In discesa si riprende e sul terreno
tecnico va bene e, da mezz'ora che avevamo al ristoro, ci avviciniamo
a soli 5 minuti dalla coppia di giovani tedeschi che ci precede. Le
gambe ora girano e riesce finalmente a correre. Mi fermo al presidio
del soccorso alpino perché non risulta passato un atleta. Dopo aver
chiarito la situazione, parto all'inseguimento e mentre lo sto
raggiungendo, lo vedo cadere. Si rialza con un gomito sanguinante e
escoriazioni ad un ginocchio. “Aspettiamo che passi il mezzo del
soccorso alpino …” “no, non perdiamo tempo”. Si versa l'acqua
della borraccia sulla ferita e riparte. Non c'è tempo, stiamo
inseguendo i tedeschi. Poco dopo, inizia l'ultima salita. Non è
lunga ma sono comunque più di 100 metri di dislivello. Fa caldo. Si
ferma un attimo. Si siede. Poi butta la testa all'indietro dove non
c'è appoggio. Lo reggo. Capisco che ha un calo di pressione. Lo sa
anche lui. Gli offro un gel che avevo raccolto in terra, caduto ad un
atleta, ma lo rifiuta. La salita non è finita. Si rialza. “Vai
piano, abbiamo tutto il tempo per arrivare entro le 6 ore del tempo
massimo ed è meglio arrivarci vivi”. Riparte ma dopo qualche
centinaio di metri si risiede e si butta indietro di nuovo. Gli reggo
la testa e gliela appoggio dolcemente su sassi e cespugli. Controllo
che sia cosciente. “Chiamo aiuto?” “No”. Gli alzo le gambe
per agevolare l'afflusso del sangue al cervello. Giampaolo ha letto i
libri di Marco e ne trae ispirazione. Non sono eroi, l'eroismo è
un'altra cosa; l'eroe si sacrifica per uno scopo nobile. Qui manca lo
scopo. Resta la capacità di sacrificio che, in mancanza di fanciulle
da salvare dai draghi, si sfoga in questi atti di “autoeroismo”.
Riparte e io lo seguo da molto vicino, pronto a sorreggerlo. Dopo
aver ripetuto, altre due volte, una scena analoga, finalmente, la
salita finisce. In lontananza si scorge l'arrivo. “Devi arrivare in
spiaggia in buone condizioni che se ti vedessero crollare verrebbero
a riprenderti con l'ambulanza”. Non c'è bisogno. Nonno Plutonio si
è ripreso. Appena arrivato in spiaggia si toglie le scarpe. Non si
cura dei sassolini che scalfiscono la pelle della pianta del piede.
Dopo qualche minuto di camminata in spiaggia, decido anch'io di
togliermi le scarpe e, visto che ci sono, di fare un breve tuffo nel
frizzante mare ogliastrino. Qui, 4 anni fa, vedevo Marco Olmo circa
200 metri avanti a me e avrei voluto raggiungerlo per arrivare
insieme e fargli un inchino all'arrivo ma Marco è tenace, solitario
e non ama queste smancerie; mi ero avvicinato ma senza riuscire a
raggiungerlo. Giampaolo invece non scappa. Da lontano non si vede
nessuno. Solo l'arco. Saranno già partiti tutti? Solo quando
arriviamo a cento metri dall'arco, sento la voce di Andrea che
annuncia il nostro arrivo e la terrazza si popola improvvisamente;
tutti gli atleti sono lì, in piedi ad applaudire. Che emozione! Sembra l'apoteosi. Mi sento quasi in paradiso. Il resto lo fa la birra.
sabato 25 maggio 2019
Sardinia Trail - L'apoteosi
Dopo il primo bellissimo sentiero a
picco sul mare e una breve pausa caffè sorseggiato con i volontari
di un presidio, il percorso prosegue su una sterrata che gira verso
l'interno in leggera salita. Vedo un sentierino turistico con
indicazione “piscinas”. Vale una deviazione? Vediamo. Dico a
Giampaolo di proseguire lungo la strada da solo, che io voglio
curiosare. In 200 metri raggiungo un'area picnic accanto ad un
torrente. Le “piscinas” sono appena più in alto. Ecco la prima;
una cascatella bassa ma ricca alimenta una bellissima piscina
naturale. L'acqua mi chiama e mi ci devo buttare dentro. È troppo
bello, non riesco a resistere. Vedo che più su ce ne sono altre ma
sono al lavoro e non posso perdere altro tempo. È finita la licenza.
Sono di servizio scopa e non posso abbandonare i miei atleti. Mi
rimetto scarpe e zainetto, prendo in mano la maglietta e riparto di
corsa. La salita tira e raggiungo velocemente Giampaolo che sta
camminando. Più su comincia un tratto di 4 km di strada forestale
quasi pianeggiante, una balconata che si affaccia a 400m di quota,
sulla costa orientale. Sarebbe tutta da correre ma lui non ci riesce.
È la terza tappa e sente le gambe dure. Solo ogni tanto accenna una
corsetta ma poi si ferma a camminare. Sono impaziente, ho paura che
di questo passo finiremo molto tardi. Temo per il tempo massimo e per
tutti gli atleti e gli organizzatori che ci dovranno aspettare. A me
poi dispiacerebbe arrivare quando quasi tutti fossero già andati
via, senza riuscire a salutare gli amici. Cerco di non fargli
percepire la mia impazienza e di distrarmi guardando il panorama.
Quattro anni fa avevo corso questo tratto in compagnia di Marco Olmo,
oggi sono con Giampaolo Darsiè alias “nonno Plutonio”, atleta
trevigiano di 73 anni. Finalmente inizia la salita, dove, inserendo
la spinta dei glutei, avevo staccato di qualche metro il grande
Marco, fino al ristoro in cui ricordo che mentre mi facevo riempire
il camelbak, mi aveva raggiunto e, riempiendo la borraccia al volo,
senza fermarsi, mi aveva lasciato lì a guardarlo andare via. Anche
Giampaolo parte prima di me. Ha già in mente il tatuaggio che si
farà per celebrare la sua impresa; ha ancora un posto libero sul
polpaccio da marchiare con i quattro mori.
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