scivolando come una supposta verso il traguardo. Nella zona vip della zona cambio è rimasta solo la mia cara vecchia carretta ad aspettarmi. “Ma ora li riprendiamo tutti quei palloni gonfiati, vero bella?” Tanto non conta la bici, contano le gambe. Ah, già, le gambe. Mi ero scordato di non essere allenato. I novanta chilometri della distanza di gara non li faccio da almeno 6 mesi.
Ma si comincia con brio; in salita spingendo “il giusto” e in discesa volando. 30 km nella prima ora: non è male. Dopo Teulada il percorso diventa più facile ma fatico a spingere e mi superano molti di quelli che avevo sbeffeggiato prima. I quadricipiti si svuotano progressivamente. Andando verso il giro di boa, incrocio Francesco che è decisamente lontano e poi Teo, molto più vicino; forse lo potrei raggiungere, basterebbe spingere un po' più forte ma non ci riesco proprio e mi devo rassegnare. Quando si ritorna sui saliscendi della strada litoranea, le variazioni di pendenza e i panorami spettacolari mi rianimano e recupero qualche posizione ma non mi diverto più. La stanchezza aumenta e ora anche la schiena duole. Sono a fine turno o, forse meglio, alla vigilia della pensione. Non vedo l'ora di tornare a casa e aspettare un anno sul divano che ritorni quell'ora di riposo che mi sono perso stanotte. Mi fermo per staccare la pompetta dal telaio e darla ad un ragazzo inglese che aveva bucato. Poi mi fermo di nuovo per pisciare. Le soste mi danno sollievo e vorrei quasi sedermi per terra ma sto perdendo troppo tempo e devo ripartire. Anche nell'ultimo tratto piatto il tachimetro non raggiunge i trenta all'ora e sfondo di ben 8 minuti il limite delle 3 ore previste. Trascinandomi sul tappetino che porta in T2,.sento le gambe spente, la schiena dolente e i sassolini sotto il tappeto; sono pessimista per la corsa.
Fatico a ripartire. Il chip mi sta segando la caviglia. Ho una piaga che ad ogni passo diventa più profonda; mi basterebbero 5-10 secondi per fermarmi e spostarlo ma non lo faccio. Ormai i dolori mi fanno compagnia, il passo si sta allungando e sto ritrovando la spinta e il rimbalzo elastico. Si sta ripetendo il miracolo e non voglio fermarmi. Tengo lo sguardo alto per valutare la posizione dei miei sfidanti. Samuel, Teo, Francesco e anche i sardi più forti della mia categoria Massimo Alessandro, Corrado hanno tutti fra i 15 e i 30 minuti di vantaggio. Impossibile raggiungerli e mi devo consolare superando atleti sconosciuti o conoscenti meno forti. Negli ultimi due chilometri riesco ad aumentare ulteriormente il passo ed arrivare in gloria. Nessuno nota il mio arrivo, a dire il vero, ma io sì e mi complimento da solo. 5h25 sono tante. 1h32 per la mezza maratona è comunque un buon tempo e sono soddisfatto.
Foto di Claudia Lazzara
Mi sono divertito anche questa volta, ma ora è tempo di cercare una casa di riposo, un dopolavoro di quelli dove i vecchi operai si vanno ad ubriacare. I nove bar che gli altri hanno messo nelle gomme, io me li giro adesso, approfittando anche dello sponsor “Peroni”. Da oggi, per un anno, aspetterò, sul divano, che ritorni quell'ora di riposo che mi sono perso … e che nessuno mi parli di un Ironman in giugno o di una TDS ad agosto!

sabato 29 ottobre 2016

Triathlon Challenge Forte Village - preview

A venti ore dalla partenza, anch'io sono pronto per il triathlon Challenge Forte Village!
Dente cariato dente cavato, gamba malata gamba amputata. Se fossi medico farei così. Per aggiustare la muta, per esempio, ne ho amputato le parti rovinate con le forbici del pollo. Ma sì, un po' di vaselina e andrà benissimo.
Si vedono su FB immagini di bici ripulite e luccicanti, pronte per la gara come madame per una serata all'opera. Io non oso pulire la bici perché non so come potrebbe reagire il cambio senza quello strato di morchia e poi, diciamo la verità, non ne ho voglia; preferisco stare qui al computer a scrivere cazzate. Tengo un po' di vaselina anche per la bici.
La preparazione più che carente è stata distruttiva. L'istruttrice di nuoto mi avrebbe aiutato ad avere un minimo di preparazione per la gara. “No, grazie; preferisco fare tecnica, almeno, forse, imparo a nuotare per la prossima”. Giovedì sono passato da “due ruote”, negozio del mitico Giuseppe Solla, dove tutti vanno a sistemare gli ultimi dettagli della bici o dell'alimentazione; io ho comprato slip e pinnette da piscina … e un tubetto di vaselina.
In teoria per la corsa dovrei essere pronto; è l'unico sport che ho praticato ma sono mesi che non vedo asfalto piatto. Giovedì sera ero a Cagliari e sono andato a fare una corsetta al poetto per vedere l'effetto che fa. 9 km completamente piatti corsi al presunto ritmo gara e ora, a poche ore dalla partenza, ho ancora polpacci e piedi doloranti. Tutto quel piattume mi ha rovinato ma con un po' di vaselina tornerà tutto a posto.
Gli amici mi lanciano sfide; io cerco di confonderli dichiarando “vince chi perde!” Questa volta non sono davvero competitivo e farò una semplice passeggiata. Fidatevi, su, fidatevi: prendetela la caramellina! Con un po' di vaselina andrà giù.
Si rinnova anche la sfida d'intelligenza con lo smartphone per capire a che ora mettere la sveglia visto che nella notte torna l'ora solare. Un'ora dopo? Ma se lui si sposta poi arrivo in ritardo ... e se spalmassi un po' di vaselina anche su di lui?
Ora mi immergo in una vasca piena di vaselina e poi sarò proprio pronto: scivolerò verso il traguardo, liscio come una supposta.

