Uscendo dall'acqua alla fine del primo
giro, sento la voce dello speaker che urla eccitata. Rintronato dalla
transizione di fase liquido-gas, con gli occhialini appannati e
l'acqua nelle orecchie non capisco bene cosa stia urlando: odo
distintamente solo la parola “primo”. Il cervello mi parte in
quarta: “che bello, forse sono primo fra i race directors,
non credevo di aver nuotato così
bene!”.
Improvvisamente
sopraggiunge da dietro un'ombra, seguita da un atleta che mi supera
volando sulla sabbia. Ora capisco. È il primo dei pro che mi sta
doppiando. L'entusiasmo mi scivola via e quando mi butto di nuovo in
acqua si perde sul fondale. Si è alzato il vento e c'è un po'
d'onda. Seguo schizzi che mi portano fuori rotta e mi sento stanco. A
questo giro le boe sono tutte più lontane. Vorrei tanto respirare.
Mi rassegno: punto alla pura sopravvivenza ed esco dall'acqua in 41
minuti, uno in più dell'anno scorso.
In zona cambio l'incubo continua. La
muta si trasforma in un coacervo di anguille e tenta in tutti i modi
di sgusciare via dal sacco dell'umido in cui la devo infilare. Anche
i taschini del body preferiscono stare all'aria aperta piuttosto che
a contatto col mio culo e quando provo a farli rientrare in sede per
infilarci fazzoletti e gel, si ribellano. Insomma, come al solito il cambio mi
costa oltre un minuto in più di quello di un triatleta con un
quoziente intellettivo medio e 2 minuti e mezzo più di un pro.
Finalmente in bici. L'aria è fresca e
il body bagnato; per non sentire freddo devo accendere subito la
stufetta interna e sprigionare i watt. È quello che si chiama
“riscaldamento globale”: nessun rispetto per l'ambiente e
tantomeno per le gambe. Imposto il dolorimetro su “bruciore lieve”,
il respirometro su “impegnato” e spingo con forza su e giù le
pedivelle. Partire fra gli ultimi mi consente di superare facilmente,
soprattutto in salita e questo risveglia l'entusiasmo perduto. Sono
quasi a cantoniera, alla fine della salita più lunga quando
raggiungo Teo. Un saluto, complimenti a lui che sta facendo un ottimo
esordio e a me che ho raggiunto il mio primo bersaglio. Il contenuto
della borraccia mi sorprende con un'effervescenza innaturale, effetto
del bicarbonato che avevo aggiunto per aiutare la digestione ma,
tutto sommato, non mi dispiace. Anzi, potrei suggerirla come ricetta
stocastica per l'integrazione sportiva.
Nel tratto a bastone verso la base
militare di Sant'Anna Arresi, lancio
gesti rabbiosi contro quelli che incrocio in scia. Al contrario
dell'anno scorso, questa volta i giudici daranno qualche penalità e
squalifica, ma la maggior parte dei furbetti se la caveranno senza
essere visti. Incrocio Francesco con circa 6 chilometri di vantaggio:
sono più di dieci minuti e sarà impossibile raggiungerlo … a meno
che … . Sulla costiera mi diverto. Conosco a memoria gli strappi,
le curve, le discese e ho ancora forza nelle gambe per ingranare la
trazione, spingere e superare in continuazione.
A dieci km dalla fine della frazione,
dopo l'ultimo spettacolare strappo della strada costiera, le
difficoltà altimetriche sono finite ma il vento soffia contrario. Mi
supera un atleta che avevo passato poco prima ma appena passa avanti
rallenta. Lo risupero immediatamente ma dopo un minuto me lo ritrovo
avanti a fare la stessa operazione. Provo a rallentare e lasciargli
spazio per non stare in scia, ma va troppo piano. Mi sento ostacolato
come Valentino Rossi. Supero di nuovo. Ho capito cosa fa: mi sta in
scia e poi passa avanti per darmi il cambio. Sarebbe gentile da parte
sua, ma in un altro sport: qui è vietato e non voglio il suo cambio!
Quando mi ripassa per la quarta volta mi lascio sfilare, allargo le
braccia e scuoto la testa. Poi mi alzo sui pedali, prendo velocità e
lo supero a velocità doppia per evitare che mi si attacchi di nuovo.
Finalmente capisce e mi lascia andare. Grazie Giorgio. Mi supererà
nella transizione e correrà un'ottima mezza arrivando qualche minuto
avanti a me.
In zona cambio guardo con diffidenza le
scarpe nuove. Mi sento insicuro. Insicuro delle scarpe, delle gambe,
del fiato. Gli ultimi allenamenti che avrebbero dovuto darmi
confidenza con le scarpe e col ritmo gara, sono finiti con affanno,
fatica, dolore ai polpacci, lasciandomi dubbi e insicurezze. Ma non
c'è tempo per ripensamenti: metto le scarpe e parto. Le gambe sono
pesanti ma cominciano quasi subito a girare decentemente. Sto andando
piano, ma la confidenza aumenta e gradualmente riesco anche ad
accelerare. Infatti, dai 4'41 del primo chilometro riesco a passare a
4'24 al secondo per poi assestarmi intorno ai 4'15, un buon ritmo per
questo tipo di gara. Sono vivo e, come un avvoltoio, comincio la
caccia ai moribondi. La corsa si svolge tutta su un percorso da fare
due volte avanti e indietro e perciò permette di incrociare più
volte tutti i concorrenti e di puntare quelli che danno segni di
cedimento. Chi mi conosce, quando mi vede volteggiare facendo un
gesto di saluto, sa di essere condannato. Non tutti però. Incrocio
Degasperi in lotta per la vittoria con un atleta ungherese. Gli
faccio un applauso e gli dico “grande!”,
lui mi risponde “grande tu”. Resto a bocca aperta con un sorriso
ebete. Un atleta in lotta per la vittoria che spreca fiato per
rispondere ad un amatore qualsiasi. Grande davvero, non solo come
atleta.
Poi incrocio Francesco, è vicino, a
poco più di un km “mi hanno dato 5 minuti di penalità” mi
spiega. Resto allibito. Francesco non sta in scia neanche in
allenamento, controvento, quando è stanco morto, figuriamoci in una
gara in cui è vietata!
Comunque ora è a portata, e volteggio verso di lui. All'ultimo
chilometro lo incrocio di nuovo, solo un centinaio di metri davanti
“Se non mi sprinti ti aspetto”. Sto correndo ancora bene, supero
diversi concorrenti ma non lo vedo. Eccolo!
Che bello, si è fermato davvero ad aspettarmi 50 metri prima del
traguardo!
Lo afferro e passiamo il traguardo insieme. Sono felice!
Qualche ora più tardi, quando
espongono le classifiche, vedo che lo hanno classificato 30 centesimi
avanti a me. Per prenderlo in giro gli dico “sì vabbeh, mi hai
aspettato ma poi hai messo avanti il piede con il chip” “Ma tu
hai messo il chip sul sinistro, si mette sempre sul destro che è il
piede che va avanti” “Boh, io di solito li alterno”. La
prossima volta, lancerò anche io il piede in avanti come una
ballerina di can can.
Nessun commento:
Posta un commento