Bar di Cala luna, ore 12:40. km 47
dell'UTSS
Dov'è la birra? Foto di Michele Loi |
Il mare è al di là della laguna con
la sua magnifica acqua fresca e trasparente ma i segni vanno in
direzione opposta dei sogni. “Non si passa dal mare? Avrei voluto
fare il bagno” “l'hai già fatto”. È vero. Sono già bagnato
fradicio di sudore ma non intendevo questo. Di là il fresco del
mare, di qua il caldo, umido e opprimente, riempie la magnifica e
maledetta codula, illuminata da un sole inesorabile fra oleandri
sabbia e sassi e chiusa da pareti altissime che immobilizzano l'aria.
Non si muove una foglia, la colonna sonora di Morricone fa da
sottofondo a questa scena al rallentatore che invischia anche me.
Accenno qualche passo di corsa solo nei rarissimi punti in cui la
sabbia è compatta o i sassi sono piatti.
Ci metto mezz'ora ad uscire dalle
sabbie mobili e, arrivato all'imbocco del sentiero, mi fermo a
togliere la sabbia dalle scarpe. Mi raggiunge Marta Poretti, fresca e
sorridente. Sale leggera con i bastoncini. La seguo alla distanza
giusta per poter scambiare qualche battuta e tenere lo spazio libero
davanti per il vento in faccia ma non c'è un filo d'aria. La salita
continua interminabile. Le martellate sui genitali ora sono forti e
precise. Il meraviglioso e l'orrido si mescolano in un mix
stupefacente. La schiuma esce dalla pelle. Il prossimo bar tarda ad
arrivare, forse l'hanno spostato o forse chiuso! Le borracce sono
quasi vuote e sono in astinenza: è un'ora e mezza che non bevo una
birra! Per fortuna, un paio di chilometri più su del previsto,
annunciato da un odore di salsiccia arrosto, purtroppo non per me,
ecco il bar del 54esimo. È affollato: ora i corridori si soffermano
più a lungo. Sono le due passate, abbiamo superato le 8 ore di gara,
c'è stanchezza nell'aria, si appiccica alla pelle e appesantisce il
culo.
Bevo una lattina di ichnusa ghiacciata,
riempio una borraccia con acqua e sali che non riuscirò a bere per
la nausea – col passare delle ore mi è sempre più difficile
trovare qualcosa di accettabile per lo stomaco – e l'altra con
acqua, cola e mezzo limone spremuto. Dal recipiente della birra rubo
due cubetti di ghiaccio: uno lo metto sotto l'ascella, l'altro lo
passo in faccia, sul collo, cercando di alleviare – almeno per
qualche secondo, almeno in qualche minuscolo pezzetto di pelle – il
disagio del caldo e riparto ancora in salita. Sono sfatto ma ancora
vivo. Marta è partita e non la vedrò più, Raffaele va più o meno
alla mia velocità ma ha l'aria fresca di chi non fatica. Raggiungo
Dimitri che, vaneggiando, dice qualche frase memorabile. Facciamo un
pezzo di strada insieme ma quando io riprendo a correre lui non ne ha
la forza. Correndo raggiungo e supero anche un altro ragazzo in
crisi. Le crisi degli altri mi fanno sentire più forte di quanto non
sia in realtà e, sulle alette di questo piccolo entusiasmo, riesco a
svolazzare come un pollo senza quasi fermarmi fino al prossimo bar.
Km 61. Dopo la solita birra, riparto
correndo, fiducioso, ma il prossimo bar non arriva mai. Il percorso è
sempre piacevole ma non più entusiasmante e non basta a distrarmi.
Mi sembra di correre veloce ma gli spazi sono dilatati. Se prima i
chilometri erano pieni di meraviglia, ora sembrano vuoti e diventano
lunghissimi. Sento tuonare in lontananza, nuvole basse diventano
nebbia, i paesaggi si fanno spettrali e di nuovo affascinanti e il
ristoro magicamente appare.
Al bar del settantesimo, i ragazzi
aprono, per me, un nuovo fusto. “Bravo! Da dove vieni?”
“Capoterra” rispondo. “Sei primo dei sardi”
Ma sono sardo? Più sardo di Gervasoni
e Di Cosimo ma meno dei “nativi”. Non è chiaro, però questo
titolo sarebbe per me motivo d'orgoglio. Dietro chi potrebbe
usurparmelo? Gianni con una delle sue mitiche “progressioni
Mureddu”? Non credo, si ferma troppe volte a pisciare. Mi immagino
invece “massiccione” Zanda, Ivan Sedda o Stefano Frau comparire
da dietro all'improvviso. Loro hanno fatto gare durissime e ora
saranno meno morti di me. Ogni tanto mi sembra di sentire voci da
dietro o rumori di passi ma sono solo fantasmi. Puntare ad un posto
fra i primi dieci maschi e al titolo di primo dei sardi mi serve per
avere uno stimolo a spingere ancora, a tenere un passo veloce a
combattere la tendenza ad afflosciarmi verso “velocità zero”.
