martedì 10 dicembre 2019

Trail delle miniere - 46 km e 50 selfie di dislivello.



Le due scope e l'atleta - foto di Agnese Casu
Agnese mi cerca nel parcheggio del Brico di Elmas. Dobbiamo andare ad Iglesias per fare le “scope” alla 45 km del “trail delle miniere” e abbiamo deciso di fare insieme anche la strada in auto. “Dove sei?” Io la sto aspettando al parcheggio del supermarket di Assemini. Poco male, ce la faremo. L’alba ci sorprende sulla statale 130. Arriviamo alle 7 e mezz’ora dopo siamo già partiti.
Sa macchina becia

200 metri dopo, Agnese si ferma in preda dal panico. “Non trovo il cellulare!” Senza cellulare, impossibile fare i 50 selfie previsti. Io invece ho scordato il gps con la traccia registrata ecc. Meno male che oggi siamo due scope, perché in due riusciamo a completare un cervello normale. Comunque, il suo cellulare salta fuori, il mio gps no. Pazienza. Andiamo, che gli atleti sono in fuga!
Attraversiamo la strada asfaltata all’inseguimento di Priamo e Francesca che raggiungiamo poco dopo. Inizia la prima salita e ad un bivio mancano i nastri segnaletici. Priamo ha la traccia e lo seguiamo. Dopo qualche centinaio di metri, i nastri riprendono. Ne stacco due metà e scendo a metterli dove mancavano, per quelli della 30 che devono ancora passare da lì. L’operazione mi fa perdere una decina di minuti e devo correre all’inseguimento. Raggiungo Francesca ed Agnese poco prima di sa macchina becia – imponente edificio minerario che, sia pure in rovina, porta i segni della prosperità passata – giusto in tempo per spararci i primi selfie. Priamo, intanto, è partito in fuga e lo rivedremo solo al traguardo. “Noi siamo le scope, lei è l’atleta”. Il percorso alterna lunghi tratti di strade minerarie, dove avanziamo con una corsa molto tranquilla, a brevi intermezzi su sentieri pietrosi e ripidissime tagliafuoco dove si procede con estrema lentezza. Ho tempo di guardarmi intorno, scendendo anche nei particolari: i funghi, le pietre … . I funghi non li raccolgo, perché non sarebbe stato professionale partire col cestino. Le pietre, invece, entrano bene nel mio zainetto da trailer-scopa e la discesa di monte san Giovanni ora ha tre pietre in meno e io ho tre pietre in più.
Mi fermo a parlare con volontari e organizzatori: prima con Aldo, poi bevo una birra con Carlo, poi due chiacchiere con Stefano. Il paesaggio collinare offre viste stupende sulla costa dell’iglesiente, da sant’Antioco a Masua, ed è costellato di rovine, insieme maestose e terribili nel loro aspetto post-apocalittico, resti di una crisi che come una guerra ha lasciato cumuli di detriti. Sono vestigia di un’economia che ha devastato il territorio sia pure con qualche suggestione di grandezza che si vuole valorizzare come “archeologia mineraria”. Quest’aria post-industriale mi affascina e disturba al tempo stesso e mi appare come un’enorme cicatrice lasciata dall’uomo sul territorio. Dopo il 30esimo km, si arriva alla salita più importante. Ora si va in montagna. Il bosco ci avvolge piacevolmente e le rovine, presenti anche qui, sono ormai parte del bosco; qui la natura sta completando il suo ciclo, riprendendosi gli spazi e mi fa sentire più a mio agio.
La salita è lunga e a tratti anche dura. Guardo Francesca; è a pezzi ma i suoi pezzi continuano ad avanzare. Mi guardo in tasca cercando, senza successo, le chiavi del cancello orario delle 15:30. Ne parlo con Agnese, la dobbiamo fare arrivare: ce la può fare sia pure oltre il tempo massimo. Sguardo fisso al gps che ho dimenticato in auto pochi selfie e … marciare! Al cancello abbiamo più di mezz’ora di ritardo. I volontari non sanno bene come agire e intanto lei è già ripartita. Cosa facciamo? È già partita. Eh già. Non vi preoccupate, mi prendo io la responsabilità.
E mentre Francesca si spegne, Agnese si accende. La radio trasmette canzoni italiane con la voce di
Agnese, sempre più euforica. La sua energia inesauribile non può esplodere in una corsa veloce ma le esce da tutti i pori e le si spande intorno, trasmettendo allegria. In due, oltre a fare un cervello, facciamo il servizio scopa perfetto, sicuro ed accogliente. Si va avanti fra qualche selfie e un paio di trallallero, con lo sguardo fisso al gps che ho dimenticato in auto. Passando accanto al poligono sentiamo prima i botti degli spari e l’odore dalla polvere da sparo, poi i fischi dei proiettili. La radio interrompe la musica per trasmettere un comunicato importante: “Non ci sparate!” E parte la tregua. Francesca continua ad avanzare ma somiglia sempre più ad uno zombie; per fortuna è vegetariana e non ci fa paura. Intanto il sole tramonta, il tramonto finisce in una pozzanghera e poco dopo siamo arrivati. Sono già andati quasi tutti via, ma i pochi rimasti ci riservano un’accoglienza regale.
Qui, in fondo al gruppo, non si fa solo il percorso di gara. È come quando da ragazzi ci si rifugiava nei sedili dietro del pullman per far casino lontano dagli sguardi dell’autista; qui le occhiate storte e i mormorii di disapprovazione delle madame sedute nelle prime file arrivano attutite. Il sedile dietro arriva per ultimo ma arriva, viaggiando con leggerezza e poco meno di 10 ore di trail sono volate via così, come una canzone. Grazie Stefano, Luigi, Carlo e tutti gli altri per aver organizzato questa bella manifestazione e per avermi invitato a farne parte. Grazie Agnese e Francesca per la splendida compagnia. Spero che l’anno prossimo riusciremo a replicare con questa stessa formazione. Nei selfie c’è ancora spazio per un paio di facce … chi si unisce a noi?

giovedì 14 novembre 2019

Buoni e cattivi

Si parla tanto di buoni e cattivi. La definizione è ovvia: se uno agisce per il “vivere bene” di sé e degli altri è buono. Chi invece agisce contro è cattivo (o fesso se non lo fa apposta). Punto. Com’è ovvio dalla definizione, più sono i “buoni”, più si vive meglio.
I cattivi sono gli egoisti, i paurosi, i rancorosi e il colesterolo LDL; i buoni invece sono gli altruisti, i generosi e il colesterolo HDL.
Tutto il dibattito su buoni e buonisti, su dove si trovino i confini dell’altruismo e se difenderli col filo spinato, sulle diete ipo e iper, sulle vene che si otturano e i coglioni che si riempiono si può ridurre ad un semplice principio etico: “se il colesterolo buono supera quello cattivo, si muore lo stesso ma si va in paradiso”.

lunedì 11 novembre 2019

Corri Molentargius - Una bellissima giornata di pioggia.

Foto di Sonia Siddi
2018
Per uscire dalla “zona notte” sono costretto ad aggrapparmi alla ringhiera delle scale. Ho anche mal di gola e mi cola il naso. Forse farei meglio a restare in zona notte ad aspettare il prossimo tramonto ma lì fuori, in zona giorno, ci sarà “una bellissima giornata di sole, di sport, di festa …”.

