martedì 19 febbraio 2019

Ultratrail is xrebus – Ballando coi cervi

Sorrido perché non so cosa mi aspetta. Foto di Roberto Puddino
Lo sapevo. Ho anche scritto, da poco, un articolo a proposito. Senza calzature adeguate, non riesco a correre più di 30-35 km in montagna senza soffrire di crampi. Infatti, da quando, quasi due mesi fa, ho cominciato a prepararmi per questa gara, avevo deciso che avrei usato le mie “brooks” un po' goffe ma protettive. Poi, il giorno prima della gara, ho cambiato idea. Volevo divertirmi a ballare! Sapevo che correre 48 km con delle scarpette da ballo, di quelle che si sente ogni sasso sotto la suola e che, alla minima pressione, si piegano, non aveva molto senso. Sapevo che mi sarei lussato l'alluce sinistro e che avrei rischiato crampi e mal di cosce ma sono fondamentalmente stupido e ho pensato che preferivo ballare piuttosto che scarpinare. Comunque, il mio compito di apripista sarebbe finito al 29esimo km e fino a lì, pensavo che sarei arrivato un po' al limite ma sano. Da quel punto in avanti, se avessi avuto problemi avrei potuto fermarmi. Sembra facile, no? Basta poggiare il culo per terra. Ne parliamo dopo. E allora eccomi con le scarpette “salewa”, calzature buone per ballare fra i sassi facendo attenzione ad ogni passo a seguire il ritmo del terreno. È puro divertimento per 10km, ci potrei arrivare bene anche a 20, poi … . Parto alle 7, un'ora prima della gara. Nella lunga salita, riesco a tenere il ritmo che mi ero prefissato. Il lavoro di apripista è semplice, la segnatura è ottima. Solo in un punto mi devo fermare per tirare su una freccia divelta. Si entra nel bellissimo bosco del parco dei sette fratelli e, per un po' mi diverto a ballare su quei bei sentieri in saliscendi. Al 17esimo km arrivo al ristoro e da lì, si fa dura. Comincia il ballo fra pietre e massi. È un ballo pesante, fisicamente sfiancante; le ginocchia sono sottoposte a continue sollecitazioni e anche la mente dev'essere sempre vigile perché ad ogni passo si rischia di cadere. Il posto è magnifico, si passa fra graniti e alberi monumentali, ma gli occhi sono fissi a terra a scegliere l'appoggio giusto, alzandosi ogni tanto giusto per vedere i nastri. Sapere di essere inseguito da 3 giovani e fortissimi trailer, 2 corsi e un bergamasco, non aiuta: me li immagino saltellare leggeri fra sasso e sasso come se non avessero due ginocchia e una schiena da salvare. Maledetti giovani! Cerco di avanzare ad un ritmo decente ma faccio fatica e sono costretto a prendere qualche rischio. Basta infatti una piccola scivolata su una pietra bagnata per piegare il piede sinistro e lussarmi l'alluce. È un dolore che scema lentamente ma non si fa dimenticare; il divertimento si arricchisce di quel segnale e il passo di danza si storce un po'. Poi, i continui colpi delle pietre sulle suole, fanno nascere due piccole vesciche gemelline, una per ogni pianta del piede. Continua il ballo, ma è un ballo goffo e lento. Scarpinare con le ballerine è come ballare con gli scarponi, pestando i piedi della partner; io, nel mio ballo solitario, me li pesto da solo.
Foto di Loredana Lai
Eccomi al 29esimo. Proprio nel momento in cui sbuco nell'asfalto per raggiungere la forestale, mentre scambio due parole con un volontario, mi volto e vedo il primo dei concorrenti che passa. Missione compiuta … per un pelo. Ora potrei fermarmi, il mio compito di apripista è finito ma decido di proseguire; sono fuori gara e vado avanti per “puro divertimento”.