Ogni volta che un fantasma mi chiama, mi volto e rispondo con una
breve accelerazione o qualche passo di corsa.
Volevo il vento in faccia e la visuale
libera? Eccomi accontentato. Da quando ho visto il forte Raffaele
ripartire dal ristoro e sparire nella nebbia, ho viaggiato in
perfetta solitudine.
Alle 17:25 arrivo al bar del 74esimo
km. Ogni ristoro è stata una festa: accoglienza calorosa, cibo e
bevande e un arrivederci al traguardo e questo è il più
rumoroso di tutti: urla e campanacci; meglio del bar sport la domenica
pomeriggio. Bevo con gusto il brodino caldo, oltre alla birra,
naturalmente. Poi devo ripartire per ritrovare altre ore di
solitudine e sofferenza.
L'80esimo non arriva mai. I chilometri
mi sfuggono, infiniti. Non ho ancora acceso il gps e l'unico
riferimento che ho è l'altimetria sul pettorale. Continuo a
guardarla ma non capisco bene dove mi trovo: è rimpicciolita un
milione di volte e mi servirebbe un microscopio elettronico per
vederci bene dentro. Mi nasconde saliscendi, greti di torrente,
ovili, pioggia e i dentini che invece si vedono ad occhio nudo, sono
mostruosi canini mastica-muscoli. Perfino la birra mi ha stufato ed è
sempre più difficile trovare una buona ragione per proseguire. “Se
arrivo ho 2 punti per l'UTMB … e cosa me ne faccio? Se ne raccolgo
5 vinco una pentola?” Quando finalmente arrivo al ristoro
dell'ottantesimo, decido di accendere il gps, voglio vedere passare i
10 km mancanti metro per metro per avere un segno tangibile che la
fine si avvicina. Il primo chilometro passa facile, su strada, anche
se si sale ancora. Poi comincia la discesa. Nella penombra mi appare
un pendio quasi verticale. Sul ghiaione vedo segni strani, più che
passi sembrano impronte di sederi. Guardo giù per vedere se ci sono
cadaveri. La terra è resa scivolosa dalla pioggia ma, per fortuna,
fra tutte queste pietre di terra se ne vede poca. Mi preoccupo,
seriamente, per quelli che arriveranno dopo, fra le tenebre della
notte e della stanchezza.
Più in là si torna su strada e si
sale di nuovo. Da un fuoristrada una voce mi incoraggia: “mancano
solo 5 km”. Riaccendo la frontale. Ormai è buio e sotto si vedono
le luci dei paesi. Cerco di indovinare quale sia Baunei, dov'è il
traguardo ma la mente è offuscata e viaggio sperduto con lo
sguardo. Rientro nel bosco in un interminabile saliscendi; ogni
eternità un chilometro passa e il gps vibra emozionato. Ormai dovrei
essere arrivato all'ultima discesa. Il sentiero scende fra ghiaioni,
rocce a picco e alberi, che illuminati dalla frontale offrono uno
spettacolo a metà fra magia e incubo.
Vedo una luce! Qualcuno vede la mia e
suona i campanacci. Il sentiero sbuca sulla strada; “ultimo
chilometro!” Mi dicono. Stento a crederci e infatti saranno quasi
due, ma ormai è tutto facile; la strada scende comoda verso Baunei.
Entro in paese e seguendo le strisce catarifrangenti, mi infilo in un
cortile; mi aggiro per un paio di minuti in cerca della via d'uscita
per poi capire che i catarifrangenti erano messi lì per non fare
ammaccare l'auto al figlio del proprietario quando rientra ubriaco
dal bar. Anch'io sto rientrando ubriaco di stanchezza da un
lunghissimo giro dei bar e mi sono lasciato guidare da quelle lucine.
Ricordo che in un cortile di Loculi era svanita la mia vittoria alla
point to point mtb di Irgoli ma questa volta da dietro non spunta
nessuno e la vittoria del titolo di “primo dei quasi sardi” è
mia. Se ho fatto questo, posso fare tutto. Anche il tempo che non
passa mai alla fine passa. I chilometri, i cento metri, li ho visti
scorrere, goccia a goccia sul gps. Il traguardo per quanto lontano
sia, prima o poi arriva. Si fa aspettare per farsi bello: tanto più
è sudato quanto più è bello e questo, dopo 14 ore di attesa, è
davvero magnifico. Lo prendo a braccetto, con l'indice batto due
tocchetti sulla tempia, sorrido con gli occhi e inizio a cercare
germogli di eucalipto.
Nessun commento:
Posta un commento