“Da domani farò vita da koala. Non
fanno un cazzo e vivono cent'anni” promette Dimitri
sull'interminabile salita che dal mare porta ai mille metri
dell'altopiano. Siamo intorno al 55esimo km. Sono d'accordo con lui. I
koala non fanno altro che masticare e sonnecchiare, se non nel
periodo della riproduzione, e io per la gara di Macomer devo solo
allenare le mandibole e sonnecchiare, se non nel periodo della
riproduzione.
Sembrerebbe che perfino “massiccione”
Zanda, su quella salita, abbia rivendicato il diritto ad un posto sul
divano di fronte alla tv ma, in quanto mito, non credo che possa
andare in pensione.
Faccio la schiuma. Il caldo mi sta
facendo sudare fuori tutta la birra bevuta a cala luna. Non vedo
l'ora di raggiungere il prossimo ristoro, sedermi e berne un'altra
bella fresca per poi fare nuova schiuma. La prima vescica plantare
destra è arrivata 40 km fa e ormai fa parte dell'arredamento di
questo corpo disagiato insieme alla sorellina del piede sinistro,
alla piaga sul collo scavata dalla spallina dello zaino, ai
numerosissimi dolori muscolari e ad una sensazione di nausea. La
metamorfosi è sofferenza, si sa. Ma come sono arrivato fin lì?
Si naviga a vista. Fino a 3 giorni
prima della gara non sapevo con chi andare, dove dormire, dove
mangiare e cosa indossare per la gara; ero in mutande e neanche
pulitissime e senza credito nel cellulare. Appena prima di partire ho
fatto una sosta al negozio di abbigliamento sportivo per comprare un
paio pantaloncini senza buchi, un paio di solette da 1 mm che
assorbono benissimo tutta l'energia e le pietre da 25 millimetri
sembrano di soli 24 e un paio di super calze che, quando le indossi,
le dita dei piedi non si infilano in nessun buco. Solo le scarpe
sono un po' a brandelli, per il resto sembro decentissimo. Essere
disorganizzati può essere un vantaggio quando si è fra amici
organizzati e generosi. Con un messaggio FB ho trovato un passaggio
per andare con l'autista migliore, Paolo, che se il bar è dalla
parte sbagliata della superstrada, per lui non è un problema. Non
trovare posto alla cena ufficiale, poi, mi ha obbligato a cercare un
“ripiego” ed accettare l'invito dell'allegra compagnia di
Capoterra. Quando si tratta di mangiare sono una vera garanzia:
muggine arrosto pescato la mattina stessa, malloreddus fatti in casa,
panada di capra e piselli, tiramisù al cocco, biscotti e torta
paradiso, vino di proprietà in abbondanza e, per finire, il mitico
limoncello di Cinzia, l'ideale prima della gara, ma anche dopo.
Infine ho trovato un letto, per di più matrimoniale, con il grande
Enrico di Cosimo! Devo ricordarmi di chiedere il divorzio: si agita
troppo nel letto.
5 e 50; mancano 10 minuti alla
partenza. Enrico si guarda intorno. “Non vedo Marco Pajusco … tu
l'hai visto?” Controlla gli avversari, punta al podio e fa bene.
Anch'io controllo i miei avversari: la schiena, il ginocchio, il
piede, lo stomaco … gli avversari più temibili sono tutti dentro
di me. Poi i chilometri, il caldo e il calcare; quella roccia chiara
che si lascia malleare dall'acqua assumendo forme strabilianti, a
volte morbide, altre pungenti, dirupi, grotte, guglie ... è dura per
gli uomini. Sarò io ad essere malleato. Prima di partire devo
salutare il mio corpo, che così come lo conosco non lo ritroverò
più. La testa è già andata, scavata dal calcare; forse mi
cresceranno le ali o forse diventerò un koala.
Nessun commento:
Posta un commento