L'affaire sea-watch è un
teatrino degno del grand guignol. C'è il capitano che dà bastonate
alla capitana, ci sono arlecchino, pulcinella, i carabinieri e le
motovedette dei finanzieri e se le danno tutti di santa ragione. Il
pubblico è lì che guarda appassionato; parteggia, urla, sbraita,
insulta, tira pietre e pomodori marci.
Fuori dal teatrino, intanto c'è
l'invasione. Centinaia di piccole imbarcazioni approfittano del fatto
che tutte le motovedette sono al teatrino per sbarcare indisturbate
orde di africani, che si aggirano per il palco, neri, lontani dai
riflettori, senza che nessuno li noti. Neanche questa è la realtà.
Il teatrino, infatti, è installato sul palco del grande teatro
dell'opera dove sta andando in scena lo spettacolo dell'invasione
barbarica.
Intanto, fuori dal teatro, due magnati
della finanza stanno discutendo fra di loro. “Cosa ne facciamo
degli italiani? Docili consumatori o produttori schiavi?” “Non vedi
che sono tutti a teatro? Facciamone produttori schiavi che non se ne
accorgono neanche”.
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