mercoledì 26 ottobre 2016

Io mi e me all'ultimo trail di Capoterra

Foto di Paolo Melis
Personaggi
  • Io – Osservatore e “blogger” di fama inter-rionale sempre in cerca di qualcosa da raccontare
  • Mi – Presidente della società organizzatrice. Vive di sorrisi e complimenti e combatte spiriti buromalefici
  • Me – Atleta partecipante. Vecchio animale da corsa, ormai un po' arrugginito ma sempre pieno di agonismo. È lui quello che mangia, che se mangiassimo tutti e tre ingrasseremmo.
  • Lo spirito buromalefico di A. che aleggia
Sabato, la vigilia. Alle 9 del mattino mi preparo ad andare al campo di gara per gli ultimi preparativi. Prima di uscire leggo le-mail e scopro che il comune di A. non ha ancora concesso l'autorizzazione alla gara. Nel castello di A. gli impiegati solerti hanno lavorato settimane a passarsi il nostro plico con senso del dovere e spirito di responsabilità e, proprio l'ultimo giorno, dopo avere pronunciato il “tutto a posto” si sono accorti che il plico doveva tornare all'ufficio di partenza per ulteriori studi ed approfondimenti.
Gli uffici oggi sono chiusi e Di Majo è proprio oggi in visita al castello col re di A., forse per partecipare anche lui alla visione dei nostri documenti e decidere con un sondaggio in rete se concedere o meno il nulla osta alla nostra gara; intanto, dopo avere chiesto aiuto al sindaco di Capoterra e al presidente regionale della FIDAL, andiamo avanti con i preparativi, prima sfiduciati, poi più combattivi e, piano piano, mi matura l'idea di prendermi la responsabilità di fare disputare la gara comunque.
Io intanto osservo stupefatto come rimbalzi burocratici fra uffici comunali possano intralciare una manifestazione che, a costo zero, porta benefici alla cittadinanza e al territorio mentre me si lamenta solo di non avere avuto il tempo di fare neanche oggi neanche un passo di corsa dopo la 60 km di Macomer
In tre che siamo, dimentichiamo la chiave dell'auto infilata nella portiera, in centro al paese. Anzi, il problema è proprio che in tre abbiamo un cervello solo e, chi ha infilato la chiave, quando è il momento di toglierla potrebbe non avere più accesso alla memoria ram. E poi è anche colpa dello spirito buromalefico di A. che ha distratto la nostra già deficitaria attenzione. A sera, intanto, il sindaco di Capoterra è riuscito a sentire quello di A. e ci dice “tutto a posto” che tradotto in latino significa “nulla osta” e un lungo soffio di sollievo fa sventolare i nastri segnaletici sul percorso. Non trovando la chiave dell'auto nelle tasche, mi faccio accompagnare a casa da Gavino.
Domenica mattina, io, vedo allo specchio mi e me con i capelli dritti, penso a quante foto con quei capelli dritti all'insù verranno scattate e pubblicate oggi su FB, e che forse il mondo sarebbe più bello senza ma dopo due passate con la mano a rastrello capisco che è una battaglia persa.
Mi preparo le birre da portare nella borsa frigo poi mi ricordo di avere dovuto lasciare l'auto in paese e prendo la bici lasciando, ahinoi, le birre a casa. In compenso il casco schiaccia i miei capelli dritti e il mondo diventa più bello. Quando arrivo alla macchina e trovo la chiave sulla portiera venti ore dopo averla lasciata, penso a quanto è buono questo mondo e che un solo paese del campidano e un ciuffo di capelli ribelli, non riusciranno a rovinarlo. O forse la mia auto è così brutta che nessuno l'ha voluta prendere.
Lo spirito di A., imperterrito, si materializza di nuovo sotto forma di barracelli che, non avendo ricevuto comunicazioni riguardo l'autorizzazione, hanno pensato che fosse loro dovere alzarsi presto la domenica mattina apposta per rompere i coglioni e rovinare una festa. Grande senso del dovere. Per fortuna il sindaco di Capoterra interviene di nuovo e se ne vanno via delusi, portandosi dietro un senso del dovere incompiuto e la sonnolenza della domenica mattina.
D'ora in avanti, tutto procede liscio. Intorno ho una vera squadra che gira senza un cigolio. Qualsiasi cosa ci sia da fare c'è sempre qualcuno disposto a farla. Gli atleti arrivano e il ritrovo si anima di un allegro brusio.
Io, il blogger, sono ormai più popolare di me, l'atleta in declino, anche se oggi sono mi, l'organizzatore, quello più salutato. Comunque io mi e me condividiamo molti amici ed è un vero piacere vedere in quanti sono venuti a trovarci.
Me - foto di Benedetto.
Traccio la linea di partenza come facevo da bambino, strisciando col calcagno sulla terra. Tutti dietro e allo sparo si parte. Enrico parte come un razzo verso la vittoria, me come una lumaca. Non ho avuto tempo di fare riscaldamento e ritrovo le stesse gambe che ho lasciato alla fine di 60 km di domenica scorsa. Non corro certo per vincere ma per vivere da dentro la gara che ho organizzato, per vedere se le segnalazioni sono sufficienti, per imprecarmi contro arrampicando su per il muro, per godere dei panorami, sudare, scendere a capofitto e poi dare tutto sugli ultimi divertenti saliscendi; sono stupito, è stato davvero bello, divertente e segnato benissimo; mi complimento da solo e poi lo estendo immediatamente a tutti i collaboratori che non solo hanno eseguito il compito ma, di loro iniziativa, l'hanno migliorato con piccoli accorgimenti. Arrivo settimo e terzo di categoria, posizione che soddisfa me. Dopo  mi reco vicino al traguardo ad aspettare i “vaffanculo” degli atleti stremati dalla salita del muro ma arrivano solo complimenti.
Alle premiazioni, io mi vedo che rifiuto di dare a me il premio di terzo di categoria SM50 consegnandolo al quarto. Oggi è il giorno di mi, che non vuole premi ma sorrisi e complimenti. Me, che è un po' sacchettaro, non gradisce e borbotta: “e cosa porto da mangiare a casa? Sorrisi? Non era meglio un bel pezzo di pecorino?”
A fine giornata, io, mi e me siamo stanchi ma molto soddisfatti. Ognuno ha raggiunto il suo obiettivo: io ho una storia da raccontare, la gara è riuscita davvero bene e mi sono riempito di sorrisi e complimenti e infine me la sono goduta correndo e mangiando con gusto.
Ci facciamo i complimenti. Ma non eravamo soli; non è stato il solito “menage a trois” interiore. C'era il mondo fuori, buono e bello, pieno di amici che hanno collaborato e di atleti che hanno voluto essere presenti.
Questo era "l'ultimo" trail di Capoterra ma visto il successo, io e me stiamo cercando di convincere mi ad organizzare almeno un "prequel".

