Trans 2 – time 4:53, place 1526
Nel naufragio degli ultimi chilometri
della frazione di bici, avevo come riferimento un ciclista in maglia
gialla; non era Froome, ma l'unico che si lasciasse avvicinare da me.
La vista offuscata dalla stanchezza non mi aveva fatto riconoscere
l'amico Davide e solo dopo essere sceso di sella a mezzo metro da
lui, l'ho riconosciuto. Mi sono stupito di vedermelo accanto;
l'ultima volta che eravamo usciti in bici insieme era più in forma
di me e anche se era partito 10 minuti dopo, pensavo fosse molto più
avanti. Ma questa gara è troppo lunga da prevedere. Zoppicando verso
il tendone, scambiamo 2 parole, solo due che siamo entrambi esausti.
La volontaria mi chiede se voglio una
spalmata di crema solare. Ecco, sto morendo e mi offre l'estrema
unzione … non è ancora giunta la mia ora e la rifiuto. Mi siedo.
Ho comprato i lacci elastici per calzare più velocemente le scarpe
da corsa, ma le indosso con estrema lentezza. Ho i piedi ancora in
fiamme e non ho fretta di alzarmi, anzi! La volontaria mi guarda
preoccupata aspettando di raccogliere le mie cose. Mi vede così
lento che mi chiede se vada tutto bene. Sono stanco, rispondo.
Finalmente mi alzo, le chiedo acqua per sciacquarmi le mani ancora
impiastrate di gel e cammino verso l'uscita della zona cambio. Provo
due passi di corsa, torno a camminare ma appena uscito dalla zona
cambio riprendo a correre.
Run – time 3:35:42, place 218
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Foto di Antonella Frau |
Mi sono bastati 100 metri per
sciogliere i piedi, altri 100 per schiena e cosce ed eccomi rinato.
Riesco a spingere bene senza eccessivo sforzo ma … dov'è finita la
stanchezza, lo sfinimento, dove sono i dolori insopportabili di poco
fa? Sparito tutto. Merito del DNA? Forse. Di sicuro ho un altro passo
rispetto a tutti quelli intorno a me che supero con facilità.
Raggiungo presto Davide che si era avvantaggiato nel cambio ma
neanche lui, che pure è un runner di livello pari al mio, riesce a
seguirmi. Non ho strumenti di misura e devo controllare la
respirazione per evitare di spingere troppo. Ho paura che vada come
la frazione di bici: divertimento fino a metà e poi sofferenza.
Intanto però mi diverto. Nonostante il caldo, i chilometri passano
veloci. Il numeroso pubblico apprezza il mio passo sciolto e il mio
nome straniero e ricevo moltissimi incitamenti; fanno sempre piacere,
ancor più ora che li merito e li sento miei personali. Ogni due
chilometri circa c'è un ristoro, spugne fresche, bibite varie,
frutta e dolci. Rallento, bevo qualcosa e in pochi secondi riparto.
Il percorso raggiunge il canale, una stretta pista sterrata da
percorrere a “bastone” su cui si incrociano gli atleti che
corrono in direzione opposta. Sporadiche nuvole offrono qualche
istante di sollievo dal caldo. Sento un dolorino dietro la coscia
destra, come una piccola contrattura, ma le gambe continuano a
spingere bene; i pochi che mi superano sono tutti staffettisti.
Intorno al decimo chilometro, comincia però a farmi male la pancia.
Ogni passo fa sobbalzare dolorosamente l'intestino. I professionisti
cagano nel body senza fermarsi. I semi-professionisti si fermano sul
bordo del percorso di gara e non si puliscono. Io che sono un
dilettante ho bisogno di privacy e comfort. Dopo il ristoro del
dodicesimo chilometro per fortuna vedo un bagno chimico subito fuori
dal percorso di gara. Mi infilo dentro, goffamente sfilo il body
facendo cadere le cose che avevo in tasca, le raccolgo con un certo
disgusto, mi siedo, produco, faccio un altro tentativo ma mi mancano
le parole crociate … mi pulisco, mi rialzo, mi rivesto e dopo oltre
due minuti sono fuori. Riparto e, con grande sollievo non sento più
dolore: mi sento rinato per la terza volta. Nei paesi, oltre ai
ristori ufficiali, ci sono bimbetti che offrono spugne imbevute
d'acqua per rinfrescarsi. Raccolgono da terra quelle usate e le
ributtano nell'acqua. È comunque un piacere prenderle dalle loro
manine guardando le loro espressioni serie serie. Fra le centinaia di
“Super Lorenzo”, ne sento qualcuno particolarmente acceso e
riconosco, in diversi punti del percorso, i vari componenti della
famiglia che ci ha ospitato. Li saluto con gioia. Sono contento che
vedano quanto sono bravo. Non dura tantissimo però e intorno al
ventiquattresimo mi devo fermare di nuovo. Questa volta non ci sono
bagni chimici e devo trovarmi un cantuccio riservato nel boschetto
che si arrampica a lato del canale. Non è comodo. La posizione
accovacciata sul ripido pendio mi fa venire anche un crampo alla
coscia. Inutile dire che le cose che avevo in tasca cadono di nuovo.
Esco dal boschetto dopo 3-4 minuti in condizioni migliori ma non
perfette: un po' di fastidio è rimasto. La stanchezza comincia a
farsi sentire e ai ristori non so bene cosa prendere per non irritare
ulteriormente l'intestino. Per provare qualcosa di solido metto in
bocca un pezzo di torta di riso. È una specie di gnocco di cemento, immasticabile – altro che ciccioneddas. Forse avrei dovuto
sputarlo, invece mi sono impegnato in una faticosissima operazione di
masticazione che è durata almeno un chilometro prima del
deglutimento. Inghiottito il mostro riprendo a correre ad un buon
ritmo. Mancano poco più di dieci km. Comincio a sentire, ad ogni
passo, il rumore dell'intestino che rimbalza nella pancia pieno di
liquidi ma il malessere è sopportabile e sapere il traguardo sempre
più vicino me lo rende più leggero. In leggera discesa, si torna
verso Roth, incrociando atleti che hanno iniziato a correre da poco.
Finalmente incrocio Andrea. Per un attimo penso che anche lui sia
appena partito per la corsa: “che ci fai tu lì?” Gli chiedo.
“Come, che ci faccio ...”. Capisco subito che in realtà era
davanti a me, lui invece si confonde e dovrà chiedere a due persone
per rassicurarsi di non aver sbagliato. Non pensavo di metterlo in
crisi. Ultimi tre chilometri. Ormai è fatta. Prima del traguardo
però c'è ancora il caratteristico giro della piazza, lungo i
tavoloni dove il pubblico beve birra e applaude. Sento addosso tutta
la stanchezza e le energie ridotte al lumicino a causa dei problemi
digestivi. Ne ho ancora però per allungare il passo e fare un
ingresso trionfale nello stadio; il giro di pista è troppo corto
o io sono troppo veloce e arrivo al traguardo con la sensazione di
non essermelo gustato appieno. Alzo gli occhi al cronometro ma sta
scandendo i tempi di altri atleti appena arrivati. Alzo le braccia ma
non vedo il fotografo; cerco con gli occhi Andrea, ma si è già
spostato. Mi siedo, bevo una birra ma è analcolica, cerco invano di
inghiottire il dolcetto offerto all'arrivo e comincio a tremare.