giovedì 30 maggio 2019

Elighes uttiosos spring trail

Cosa significa “Elighes Uttiosos Spring Trail”? “Elighes uttiosos” sono i “lecci gocciolanti”; “spring” in inglese sta per primavera ma anche per sorgente, molla o salto. La primavera, sicuramente, non c'entra un cazzo; secchiate d'acqua ci accompagnano nel viaggio d'avvicinamento al montiferru e una pioggerella continua ci accoglie a Elighes. Si preannuncia una gara interessante.
L'acqua esalta gli odori. Prima si sente la menta, poi il profumo del timo, quasi stordente. Si sale seguendo un percorso su fondo naturale con le fettucce che guidano da una pietra all'altra per disegnare un serpentone colorato di atleti. Sono la scopa e seguo la coda del serpente. Via via quelli avanti sfumano nella foschia e i primi spariscono completamente in una coltre di nubi. Primavera?
Arrivati sull'altipiano ci aspetta una sorpresa. Ci ritroviamo nel famoso “regno dei cieli”, in mezzo alle nuvole e gli ultimi sono i primi! Ma dopo un attimo di disorientamento causato dalla segnaletica spostata e rimossa, i primi ritornano primi e gli ultimi beh, di nuovo ultimi. Non era ancora il momento. Comunque, qui nei bassifondi, questi drammi assumono un'aria di commedia; i mescolamenti biblici non ci dispiacciono.
Foto Nicola Dessì
“Spring” forse sta per “salto”. “Spring trail” potrebbe essere inteso come percorso tecnico, con salti. La primavera non c'entra un cazzo, i salti sì. Salendo a “su mulloni”, si procede infatti saltellando fra le rocce. L'acqua piovana le rende scivolose tanto che un atleta ha completato il salto atterrando col sedere sulla dura pietra e non è in grado di proseguire. Lo stanno assistendo in 4! Nicola e Gianni aspettano i soccorsi, rinunciando definitivamente alla loro gara ma, consapevoli di aver fatto qualcosa di davvero utile, sono contenti lo stesso. Melania e Tiziano proseguono, nonostante abbiano regalato almeno 20 minuti del tempo della loro gara per aiutare l'atleta infortunato. Ora, dopo la lunga sosta, sono ultimi e li accompagno con molto piacere.
Ed ecco i lecci gocciolanti. Gocciolano per la pioggia ma non solo quella di oggi, anche quella raccolta e filtrata lungo tutto l'inverno, proprio quella che ci ha bagnato al “winter trail” e che permea tutto il monte. “Spring” forse sta per “sorgente”. “Il sentiero della sorgente dei lecci gocciolanti”. Sì, forse ci siamo. La primavera non c'entra un cazzo (l'ho già detto?) la sorgente sì. È bella, copiosa, la roccia trasuda acqua che si mescola con quella piovana
Foto Tiziano Cogotti
Lasciata la sorgente, si scende nel bosco su terreno ripido e scivoloso. È una bella pista da sci. Si vedono impronte di sciatori improvvisati e si immaginano sederi per terra. Il bosco ogni tanto si apre e lascia immaginare panorami immensi ma lo sguardo si perde aggirandosi fra infinite gocce in sospensione. Dopo Tiziano e Melania, il ruolo di ultimi passa a Michela e Marisa e con loro arrivo fino al traguardo
Pioveva, non pioveva … chi se lo ricorda? Questi particolari passano in secondo piano. Forse era anche primavera. La primavera sicuramente è lì, nei sorrisi radiosi degli atleti, belli, colorati, indulgenti, pazienti, generosi, rispettosi. Si sente quella sensazione di tepore che risveglia gli ormoni, di benessere che fa sentire belli e sorridere, di libertà che fa sentire leggeri e giovani, liberi dal peso non solo dell'ultimo ma di tutti gli inverni passati. Come ha scritto Tamara, se anche il sole non si vede, lo abbiamo dentro e tanto basta a far primavera.
Ecco, trovato! “Elighes uttiosos spring trail” significa “percorso di primavera fra i lecci gocciolanti”. Ci voleva tanto?