venerdì 21 ottobre 2016

Sardinia Ultramarathon - spazi dilatati

2012 4h43
2013 5h09
2014 5h17
2016 5h44
Il percorso sembra sempre uguale ma si sta allungando, sempre di più, è evidente. Una dilatazione del tempo di circa 15 minuti l'anno che, di pari passo con il riscaldamento globale, sta cambiando per sempre questo pianeta.
La poco gloriosa gara del giorno prima mi ha lasciato le gambe indolenzite. Per non svegliarle, decido di calzare le scarpe-cuscino “hoka” ma non le trovo. Chi mi ha rubato le scarpe? Quelli che ieri bevevano acqua sono molto sospetti ma il colpevole sono io che le ho scordate ieri sull'auto di Nello, ormai tornato a Capoterra. Ho le adidas, abbastanza confortevoli ma che non ho mai usato per corse lunghe. Mentre mi preparo, le hoka tornano a Macomer grazie a Benedetto e Gavino ma ormai ho calzato le altre e non ho voglia di cambiarle. Le lascio al ristoro del 30esimo per emergenza. Parto con Vincenzo, dietro alla prima donna, mentre il trio di testa si allontana e il podio è fatto. Ci raggiunge Walter, l'unico insieme a me ad aver corso tutti i 90 km di Baunei. Che ci facciamo qua?
Ad ogni passo sento dolere le cosce; sono tantissimi passi e altrettanti colpi. Mi costringono a rallentare per soffrire di meno Intorno al ventesimo mi raggiungono e superano Flavio e Bruno con Luca e Emanuele. Non riesco a seguirli, fa troppo male Non si sono accorti che il pianeta si è dilatato? Lo so solo io? Non riesco a seguirli, fa troppo male. Devo continuare con la mia stupida corsetta solitaria. Che senso ha proseguire? Salita, discesa pianura, non cambia niente. Ho una sola prospettiva: finire il primo giro, cambiare le scarpe e vedere se la situazione migliora. Altrimenti ritirarmi, se ne sono ancora capace. Da quando ho terminato la TdH temo di avere perso la capacità di ritirarmi. Il dolore “insopportabile” è diventato un possibile compagno di viaggio, sgradito certo, ma quando il treno è in corsa e non puoi cambiare scompartimento te lo devi tenere. Intanto mi raggiungono anche Mario e un altro che non conosco e anche loro mi staccano. Finalmente finisce il primo giro. Cambio scarpe. Indosso le hoka ed è come mettere uno strato di gommapiuma sul martello che mi colpisce le cosce ad ogni passo. È quasi piacevole soffrire di meno. Credo che riuscirò ad arrivare ma sarà molto lunga!
Einstein scoprì che, a grandi velocità, lo spazio si dilata. Io ho scoperto che lo stesso fenomeno si ripete identico a grandi lentezze. Le strisce tagliafuoco si infilano nei ghirigori dello spazio-tempo e ne escono allungate a dismisura. L'ultima curva prima del prossimo ristoro non è mai l'ultima e i ristori compaiono all'improvviso quando ormai si è persa ogni speranza.
La percezione della realtà è deformata, e in questi spazi dilatati, mi sento formica che fa tanti passetti quasi senza avanzare.
Al ristoro del 40esimo chiedo se abbiano una birra fresca . Non ce l'hanno ma ormai è chiaro che, anche questa volta, la mia gara si è trasformata in un giro dei bar.
Il riscaldamento globale si manifesta sotto forma di “caldo” proprio qui sulle tagliafuoco intorno al monte sant'Antonio provocando fenomeni fisiologici catastrofici come “sudore”. Ogni tanto alzo lo sguardo e mi appare un panorama infinito o un bel bosco o ancora un nuraghe che non avevo mai notato. Sono sprazzi di sollievo. All'improvviso ecco uno dei carinissimi figli di Leonarda. “Cosa vuoi da bere?” “Chiedi se hanno una birra fresca” e il ragazzino corre molto più veloce di me a portare l'ordine. È il ristoro del 55esimo, l'ultimo prima dell'arrivo; una gentile signora mi porge la birra e un uomo con indosso maschera e boccaglio mi offre da mangiare. “Ma dov'è Antioco?” gli chiedo. La signora aggiunge “se finisci tutta la birra ti regalo una banana” La guardo bene … “cazzo, non ti avevo riconosciuto!” Spazi dilatati, deformazioni, riscaldamenti globali, donne uomo, questo pianeta è sempre meno ospitale ma mi viene da ridere. Non ho mai fumato una canna così stupefacente.
Non mi resta che arrivare, non vedo l'ora. All'arrivo mi aspettano festeggiamenti da eroe, birre senza fine e quella sensazione di ebrezza da fatica che fa alzare gli angoli della bocca in un sorriso permanente. L'anno prossimo il percorso sarà ancora più lungo, lo so, e soffrirò ancora di più ma non potrò perdermi tutto questo.