2019
Domenica mattina, alle 6:30 ho già lasciato la “zona notte” per un viaggio di sola andata. Non sono ancora iscritto alla “corri Molentargius” e non so se farlo. C’è allerta meteo e, per vedere quanto le prospettive di pioggia fossero probabili, mi sono messo davanti al computer ad osservare macchie gialle che si allargano su mappe satellitari. Poi, appurato che la pioggia sarebbe stata una certezza, dovevo decidere se mi andasse di correre sotto la pioggia. Ho immaginato i piedi che entrano nelle pozzanghere, il fango che schizza e la fresca acqua piovana che scorre sulla pelle penetrando attraverso i vestiti … e ho deciso di partecipare. “Sarà una bellissima giornata di pioggia, di sport, di festa …”
La realtà non smentisce le previsioni e prima della partenza sta già diluviando. Gavino decide la strategia: restiamo in auto fino a 5 minuti prima della partenza, poi corriamo dal parcheggio fino allo start. E, puntualissimi, alle 9:55, io, Bruno e Gavino usciamo di corsa dall’auto. Arriviamo giusto in tempo per qualche saluto e per osservare la bizzarra fauna di podisti alla linea di partenza:
Valentina correrà con l’ombrello, Luca con l’impianto stereo nello zaino a sparare decibel, altri partono insaccati come salsicce, altri ancora paiono voler essere assolutamente sicuri di non inseminare nessuno.
Correte, che sta per piovere!
È bello correre in spinta, con i piedi che sollevano schizzi di fango e il bocchettone semiaperto per far entrare aria in abbondanza. Non sono allenato per questo e l’andatura non è molto veloce ma il gesto mi dà gusto. Dopo un paio di km mi tolgo la giacchetta e la lego elegantemente alla vita. Sono caldo a sufficienza per sentire l’acqua fresca che scorre sulla pelle senza congelarmi. Smetto anche di evitare le pozzanghere che se anche arrivo a casa infangato il papà non mi sgrida, perché il papà ora sono io.
Al bivio per la non-competitiva, sono già un po’ stanco ma non abbastanza da battere in ritirata e giro a destra seguendo il flusso principale.
Ultimi 2 km. Gli atleti intorno a me spremono le ultime energie. Io le ultime energie le devo tenere. Quel pezzetto di cuore che resta mi serve anche per mangiare, dormire, cagare e tutto il resto. Sono non-competitivo per necessità e quando mi superano, sento un clic nella testa ma spara a salve e lascio passare senza reagire. Arrivo in poco più di 52 minuti, in una decentissima posizione media. La festa è ridotta ai minimi termini, giusto il tempo di dissipare il calore accumulato e cominciare a tremare. La birra fresca non attira e si torna in fretta all’auto ma è comunque stata una “bellissima giornata di pioggia, di sport, di festa …” che chi è rimasto in zona notte non può neanche immaginare.
P.S. Purtroppo, a causa dei 52 minuti di ammollo, si è cancellato quell’orlino nero disegnato con la magica polvere nera di Macomer, che, da 3 settimane, mi decorava le unghie dei piedi. 
Foto di Silvio Figus

venerdì 8 novembre 2019

Goccioline

Osservate bene: ogni goccia contiene un piccolo mondo al rovescio
Quando la mattina salgo in macchina per recarmi al lavoro, spesso trovo il parabrezza pieno di goccioline e le spazzo subito via azionando con un gesto annoiato la leva del tergicristallo. Ieri le ho guardate, loro mi hanno guardato e ho deciso di tenerle.
Viaggio col vetro decorato a pallini. Non coprono la visuale e, anzi, la rendono più pittorica. Qualcuna, fra le più grandi, approfitta della spinta dell’aria per risalire verso il cielo da dove proveniva, strisciando e lasciando una scia umida, come una lumaca. Le altre se ne restano lì, a godersi il viaggio.
Ogni goccia è un mondo rovesciato, col cielo sotto e sopra la strada. Ad osservarle bene, si vedono anche passare gli alberi, le case, … ; sono tanti piccoli pianeti meravigliosi, ognuno copia distorta di questo. Sicuramente sono anche abitati ma gli alieni sono così piccoli che non riesco a vederli. Man mano che vado avanti, l’evaporazione le fa rimpicciolire e quando arrivo al lavoro, tutti quei mondi sono svaniti, lasciando solo una macchiolina opaca sul vetro. Se anche i minuscoli abitanti avessero lanciato un urlo disperato, ne sarebbe uscito un suono così flebile che non lo avrei sentito, coperto dal rumore del motore.
Scendo dall’auto, con tante cose in testa ma tutte confuse. Sono sicuramente una metafora di qualcosa, che ora mi sfugge; comunque, per sicurezza, non userò mai più uno strumento crudele come il tergicristallo. #salviamolegoccioline!

venerdì 1 novembre 2019

La cresta punk del monte Conchioru

Ieri, esplorazione solitaria per studiare come chiudere il tracciato della 20km. Mi emoziona sempre esplorare zone che non conosco, girovagando fra i monti in cerca di qualcosa o, semplicemente, di conoscenza e immersione nella natura. È bello perdersi fra quei monti, vagando fra labirinti di rocce e boschi incantati, con in testa l’idea di trovare un passaggio fra arcu mannu e pala niedda ma senza un piano in mano.
percorsi non lineari
Seguire tracce del passaggio di esseri umani consente di non finire incastrati fra rovi e rocce instabili ma costringe a seguire le intenzioni di quelli che hanno tracciato. Qui, più che gente di passaggio che segue percorsi lineari per attraversarlo, sono “utenti” di quel territorio, cacciatori, boscaioli e i loro percorsi servono per viverlo, sfruttarlo e spesso girano su sé stessi. Sentieri di cacciatori che muoiono in punti di appostamento, stradelli che al momento cruciale girano nella direzione sbagliata. Mi inoltro nei boschi diverse volte, seguendo tracce umane ma non incontrando nessuno se non cinghiali e ne esco fuori sempre più stanco e inselvatichito e sempre nel punto sbagliato. Mi nutro di corbezzoli ma non c’è acqua. E quando, la borraccia ormai vuota, il cielo che s’inscurisce e i piedi stanchi, avevo ormai deciso che sarei rientrato per la strada facile e conosciuta, non ho resistito all’invito di un sentiero sulla sinistra che mi ha fatto l’occhiolino. “Mi infilo solo un attimo per vedere se è pulito e per registrare il punto d’accesso sulla traccia gps”. Non ho finito di pensarlo che sono già oltre, risalendo un crinale roccioso.
Su un roccione vedo il fantasma di un segno completamente scolorito del “sentiero Italia” e so che non tornerò indietro. Salendo, il bosco si dirada lasciando spazio a emergenze granitiche. Qui il sentiero si frantuma in mille tracce fra cui non è facile trovare il cammino più semplice. La testa del monte conchioru ha un’acconciatura di rocce allineate che formano un’inconfondibile linea di cresta punk che ne palesano il carattere duro, secco, aggressivo ma che trova in questa durezza il suo fascino unico. E dopo 5 ore di lento e faticoso vagare mi ritrovo finalmente sul percorso che scende ad arcu mannu e che in un’ora mi riporterà a casa, con in testa una strana idea: la 20km del 2020 sarà punk.

mercoledì 16 ottobre 2019

TSS 2019 - Cammino di espiazione

Ci vuole coraggio. Richiede coraggio iniziare la gara con il “percorso doloroso” della “via crucis” che sale al monte Pittaine. Che, poi, risulterà la parte più semplice del percorso e allora il significato liturgico di “cammino penitenziale”, di passione ed espiazione, della via crucis esploderà per arrivare al livello mistico. Ci vuole coraggio per gli atleti ma soprattutto per gli organizzatori. Ci vuole un’idea forte e il coraggio di proporla senza compromessi, in tutta la sua meravigliosa e terribile durezza; di “copiare” il territorio, assecondarlo, esaltarne il contrasto estremo fra il massimo della bellezza e della durezza, offrire un mix esplosivo di gioia e sofferenza che lascia un segno profondo. “Guarda!” La donna sfinita dal caldo e dalla salita si volta e mi risponde “che meraviglia …” con la voce rotta dal pianto e il viso reso ancora più dolce dalla fatica. L’emozione riverbera, mi sfiora, mi penetra e, come una lumaca, dalle tempie striscia fino agli occhi lasciando una traccia umida.


