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lunedì 13 maggio 2019

In crabarissa veritas

In vino veritas” scriveva Plinio il vecchio, riconoscendo la capacità del vino di sciogliere i nodi che, col passare degli anni, tendono ad aggrovigliare i percorsi mentali degli uomini. Come i fili degli auricolari, infatti, anche i pensieri passano le notti ad annodarsi nei cassetti della mente e li ritrovi al mattino con i fili logici tutti intricati. Per ripristinare la linearità della logica e sciogliere quei nodi, il vino è un buon solvente.

Ma, prima della sana bevuta, il nostro percorso alla ricerca della genuinità aveva già dato frutti succosi. Dall'essenza della vite all'essenza della vita. Allontanandosi dai vigneti del mandrolisai, in direzione di Nughedu Santa Vittoria, il territorio diventa meravigliosamente selvaggio, popolato da foreste, graniti, daini e aquile reali. Inoltrandosi in questo territorio, un monolite granitico si staglia maestoso, ergendosi per 50 metri. Ecco sa crabarissa, spettacolo magnifico e dolente.

Lacrime di pioggia e sospiri di vento hanno scavato per millenni per scolpire questo capolavoro cubista, una sorta di “guernica” naturale, espressione vivida e magnifica del dolore. Col granito non si scherza. Gli inganni non si dimenticano. Le smentite scivolano via. Espressione di verità maestosa e indelebile, così vivida che intorno ad essa è nata la leggenda della ragazza di Cabras impietrita dal dolore causato dall'inganno del suo amato.
Al di là dei significati mistici, la “veritas” si trova qui nella semplicità del rapporto uomo-natura; Il tempo si neutralizza, i gps si fermano, il trail si interrompe, non è più neanche escursione ma immersione; il tempo si è fermato qui, bloccato in un presente che persiste da millenni, intangibile; qui si rifugia, in fuga dal cinetismo moderno. L'immersione nella natura è un ritorno all'infanzia dell'uomo, alla sua essenza; si ritorna a condizioni in cui la mente serviva per superare gli ostacoli fisici e i disagi erano ripagati dalla natura stessa. In ciò, è tutto semplice, lineare, naturale. Non ci sono gli arzigogoli che riempiono le teste e possono causare smarrimenti. I soldi non servono, qui vige condivisione e scambio. Il cellulare non prende ma ciò che è lontano non ci riguarda: siamo qui, ora, ed è più che sufficiente. Questo è l'uomo e questa è la vita.
Grazie crabarissa, maestosa custode della “veritas”.
Inoltrandomi fra le dita dei piedi della crabarissa. Foto Marcella Meloni.

Paradiso terrestre. Foto Marcella Meloni

Morbido granito. Foto Marcella Meloni

venerdì 22 giugno 2018

Sa Crabarissa 2018

Sono cotto. Forse mi sono innamorato. Sicuramente sono cotto dal sole, dalla fatica, dal vino e dal cibo. Devo scappare se voglio arrivare in un posto sicuro prima di crollare. Se no, potrei restare lì, che forse il meglio deve ancora arrivare e, “chissenefrega!” lasciarmi prendere per mano e trascinare ancora nel vortice del ballo, fino a crollare. Ma parto. Mi gioco l'ultimo barlume di energia e lucidità per cercare di arrivare a casa sano e salvo, abbandonando le quadriglie. Mentre guido verso casa, il melone si aggira, rotolando sul fondo dell'auto, segnalandomi le curve pericolose, canto e ripenso alla giornata appena trascorsa. 
Tutte le foto sono di Gavino Sole. Grazie!

Dopo i 42 km a ritmo controllato di ieri a Carloforte, mi viene da andare veloce, buttarmi giù nei sentieri per ritrovare il brivido dell'adrenalina. Supero anche Mario e Mauro e scendo come un fulmine per il ripido sentiero nel bosco. Restava qualcosa nelle gambe, un po' di brio, di forza, erano ancora un po' crude e qui ho trovato gli stimoli, la compagnia e il divertimento giusto, per cuocerle a puntino. … ma tutta questa discesa non mi torna. Mi fermo e risalgo. Per fortuna hanno sbagliato tutti e non resto solo.
In quei posti e con quella compagnia meravigliosa si trova la chiave per trasformare ogni contrattempo in positivo. Anche perdersi è occasione di divertimento e Giovanni è maestro nell'offrire percorsi personalizzati.
Si arriva sparpagliati. Ognuno col suo tragitto personale, ognuno con un numero diverso di chilometri sul GPS che, magicamente, sono proprio i km previsti dalla sua tabella. Silvio conferma. E invece chi, come me e Caterina, viaggia a “polso nudo” e non ricorda il significato di “tabella”, si ritrova, giusti giusti, quelli che gli servivano all'anima. È così, giuro!
La pelle del viso e delle spalle era arrossata dalle 8 ore di esposizione di ieri ma ancora morbida. Ora la sento che cerca di staccarsi dalla carne. La immagino croccante e succulenta, come quella del maialetto che mi trovo di fronte. Anche lui è bello abbronzato. si è cotto da solo, si scioglie in bocca. Sono seduto vicino alla fonte del vino buono, Bruno, dove il bicchiere non resta mai vuoto. Niente di meglio, niente di meno. Non riesco ad immaginare qualcosa di più. La sazietà è completa. Questa mattina, mi chiedevo se non sarebbe stato meglio restare a casa a riposare … ora so la risposta. Grazie Giovanni, grazie Caterina!