mercoledì 19 ottobre 2016

Sardinia Ultramarathon - il prologo

Di solito, quando un koala scende dall'albero, è perché è arrivato il periodo della riproduzione. Da questo punto di vista, anche questa volta, mi andrà buca ma io sono un koala un po' anomalo, poco poco meno peloso, e sono qui anche per la festa, per riempire di vita la mia esistenza ed è quello che, con l'aiuto degli splendidi amici di Macomer, riuscirò a fare anche questa volta.

Scarpe rotte e pur bisogna andar. Sabato due giri di 10 km per il prologo. Le gambe non stanno male ma sono ancora appesantite dall'UTSS; le scarpe si stanno squarciando ma dovrebbero resistere fino all'arrivo. Dopo i primi sei o sette chilometri, brillanti come un'argenteria dimenticata in una vetrina impolverata, sono costretto a rallentare. La vaselina non basta, ci vorrebbe il sidol. Non sono più abituato ad andare veloce e, soprattutto in discesa, schiena e cosce subiscono duri colpi da 9.8 metri al secondo quadrato. Rinuncio alla gloria e punto al podio di categoria fra i vecchietti ma devo guardarmi alle spalle. Bruno mi raggiunge al termine della discesa del primo giro, in salita si lascia staccare ma sento il suo fiato sul collo. Poi, a metà del secondo giro, sempre in discesa, Flavio mi supera a grande velocità. Sono irrigidito dal mal di schiena, le mie zampette pelose non riescono ad allungarsi e non riesco a seguirlo. All'inizio dell'ultima discesa, anche Bruno mi passa a velocità doppia. Sono entrambi forti ma finora li avevo sempre superati in gara. Un incubo! Sto ancora sonnecchiando? Chi sono diventato? Forse sono ancora sull'albero e mi devo accontentare di guardare passare la vita e del terzo posto di categoria.
In compenso, a tavola, gli esercizi di masticazione e deglutizione mi vengono in aiuto e non ce n'è per nessuno. Flavio e Bruno bevono una strana bevanda trasparente. Mi avvicino, la guardo attentamente, l'annuso e i miei sospetti diventano certezza: è acqua! Pur di battermi anche domani, sono ridotti a questo! Acqua – roba da piscina – con la pecora in cappotto! Io non sono qui per dimostrare qualcosa a qualcuno, tantomeno a me stesso. Sono qui per la festa e l'acqua la bevo facendo tecnica dorso, non ora, grazie.
Dopo pranzo, con Carletto, parliamo male dei giovani d'oggi; poi mi rifugio nel bosco in cerca di silenzio ed emozioni. Ormai il sole è tramontato ma c'è una luna strapiena, gonfia di astronauti luminosi. Intrecci di rami disegnano il cielo. Quando i canti e le urla si placano capisco che hanno imbavagliato il bardo e stanno tutti lavorando con le mandibole e dirigo i miei passi incerti fra pietre e gradini invisibili verso la colonia. Un cinghiale scappa, il bardo è legato, obelix mangia; è il secondo banchetto in poche ore; sembra che sia il compleanno di Tonino, almeno questo è quello che sussurra Antioco.
Di solito, quando un koala scende dall'albero, è perché è arrivato il periodo della riproduzione. Quando scende la notte, nelle camerate dell'ex colonia ECA serpeggia il panico. Per tranquillità di tutti, trascino la mia branda nel salone davanti al camino. Dimentico di mettere il cartello di Benedetto: “atleta a riposo. Donne, ripassate in altro momento” ma, nonostante questo, nessuna passerà.