Terribile bellezza come quella dei bassorilievi affilatissimi che, come lame micidiali, decorano il candido calcare o delle contorsioni dei ginepri, con la sofferenza del tronco e la gioia delle foglie testimoni di una lotta continua fra stenti ed esplosioni di vita. Sullo sfondo, il blu del mare fresco e morbido, d’una morbidezza incomparabile quando è calmo. E così lo trovo nel fiordo di porto quau; ci entro, i miei piedi si sollevano da questo mondo doloroso e, all’improvviso, mi trovo in paradiso.
Foto di Alex Basile

Foto di Gigi Cambuli

martedì 1 ottobre 2019

Runswiminchia Sinis

Al runswiminchia (RSM) si intreccia gente, ognuno di passaggio verso il suo obiettivo. C’è chi sta andando allo stadio a vedere la partita, chi deve allenarsi e chi invece deve scaricare in vista delle gare. Chi ha una gastrite da curare (perché, sappiatelo, RSM cura malattie) e chi viene a semplicemente a fare qualche foto (Arnaldo, dove sei?).
La sera prima, preparo qualcosa per il terzo tempo. Ho un avanzo di porchetto cotto al forno, lo scarno e lo metto in un contenitore con un po’ di aromi, timo, rosmarino, mirto … sembra buono ma l’odore mi richiama qualcosa … sono infatti le stesse erbe che infilo nelle scarpe per nasconderne la puzza … “porchetto alla scarpa” è il nome della ricetta. Spero che piaccia, in caso contrario aggiungo 6 non filtrate per farmi perdonare.
Mister eleganza runswiminchia 2019
Per l’ultimo appuntamento RSM ufficiale della stagione, il Cagliari, per evitare lo stadio vuoto, ha dovuto posticipare la partita di campionato alle 18. Come dice Gianni, anche l’estate si è attardata in questo emisfero, offrendoci condizioni ideali per il RSM: 30 gradi e calma di vento e il mare ha indossato il suo vestito più sexy. Ci troviamo nella casetta di Gianni nel fiabesco villaggio di San Salvatore. Nelle strade deserte, Arnaldo si aggira quasi sperduto fra gli infiniti soggetti da fotografare. Ho scordato a casa i pantaloncini da corsa e devo decidere se correre in slip e tornare a casa in calzoni o viceversa. Opto per la prima e vinco il titolo di “mister eleganza runswiminchia 2019”. Per il resto (a parte me, quindi) questo runswiminchia è una gran figata.
Il percorso disegnato con passione e competenza da Gianni, spazia lungo un territorio decorato con maestria dall’uomo e dal mare, fra necropoli e scogliere, torri e spiagge. E noi siamo belli, c’è poco da dire. C’è chi non è allenato, chi lo è troppo, chi ha fatto da poco gare di 100km e chi le deve fare fra poco, chi si gira verso i cespugli per vomitare, chi scappa verso il sant’Elia, chi fa i tuffi come un bambino e chi si bagna solo fino alla coscia, tutti contenti, amminchioniti dalla bellezza del contesto.
Poi c’è Arnaldo che ci aspetta per le foto. Ma dov’è? Ma il top sono i cani, sono loro i più runswiminchioni. Loro sì che sanno come godersi la vita. Sono i primi a buttarsi in mare, i primi ad accoppiarsi ed anche i più entusiasti estimatori del mio porchetto alla scarpa. Sì, perché dopo 17 km, siamo rientrati a san Salvatore per il ricchissimo terzo tempo. Tegliate di cibo vengono fuori da grandi borse mentre Priamo stappa, una dopo l’altra, bottiglie di birra col suo huawei usando l’apposita app: stApp 2.0. Contando anche gli astemi e i cani (valgono doppio, all’appello hanno alzato 4 zampe), abbiamo consumato, in media, un litro di birra a testa. Mi sembra equilibrato. Ma Arnaldo dov’è?
Alla fine la gente si streccia e anche i cani lo fanno, a fatica; ognuno riparte verso il suo obiettivo, il suo stadio, la sua gara, come la mattina, solo più leggero, più contento, con un sorriso in più, lo stomaco pieno ma sano e la sensazione di aver vissuto una magnifica giornata … ma poi, alla fine, scriviamolo sottovoce, chi se ne frega del Cagliari o della gara futura; la vita è questa, qui, ora.

lunedì 16 settembre 2019

Il richiamo del supramonte

Non ho fatto in tempo a lavare lo zainetto. Lo avevo dimenticato nell’auto di Priamo con tutto il sudore delle 2 corse del week end precedente e sono riuscito a recuperarlo solo venerdì, un’ora prima della partenza del traghetto che mi porterà per un brevissimo viaggio nel continente. Poco male. Estraggo la maglietta, ancora bagnata del succo della mia fatica, infilo un rametto di rosmarino e uno di timo in ogni spallina e uno dentro al sacco che, se proprio non riescono a coprire l’odore, almeno lo arricchiscono, dandogli un aroma di porchetta. Dopo 2 notti di crociera, sbarco ad Olbia alle 8 di domenica mattina. La signorina tom tom mi dice che arriverò con 20 minuti di ritardo all’appuntamento a Santa Maria; sorrido, non mi conosci ancora bene, rispondo. I nostri rapporti stanno migliorando, non mi prende più in giro come quando mi faceva fare 3 giri di una rotonda e, mentre contavo e ricontavo le uscite, mi cantava “giro giro tondo” con la sua vocina seria appena alterata da una risatina soffocata. Ora mi lascio guidare fiducioso e pigiando il giusto sul pedale, riesco ad arrivare puntuale.
Si parte in bella e simpatica compagnia lungo un bellissimo sentiero che sorvola la costa. Il programma prevede di affrontare il percorso della 30 km dell’UTSS, con un paio di varianti. Il caldo è opprimente ma lo spettacolo del mare e delle rocce che lo sovrastano è straordinario. Sento il mare che mi chiama, suadente … “Lorenzo … runswiminchione … ti aspetto”. Seguo allora Davide, Vania e Ale che partono veloci, già con l’idea di tuffarmi in mare a pedra longa. Arriviamo lì con un vantaggio sufficiente per scendere al mare. L’acqua è piena di meravigliose sfumature di verde e fresca. Mi lascio avvolgere dal suo morbido abbraccio ma il tempo è poco e bastano i 200 metri di risalita per raggiungere gli altri per ricominciare a grondare di sudore.
Lungo la bellissima e tremenda salita verso us piggius sento la necessità di potenziare l’aroma di rosmarino e ne raccolgo altri rametti presenti sul percorso, probabilmente piantati all’uopo da Matteo.

Caldo, pendenza e durezza del fondo rendono tremenda la salita ma lo splendore dello spettacolo di cengia Giradili e la grazia della parte femminile della compagnia addolcisce la fatica e smussa la spigolosità del calcare. Durante le soste, da un tubetto escono pastiglie magiche. Gianni fischietta il tema di popeye gonfia i bicipiti e parte. Anche Vania parte con freschezza invidiabile e via tutti gli altri. Io mi do arie da superuomo e non ne prendo dicendo che sono caduto nel paiolo da bambino e non mi fanno effetto. L’effetto delle pastiglie però non dura molto; sembra di essere in un romanzo di Agatha Christie e ogni tanto sparisce qualcuno. Prima Marina, poi Angioletta e Selena, infine Alessandro. L’assassino resta misterioso ma l’arma del delitto è evidentissima: pietre appuntite di calcare sono state lasciate lì, tutt’intorno al luogo del delitto, anche se sospetto che sia il calore che il mio odore possano aver contribuito al colpo di grazia. Quando sbuchiamo a punta selfienas, siamo rimasti solo in 5. Improvvisamente, davanti a noi si aprono le quinte di fronde e inizia lo spettacolo. Ai nostri piedi le bianche guglie acuminate di goloritzè davanti al blu del golfo di Orosei. Quando ci si immerge nella natura meravigliosa si diventa belli almeno fino a quando si riesce a restare trasparenti. Giro due volte il verso dell’immagine nel cellulare per selezionare l’opzione traspa-selfie. Sono venuto benissimo, completamente trasparente. Peccato solo per l’odore … .

traspa-selfie a punta salinas
Iniziamo a rientrare e mi chiedo chi sarà il prossimo a cedere. Quelli che hanno ceduto all’andata, saranno via via recuperati. Chi cede al ritorno sarebbe destinato a restare lì, almeno fino all’UTSS. Nicola resta un po’ indietro, sembra lui il candidato ma dice che ha solo abbassato i giri per salvare il motore. Forse allora sono io. Mi sento sfatto. Indosso delle scarpette da deficiente, adatte ad una sala da ballo, ho scoperto un’intolleranza alla curcuma che, dalla cena di ieri, mi torce ancora le budella e sono circondato da un alone di caprone in porchetta.
L’acqua delle borracce è finita mentre la piana del supramonte e il sentiero, che qualcuno, probabilmente Matteo, ha ricoperto di pietre di calcare tutte sistemate rigorosamente in verticale, non finisce mai. Riesco ad andare avanti con la bocca bagnata dal desiderio di birra. Improvvisamente si arriva al bordo del supramonte e si apre nuovamente la vista: Santa Maria Navarrese, il mare, … ma niente supera lo spettacolo di Baunei, con i suoi bar pieni di birra.
Il caldo, il disagio, l’odore, la stanchezza, la sete, le pietre appuntite … il supramonte lascia impronte nel corpo e nell’anima ma dà talmente tanto in cambio che non si vede l’ora di tornare lì a soffrire.
Ora che sono a casa, potrei finalmente lavare lo zainetto … ma a che scopo? Il cespuglio di rosmarino è ancora bello pieno di rametti profumati …

giovedì 22 agosto 2019

Passato remoto

Cosa abbiamo fatto negli ultimi 50 anni?
Io feci, tu feci, egli feci, noi feci, voi feci, essi feci ...
e oggi siamo nella merda.

sabato 10 agosto 2019

Runswiminchia adriatica

Doveva essere una corsa seria. Le giornate sono afose anche qui a Fermo; per evitare le salite della collina e per godere del fresco del mare, decido di andare a correre sulla ciclabile del lungomare.
Sono passate le 9 da poco; serio sì, ma in vacanza si dorme. In mano lo scheletro di Suunto con il cinturino disintegrato per verificare tempi e distanze: niente di ché, voglio semplicemente fare 10 km ad un ritmo appena più svelto di 5’ al km. La brezza non c’è. Non ho valutato che alle 9 è in atto il cambio della guardia fra quella di terra e quella di mare. L’ombra non c’è neanche perché in adriatico, la mattina il sole è sul mare che non fa ombra. Parto comunque al ritmo previsto che non mi affatica molto ma mi scalda. Non riesco a smaltire il calore corporeo, sudo ma l’umidità è alta, non c’è vento e la temperatura dell’aria supera i 30 gradi. Continuo al ritmo previsto, prima lungo la ciclabile, poi sul largo marciapiede del lungomare. Supero qualcuno che corre e mi diverto a slalomare fra i bagnanti ma la temperatura corporea aumenta e comincio a soffrire. Non ho fatto neanche 4 km e passando davanti alla doccia di uno stabilimento balneare, decido di bagnarmici la testa. L’acqua è calda e il refrigerio è minimo. Al km 5, come da programma, inverto il senso di marcia per rientrare. Sono già cotto e, rientrando, quel minimo di arietta che mi soffiava in faccia ora è alle spalle e l’aria intorno a me è immobile e mi circonda un’aura sempre più colma del mio calore e dei vapori del mio sudore. Cerco di sciacquarla via nella stessa doccia dell’andata ma mi resta lì, appiccicata addosso. Quest’aria che mi segue è opprimente. Sto soffrendo troppo. Ho fatto poco più di 7 km e ne mancano quasi 3 all’auto. Basta. Decido che non ha senso continuare. Lascio la pista ciclabile, attraverso la spiaggia, tolgo le scarpe e mi butto in acqua. È acqua adriatica, caldiccia e poco trasparente ma immergendomi completamente e nuotando per qualche centinaio di metri, finalmente quell’aura calda e appiccicosa mi si è staccata di dosso. Riprendo a correre sul bagnasciuga poi iniziano le pietruzze, mi rimetto le scarpe e torno a correre in strada. Dopo altri 2 km sono di nuovo in mare.
Doveva essere una corsa seria ma, come al solito, l’ho finita in runswiminchia.

martedì 6 agosto 2019

Runswiminchia International di sant’Antioco

Ho concesso l’utilizzo del marchio “runswiminchia international” agli organizzatori di sant’Antioco sicuro che ne avrebbero colto lo spirito. E infatti Marina ci ha offerto un percorso prevalentemente costiero con tempi di percorrenza da minchiatleti e con viste sul mare, sull’isola del toro e sulla costa occidentale sarda che lasciano amminchioniti dalla bellezza.

Siamo 10 uomini e un cane. Non siamo ciechi, solo un po’ minchioni ma ci lasciamo comunque guidare dal cane Camillo seguendolo in acqua, prima per un tuffo rinfrescante, poi per la traversata a nuoto di una baia e, infine, per andare a visitare la meravigliosa grotta delle sirene. Camillo, lui sì che ne sa di runswim. Nuotatori? Beh, non proprio. Si nuota ma nessuno ha gli occhialini; o con la maschera o con la testa fuori, come Checco, che nuota 500 lunghissimi metri procedendo quasi in verticale come se stesse continuando a camminare. Nuotando alla grotta delle sirene mi sono portato dietro una borsa stagna da 70 litri con dentro solo il cellulare e tanta aria buona. Siamo fatti un po’ così, in stile swiminchia.







Al rientro, dopo un bel po’ di “run” su percorso che si affaccia sulla fantastica costa e di “swim” nello splendido mare variopinto, non si corre più, perché caldo e stanchezza ce lo impediscono né si nuota, perché si segue l’asfalto per raggiungere gli spaghetti prima che scuociano. Senza “run” e “swim”, resta solo “minchia” mentre ci trasciniamo lungo l’asfalto torrido. Fa parte del gioco; siamo protagonisti di un western spaghetti al pesto, inseguendo spaghetti nell’estremo ovest fra scheletri di birra e sotto un volteggiare di rapaci. Serpenti a sonagli scuotono la coda imitando il suono di birre che si stappano: “pshhh”.
Foto di Gianni Mureddu
La birra agognata si materializza, poi gli spaghetti e infine sua maestà il cocomero, subito giustiziato per chiudere in festa.
E grazie a Marina, Gianni e a tutto il gruppo di amici, un’altra magnifica giornata piena di vita e ricca di particolari è passata e me ne restano, fino a prova contraria, altre 16621.

venerdì 2 agosto 2019

Il vero lusso

La Paillote. Si mangia in piacevole compagnia per la cena sociale della scuola estiva di “molecular modeling”. Il cibo è buono, il vino non manca e il posto è molto bello, con la sua terrazza sulla scogliera di calafighera. Dopo le 23, il locale si trasforma in longue bar. Tolgono i tavoli dalla terrazza, parte la musica e compaiono donne affascinanti vestite di nero. Diventa difficile parlare e non ho bevuto abbastanza per ballare. Provo a prendere la scaletta che scende al mare ma vengo fermato: “Fino all’una non si può scendere”. Giù c’è qualcuno. Immagino che sia un magnate russo che ha pagato un milione di rubli per un paio d’ore d’intimità. Continua ad arrivare gente, il volume è troppo alto. Decido di andarmene e mentre percorro da solo la strada buia che porta a cala mosca, dove ho parcheggiato la mia auto, incrocio una ventina di auto che portano e scaricano gente verso il locale. Altri vengono a piedi. C’è una gran confusione. Poco prima di arrivare all’auto, passo davanti all’ingresso del sentiero che sale verso la sella del diavolo. Il sentiero si vede bene grazie alle luci dei locali e al faro che ogni 10 secondi, offre un lampo di illuminazione a giorno. Decido di scappare dal caos. Come il magnate russo, pago un milione di rubli per avere quella montagna tutta per me fino all’una di notte. Tolgo la camicia per sentire meglio i leggerissimi movimenti dell’aria e procedo quasi a caso fra le tante tracce che salgono su. Non incontro nessuno. Neanche coppiette o spacciatori in cerca di intimità. Il servizio d’ordine sta facendo un buon lavoro. Guardo giù e vedo che sulla strada che ho percorso poco prima a piedi ora c’è una processione continua di auto, in fila per un cocktail. Musica e rumori si affievoliscono via via che salgo e si sentono i grilli che strillano. Anche quando il sentiero si allontana dalle luci e il faro resta in ombra, la luminosità diffusa della città lascia vedere bene il calcare bianco su cui cammino e non ho problemi ad avanzare. Per avere questo paradiso tutto per me, ho pagato un milione di rubli ma ne valeva la pena. Ora il sentiero si affaccia con numerosi balconi sul porticciolo di marina piccola e si vedono le luci delle barche, del poetto e di tutta la città di Cagliari. Mi fermo a fare qualche foto e poi riprendo a salire seguendo il balcone di roccia che si affaccia sul vuoto. Il paesaggio è reso ancora più affascinante da decine di fiori di agave che si ergono spettrali. Sono decenni che non salivo qui e mai di notte; ogni cosa mi sorprende: fantasmi grigi a forma di costruzione, di croce, di formazioni rocciose … . Finalmente arrivo al limite est del tacco di roccia e, davanti a me, in basso, vedo la sella del diavolo, con la sua torre. Per procedere dovrei superare un salto di roccia e decido allora di tornare. Del resto è ora: dovrei riuscire a rientrare giusto entro l’una di notte, quando il servizio d’ordine lascerà passare l’orda di poveracci che si ammassa laggiù. Prima, però, voglio ancora approfittare di questo lusso: non ho pagato un milione di rubli solo per camminare. Cerco un posto comodo, oltre le balaustre, con vista sulle luci delle barche e sui poveretti che si ammucchiano nei pochi metri quadrati dei baretti del poetto e mi accovaccio … aaah … Che cagata di lusso!

sabato 13 luglio 2019

Prova attrezzatura per runswiminchia

Ieri, uscito dal lavoro, sono andato al pinus village a provare la minchiattrezzatura.

  • Sacca stagna per imbarcazione
  • Fascia porta pettorale
  • 2 metri di spago
  • zainetto da trail con tutto il necessario (acqua, telefono, cibo … )
  • scarpe da corsa
  • pantaloncino attillato
  • occhialini da nuoto
Costo attrezzatura: 0; avevo già tutto (per chi non avesse la sacca, credo che se ne possa trovare una decente a una ventina di euro).
Parcheggiato al pinus village, sono partito travestito da podista ma, nello zainetto, oltre alle solite cose, avevo anche la sacca stagna ben piegata, il porta pettorale e lo spago. Dopo un chilometro lungo la scogliera, il sentierino scende al mare. Lì, ho tirato fuori la sacca, ci ho infilato dentro zainetto, scarpe e tutto il resto, ho allacciato il portapettorale alla vita, chiuso la borsa stagna e legata con lo spago al portapettorale. In 4 minuti, ero in acqua. Ho nuotato verso le bellissime grottine con la borsa a traino.
Arrivato all'ingresso della prima grotta, per tenere la testa fuori dall'acqua, mi sono appoggiato con le braccia alla borsa, ho tolto gli occhialini e proseguito a guisa d'ippopotamo. Ho appoggiato la sacca sulla spiaggetta in fondo alla grotta, l'ho aperta per prendere il telefono e fare qualche foto e per bere un sorso dalla borraccia e dopo il tempo che meritava il posto, ho richiuso la borsa e sono ripartito a nuoto, facendo qualche deviazione e qualche pausa ippopotamica per esplorare la magnifica scogliera. Sono rientrato a nuoto fino alla spiaggia del pinus village, dove ho tirato fuori le scarpe (completamente asciutte), rimesso la sacca nello zainetto e sono tornato, corricchiando all'auto.
Due km, uno dentro e uno fuori dall'acqua, in 1 ora. Non è certo un gran ritmo; l'importante però non sono i due km ma quello che c'è dentro: in un'ora ho fatto 2 metamorfosi, da capra a ippopotamo andata e ritorno. Ho sentito il caldo di un pomeriggio di luglio nella sardegna del sud e sono uscito dall'acqua quasi tremando dal freddo e quel caldo è diventato un piacevolissimo tepore. Ho visto posti meravigliosi da prospettive diverse, il mare dall'alto e da dentro, visitato una meravigliosa grotta doppia e trovato, in fondo al mare la splendida sabbia bianca sparita dalla spiaggia del pinus.
Prova riuscita alla grande! E chi mi ferma più?

martedì 9 luglio 2019

Runswimìnchia

Strategie per vivere appieno anche una giornata con 42 gradi di massima.

Si può stare nel letto, fin quasi ad annegare nel sudore e poi buttarsi giù, in terra, a succhiare il fresco del pavimento. Mettersi nudi davanti al frigo aperto facendo finta di cercare qualcosa. Accendere l'aria condizionata e “non uscire di casa” oppure infilarsi in una macchina in fila verso il mare con l'aria condizionata a palla e il baule pieno di cocomeri, borse frigo, ombrelloni e sdraiette …. insomma, il necessario per cercare di sopravvivere sotto il sole a picco nella spiaggia rovente.
Oppure si può praticare il runswiminchia.

Qualcuno la chiama “runswimmìnchia”, altri “runswimìnchia”. Alla crusca ancora si dibatte se quella “m” sia doppia o semplice e sull'etimo del termine: run-swimmin' Chia o run-swim in Chia? Tutti d'accordo, invece, sulla posizione dell'accento: “Nella composizione delle 4 parole, l'accento sdrucciola sulla penultima “i” per assonanza con il termine “mìnchia”, pertinente alla serietà dell'attività e di chi la pratica”, stabiliscono gli accademici all'unanimità.

