lunedì 9 marzo 2020

Quarantena

Ieri sera si è saputo che coronavirus è passato in visita, sia pure fugace, al CRS4 e per questa settimana non si va al lavoro. La prudenza mi consiglia di starmene da solo. Conosco un posto dove stare solo per bene ma mi servono cesoie per arrivarci. Mentre mi reco al brico ad acquistarle, incontro un amico che non vedevo da anni. Gli chiedo di restare ad un paio di metri di distanza, mentre ci parliamo. Saluto con un colpetto di pugno sulla spalla e parto.
In meno di un’ora sono a is cioffus. Voglio provare a risalire il canalone sulla destra per sbucare a s’arcu ’e Antoni Sanna. So che si può fare, ho visto tracce su wikiloc. Ci avevo provato oltre un anno fa andando a sbattere contro muri di rovi e di rocce. È arrivato il momento di sfogare la curiosità e riprovare. Trovo qualche segno di passaggio umano – rovi tranciati, ometti di pietra – ma sono flebili e mezzi nascosti da giovani rovi rigogliosi. La traccia non la ho perché il mio gps ha trovato riposo fra qualche cespuglio sulla cresta del Conchioru e allora procedo come un esploratore d’altri tempi, seguendo grossomodo il corso del riu is cioffus fra giungle di rovi e di oleandri, enormi alberi selvatici dall’aria aggressiva, grossi massi e con le pareti del canyon che si stringono, allargano, alzano e abbassano con movimenti repentini. Procedo lentamente, fermandomi a cercare i passaggi e a osservare i particolari, i fiori, l’acqua, gli alberi, le rocce, i rapaci che volteggiano sulla mia testa; qualche volta mi devo aiutare con le cesoie ma non trovo grosse difficoltà. Il posto è entusiasmante. Qui la wilderness della parte conosciuta della gola è elevata al quadrato. Il caos domina: le formazioni rocciose sembrano statue cubiste, i rami degli alberi si protendono con estremo disordine, i rovi formano grovigli inestricabili.
Qui i virus non entrano e neanche l’idea di epidemia è riuscita a seguirmi. Una radura concede un po’ di respiro al mio passaggio ma finisce presto. Mi devo infilare in una giungla di oleandri e ne esco di fronte ad una strettoia. Le pareti ai due lati del canyon si avvicinano fino a lasciare un paio di metri di spazio. Credo che sia il posto chiamato “su strintu de Antoni Sanna”. In mezzo scorre il torrente formando una lunga pozza che supera il metro di profondità, chiusa in fondo da una cascatella.
La parete a sinistra sembra abbordabile e provo ad arrampicarmi. A 3 metri mi trovo in difficoltà con le rocce bagnate molto scivolose. Non riesco a tornare indietro e sono costretto a salire non senza qualche rischio fin dove la pendenza diminuisce. Sono molto inquieto, non credo che riuscirei a riscendere da lì. Spero di trovare l’uscita verso l’alto ma non trovo vie facili né tracce di passaggio umano. Ormai sono lì tanto vale godermi i panorami e fare qualche foto prima di provare a mettermi in salvo. Per scrupolo, verifico che il segnale del cellulare sia assente. Non mi resta che provare a scendere. Decido di avventurarmi in un punto dove la discesa è po’ più ripida ma asciutta. Imparo che gli appigli per le mani non devono essere necessariamente a scalino; basta una sporgenza, su cui agganciare le dita, anche da sotto, per poter scendere col piede in cerca di un appoggio ed eventualmente riportarlo su se l’appoggio non ci fosse. Ecco, anche oggi ho imparato qualcosa, non c’è miglior maestro che cercare di sopravvivere. Riesco a scendere senza troppi rischi, tiro un grosso respiro di sollievo e festeggio la riuscita decidendo di affrontare la gola di petto. Ed è infatti fino al petto che mi arriva l’acqua nei punti più profondi della pozza. In fondo c’è un salto di roccia di un paio di metri che forma una bellissima cascatella. Le rocce sono scivolosissime.
Dovrei tirarmi su a forza di braccia attaccato ad un fusto di oleandro. Ma cosa troverò più su? Riuscirò a trovare un’uscita in alto o, se no, a riscendere? Sono fradicio, il cielo è vagamente minaccioso e decido che per oggi può anche bastare. Mi immergo di nuovo nell’acqua gelida per riattraversare la pozza e rientro senza eccessive difficoltà a is cioffus e poi all’auto. Quando sono a 200 metri dall’auto incomincia a piovere e sulla via del rientro, il coronavirus torna ad incombere minaccioso sull’umanità ma io sono ancora vivo. Estremamente vivo.

3 commenti: