Quando Gianni mi ha invitato al
Barbagia Crossing, avevo già intenzione di partecipare. Volevo
provare la formula particolare di questa manifestazione: 103 km di
percorso, una traccia e 4 punti base presidiati con possibilità di
mangiare e dormire. Nient'altro. Nessuna segnatura, frecce, tempi
massimi, o altro. Si viaggia dentro l'idea di due visionari, Gianni e
Alessandro con una formula che riduce al minimo i vincoli. Il resto è
libertà, di tempo e di spazio. Non ho nessun ruolo, sono scopa di me
stesso e mi posso godere, in piena libertà, il viaggio attraverso un
territorio che conosco poco e che promette molto. La traccia gps sarà
integrata da tracce mentali devianti che mi porteranno più volte ad
immergermi in acque freschissime o ad arrampicarmi su rocce
spettacolari.
Dopo aver seguito per qualche minuto i
primi ed essermi poi attardato con gli ultimi, correndo in discesa
raggiungo Checco e Nicola diventando la 12esima pecora del loro
gregge.
Poi, all'improvviso, resto solo col sapore di libertà che si
prova lasciando la via maestra per inseguire tracce mentali; cambio
anche sport, nuotando per 300 metri lungo un bellissimo canyon che
risale sinuosamente il flumendosa fra rocce chiare fino ad arrivare
ad una rapida per poi rientrare sempre a nuoto fino ad avere mal di
braccia. Mezz'ora di libertà, di “devo vedere cosa c'è dietro
quell'ansa”, di sorpresa continua ed entusiasmante, di perfetta
solitudine, di parentesi freschissima in una giornata molto calda.
Oltre alla meraviglia, il lungo bagno abbassa la temperatura corporea
a valori ottimali, consentendomi di affrontare la salita successiva
con maggior vigore.
Dopo pranzo, birra e caffè al check
point di Gadoni, la digestione pesa e non mi va di correre; mi unisco
a Paolo che viaggia col suo passo regolare, lo zaino enorme e un
nugolo di mosche intorno alla testa. Ogni tanto una delle sue mosche
viene da me ma gliela rendo subito: “scusa Paolo, questa mosca è
tua” e se la riprende. Dopo aver risalito insieme un bel ruscello
canterino, entriamo nel parco di texile. Le tracce mentali mi portano
a lasciare Paolo per arrampicarmi sul magnifico tacco per poi
inseguirlo prima che mi si scarichi completamente il gps e con lui
rientriamo a Belvì verso le 18 con i primi 40 km fatti e una camera
prenotata per la notte.
Mettersi a sedere al tavolo di un bar
di Belvì è pericoloso. L'ospitalità barbaricina si mischia alla
generosità degli amici e non si resta a bocca asciutta ma, al
contrario, con tante bottiglie asciutte e il ventre colmo. Il mio
apparato digerente va in affanno e quella notte soffrirò mal di
pancia e la seguente mi sveglierò per vomitare. La prossima volta
dovrò allenare meglio lo stomaco con sedute di peristalsi in
palestra.
Per fortuna l'assenza di vincoli
temporali mi consente di dormire più a lungo. Considero la sveglia
un nemico della libertà e il letto mi accoglie ben oltre le 5 del
mattino, ora in cui sono già tutti in piedi.
Riparto per ultimo per
poi alternare magnifica solitudine con splendida compagnia; corro,
aspetto e corro ancora. Conquisto la cresta del monte e poi me la
godo, viaggiando con lo sguardo fra panorami immensi, mucche e
cavalli semibradi con vitelli e puledri. Incontro alberi monumentali,
a cui assegnerei nome e cognome tanto sono particolari e unici. Per
esempio, quell'albero isolato che suona come un orologio svizzero non
è “una sughera” ma “la maestosa sughera del cuculo”; è
unica e se la vuoi conoscere, la trovi lì e non altrove.
Il percorso è lineare e per non
perdersi basta controllare la traccia ai bivi e ricontrollarla 50
metri dopo per assicurarsi di averla interpretata bene. Si può
procedere rilassati, senza bisogno di guardare in continuazione
l'orologio o di unirsi a branchi al seguito di maschi alfa. Solo nei
paesi i bivi sono molti e le difficoltà aumentano. Quando entro a
Meana sono solo e mi viene qualche dubbio di aver mancato il check
point ma poi lo trovo, quasi all'uscita del paese, accogliente come
tutti gli altri. Nei check points si trova cibo in abbondanza e belle
facce note, Alessandro, Gianni, Elio, Anita, Sebastiano, …, a cui
si uniscono poi Ivan e Claudio, che hanno finito la loro gara e sono
lì ad aiutare. Anch'io mi unisco a quel bello spirito collettivo
andando al bar a comprare birre per gli amici appena arrivati, per
poi bere quelle offerte dagli altri.
Al contrario di quello che succede ai
podisti normali, ogni tanto sono costretto a correre perché non ce
la faccio più a camminare. Dopo l'ennesima bella sosta alla sorgente
freschissima di su zurru de uatzo, le gambe sono rigide e i piedi
indolenziti ma dopo poche centinaia di metri di corsa, i dolori
passano completamente, come se non ci fossero stati i 90 km delle
ultime 30 ore. Non voglio fermarmi più, imposto una corsa
leggerissima e mi tiene compagnia Silvia. Ancora un bel bosco fresco,
un passaggio attraverso un gregge con maremmani che ci abbaiano
minacciosi ma si tengono lontani dal mio ringhio, una salita con
pendenze letali, un noce incredibilmente bello, anzi “il noce”,
proprio lui, quello con i gomiti dei rami poggiati mollemente a
terra; insomma gli ultimi 10 km di “piscia piscia” come li aveva
definiti Gianni, ricchissimi anche loro di contenuti e si arriva al
termine di questo meraviglioso viaggio.
Avanti così. Nuove idee visionarie per
armonizzare sport e territorio nel modo più naturale e semplice
possibile, grazie anche alla tecnologia che consente di
smaterializzare la plastica della segnaletica riducendola a pochi
kbyte di memoria in una microsd. Avanti così, pronti per partire dai
check points con solo 1000 millilitri d'acqua, 1000 milliampere-ora
di carica e la testa piena di libertà.
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