In Sardegna, d'estate, può fare troppo caldo per correre. Perché, allora, non organizzare percorsi costieri alternando la corsa con passaggi in mare per ridurre la temperatura corporea? L'idea era invitante e dopo un primo esperimento, sostanzialmente riuscito, siamo passati alla fase B.
Fra le cavie sopravvissute al primo esperimento, si presenta solo Nello. Gli altri hanno trovato attività più serie, senza “minchia” nel nome. Priamo e Antonino, a dire il vero, poco dopo l'esperimento, sono stati colpiti da una misteriosa febbre a 39, Efisio e Silvia, sono, altrettanto misteriosamente, finiti a correre su asfalto. Ma non ci preoccupiamo, per fortuna abbiamo 4 cavie fresche: Paolo, Bruno, Claudio e Francesca.
Alle 8 comincia a fare caldo ma abbiamo già fatto la salita più dura, quella che conduce alla vedetta, da dove, oltre ad uno splendido panorama, si può osservare il flusso, moderato ma continuo, di cocomeri diretti verso le spiagge di Chia.
Dopo una bella discesa, arriviamo anche noi a Chia e ne approfittiamo per un primo tuffo in mare. L'acqua, a quest'ora, è ancora fresca e scorre piacevolissima sulla pelle sciacquando via calore e sudore. Dopo una breve nuotata, belli rinfrescati, si riparte.
Ogni tanto, seguendo cacche di cavallo, abbandono la sterrata per scoprire divertenti varianti su sentiero. Gli altri non mi seguono, pensando che stia cercando il bagno degli uomini. La “strada romana” è un divertente sentiero panoramico che segue la costa una cinquantina di metri sopra il livello del mare ma la parte migliore deve ancora venire. Lascio il bellissimo sentiero per infilarmi fra la vegetazione e qualche facile roccetta. Sembra molto la strada per il bagno degli uomini e gli altri non vorrebbero seguirmi. Devo insistere e zittire le proteste per condurre tutti alla scogliera. Il mare è quasi piatto, qualche patata di mare galleggia, insieme a pezzetti di poseidonia ma l'acqua è stupendamente chiara e trasparente. La costa è un susseguirsi di piccole insenature che il mare ha scavato nella scogliera; bellissime piscine con pareti di roccia dove si aprono portoni d'accesso al mondo sotterraneo. Puntiamo diretti ad una grotta marina. Superato l'ingresso, si nuota per una ventina di metri in un bel corridoio fino a raggiungere il salone con la spiaggetta di sabbia da dove, voltandosi, si vede la seconda apertura. Il doppio arco delle due uscite rende questo posto un capolavoro dell'architettura gotica naturale. Il fresco dell'acqua e l'ombra profonda della terra, un antidoto perfetto alla calura estiva. Altro che cocomero!
L'idea di continuare a nuoto fino alla spiaggia del pinus non trova seguito ma non importa. Il passaggio via terra lungo la scogliera è quasi altrettanto bello. Il runswiminchia poi è una specialità ancora in fase di sviluppo e bisogna affinare alcuni aspetti logistici come il trasporto delle scarpe via mare.
Sono le 11 passate. La temperatura continua a salire. Dopo una birra fresca, è ora di rientrare; nella corsia opposta, una fila continua di cocomeri automuniti va ad affollare le spiagge roventi sperando di sopravvivere sotto il sole a picco.
Noi, più che sopravvivere, abbiamo stravissuto una bellissima mattina di sport immersi nella natura. È ora di tornare a casa e mettersi nudi davanti al frigo aperto facendo finta di cercare qualcosa.

La prossima volta, la run-swim in Chia si sposterà fuori da Chia diventando “runswimìnchia international”.
Resta un dubbio: coloro che praticano quest'attività sono runswiminchioni o runswiminchiamen? La parola alla crusca.

martedì 2 luglio 2019

Nuovi obiettivi

Da quando non ho l'idoneità agonistica, mi manca uno stimolo importante all'allenamento. Nelle giornate troppo calde, troppo fredde, troppo umide, troppo secche, …, non ho più quel “senso del dovere” (soffri ora per soffrire meno in gara), che mi spingeva a fare almeno il minimo sindacale in vista dell'immancabile competizione in programma.
Nell'inferno del caldo estivo, anche la natura è ostile e mi serve qualcuno che mi trascini fuori dall'ufficio. Per fortuna ho trovato due colleghe di piacevolissima compagnia, che mi chiamano per uscire a correre e ora mi sto allenando con loro quasi tutti i giorni. I loro obiettivi, che ho fatto miei, sono glutei sodi e pancia piatta.
Non vincerò più gare, questo è certo, ma, in compenso, presto avrò uno splendido culo.

Sputi - Obiettivi e ostacoli

"L'ostacolo, per definizione, è un impedimento che rallenta la corsa, e la tecnica di passaggio mira a danneggiare il meno possibile la velocità orizzontale dell'atleta"
Quando, andando verso un obiettivo si incontra un ostacolo, bisognerebbe guardare oltre, puntando lo sguardo sull'obiettivo mentre si cerca di passare l'ostacolo, superandolo, eliminandolo o aggirandolo. Non ci si dovrebbe concentrare sull'ostacolo, 1, perché guardandolo fisso gli si dà troppa importanza e l'ostacolo cresce almeno nella percezione; 2, perché affrontarlo frontalmente non è necessariamente il modo migliore per passarlo e 3, perché così facendo si finisce presto col perdere di vista l'obiettivo.

Detto questo, secondo me lì fuori c'è qualcuno che sbaglia.

Obiettivo: vivere bene; ostacolo: PD (5 stelle)
Obiettivo: vivere bene; ostacolo: immigrazione (lega)
Obiettivo: vivere bene; ostacolo: Salvini (sinistre)
L'obiettivo “vivere bene” l'ho dovuto inventare io perché non se ne parla; credo siano tutti troppo concentrati sugli ostacoli.

domenica 30 giugno 2019

Sputi – La verità vera sulla “sea-watch”

L'affaire sea-watch è un teatrino degno del grand guignol. C'è il capitano che dà bastonate alla capitana, ci sono arlecchino, pulcinella, i carabinieri e le motovedette dei finanzieri e se le danno tutti di santa ragione. Il pubblico è lì che guarda appassionato; parteggia, urla, sbraita, insulta, tira pietre e pomodori marci.
Fuori dal teatrino, intanto c'è l'invasione. Centinaia di piccole imbarcazioni approfittano del fatto che tutte le motovedette sono al teatrino per sbarcare indisturbate orde di africani, che si aggirano per il palco, neri, lontani dai riflettori, senza che nessuno li noti. Neanche questa è la realtà. Il teatrino, infatti, è installato sul palco del grande teatro dell'opera dove sta andando in scena lo spettacolo dell'invasione barbarica.
Intanto, fuori dal teatro, due magnati della finanza stanno discutendo fra di loro. “Cosa ne facciamo degli italiani? Docili consumatori o produttori schiavi?” “Non vedi che sono tutti a teatro? Facciamone produttori schiavi che non se ne accorgono neanche”.

martedì 25 giugno 2019

Capo mannu trail running – Il giorno più lungo.

Foto di Nicola Dessì
Domenica 23 giugno, il sole sorge alle 5:58 e tramonta alle 21:00. È il giorno più lungo dell'anno e voglio celebrarlo seguendo l'astro nel suo tragitto da est verso ovest, dall'alba al crepuscolo.
Nelle ore centrali della giornata, il sole sfiora lo zenit e le ombre si ritirano riparandosi sotto alberi e case lasciando il dominio del territorio ai raggi infuocati del sole; a quell'ora, per evitare la pioggia di fotoni pesanti conviene fare come i gatti e collassare su un divano a fare le fusa con in mano una birra ghiacciata. Per correre, è molto meglio uscire la mattina presto o la sera al tramonto o, perché no, ad entrambi gli orari.
Sveglia alle 5:15. La gara parte alle 19:30 ma la preparazione è più lunga del solito. Inseguo il sole verso est e, quando sbuca dai monti, il parabrezza sembra un muro di fuoco. Al semaforo della 554, tiro fuori il braccio dal finestrino per spremere la borraccia sul vetro; aziono il tergicristallo e finalmente lo vedo, già bello brillante: benvenuto sole! Alle 6:30 sono già alla casermetta del parco dei sette fratelli per un allenamento di riscaldamento. Ho risposto ad un invito di Alessia senza sapere chi altro ci fosse e ritrovo molti amici, Checco, Nicola, Efisio e Silvia reduci dal barbagia crossing e altri ancora, tutti invitati da Alessia, ognuno ignaro della presenza degli altri ma Alessia non c'è. Lo scherzo dura poco, Alessia arriva e si parte per un bellissimo giro di 21 km intorno alle cime dei sette fratelli, fra boschi avvolgenti, ciliegie dolcissime, spettacoli di equilibrismo rupestre e panorami immensi appena offuscati da finissimi vapori acquei.