Si scende. Ricordo due settimane fa come scendevo spedito su quello stesso sentiero, saltellando fra i sassi. Ora, in confronto, sono lentissimo. Qui, il percorso della 48, per qualche chilometro è in comune con quello della 27. Mi aspetto che mi sfreccino accanto atleti con la metà dei chilometri sulle gambe ma non mi supera nessuno. Anzi, lungo una breve risalita, raggiungo e supero diversi concorrenti della 27. Sono capitato circa a “centro gruppo” e salgo meglio di loro nonostante la stanchezza. Bene, questo se non è puro divertimento, è comunque una bella soddisfazione. Solo il secondo della 48 mi supera scendendo con passo leggerissimo. Si attraversa la statale e il sentiero comincia a salire deciso. Alternando corsa e cammino, continuo a superare agevolmente, fino a che il percorso della 27 gira a sinistra in discesa. Mi ritrovo solo e le pendenze aumentano: dal 18% si passa al 32%. Il sentiero non c'è più e si seguono tracce di capra. Mi raggiunge Nicola, il terzo della 48, uno dei più forti trailer italiani. Scambio due parole. Non va molto più veloce di me e lo seguo da vicino. Dopo 500 metri al 32%, la pendenza passa al 47%. In 200 metri se ne salgono quasi 100. Matteo sarebbe a vista, dalla sua postazione di direttore di gara si vede la maledetta cresta e le maledizioni potrebbero arrivargli dirette, in linea d'aria; ad averlo saputo, mi sarei girato verso di lui per prendere bene la mira ma le mie imprecazioni sono rimaste lì nell'aria. Bisogna aiutarsi con le mani e i piedi devono spingere forte per arrampicarsi da un masso all'altro. Siamo al 35esimo km e, come previsto, i polpacci si ribellano e arrivano i crampi. Il “puro divertimento” sta diventando qualcosa di sporco. Ora arranco. La mia velocità ascensionale scende da 900 a 600 metri all'ora. Nicola, salendo leggero, è sparito dalla visuale. Dopo oltre mezz'ora di sofferenza, finalmente finisce la salita e si percorre una bella cresta con panorami vastissimi, magnifici, eccetera eccetera, ma preferisco guardare i maledetti sassi per soffrire un po' di meno. Mancano “solo” una dozzina di km da fare in compagnia di crampi, vesciche, con piedi e ginocchia doloranti. Il ballo continua, ha perso ogni grazia ma continua lento, strascicato, appassionato.
Se avessi poggiato il culo a terra, non mi sarei ritirato, perché non ero in gara. Mi sarei dovuto solo fermare. Bastava sedersi, appoggiare le natiche sul morbido per liberare i piedi, le ginocchia, le cosce e i polpacci dal male. Fossi stato in gara, ritirarsi sarebbe stato un atto di coraggio e di saggezza; non ero in gara se non con me stesso e non potevo ritirarmi. Non ci si ritira da sé stessi. Mi sono dato due obiettivi: non farmi raggiungere da nessun altro e finire entro le 7 ore e mi sono bastati come stimolo per andare avanti. La sensibilità alla sofferenza di noi vecchi ultratrailer è una cosa particolare, la corteccia celebrale sembra quella di una quercia e il dolore arriva molto attutito. Non siamo eroi, siamo solo un po' rimbambiti con i nostri neuroni di cellulosa. Quando riesco, corricchio a ritmo lento. Ad ogni crampo, il ballo si fa sincopato, arricchito da un saltello di dolore. L'infermiera mi ha portato in questo dancing su una sedia a rotelle e più che la musica, seguo il ritmo dei dolori e il passo che non mi fa cadere; soffro ma ballare mi fa sentire vivo. Sento le voci, si vede il parcheggio. Ormai ci sono! Sono contento: non mi ha raggiunto nessuno e finisco in 6 ore e 50. Fossi stato in gara sarei arrivato nono. Vorrei fare uno sprintarello per il pubblico ma un ultimo crampo mi fa desistere. Arrivato, non mi siedo, non mi cambio, continuo a ballare, aggirandomi fra gli amici con una birra in mano. Comincia la festa. Poi mi abbandono al pranzo, ottimo e abbondante.
Puro divertimento? No, è stato qualcosa di più. È divertimento sporco, pesante, appassionato, che mi ha trasformato, lasciando indelebili tracce di granito nel cervello. Come sempre, le maledizioni si sono mutate in sincera gratitudine per Matteo, Tore, Cristina e tutti quelli che hanno lavorato per offrirci una giornata piena di vita e ricca di particolari, che ricorderò a lungo.
Alla salute! Foto di Luca Mannoni


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