“Il
piede è un appoggio. Si distingue dal sedere perché è più piccolo
ed
inutilmente complicato. E' infatti pieno di atavismi, retaggi fossili
di un passato ormai lontano. Ci sono le dita, con cui non solo non si
riesce a prendere niente, ma è anche difficile suonare il piano o
comporre un numero di cellulare. Per non parlare delle unghie, il cui
unico scopo è diventare blu quando si corre troppo. A noi corridori,
basterebbe una base morbida, un sederino con due cuscinetti su cui
appoggiare il peso ammortizzando l'impatto col suolo ... .”

Incantato,
rischiavo
di trasformarmi
in zucca
e
di
scordarmi
la
preparazione
per la
maratona. Per
fortuna
però,
negli
ultimi 4 chilometri, la
forza
di
gravità
della
discesa
o
forse il
magnetismo
dell'aspettativa
mi attirano,
al
ritmo esatto
della
maratona,
verso
il
banchetto.
È qui
che si svela
il
senso della
vita:
scambio
calorico
portentoso, metabolismo
accelerato,
vita
intensa.
Sono
entrato
nel
bellissimo
gruppo di
famiglia di
Caterina
per la
porta
principale,
quella
della
sala
da
pranzo.
Malloreddus
e riso, agnello
e
cinghiale,
concorso
di
vini rossi artigianali,
varietà
infinite di dolci; dopo
caffè,
ammazzacaffè
e secondo ammazzacaffè,
non
senza
una
certa
esitazione,
ho avuto
il coraggio
di dire no ad
una
ciambellina.
E questa è la forza mentale che mi servirà ad arrivare in fondo
alla maratona (o
forse era puro istinto
di sopravvivenza).
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