lunedì 17 giugno 2019

Attraversando la barbagia

Quando Gianni mi ha invitato al Barbagia Crossing, avevo già intenzione di partecipare. Volevo provare la formula particolare di questa manifestazione: 103 km di percorso, una traccia e 4 punti base presidiati con possibilità di mangiare e dormire. Nient'altro. Nessuna segnatura, frecce, tempi massimi, o altro. Si viaggia dentro l'idea di due visionari, Gianni e Alessandro con una formula che riduce al minimo i vincoli. Il resto è libertà, di tempo e di spazio. Non ho nessun ruolo, sono scopa di me stesso e mi posso godere, in piena libertà, il viaggio attraverso un territorio che conosco poco e che promette molto. La traccia gps sarà integrata da tracce mentali devianti che mi porteranno più volte ad immergermi in acque freschissime o ad arrampicarmi su rocce spettacolari.
Dopo aver seguito per qualche minuto i primi ed essermi poi attardato con gli ultimi, correndo in discesa raggiungo Checco e Nicola diventando la 12esima pecora del loro gregge.
Poi, all'improvviso, resto solo col sapore di libertà che si prova lasciando la via maestra per inseguire tracce mentali; cambio anche sport, nuotando per 300 metri lungo un bellissimo canyon che risale sinuosamente il flumendosa fra rocce chiare fino ad arrivare ad una rapida per poi rientrare sempre a nuoto fino ad avere mal di braccia. Mezz'ora di libertà, di “devo vedere cosa c'è dietro quell'ansa”, di sorpresa continua ed entusiasmante, di perfetta solitudine, di parentesi freschissima in una giornata molto calda. Oltre alla meraviglia, il lungo bagno abbassa la temperatura corporea a valori ottimali, consentendomi di affrontare la salita successiva con maggior vigore.
Dopo pranzo, birra e caffè al check point di Gadoni, la digestione pesa e non mi va di correre; mi unisco a Paolo che viaggia col suo passo regolare, lo zaino enorme e un nugolo di mosche intorno alla testa. Ogni tanto una delle sue mosche viene da me ma gliela rendo subito: “scusa Paolo, questa mosca è tua” e se la riprende. Dopo aver risalito insieme un bel ruscello canterino, entriamo nel parco di texile. Le tracce mentali mi portano a lasciare Paolo per arrampicarmi sul magnifico tacco per poi inseguirlo prima che mi si scarichi completamente il gps e con lui rientriamo a Belvì verso le 18 con i primi 40 km fatti e una camera prenotata per la notte.
Mettersi a sedere al tavolo di un bar di Belvì è pericoloso. L'ospitalità barbaricina si mischia alla generosità degli amici e non si resta a bocca asciutta ma, al contrario, con tante bottiglie asciutte e il ventre colmo. Il mio apparato digerente va in affanno e quella notte soffrirò mal di pancia e la seguente mi sveglierò per vomitare. La prossima volta dovrò allenare meglio lo stomaco con sedute di peristalsi in palestra.
Per fortuna l'assenza di vincoli temporali mi consente di dormire più a lungo. Considero la sveglia un nemico della libertà e il letto mi accoglie ben oltre le 5 del mattino, ora in cui sono già tutti in piedi.
Riparto per ultimo per poi alternare magnifica solitudine con splendida compagnia; corro, aspetto e corro ancora. Conquisto la cresta del monte e poi me la godo, viaggiando con lo sguardo fra panorami immensi, mucche e cavalli semibradi con vitelli e puledri. Incontro alberi monumentali, a cui assegnerei nome e cognome tanto sono particolari e unici. Per esempio, quell'albero isolato che suona come un orologio svizzero non è “una sughera” ma “la maestosa sughera del cuculo”; è unica e se la vuoi conoscere, la trovi lì e non altrove.
Il percorso è lineare e per non perdersi basta controllare la traccia ai bivi e ricontrollarla 50 metri dopo per assicurarsi di averla interpretata bene. Si può procedere rilassati, senza bisogno di guardare in continuazione l'orologio o di unirsi a branchi al seguito di maschi alfa. Solo nei paesi i bivi sono molti e le difficoltà aumentano. Quando entro a Meana sono solo e mi viene qualche dubbio di aver mancato il check point ma poi lo trovo, quasi all'uscita del paese, accogliente come tutti gli altri. Nei check points si trova cibo in abbondanza e belle facce note, Alessandro, Gianni, Elio, Anita, Sebastiano, …, a cui si uniscono poi Ivan e Claudio, che hanno finito la loro gara e sono lì ad aiutare. Anch'io mi unisco a quel bello spirito collettivo andando al bar a comprare birre per gli amici appena arrivati, per poi bere quelle offerte dagli altri.
Al contrario di quello che succede ai podisti normali, ogni tanto sono costretto a correre perché non ce la faccio più a camminare. Dopo l'ennesima bella sosta alla sorgente freschissima di su zurru de uatzo, le gambe sono rigide e i piedi indolenziti ma dopo poche centinaia di metri di corsa, i dolori passano completamente, come se non ci fossero stati i 90 km delle ultime 30 ore. Non voglio fermarmi più, imposto una corsa leggerissima e mi tiene compagnia Silvia. Ancora un bel bosco fresco, un passaggio attraverso un gregge con maremmani che ci abbaiano minacciosi ma si tengono lontani dal mio ringhio, una salita con pendenze letali, un noce incredibilmente bello, anzi “il noce”, proprio lui, quello con i gomiti dei rami poggiati mollemente a terra; insomma gli ultimi 10 km di “piscia piscia” come li aveva definiti Gianni, ricchissimi anche loro di contenuti e si arriva al termine di questo meraviglioso viaggio.

Avanti così. Nuove idee visionarie per armonizzare sport e territorio nel modo più naturale e semplice possibile, grazie anche alla tecnologia che consente di smaterializzare la plastica della segnaletica riducendola a pochi kbyte di memoria in una microsd. Avanti così, pronti per partire dai check points con solo 1000 millilitri d'acqua, 1000 milliampere-ora di carica e la testa piena di libertà.

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