sabato 25 maggio 2019

Sardinia Trail - L'apoteosi

Dopo il primo bellissimo sentiero a picco sul mare e una breve pausa caffè sorseggiato con i volontari di un presidio, il percorso prosegue su una sterrata che gira verso l'interno in leggera salita. Vedo un sentierino turistico con indicazione “piscinas”. Vale una deviazione? Vediamo. Dico a Giampaolo di proseguire lungo la strada da solo, che io voglio curiosare. In 200 metri raggiungo un'area picnic accanto ad un torrente. Le “piscinas” sono appena più in alto. Ecco la prima; una cascatella bassa ma ricca alimenta una bellissima piscina naturale. L'acqua mi chiama e mi ci devo buttare dentro. È troppo bello, non riesco a resistere. Vedo che più su ce ne sono altre ma sono al lavoro e non posso perdere altro tempo. È finita la licenza. Sono di servizio scopa e non posso abbandonare i miei atleti. Mi rimetto scarpe e zainetto, prendo in mano la maglietta e riparto di corsa. La salita tira e raggiungo velocemente Giampaolo che sta camminando. Più su comincia un tratto di 4 km di strada forestale quasi pianeggiante, una balconata che si affaccia a 400m di quota, sulla costa orientale. Sarebbe tutta da correre ma lui non ci riesce. È la terza tappa e sente le gambe dure. Solo ogni tanto accenna una corsetta ma poi si ferma a camminare. Sono impaziente, ho paura che di questo passo finiremo molto tardi. Temo per il tempo massimo e per tutti gli atleti e gli organizzatori che ci dovranno aspettare. A me poi dispiacerebbe arrivare quando quasi tutti fossero già andati via, senza riuscire a salutare gli amici. Cerco di non fargli percepire la mia impazienza e di distrarmi guardando il panorama. Quattro anni fa avevo corso questo tratto in compagnia di Marco Olmo, oggi sono con Giampaolo Darsiè alias “nonno Plutonio”, atleta trevigiano di 73 anni. Finalmente inizia la salita, dove, inserendo la spinta dei glutei, avevo staccato di qualche metro il grande Marco, fino al ristoro in cui ricordo che mentre mi facevo riempire il camelbak, mi aveva raggiunto e, riempiendo la borraccia al volo, senza fermarsi, mi aveva lasciato lì a guardarlo andare via. Anche Giampaolo parte prima di me. Ha già in mente il tatuaggio che si farà per celebrare la sua impresa; ha ancora un posto libero sul polpaccio da marchiare con i quattro mori.
In discesa si riprende e sul terreno tecnico va bene e, da mezz'ora che avevamo al ristoro, ci avviciniamo a soli 5 minuti dalla coppia di giovani tedeschi che ci precede. Le gambe ora girano e riesce finalmente a correre. Mi fermo al presidio del soccorso alpino perché non risulta passato un atleta. Dopo aver chiarito la situazione, parto all'inseguimento e mentre lo sto raggiungendo, lo vedo cadere. Si rialza con un gomito sanguinante e escoriazioni ad un ginocchio. “Aspettiamo che passi il mezzo del soccorso alpino …” “no, non perdiamo tempo”. Si versa l'acqua della borraccia sulla ferita e riparte. Non c'è tempo, stiamo inseguendo i tedeschi. Poco dopo, inizia l'ultima salita. Non è lunga ma sono comunque più di 100 metri di dislivello. Fa caldo. Si ferma un attimo. Si siede. Poi butta la testa all'indietro dove non c'è appoggio. Lo reggo. Capisco che ha un calo di pressione. Lo sa anche lui. Gli offro un gel che avevo raccolto in terra, caduto ad un atleta, ma lo rifiuta. La salita non è finita. Si rialza. “Vai piano, abbiamo tutto il tempo per arrivare entro le 6 ore del tempo massimo ed è meglio arrivarci vivi”. Riparte ma dopo qualche centinaio di metri si risiede e si butta indietro di nuovo. Gli reggo la testa e gliela appoggio dolcemente su sassi e cespugli. Controllo che sia cosciente. “Chiamo aiuto?” “No”. Gli alzo le gambe per agevolare l'afflusso del sangue al cervello. Giampaolo ha letto i libri di Marco e ne trae ispirazione. Non sono eroi, l'eroismo è un'altra cosa; l'eroe si sacrifica per uno scopo nobile. Qui manca lo scopo. Resta la capacità di sacrificio che, in mancanza di fanciulle da salvare dai draghi, si sfoga in questi atti di “autoeroismo”. Riparte e io lo seguo da molto vicino, pronto a sorreggerlo. Dopo aver ripetuto, altre due volte, una scena analoga, finalmente, la salita finisce. In lontananza si scorge l'arrivo. “Devi arrivare in spiaggia in buone condizioni che se ti vedessero crollare verrebbero a riprenderti con l'ambulanza”. Non c'è bisogno. Nonno Plutonio si è ripreso. Appena arrivato in spiaggia si toglie le scarpe. Non si cura dei sassolini che scalfiscono la pelle della pianta del piede. Dopo qualche minuto di camminata in spiaggia, decido anch'io di togliermi le scarpe e, visto che ci sono, di fare un breve tuffo nel frizzante mare ogliastrino. Qui, 4 anni fa, vedevo Marco Olmo circa 200 metri avanti a me e avrei voluto raggiungerlo per arrivare insieme e fargli un inchino all'arrivo ma Marco è tenace, solitario e non ama queste smancerie; mi ero avvicinato ma senza riuscire a raggiungerlo. Giampaolo invece non scappa. Da lontano non si vede nessuno. Solo l'arco. Saranno già partiti tutti? Solo quando arriviamo a cento metri dall'arco, sento la voce di Andrea che annuncia il nostro arrivo e la terrazza si popola improvvisamente; tutti gli atleti sono lì, in piedi ad applaudire. Che emozione! Sembra l'apoteosi. Mi sento quasi in paradiso. Il resto lo fa la birra.

