martedì 31 marzo 2020

Covid19 – la mia piccola idea per il futuro remoto.


L’idea della clusterizzazione descritta qui:  (link) non nasce per caso. Credo sia un buon punto di partenza per ripensare anche al dopo-virus e riportare equilibrio in un mondo dominato dal caos.

Viviamo in un sistema instabile, iperdinamico, dominato dai vortici dell’economia che siamo tutti chiamati a far girare. Basta allora una qualsiasi variabile impazzita, anche minuscola come un virus, per mandare in crisi il sistema e travolgere le nostre vite, fisicamente, socialmente o psicologicamente. Per uscirne, bisognerebbe provare a cambiare il sistema, a riprenderne il controllo per ritrovare condizioni di equilibrio.
L’equilibrio comporta stazionarietà, che non vuol dire immobilità ma movimenti lenti e controllati. La fluido-dinamica insegna che, per limitare fluttuazioni e turbolenze, bisogna aumentare la “viscosità” del sistema, ovvero la forza delle interazioni locali. Dal punto di vista sociale, ciò significherebbe aumentare le relazioni con i nostri prossimi e l’attaccamento al territorio.
Mi viene da pensare ad un’organizzazione sociale a “cluster”, in cui quasi tutta la socialità diretta avvenga all’interno di una cerchia di persone ben definita territorialmente e in questo stesso territorio si producano buona parte delle risorse, dall’agro-alimentare all’energia. L’anima dell’uomo – le idee, la cultura, il progresso – invece viaggerebbe liberamente in tutto il pianeta, con la sua leggerezza immateriale veicolata dalla tecnologia.
Ridurre drasticamente i viaggi non vuol dire rinunciare a curiosità e conoscenza di ciò che è fuori. Credo si possa conoscere meglio un posto, la sua cultura e la sua gente, imparando la loro lingua e comunicando in remoto con loro, entrando nelle loro case o cavalcando le loro montagne con occhi e orecchie virtuali, piuttosto che andando in un villaggio turistico. Mancherebbero gli odori i sapori e le sensazioni della pelle ma forse potremmo rinunciarci o forse in futuro la tecnologia potrebbe aiutarci anche in questo.
Equilibrio vuol dire anche minimizzare gli spostamenti delle risorse. Vuol dire che quasi sicuramente dovremo rinunciare a molti beni materiali ma che altre parti del mondo ne avrebbero di più. Ricordiamo, fino all’altroieri, la migrazione di uomini che seguiva la migrazione delle risorse; non diminuirebbero solo i viaggi di piacere ma anche quelli della disperazione.
L’equilibrio, ovviamente, dovrebbe esserci anche nel bilancio con le risorse del pianeta, energetiche in primis, ma questo è già stato ampiamente detto e ripetuto da altri.
Equilibrio vuol dire anche ripensare all’organizzazione sociale. I soldi e l’economia dovrebbero tornare ad essere una modalità di scambio e non uno scopo di vita. Se la società è fondata sul lavoro, allora, il “lavoro” a cui si fa riferimento non dovrebbe essere più inteso come tutte le attività che fanno girare il gran vortice maledetto dell’economia ma come quelle che fanno funzionare la società. Cuocere il pane ma anche fare figli ed educarli; produrre farmaci e curare i malati ma anche diminuirne il numero organizzando attività sportive. Pensate solo al valore sociale inestimabile che ha una maternità e invece a come viene considerata ora per il solo fatto di non essere fonte di reddito. L’equilibrio fra i sessi verrebbe raggiunto molto più naturalmente valorizzando la maternità piuttosto che imponendo una percentuale femminile in inutili attività manageriali.

L’equilibrio del pianeta si può raggiungere però solo se ne troviamo uno personale, se riusciamo ad essere più attaccati alla realtà, alla nostra fisicità, a goderci quello che abbiamo intorno e a capire che si vive meglio con poche risorse ma con tutto il tempo per usarle bene che nella frenesia di ammucchiare roba senza neanche avere il tempo per utilizzarla.

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