martedì 10 dicembre 2019

Trail delle miniere - 46 km e 50 selfie di dislivello.



Le due scope e l'atleta - foto di Agnese Casu
Agnese mi cerca nel parcheggio del Brico di Elmas. Dobbiamo andare ad Iglesias per fare le “scope” alla 45 km del “trail delle miniere” e abbiamo deciso di fare insieme anche la strada in auto. “Dove sei?” Io la sto aspettando al parcheggio del supermarket di Assemini. Poco male, ce la faremo. L’alba ci sorprende sulla statale 130. Arriviamo alle 7 e mezz’ora dopo siamo già partiti.
Sa macchina becia

200 metri dopo, Agnese si ferma in preda dal panico. “Non trovo il cellulare!” Senza cellulare, impossibile fare i 50 selfie previsti. Io invece ho scordato il gps con la traccia registrata ecc. Meno male che oggi siamo due scope, perché in due riusciamo a completare un cervello normale. Comunque, il suo cellulare salta fuori, il mio gps no. Pazienza. Andiamo, che gli atleti sono in fuga!
Attraversiamo la strada asfaltata all’inseguimento di Priamo e Francesca che raggiungiamo poco dopo. Inizia la prima salita e ad un bivio mancano i nastri segnaletici. Priamo ha la traccia e lo seguiamo. Dopo qualche centinaio di metri, i nastri riprendono. Ne stacco due metà e scendo a metterli dove mancavano, per quelli della 30 che devono ancora passare da lì. L’operazione mi fa perdere una decina di minuti e devo correre all’inseguimento. Raggiungo Francesca ed Agnese poco prima di sa macchina becia – imponente edificio minerario che, sia pure in rovina, porta i segni della prosperità passata – giusto in tempo per spararci i primi selfie. Priamo, intanto, è partito in fuga e lo rivedremo solo al traguardo. “Noi siamo le scope, lei è l’atleta”. Il percorso alterna lunghi tratti di strade minerarie, dove avanziamo con una corsa molto tranquilla, a brevi intermezzi su sentieri pietrosi e ripidissime tagliafuoco dove si procede con estrema lentezza. Ho tempo di guardarmi intorno, scendendo anche nei particolari: i funghi, le pietre … . I funghi non li raccolgo, perché non sarebbe stato professionale partire col cestino. Le pietre, invece, entrano bene nel mio zainetto da trailer-scopa e la discesa di monte san Giovanni ora ha tre pietre in meno e io ho tre pietre in più.
Mi fermo a parlare con volontari e organizzatori: prima con Aldo, poi bevo una birra con Carlo, poi due chiacchiere con Stefano. Il paesaggio collinare offre viste stupende sulla costa dell’iglesiente, da sant’Antioco a Masua, ed è costellato di rovine, insieme maestose e terribili nel loro aspetto post-apocalittico, resti di una crisi che come una guerra ha lasciato cumuli di detriti. Sono vestigia di un’economia che ha devastato il territorio sia pure con qualche suggestione di grandezza che si vuole valorizzare come “archeologia mineraria”. Quest’aria post-industriale mi affascina e disturba al tempo stesso e mi appare come un’enorme cicatrice lasciata dall’uomo sul territorio. Dopo il 30esimo km, si arriva alla salita più importante. Ora si va in montagna. Il bosco ci avvolge piacevolmente e le rovine, presenti anche qui, sono ormai parte del bosco; qui la natura sta completando il suo ciclo, riprendendosi gli spazi e mi fa sentire più a mio agio.
La salita è lunga e a tratti anche dura. Guardo Francesca; è a pezzi ma i suoi pezzi continuano ad avanzare. Mi guardo in tasca cercando, senza successo, le chiavi del cancello orario delle 15:30. Ne parlo con Agnese, la dobbiamo fare arrivare: ce la può fare sia pure oltre il tempo massimo. Sguardo fisso al gps che ho dimenticato in auto pochi selfie e … marciare! Al cancello abbiamo più di mezz’ora di ritardo. I volontari non sanno bene come agire e intanto lei è già ripartita. Cosa facciamo? È già partita. Eh già. Non vi preoccupate, mi prendo io la responsabilità.
E mentre Francesca si spegne, Agnese si accende. La radio trasmette canzoni italiane con la voce di
Agnese, sempre più euforica. La sua energia inesauribile non può esplodere in una corsa veloce ma le esce da tutti i pori e le si spande intorno, trasmettendo allegria. In due, oltre a fare un cervello, facciamo il servizio scopa perfetto, sicuro ed accogliente. Si va avanti fra qualche selfie e un paio di trallallero, con lo sguardo fisso al gps che ho dimenticato in auto. Passando accanto al poligono sentiamo prima i botti degli spari e l’odore dalla polvere da sparo, poi i fischi dei proiettili. La radio interrompe la musica per trasmettere un comunicato importante: “Non ci sparate!” E parte la tregua. Francesca continua ad avanzare ma somiglia sempre più ad uno zombie; per fortuna è vegetariana e non ci fa paura. Intanto il sole tramonta, il tramonto finisce in una pozzanghera e poco dopo siamo arrivati. Sono già andati quasi tutti via, ma i pochi rimasti ci riservano un’accoglienza regale.
Qui, in fondo al gruppo, non si fa solo il percorso di gara. È come quando da ragazzi ci si rifugiava nei sedili dietro del pullman per far casino lontano dagli sguardi dell’autista; qui le occhiate storte e i mormorii di disapprovazione delle madame sedute nelle prime file arrivano attutite. Il sedile dietro arriva per ultimo ma arriva, viaggiando con leggerezza e poco meno di 10 ore di trail sono volate via così, come una canzone. Grazie Stefano, Luigi, Carlo e tutti gli altri per aver organizzato questa bella manifestazione e per avermi invitato a farne parte. Grazie Agnese e Francesca per la splendida compagnia. Spero che l’anno prossimo riusciremo a replicare con questa stessa formazione. Nei selfie c’è ancora spazio per un paio di facce … chi si unisce a noi?

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