venerdì 14 ottobre 2016

La breve vita del koala

“Da domani faccio il koala: non fanno un cazzo e vivono cent'anni”. Vale la pena provarci.
I koala non fanno altro che masticare e sonnecchiare, se non nel periodo della riproduzione. Secondo Gigi, essendomi già riprodotto a sufficienza, potrei stare anche più tranquillo e fare una vita da vecchio koala in pensione dall'attività riproduttiva.
La metamorfosi è stata immediata. Dopo l'arrivo ho passato quasi 6 ore sonnecchiando in prossimità del traguardo saldamente incuneato sul mio eucalipto ad aspettare Paolo mangiando germogli di malloreddus e foglioline di vino e guardando giù .
Ho visto Matteo detto Stefano e Cristina detta Stefano, stanchissimi ma sempre sorridenti nonostante tutto il lavoro e le imprecazioni che i maledetti organizzatori di una gara così massacrante si prendono sempre ingiustamente.
Ho visto quelli già arrivati: tutto il podio maschile con i fortissimi Marco Pajusco e Nicola Bassi e gli amici Stefano ed Enrico che, più koala di me, si addormentava in qualsiasi posto, perfino sul tavolo della giuria.
Poi, via via, vedevo quelli che arrivavano; Ivan, che rivendicava il titolo di “primo dei veri sardi” Gianni che mostrava fiero i suoi piedi a tutti: “guarda che belli, neanche una vescica, neanche un'unghia nera”, Massiccione che, non ricordando i nomi, chiamava tutti “massiccio” o, quelli con cui era in confidenza, “Stefano”. Martina, ammutolita dalla fatica con lo sguardo rivolto in dentro, a cercare dentro di sé risposte alla grande domanda “ma chi me l'ha fatto fare?”; i volontari dei vari ristori che via via rientravano dopo il passaggio di Paolo, allegri e festosi quasi come se avessero bevuto un po' di birra.
E poi ho visto arrivare Paolo al limite del tempo limite e dell'umana resistenza, che si è gustato come pochi il traguardo e i festeggiamenti riservati all'ultimo.
Il giorno dopo, ho partecipato alla gita in barca alle stupende cale del golfo di Orosei. Giusto un paio di tuffi per rinfrescare il pelo e due passi sul granitino fine fine delle cale per svegliare le vesciche plantari dal torpore, poi, sonnecchiando sul mio asciugalipto, ho visto l'altro lato della magnifica Cala luna, quello fresco e riposante. Ho visto tantissimi amici che il giorno prima erano andati via prima del mio arrivo, oggi tutti un po' koala: Tore, Giuseppe, Vincenzo e Agnese che per fare l'ultima foto stava perdendo la barca del rientro.
Ritornato sul mio albero di Capoterra ho passato dieci giorni sonnecchiando e mangiando germogli di maiale e foglioline di cannonau. Nessuna corsa notturna, nessuna discesa a rotta di collo su sentiero, solo corsette da pensionato e qualche ora di uscita sonnecchiante sul mio bicicalipto.
Il koala però ora comincia a soffrire d'insonnia; masticare non basta a far smettere di girare i cento pensieri rotondi della vita. Le zampe scalpitano e i cent'anni del koala, per fortuna, sono già finiti. È già ora di scendere dall'albero. Domani e dopodomani sarò a Macomer per la sardinia ultramarathon a correre come una gazzella, mangiare come un maiale e a riempire di vita la mia esistenza.

lunedì 10 ottobre 2016

UTSS. Il giro dei bar – seconda parte

Bar di Cala luna, ore 12:40. km 47 dell'UTSS
Dov'è la birra? Foto di Michele Loi
Il mare è al di là della laguna con la sua magnifica acqua fresca e trasparente ma i segni vanno in direzione opposta dei sogni. “Non si passa dal mare? Avrei voluto fare il bagno” “l'hai già fatto”. È vero. Sono già bagnato fradicio di sudore ma non intendevo questo. Di là il fresco del mare, di qua il caldo, umido e opprimente, riempie la magnifica e maledetta codula, illuminata da un sole inesorabile fra oleandri sabbia e sassi e chiusa da pareti altissime che immobilizzano l'aria. Non si muove una foglia, la colonna sonora di Morricone fa da sottofondo a questa scena al rallentatore che invischia anche me. Accenno qualche passo di corsa solo nei rarissimi punti in cui la sabbia è compatta o i sassi sono piatti.
Ci metto mezz'ora ad uscire dalle sabbie mobili e, arrivato all'imbocco del sentiero, mi fermo a togliere la sabbia dalle scarpe. Mi raggiunge Marta Poretti, fresca e sorridente. Sale leggera con i bastoncini. La seguo alla distanza giusta per poter scambiare qualche battuta e tenere lo spazio libero davanti per il vento in faccia ma non c'è un filo d'aria. La salita continua interminabile. Le martellate sui genitali ora sono forti e precise. Il meraviglioso e l'orrido si mescolano in un mix stupefacente. La schiuma esce dalla pelle. Il prossimo bar tarda ad arrivare, forse l'hanno spostato o forse chiuso! Le borracce sono quasi vuote e sono in astinenza: è un'ora e mezza che non bevo una birra! Per fortuna, un paio di chilometri più su del previsto, annunciato da un odore di salsiccia arrosto, purtroppo non per me, ecco il bar del 54esimo. È affollato: ora i corridori si soffermano più a lungo. Sono le due passate, abbiamo superato le 8 ore di gara, c'è stanchezza nell'aria, si appiccica alla pelle e appesantisce il culo.
Bevo una lattina di ichnusa ghiacciata, riempio una borraccia con acqua e sali che non riuscirò a bere per la nausea – col passare delle ore mi è sempre più difficile trovare qualcosa di accettabile per lo stomaco – e l'altra con acqua, cola e mezzo limone spremuto. Dal recipiente della birra rubo due cubetti di ghiaccio: uno lo metto sotto l'ascella, l'altro lo passo in faccia, sul collo, cercando di alleviare – almeno per qualche secondo, almeno in qualche minuscolo pezzetto di pelle – il disagio del caldo e riparto ancora in salita. Sono sfatto ma ancora vivo. Marta è partita e non la vedrò più, Raffaele va più o meno alla mia velocità ma ha l'aria fresca di chi non fatica. Raggiungo Dimitri che, vaneggiando, dice qualche frase memorabile. Facciamo un pezzo di strada insieme ma quando io riprendo a correre lui non ne ha la forza. Correndo raggiungo e supero anche un altro ragazzo in crisi. Le crisi degli altri mi fanno sentire più forte di quanto non sia in realtà e, sulle alette di questo piccolo entusiasmo, riesco a svolazzare come un pollo senza quasi fermarmi fino al prossimo bar.
Km 61. Dopo la solita birra, riparto correndo, fiducioso, ma il prossimo bar non arriva mai. Il percorso è sempre piacevole ma non più entusiasmante e non basta a distrarmi. Mi sembra di correre veloce ma gli spazi sono dilatati. Se prima i chilometri erano pieni di meraviglia, ora sembrano vuoti e diventano lunghissimi. Sento tuonare in lontananza, nuvole basse diventano nebbia, i paesaggi si fanno spettrali e di nuovo affascinanti e il ristoro magicamente appare.
Al bar del settantesimo, i ragazzi aprono, per me, un nuovo fusto. “Bravo! Da dove vieni?” “Capoterra” rispondo. “Sei primo dei sardi”
Ma sono sardo? Più sardo di Gervasoni e Di Cosimo ma meno dei “nativi”. Non è chiaro, però questo titolo sarebbe per me motivo d'orgoglio. Dietro chi potrebbe usurparmelo? Gianni con una delle sue mitiche “progressioni Mureddu”? Non credo, si ferma troppe volte a pisciare. Mi immagino invece “massiccione” Zanda, Ivan Sedda o Stefano Frau comparire da dietro all'improvviso. Loro hanno fatto gare durissime e ora saranno meno morti di me. Ogni tanto mi sembra di sentire voci da dietro o rumori di passi ma sono solo fantasmi. Puntare ad un posto fra i primi dieci maschi e al titolo di primo dei sardi mi serve per avere uno stimolo a spingere ancora, a tenere un passo veloce a combattere la tendenza ad afflosciarmi verso “velocità zero”. Ogni volta che un fantasma mi chiama, mi volto e rispondo con una breve accelerazione o qualche passo di corsa.
Volevo il vento in faccia e la visuale libera? Eccomi accontentato. Da quando ho visto il forte Raffaele ripartire dal ristoro e sparire nella nebbia, ho viaggiato in perfetta solitudine.
Alle 17:25 arrivo al bar del 74esimo km. Ogni ristoro è stata una festa: accoglienza calorosa, cibo e bevande e un arrivederci al traguardo e questo è il più rumoroso di tutti: urla e campanacci; meglio del bar sport la domenica pomeriggio. Bevo con gusto il brodino caldo, oltre alla birra, naturalmente. Poi devo ripartire per ritrovare altre ore di solitudine e sofferenza.
L'80esimo non arriva mai. I chilometri mi sfuggono, infiniti. Non ho ancora acceso il gps e l'unico riferimento che ho è l'altimetria sul pettorale. Continuo a guardarla ma non capisco bene dove mi trovo: è rimpicciolita un milione di volte e mi servirebbe un microscopio elettronico per vederci bene dentro. Mi nasconde saliscendi, greti di torrente, ovili, pioggia e i dentini che invece si vedono ad occhio nudo, sono mostruosi canini mastica-muscoli. Perfino la birra mi ha stufato ed è sempre più difficile trovare una buona ragione per proseguire. “Se arrivo ho 2 punti per l'UTMB … e cosa me ne faccio? Se ne raccolgo 5 vinco una pentola?” Quando finalmente arrivo al ristoro dell'ottantesimo, decido di accendere il gps, voglio vedere passare i 10 km mancanti metro per metro per avere un segno tangibile che la fine si avvicina. Il primo chilometro passa facile, su strada, anche se si sale ancora. Poi comincia la discesa. Nella penombra mi appare un pendio quasi verticale. Sul ghiaione vedo segni strani, più che passi sembrano impronte di sederi. Guardo giù per vedere se ci sono cadaveri. La terra è resa scivolosa dalla pioggia ma, per fortuna, fra tutte queste pietre di terra se ne vede poca. Mi preoccupo, seriamente, per quelli che arriveranno dopo, fra le tenebre della notte e della stanchezza.
Più in là si torna su strada e si sale di nuovo. Da un fuoristrada una voce mi incoraggia: “mancano solo 5 km”. Riaccendo la frontale. Ormai è buio e sotto si vedono le luci dei paesi. Cerco di indovinare quale sia Baunei, dov'è il traguardo ma la mente è offuscata e viaggio sperduto con lo sguardo. Rientro nel bosco in un interminabile saliscendi; ogni eternità un chilometro passa e il gps vibra emozionato. Ormai dovrei essere arrivato all'ultima discesa. Il sentiero scende fra ghiaioni, rocce a picco e alberi, che illuminati dalla frontale offrono uno spettacolo a metà fra magia e incubo.
Vedo una luce! Qualcuno vede la mia e suona i campanacci. Il sentiero sbuca sulla strada; “ultimo chilometro!” Mi dicono. Stento a crederci e infatti saranno quasi due, ma ormai è tutto facile; la strada scende comoda verso Baunei. Entro in paese e seguendo le strisce catarifrangenti, mi infilo in un cortile; mi aggiro per un paio di minuti in cerca della via d'uscita per poi capire che i catarifrangenti erano messi lì per non fare ammaccare l'auto al figlio del proprietario quando rientra ubriaco dal bar. Anch'io sto rientrando ubriaco di stanchezza da un lunghissimo giro dei bar e mi sono lasciato guidare da quelle lucine. Ricordo che in un cortile di Loculi era svanita la mia vittoria alla point to point mtb di Irgoli ma questa volta da dietro non spunta nessuno e la vittoria del titolo di “primo dei quasi sardi” è mia. Se ho fatto questo, posso fare tutto. Anche il tempo che non passa mai alla fine passa. I chilometri, i cento metri, li ho visti scorrere, goccia a goccia sul gps. Il traguardo per quanto lontano sia, prima o poi arriva. Si fa aspettare per farsi bello: tanto più è sudato quanto più è bello e questo, dopo 14 ore di attesa, è davvero magnifico. Lo prendo a braccetto, con l'indice batto due tocchetti sulla tempia, sorrido con gli occhi e inizio a cercare germogli di eucalipto.