Torno a casa per pranzo ma ho poco tempo per fare il gatto. Il sole si sta già dirigendo verso ovest e lo devo seguire. Alle 16, con Bruno e Claudia, ci accomodiamo sul martello pneumatico di Bruno, direzione Putzu Idu, località balneare sulla costa occidentale della Sardegna. Il mare piatto fresco e trasparente mi invita, irresistibile, ad una bella ma breve nuotata. Non c'è molto tempo, fra poco si parte. Gianni ha ascoltato il mio invito alla prudenza: partire alle 19:30 anziché alle 19:45 consentirà di rischiare meno di perdere atleti nella notte. Gianni avrebbe voluto sincronizzare il momento del tramonto con il passaggio degli atleti sulla scogliera di capo mannu per massimizzare l'impatto visivo. Partendo 15 minuti prima, la sincronia perfetta capiterà solo a noi della coda del gruppo. Poco male, anzi, molto bene. La prospettiva di partire lungo la spiaggia si infrange su un labirinto di ombrelloni e teli di mare e si parte puntuali ma sull'asfalto del lungomare. Dopo il primo km si ripassa in prossimità della partenza e mi informano che ci sono 2 atlete che sono partite in ritardo. Vado loro incontro e ci avviamo di corsa molto leggera sul percorso di gara, ben segnato e presidiato. Dopo circa 3 km di campagna pianeggiante, inizia il “salitone” alla torre. Poco più di un km di salita per oltre 40 metri di dislivello; pendenza media 4% massima 6%. Qui nelle retrovie, sembra di scalare il monte bianco. Ai 30 metri di quota la prima crisi. Non abbiamo le bombole e il respiro si fa affannoso. Siamo costretti a rallentare. “Si sale ancora?” “Sì”. Oltre la curva, si scorge la vetta, ormai vicina e riusciamo ad arrivare quasi vivi al ristoro, su, in cima. La gara corta entra ora nel percorso di rientro della lunga sul quale stanno già arrivando i primi e lascio le mie signore al loro destino, per fare le pulizie sul percorso lungo, inseguendo l'altra scopa Damaso e i suoi ultimi.
Ora sono solo e riparto relativamente veloce, abbastanza almeno da apprezzare il gusto della corsa nella natura, su un fondo che cambia in continuazione: si passa dalla terra soda dei sentieri che esalta l'elasticità del piede, alla sabbia fine e asciutta delle dune che invece assorbe ogni tentativo di rimbalzo, lo sterrato delle strade, le rocce della scogliera, la sabbia bagnata della spiaggia che cambia consistenza fra un'onda e la successiva, e il divertimento è assicurato. Al ristoro successivo vedo Damaso poco avanti. Mi fermo 5 minuti a chiacchierare con i volontari e quando riparto ho ancora da correre. Ora comincia il bello, con il percorso che segue gli alti e bassi della linea di costa su sentierini che si insinuano fra spiaggette e scogliere, sfiorandone il bordo. Sulla nostra destra, vicinissimo, il mare e il sole sempre più basso che colora il cielo. Li raggiungo di nuovo al ristoro successivo. Altra breve sosta, breve inseguimento e i miei 5 km di corsa libera sono finiti. Siamo in leggero ritardo per la perfetta sincronia del tramonto alla torre di Capo Mannu ma è facile accontentarsi della magnifica scogliera. Nel momento in cui il sole sta sparendo dietro all'orizzonte, dopo aver lasciato sfilare Damaso e Alessandro, mi sono rivolto verso il sole per il rito del “saluto”. Un bel respiro profondo e la vescica si rilassa accompagnata dal fruscio delle goccioline sulle foglie di cisto; sullo sfondo, la fantasia di colori creata dal sole mentre s'immerge nel tirreno. Il sole è onorato di questo mio omaggio: gli ho dedicato un momento di sollievo, di libertà, di vita intensa.
Dopo c'è ancora la luce che piano piano cala, portandosi via prima i colori e poi le forme delle cose, l'arrivo, la “solita” bella festa, le solite birre, il rientro a casa, stanco ma con quel leggero senso di ebbrezza, sazietà e completezza che somiglia molto all'essere felice. Il sole ora è sotto i piedi e per inseguirlo devo coricarmi. È stato il giorno più lungo ma sono riuscito a riempirlo tutto.

