Ho fatto cose che voi umani ... – ovvero: come sono arrivato a 48 anni ad affrontare il primo ironman quasi come fosse una passeggiata.
Disclaimer: non
è un programma di allenamento, sono solo esperienze personali e, per
finire un ironman non è obbligatorio anzi è sconsigliato fare
sedute di adattamento all'addiaccio schiacciati da parenti.
Per
affrontare un ironman come fosse una passeggiata, devi avere dietro
una famiglia, che, già da piccolo, ti stimola e ti spinge ad uscire
dalla tua zona di comfort, ad avventurarti nell'ignoto, a "curiosare"
fuori dalla tua testa. C'è chi ce l'ha e chi no. Io, per fortuna,
l'ho avuta.
Mio
padre è un tonto. Cominciava così il tema "parla di tuo
padre" che avevo svolto alle scuole elementari. Per me era
bonaria ironia, certo molto lontana dal tono col quale quasi tutti i
miei compagni di classe celebravano il loro genitore. A dimostrazione
di quest'asserzione iniziale, raccontavo un paio di episodi. Uno era
questo.
1974
– autunno inoltrato; come tutte le domeniche, si andava a camminare
in montagna; c'erano i miei genitori Cesare e Flavia, mio fratello
Marco e Carla, collega di mio padre. Quel giorno, l'altro fratello
Claudio era rimasto a Torino ospite da amici di famiglia.
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Il dubbio si cela in quella chiara oscurità |
Nel primo
pomeriggio stavamo ancora salendo verso la nostra meta di giornata
quando scese la nebbia e Cesare decise che era meglio rientrare.
Qualcuno protestò, ma era lui il responsabile e decideva per tutti.
La nebbia diventava sempre più fitta avvolgendo tutto. A pochi metri
non si vedeva niente. Era un continuo chiamarsi, voci emergevano dal
bianco nulla, da quella chiara oscurità: “Non vi allontanate!”
“Dove siete?” Tutto era magico e pauroso, quasi sovrannaturale.
Diverso. Così diverso che non riconoscevamo i posti e il dubbio,
nascosto nella nebbia, ci circondava sempre più vicino fino a
diventare certezza. Quella baita non l'avevamo mai vista: da lì non
eravamo passati. “Fermi tutti – ci siamo persi”. Mio padre
decise di tornare indietro per cercare il punto dove avevamo perso il
sentiero. La nebbia, che continuava a coprire tutto, lo inghiottì e,
mentre aspettavamo infreddoliti, la precoce sera autunnale cominciava
a calare togliendo luce. Quando mio padre riemerse, la nebbia era
ormai grigia, sul suo volto, in mezzo agli occhi una ruga di
preoccupazione. Non aveva ritrovato il sentiero. Quella ruga era
l'unico segno che traspariva. Niente scene di panico, voci concitate
o gesti nervosi. Io non ero molto preoccupato. Per me la vita era
quella, piena di situazioni strane, disagevoli ma anche di risorse
per uscirne. Ormai era tardi e il freddo, approfittando dell'umidità,
si infilava sotto i vestiti. Poco più su c'era quella baita in
pietra abbandonata e aperta. Forse un ricovero per bestie. Solo
pietra - dura, grigia e fredda. Pareti di pietre a secco, banconi di pietra e pavimento di
pietra ricoperto d'acqua. Cesare decise che avremmo passato la notte
lì, dormendo sui banconi. Il freddo era come fuori ma almeno non
entrava il vento. Ormai era buio e non c'erano alternative. I
tentativi di accendere un fuoco per riscaldarci furono inutili. Era
tutto bagnato e l'unica cosa che riuscimmo a bruciare era l'orario
dei treni di Carla. Ricordo i numerini che sparivano nel fumo
emettendo una bava di calore e un puzzo acre e penetrante che si
infilava nei pori della pelle e dei vestiti. Ci sistemammo sui
banconi di pietra. Mio padre, per scaldarmi, si appoggiò sopra di
me. Mia madre dormiva con Marco. Mi ricordo il peso di mio padre, il
rumore del suo respiro che piano piano si trasformava in un ronfo.
Lui dormiva, io no, schiacciato dal suo affetto contro la dura
pietra, infreddolito affamato e con addosso quel puzzo di carta
bruciata che infilandosi dalle narici penetrava fino alle tempie. Se
fossimo congelati ci avrebbero ritrovati in quell'abbraccio
pompeiano. La notte fu lunga e insonne ma, per fortuna, non
eccessivamente fredda. Siamo sopravvissuti. Alle prime luci del
mattino ci siamo alzati; le ossa scricchiolavano ma dovevamo muoverci
per scaldarci; la nebbia si era alzata anch'essa e … sorpresa! Ci
siamo subito resi conto che non avevamo mai perso il sentiero, ci
stavamo sopra senza riconoscerlo. Mio padre è un tonto. Era
lui il responsabile, a lui davamo tutta la colpa e lui se la prendeva
senza obiettare. Tornammo velocemente a valle, al paese, alla
stazione.
Lunedì mattina, la scuola ormai era persa, siamo andati
dagli amici di famiglia che avevano ospitato mio fratello Claudio per
la notte. Quando ci vide, le sue prime parole furono "credevo
che eravate tutti morti". Come scoprimmo anni dopo, la montagna
è davvero pericolosa e mortifera, ma non quella volta, e non tutti.
Che avventura!! Cosa disse tua padre dopo quel tema? Io non so come la prenderei.. Cioè per non andare su tutte le furie il modo di scrivere dev'essere disarmante altrimenti.. :-(((
RispondiEliminaRicordo che la maestra era perplessa (a dir poco). Per mio padre era normale, una bonaria presa in giro. Dovresti sentire allora cosa mi dicono i miei figli (e come gli rispondo ...)
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