sabato 8 ottobre 2016

UTSS. Il giro dei bar – prima parte

Piazzale della chiesa di Santa Maria Navarrese, di notte; colonna sonora degli AC/DC. Alle 6 in punto un'orda di una cinquantina di zombie con zainetto sulle spalle e lampada in fronte parte all'inseguimento di qualcuno o qualcosa. Sto ancora sognando? Non svegliatemi; questa gara la voglio fare in anestesia totale, per soffrire di meno. Il gruppo si allunga subito sulla leggera salita che porta alla parte alta di Santa Maria Navarrese. Una decina di atleti si avvantaggia e quando arrivo al sentiero non li vedo già più; solo di tanto in tanto ne vedrò ancora la traccia spettrale che si allontana sotto forma di striscia di luce nel buio della notte; in quel punto luminoso c'è la gara con Pajusco e Bassi che tirano e gli amici Enrico e Stefano che proveranno a resistere; io oggi sono già lontano e dovrò cercare altre motivazioni per faticare e soffrire verso il traguardo. Oggi mi farò il giro dei bar
Pedra longa e la striscia di luce. Foto di Fabio Moro    
Il sentiero che da Santa Maria porta a pedra longa è pulitissimo. Me lo avevano anticipato su FB: “la prima parte è pulitissima, così l'impatto col calcare sarà meno brusco” “un po' come darsi martellate sui coglioni cominciando piano piano” avevo risposto. Ma è davvero bello, martellarsi dolcemente correndo su quei saliscendi con la guglia di pedra longa che prende forme sempre meglio definite con le prime luci dell'alba. Sto correndo dietro a Giuseppe Taras e K.. “Non mi piace stare in fila. Preferisco avere spazio davanti. Voglio la libertà del vento in faccia, dello spazio libero, del passo libero, della visuale libera per vedere i panorami ed evitare gli ostacoli sul sentiero” con questi pensieri in testa inciampo e cado lungo in terra sporcandomi di terra e di uno schizzetto di sangue.
Poco dopo pedra longa inizia la salita vera. Spengo la frontale sperando, invano, di non doverla riaccendere quando scenderà la sera: mi aspetta invece una lunghissima giornata! K e Giuseppe, avanti a me hanno raggiunto altri due atleti e uno ci ha raggiunti da dietro. Mi trovo a disagio dietro al gruppetto. Potrei superarli ma il cuore traballa e mi consiglia di non farlo. Allora con la scusa di mettere la lampada nello zainetto, mi lascio sfilare riguadagnando spazio libero davanti e vento in faccia. Intanto si continua a salire e la visuale aumenta al quadrato col prodotto della luce per l'altezza. Di fronte a noi si staglia, sempre più maestosa, una parete verticale di 4 -500 metri. Quasi per caso, mi rendo conto che sto correndo su una cengia e anche sotto di me ci sono centinaia di metri di vuoto: che meraviglia!
Sulla cengia Giradili - foto di Fabio Moro  
All'undicesimo chilometro, primo ristoro, prima festa; c'è anche la birra fresca! Mi trattengo; sono le 7:30 del mattino, è ancora presto, al bar dell'ovile è ora di colazione.
Ormai siamo sull'altopiano del supramonte. Il tracciato prosegue su una carrozzabile prima in dolce salita e poi in discesa. Una freccia ci fa tornare su sentiero che ora scende veloce fino ad innestarsi su un altro sentiero. Questo lo riconosco: è quello che risale da cala goloritzé. Mi volto per cercare lo spettacolo della guglia e mi sembra di intravederla fra gli alberi ma il tracciato risale fra rocce e lecci maestosi e primitivi ricoveri per animali. Mi rendo conto di avere una piccola vescica sotto la pianta del piede destro. Cazzo è troppo presto per iniziare a soffrire! Mancano ancora più di 70 chilometri. Maledico le calze nuove e stringo la scarpa per ridurre il movimento del piede e il dolore.
Al ventunesimo chilometro ecco il secondo bar. Ora sono quasi le 9 e una birretta ci sta.
Seguendo un'indicazione turistica, con una brevissima deviazione dal percorso di gara mi affaccio su una voragine dantesca: su sterru. Impressionante. Sembra il culo del mondo!
Saltellando su pietroni per recuperare la strada, ecco la seconda caduta della mia via crucis. Mi rialzo con finta disinvoltura e inseguo il gruppetto che mi aveva superato approfittando della mia deviazione.
Altra freccia. Lasciamo la comoda carrabile che porterebbe direttamente a cala Sisine per un sentiero pietroso molto tecnico. Iniziano le vere martellate. Presto capisco il motivo della deviazione. Sento le urla di entusiasmo di Giuseppe poco avanti a me. Stiamo arrivando sul bordo del supramonte, su un terrazzo che si affaccia a picco verso il mare. Cerco il posto migliore per fare una pisciata panoramica, 200 metri di getto: la pisciata del niagara! Queste sono soddisfazioni! Mezz'ora dopo Gianni appoggerà il suo zainetto proprio lì e, sono sicuro, farà una pisciata (o almeno mezza) anche lui.
Lo zainetto di Gianni
Scendendo per una pietraia, si ritorna sulla carrozzabile lasciata in precedenza che segue la larga e lunghissima codula di sisine, correndo sinuosamente fra pareti verticali piene di buchi e di alberi in posizioni impossibili, fino a raggiungere il mare. Si corre bene, anche se la vescica del piede destro ha ora una sorellina sotto il sinistro e la spallina sinistra dello zaino ad ogni passo picchia dolorosamente contro un'abrazione alla base del collo. Poco prima delle 11 arrivo al bar di Cala Sisine, al km 37. “Come va?” “È tutto molto bello ma sono stanco” “Non puoi essere stanco, il duro deve ancora cominciare”. Bevo una birra al limone, mangio una peretta freschissima e dolce di un albero della cala, un'altra la prendo in mano per il viaggio e riparto. Al di là della bellissima spiaggia riprende il sentiero che risale un fitto bosco. Raggiungo Giuseppe che è praticamente fermo, bloccato da una crisi di fame. Cerco di incoraggiarlo raccontandogli di riprese miracolose come quella di Enrico alla Trans d'Havet ma la salita è ancora lunga, ogni tanto sembra finire ma poi riprende; sembra interminabile a me che sto relativamente bene e capisco che lui non riuscirà ad arrivare. Finalmente si scende lungo un bellissimo sentiero a tratti liscio e veloce. Dopo un tornante, cala luna si svela magnifica come una striscia bianca fra la laguna verde e il mare celeste. È mezzogiorno passato, il caldo comincia a diventare opprimente e sogno di buttarmi in mare. Dopo un ultimo tratto di discesa più pietrosa, alle 12:40 arrivo al bar della cala.
Ho corso 48 km con almeno 2km di dislivello dopo essermi svegliato alle 4 e mezza. Le motivazioni che mi hanno portato fin qui, correndo per quasi 7 ore e che mi porteranno a fare altrettanto per arrivare al traguardo devono essere davvero forti e profonde … “potrei avere una birra?”