lunedì 17 giugno 2019

Attraversando la barbagia

Quando Gianni mi ha invitato al Barbagia Crossing, avevo già intenzione di partecipare. Volevo provare la formula particolare di questa manifestazione: 103 km di percorso, una traccia e 4 punti base presidiati con possibilità di mangiare e dormire. Nient'altro. Nessuna segnatura, frecce, tempi massimi, o altro. Si viaggia dentro l'idea di due visionari, Gianni e Alessandro con una formula che riduce al minimo i vincoli. Il resto è libertà, di tempo e di spazio. Non ho nessun ruolo, sono scopa di me stesso e mi posso godere, in piena libertà, il viaggio attraverso un territorio che conosco poco e che promette molto. La traccia gps sarà integrata da tracce mentali devianti che mi porteranno più volte ad immergermi in acque freschissime o ad arrampicarmi su rocce spettacolari.
Dopo aver seguito per qualche minuto i primi ed essermi poi attardato con gli ultimi, correndo in discesa raggiungo Checco e Nicola diventando la 12esima pecora del loro gregge.
Poi, all'improvviso, resto solo col sapore di libertà che si prova lasciando la via maestra per inseguire tracce mentali; cambio anche sport, nuotando per 300 metri lungo un bellissimo canyon che risale sinuosamente il flumendosa fra rocce chiare fino ad arrivare ad una rapida per poi rientrare sempre a nuoto fino ad avere mal di braccia. Mezz'ora di libertà, di “devo vedere cosa c'è dietro quell'ansa”, di sorpresa continua ed entusiasmante, di perfetta solitudine, di parentesi freschissima in una giornata molto calda. Oltre alla meraviglia, il lungo bagno abbassa la temperatura corporea a valori ottimali, consentendomi di affrontare la salita successiva con maggior vigore.
Dopo pranzo, birra e caffè al check point di Gadoni, la digestione pesa e non mi va di correre; mi unisco a Paolo che viaggia col suo passo regolare, lo zaino enorme e un nugolo di mosche intorno alla testa. Ogni tanto una delle sue mosche viene da me ma gliela rendo subito: “scusa Paolo, questa mosca è tua” e se la riprende. Dopo aver risalito insieme un bel ruscello canterino, entriamo nel parco di texile. Le tracce mentali mi portano a lasciare Paolo per arrampicarmi sul magnifico tacco per poi inseguirlo prima che mi si scarichi completamente il gps e con lui rientriamo a Belvì verso le 18 con i primi 40 km fatti e una camera prenotata per la notte.
Mettersi a sedere al tavolo di un bar di Belvì è pericoloso. L'ospitalità barbaricina si mischia alla generosità degli amici e non si resta a bocca asciutta ma, al contrario, con tante bottiglie asciutte e il ventre colmo. Il mio apparato digerente va in affanno e quella notte soffrirò mal di pancia e la seguente mi sveglierò per vomitare. La prossima volta dovrò allenare meglio lo stomaco con sedute di peristalsi in palestra.
Per fortuna l'assenza di vincoli temporali mi consente di dormire più a lungo. Considero la sveglia un nemico della libertà e il letto mi accoglie ben oltre le 5 del mattino, ora in cui sono già tutti in piedi.
Riparto per ultimo per poi alternare magnifica solitudine con splendida compagnia; corro, aspetto e corro ancora. Conquisto la cresta del monte e poi me la godo, viaggiando con lo sguardo fra panorami immensi, mucche e cavalli semibradi con vitelli e puledri. Incontro alberi monumentali, a cui assegnerei nome e cognome tanto sono particolari e unici. Per esempio, quell'albero isolato che suona come un orologio svizzero non è “una sughera” ma “la maestosa sughera del cuculo”; è unica e se la vuoi conoscere, la trovi lì e non altrove.
Il percorso è lineare e per non perdersi basta controllare la traccia ai bivi e ricontrollarla 50 metri dopo per assicurarsi di averla interpretata bene. Si può procedere rilassati, senza bisogno di guardare in continuazione l'orologio o di unirsi a branchi al seguito di maschi alfa. Solo nei paesi i bivi sono molti e le difficoltà aumentano. Quando entro a Meana sono solo e mi viene qualche dubbio di aver mancato il check point ma poi lo trovo, quasi all'uscita del paese, accogliente come tutti gli altri. Nei check points si trova cibo in abbondanza e belle facce note, Alessandro, Gianni, Elio, Anita, Sebastiano, …, a cui si uniscono poi Ivan e Claudio, che hanno finito la loro gara e sono lì ad aiutare. Anch'io mi unisco a quel bello spirito collettivo andando al bar a comprare birre per gli amici appena arrivati, per poi bere quelle offerte dagli altri.
Al contrario di quello che succede ai podisti normali, ogni tanto sono costretto a correre perché non ce la faccio più a camminare. Dopo l'ennesima bella sosta alla sorgente freschissima di su zurru de uatzo, le gambe sono rigide e i piedi indolenziti ma dopo poche centinaia di metri di corsa, i dolori passano completamente, come se non ci fossero stati i 90 km delle ultime 30 ore. Non voglio fermarmi più, imposto una corsa leggerissima e mi tiene compagnia Silvia. Ancora un bel bosco fresco, un passaggio attraverso un gregge con maremmani che ci abbaiano minacciosi ma si tengono lontani dal mio ringhio, una salita con pendenze letali, un noce incredibilmente bello, anzi “il noce”, proprio lui, quello con i gomiti dei rami poggiati mollemente a terra; insomma gli ultimi 10 km di “piscia piscia” come li aveva definiti Gianni, ricchissimi anche loro di contenuti e si arriva al termine di questo meraviglioso viaggio.

Avanti così. Nuove idee visionarie per armonizzare sport e territorio nel modo più naturale e semplice possibile, grazie anche alla tecnologia che consente di smaterializzare la plastica della segnaletica riducendola a pochi kbyte di memoria in una microsd. Avanti così, pronti per partire dai check points con solo 1000 millilitri d'acqua, 1000 milliampere-ora di carica e la testa piena di libertà.

martedì 11 giugno 2019

Cosa non si farebbe per un pranzo gratis!

Su invito di un amico, ho scritto un raccontino per un contest su facebook. In palio un pettorale gratis e un pranzo per 2 persone. “È un ambiente di sportivi, quindi ci si mette in gioco e vinca il migliore” pensavo ma non avendo ancora mai partecipato ad un concorso su FB, non immaginavo che mi aspettasse una discesa agli inferi!
Sul mio diario ho scritto:
Su invito di un amico, ho scritto un raccontino per un contest. Lo trovate, insieme a quelli concorrenti, al link qui sotto. Per votare basta mettere un "like" all'immagine contenente il racconto. Siccome, almeno in teoria, dovrebbe vincere il racconto migliore e non quello il cui autore ha più amici su FB, vi invito a leggere anche gli altri e a votare il migliore”. Con un po' di ipocrisia, confidavo che trovassero migliore il mio o che lo scegliessero a prescindere.
Quando ho visto che uno dei concorrenti aveva molti più “like”, sono andato a vedere cosa avesse scritto su FB:
Votatemi mettendo un like sotto il mio racconto”.
Secco. E i contenuti? Non dovrebbe vincere il migliore? Ci ho riflettuto un po' e il giorno dopo l'ho superato dal basso con un post ironico:
Adesso basta con i buonismi, se no rischio di fare servizio scopa anche al contest trailletterario.
C'è in palio un pranzo non posso farmi superare così, senza combattere. Ci sono i conchiglioni ripieni, cacchio. E' partita la salivazione e devo andare velocemente fino in fondo altrimenti rischio di inondare la tastiera.
Fate vedere che amici siete, aiutatemi a conquistare l'agognata seada: andate al link qui sotto, cliccate sul mio racconto e votatelo. Non state a leggerlo, non serve a niente o, se proprio volete, leggetelo ma PRIMA di leggerlo mettete il like che magari poi vi fa schifo. Spammate, condividete e, se vinciamo, uno di voi, sarà estratto a sorte per accompagnarmi al pranzo. Maialetto arrosto, mica scherzi! Si mangia bene, si mangia tanto, si mangia tutti! E' una promessa elettorale, badate bene. Votate votate votate!

Anche se era evidentemente scherzoso, mi sentivo di avere venduto l'anima per il pranzo gratis. Ma la mia anima non ha un grande valore di mercato. Giusto una ventina di “like” o poco più.
Mezz'ora dopo, sul diario FB dello stesso concorrente compare il seguente messaggio:
Il mio post sarcastico era stato plagiato e trasformato in uno pseudo-simpatico con tutte le faccine! Sono rimasto sbalordito. Uno che vuole vincere un concorso “letterario” e che, per di più, si definisce sportivo, si riduce a copiare i messaggi di un concorrente! Peggio di me!
Ho smesso di lottare. Ero già troppo in basso e non potevo scendere oltre, neanche per un pranzo gratis. Ho votato il suo racconto e tutti gli altri tranne il mio e sono rimasto a bocca aperta a guardare la stupefacente guerra che infiammava le pagine di FB. Cosa non si farebbe per un pranzo gratis!
I racconti? Nonostante non avessero la minima rilevanza per l'esito del contest, li ho letti tutti. Io avrei votato il mio, non perché fosse scritto meglio degli altri ma perché l'ho scritto a mio gusto, sintetico e con un minimo di struttura narrativa. Ce n'era un altro scritto decisamente meglio, che forse avrebbe meritato la vittoria ma un po' piatto per i miei gusti. Forse, al terzo posto, avrei messo quello dell'amico plagiatore. Raccontino un po' banale ma arricchito da qualche bella immagine poetica che riesce a far perdonare persino banalità tipo: “vado veloce a tratti sotto i cinque minuti a Km”. O forse no. Per esempio: “Ci si arrampica in fila indiana tutti colorati su uno sfondo di verde brillante e tutte le sfumature di colori di una primavera esplosa” è una bella immagine poetica, peccato però che quella mattina il cielo fosse coperto da una spessa coltre di nubi e pioggia e foschia rendessero tutto grigio e spento. “La primavera non c'entra un cazzo”, avevo scritto io, più prosaicamente. Dove avesse visto tutto quel fulgore primaverile è un mistero. Si era fumato qualcosa? Ecco, vedete? Mi è scappata l'invidia perché ha vinto e, maledizione, i conchiglioni ripieni li mangerà lui.
Bon appetit!
Verde brillante? Foto di Nicola Dessì