Sono cotto. Forse mi sono innamorato. Sono felice. Sono sicuro che sa Crabarissa è sempre lì che mi aspetta nella sua maestosa bellezza. L'anno prossimo ballerò ancora con lei.

lunedì 9 maggio 2016

La preparazione per la maratona continua a sa Crabarissa.

Il piede è un appoggio. Si distingue dal sedere perché è più piccolo ed inutilmente complicato. E' infatti pieno di atavismi, retaggi fossili di un passato ormai lontano. Ci sono le dita, con cui non solo non si riesce a prendere niente, ma è anche difficile suonare il piano o comporre un numero di cellulare. Per non parlare delle unghie, il cui unico scopo è diventare blu quando si corre troppo. A noi corridori, basterebbe una base morbida, un sederino con due cuscinetti su cui appoggiare il peso ammortizzando l'impatto col suolo ... .
I tecnici della “Hoka” devono avere letto queste mie parole e hanno concepito le loro scarpe come morbide natiche che trasformano i piedi dei clienti in semplici e morbidi sederi: quando le calzi, correre è come stare seduto e ti puoi quasi dimenticare di avere i piedi. Dopo il lungo di venerdì, i polpacci ridotti come polpette avevano bisogno di essere dimenticati per almeno un altro giorno e ho deciso di correre con le Hoka. Il ritmo tranquillo, mi ha consentito di dimenticare anche cosce e articolazioni e, come in poltrona, concentrarmi sulla bellezza dei paesaggi. Vado, con lo sguardo, a frugare fra il susseguirsi di rocce che emergono maestose dal bosco finché come una visione compare lei, magnifica e dolente, scolpita dal soffio di un vento cubista, artista visionario, paziente e perfezionista che in millenni ha modellato il suo capolavoro: la maestosa “crabarissa”, la ragazza di Cabras pietrificata dalla leggenda.

Incantato, rischiavo di trasformarmi in zucca e di scordarmi la preparazione per la maratona. Per fortuna però, negli ultimi 4 chilometri, la forza di gravità della discesa o forse il magnetismo dell'aspettativa mi attirano, al ritmo esatto della maratona, verso il banchetto. È qui che si svela il senso della vita: scambio calorico portentoso, metabolismo accelerato, vita intensa. Sono entrato nel bellissimo gruppo di famiglia di Caterina per la porta principale, quella della sala da pranzo.


Malloreddus e riso, agnello e cinghiale, concorso di vini rossi artigianali, varietà infinite di dolci; dopo caffè, ammazzacaffè e secondo ammazzacaffè, non senza una certa esitazione, ho avuto il coraggio di dire no ad una ciambellina. E questa è la forza mentale che mi servirà ad arrivare in fondo alla maratona (o forse era puro istinto di sopravvivenza)
Grazie a Gavino Sole per le foto

lunedì 10 febbraio 2014

Sa crabarissa

Sabato – essere E non essere. Avrei voluto partecipare al trail “tacchi d'Ogliastra” ma avevo ancora qualche problemino intestinale e non volevo andare fino ad Ulassai solo per concimare i boschi: ho girato i tacchi E non ho girato i “tacchi”.

Domenica – un compleanno speciale.
La pioggia, in segno di rispetto ha smesso di cadere prima che scendessi dalla macchina e si è lasciata calpestare umilmente.
I daini mi hanno invitato a correre con loro nella libertà sconfinata di chi non ha una strada da seguire: “la prossima volta, grazie! Oggi ho una meta”. Seguiamo correndo la morbida striscia di terra bagnata che apre la macchia e aggira le rocce nelle tre dimensioni. Ci si passa la canna di endorfine e l'euforia monta.
Spettacolo “stupefacente”, come una visione compare lei, magnifica e dolente, scolpita dal soffio di un vento cubista, artista visionario, paziente e perfezionista che in millenni ha modellato il suo capolavoro: la maestosa “crabarissa”, la ragazza di Cabras pietrificata dalla leggenda.
Al rientro continua la festa, quella del calore e dell'ospitalità di Caterina e dei suoi amici che offre il meglio di sé, preparando i condimenti più gustosi e sacrificando il porchetto più tenero e saporito. Un masso enorme è apparecchiato e non ci si alza se non completamente sazi e piacevolmente brilli. Cosa avrebbero potuto darmi di più se avessero saputo che era il mio compleanno, a parte qualche stanco rituale?


Mancano solo le candeline!