lunedì 3 ottobre 2016

UTSS - la metamorfosi

“Da domani farò vita da koala. Non fanno un cazzo e vivono cent'anni” promette Dimitri sull'interminabile salita che dal mare porta ai mille metri dell'altopiano. Siamo intorno al 55esimo km. Sono d'accordo con lui. I koala non fanno altro che masticare e sonnecchiare, se non nel periodo della riproduzione, e io per la gara di Macomer devo solo allenare le mandibole e sonnecchiare, se non nel periodo della riproduzione.
Sembrerebbe che perfino “massiccione” Zanda, su quella salita, abbia rivendicato il diritto ad un posto sul divano di fronte alla tv ma, in quanto mito, non credo che possa andare in pensione.
Faccio la schiuma. Il caldo mi sta facendo sudare fuori tutta la birra bevuta a cala luna. Non vedo l'ora di raggiungere il prossimo ristoro, sedermi e berne un'altra bella fresca per poi fare nuova schiuma. La prima vescica plantare destra è arrivata 40 km fa e ormai fa parte dell'arredamento di questo corpo disagiato insieme alla sorellina del piede sinistro, alla piaga sul collo scavata dalla spallina dello zaino, ai numerosissimi dolori muscolari e ad una sensazione di nausea. La metamorfosi è sofferenza, si sa. Ma come sono arrivato fin lì?

Si naviga a vista. Fino a 3 giorni prima della gara non sapevo con chi andare, dove dormire, dove mangiare e cosa indossare per la gara; ero in mutande e neanche pulitissime e senza credito nel cellulare. Appena prima di partire ho fatto una sosta al negozio di abbigliamento sportivo per comprare un paio pantaloncini senza buchi, un paio di solette da 1 mm che assorbono benissimo tutta l'energia e le pietre da 25 millimetri sembrano di soli 24 e un paio di super calze che, quando le indossi, le dita dei piedi non si infilano in nessun buco. Solo le scarpe sono un po' a brandelli, per il resto sembro decentissimo. Essere disorganizzati può essere un vantaggio quando si è fra amici organizzati e generosi. Con un messaggio FB ho trovato un passaggio per andare con l'autista migliore, Paolo, che se il bar è dalla parte sbagliata della superstrada, per lui non è un problema. Non trovare posto alla cena ufficiale, poi, mi ha obbligato a cercare un “ripiego” ed accettare l'invito dell'allegra compagnia di Capoterra. Quando si tratta di mangiare sono una vera garanzia: muggine arrosto pescato la mattina stessa, malloreddus fatti in casa, panada di capra e piselli, tiramisù al cocco, biscotti e torta paradiso, vino di proprietà in abbondanza e, per finire, il mitico limoncello di Cinzia, l'ideale prima della gara, ma anche dopo. Infine ho trovato un letto, per di più matrimoniale, con il grande Enrico di Cosimo! Devo ricordarmi di chiedere il divorzio: si agita troppo nel letto.

5 e 50; mancano 10 minuti alla partenza. Enrico si guarda intorno. “Non vedo Marco Pajusco … tu l'hai visto?” Controlla gli avversari, punta al podio e fa bene. Anch'io controllo i miei avversari: la schiena, il ginocchio, il piede, lo stomaco … gli avversari più temibili sono tutti dentro di me. Poi i chilometri, il caldo e il calcare; quella roccia chiara che si lascia malleare dall'acqua assumendo forme strabilianti, a volte morbide, altre pungenti, dirupi, grotte, guglie ... è dura per gli uomini. Sarò io ad essere malleato. Prima di partire devo salutare il mio corpo, che così come lo conosco non lo ritroverò più. La testa è già andata, scavata dal calcare; forse mi cresceranno le ali o forse diventerò un koala.