lunedì 13 maggio 2019

In crabarissa veritas

In vino veritas” scriveva Plinio il vecchio, riconoscendo la capacità del vino di sciogliere i nodi che, col passare degli anni, tendono ad aggrovigliare i percorsi mentali degli uomini. Come i fili degli auricolari, infatti, anche i pensieri passano le notti ad annodarsi nei cassetti della mente e li ritrovi al mattino con i fili logici tutti intricati. Per ripristinare la linearità della logica e sciogliere quei nodi, il vino è un buon solvente.

Ma, prima della sana bevuta, il nostro percorso alla ricerca della genuinità aveva già dato frutti succosi. Dall'essenza della vite all'essenza della vita. Allontanandosi dai vigneti del mandrolisai, in direzione di Nughedu Santa Vittoria, il territorio diventa meravigliosamente selvaggio, popolato da foreste, graniti, daini e aquile reali. Inoltrandosi in questo territorio, un monolite granitico si staglia maestoso, ergendosi per 50 metri. Ecco sa crabarissa, spettacolo magnifico e dolente.

Lacrime di pioggia e sospiri di vento hanno scavato per millenni per scolpire questo capolavoro cubista, una sorta di “guernica” naturale, espressione vivida e magnifica del dolore. Col granito non si scherza. Gli inganni non si dimenticano. Le smentite scivolano via. Espressione di verità maestosa e indelebile, così vivida che intorno ad essa è nata la leggenda della ragazza di Cabras impietrita dal dolore causato dall'inganno del suo amato.
Al di là dei significati mistici, la “veritas” si trova qui nella semplicità del rapporto uomo-natura; Il tempo si neutralizza, i gps si fermano, il trail si interrompe, non è più neanche escursione ma immersione; il tempo si è fermato qui, bloccato in un presente che persiste da millenni, intangibile; qui si rifugia, in fuga dal cinetismo moderno. L'immersione nella natura è un ritorno all'infanzia dell'uomo, alla sua essenza; si ritorna a condizioni in cui la mente serviva per superare gli ostacoli fisici e i disagi erano ripagati dalla natura stessa. In ciò, è tutto semplice, lineare, naturale. Non ci sono gli arzigogoli che riempiono le teste e possono causare smarrimenti. I soldi non servono, qui vige condivisione e scambio. Il cellulare non prende ma ciò che è lontano non ci riguarda: siamo qui, ora, ed è più che sufficiente. Questo è l'uomo e questa è la vita.
Grazie crabarissa, maestosa custode della “veritas”.
Inoltrandomi fra le dita dei piedi della crabarissa. Foto Marcella Meloni.

Paradiso terrestre. Foto Marcella Meloni

Morbido granito. Foto Marcella Meloni