Le due scope e l'atleta - foto di Agnese Casu |
Sa macchina becia |
200 metri dopo,
Agnese si ferma in preda dal panico. “Non trovo il cellulare!”
Senza cellulare, impossibile fare i 50 selfie previsti. Io invece ho
scordato il gps con la traccia registrata ecc. Meno male che oggi
siamo due scope, perché in due riusciamo a completare un cervello
normale. Comunque, il suo cellulare salta fuori, il mio gps no.
Pazienza. Andiamo, che gli atleti sono in fuga!
Attraversiamo la
strada asfaltata all’inseguimento di Priamo e Francesca che
raggiungiamo poco dopo. Inizia la prima salita e ad un bivio mancano
i nastri segnaletici. Priamo ha la traccia e lo seguiamo. Dopo
qualche centinaio di metri, i nastri riprendono. Ne stacco due metà
e scendo a metterli dove mancavano, per quelli della 30 che devono
ancora passare da lì. L’operazione mi fa perdere una decina di
minuti e devo correre all’inseguimento. Raggiungo Francesca ed
Agnese poco prima di sa macchina becia – imponente edificio
minerario che, sia pure in rovina, porta i segni della prosperità
passata – giusto in tempo per spararci i primi selfie. Priamo,
intanto, è partito in fuga e lo rivedremo solo al traguardo. “Noi
siamo le scope, lei è l’atleta”. Il percorso alterna lunghi
tratti di strade minerarie, dove avanziamo con una corsa molto
tranquilla, a brevi intermezzi su sentieri pietrosi e ripidissime
tagliafuoco dove si procede con estrema lentezza. Ho tempo di
guardarmi intorno, scendendo anche nei particolari: i funghi, le
pietre … . I funghi non li raccolgo, perché non sarebbe stato
professionale partire col cestino. Le pietre, invece, entrano bene
nel mio zainetto da trailer-scopa e la discesa di monte san Giovanni
ora ha tre pietre in meno e io ho tre pietre in più.
Mi fermo a parlare
con volontari e organizzatori: prima con Aldo, poi bevo una birra con
Carlo, poi due chiacchiere con Stefano. Il paesaggio collinare offre
viste stupende sulla costa dell’iglesiente, da sant’Antioco a
Masua, ed è costellato di rovine, insieme maestose e terribili nel
loro aspetto post-apocalittico, resti di una crisi che come una
guerra ha lasciato cumuli di detriti. Sono vestigia di un’economia
che ha devastato il territorio sia pure con qualche suggestione di
grandezza che si vuole valorizzare come “archeologia mineraria”.
Quest’aria post-industriale mi affascina e disturba al tempo stesso
e mi appare come un’enorme cicatrice lasciata dall’uomo sul
territorio. Dopo il 30esimo km, si arriva alla salita più
importante. Ora si va in montagna. Il bosco ci avvolge piacevolmente
e le rovine, presenti anche qui, sono ormai parte del bosco; qui la
natura sta completando il suo ciclo, riprendendosi gli spazi e mi fa
sentire più a mio agio.
La salita è lunga e
a tratti anche dura. Guardo Francesca; è a pezzi ma i suoi pezzi
continuano ad avanzare. Mi guardo in tasca cercando, senza successo,
le chiavi del cancello orario delle 15:30. Ne parlo con Agnese, la
dobbiamo fare arrivare: ce la può fare sia pure oltre il tempo
massimo. Sguardo fisso al gps che ho dimenticato in auto pochi selfie
e … marciare! Al cancello abbiamo più di mezz’ora di ritardo. I
volontari non sanno bene come agire e intanto lei è già ripartita.
Cosa facciamo? È già partita. Eh già. Non vi preoccupate, mi
prendo io la responsabilità.
E mentre Francesca
si spegne, Agnese si accende. La radio trasmette canzoni italiane con
la voce di
Agnese, sempre più euforica. La sua energia inesauribile
non può esplodere in una corsa veloce ma le esce da tutti i pori e
le si spande intorno, trasmettendo allegria. In due, oltre a fare un
cervello, facciamo il servizio scopa perfetto, sicuro ed accogliente.
Si va avanti fra qualche selfie e un paio di trallallero, con lo
sguardo fisso al gps che ho dimenticato in auto. Passando accanto al
poligono sentiamo prima i botti degli spari e l’odore dalla polvere
da sparo, poi i fischi dei proiettili. La radio interrompe la musica
per trasmettere un comunicato importante: “Non ci sparate!” E
parte la tregua. Francesca continua ad avanzare ma somiglia sempre
più ad uno zombie; per fortuna è vegetariana e non ci fa paura.
Intanto il sole tramonta, il tramonto finisce in una pozzanghera e
poco dopo siamo arrivati. Sono già andati quasi tutti via, ma i
pochi rimasti ci riservano un’accoglienza regale.
Qui, in fondo al
gruppo, non si fa solo il percorso di gara. È come quando da ragazzi
ci si rifugiava nei sedili dietro del pullman per far casino lontano
dagli sguardi dell’autista; qui le occhiate storte e i mormorii di
disapprovazione delle madame sedute nelle prime file arrivano
attutite. Il sedile dietro arriva per ultimo ma arriva, viaggiando
con leggerezza e poco meno di 10 ore di trail sono volate via così,
come una canzone. Grazie Stefano, Luigi, Carlo e tutti gli altri per
aver organizzato questa bella manifestazione e per avermi invitato a
farne parte. Grazie Agnese e Francesca per la splendida compagnia.
Spero che l’anno prossimo riusciremo a replicare con questa stessa
formazione. Nei selfie c’è ancora spazio per un paio di facce …
chi si unisce a noi?
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