sabato 25 maggio 2019

Sardinia Trail - L'apoteosi

Dopo il primo bellissimo sentiero a picco sul mare e una breve pausa caffè sorseggiato con i volontari di un presidio, il percorso prosegue su una sterrata che gira verso l'interno in leggera salita. Vedo un sentierino turistico con indicazione “piscinas”. Vale una deviazione? Vediamo. Dico a Giampaolo di proseguire lungo la strada da solo, che io voglio curiosare. In 200 metri raggiungo un'area picnic accanto ad un torrente. Le “piscinas” sono appena più in alto. Ecco la prima; una cascatella bassa ma ricca alimenta una bellissima piscina naturale. L'acqua mi chiama e mi ci devo buttare dentro. È troppo bello, non riesco a resistere. Vedo che più su ce ne sono altre ma sono al lavoro e non posso perdere altro tempo. È finita la licenza. Sono di servizio scopa e non posso abbandonare i miei atleti. Mi rimetto scarpe e zainetto, prendo in mano la maglietta e riparto di corsa. La salita tira e raggiungo velocemente Giampaolo che sta camminando. Più su comincia un tratto di 4 km di strada forestale quasi pianeggiante, una balconata che si affaccia a 400m di quota, sulla costa orientale. Sarebbe tutta da correre ma lui non ci riesce. È la terza tappa e sente le gambe dure. Solo ogni tanto accenna una corsetta ma poi si ferma a camminare. Sono impaziente, ho paura che di questo passo finiremo molto tardi. Temo per il tempo massimo e per tutti gli atleti e gli organizzatori che ci dovranno aspettare. A me poi dispiacerebbe arrivare quando quasi tutti fossero già andati via, senza riuscire a salutare gli amici. Cerco di non fargli percepire la mia impazienza e di distrarmi guardando il panorama. Quattro anni fa avevo corso questo tratto in compagnia di Marco Olmo, oggi sono con Giampaolo Darsiè alias “nonno Plutonio”, atleta trevigiano di 73 anni. Finalmente inizia la salita, dove, inserendo la spinta dei glutei, avevo staccato di qualche metro il grande Marco, fino al ristoro in cui ricordo che mentre mi facevo riempire il camelbak, mi aveva raggiunto e, riempiendo la borraccia al volo, senza fermarsi, mi aveva lasciato lì a guardarlo andare via. Anche Giampaolo parte prima di me. Ha già in mente il tatuaggio che si farà per celebrare la sua impresa; ha ancora un posto libero sul polpaccio da marchiare con i quattro mori.
In discesa si riprende e sul terreno tecnico va bene e, da mezz'ora che avevamo al ristoro, ci avviciniamo a soli 5 minuti dalla coppia di giovani tedeschi che ci precede. Le gambe ora girano e riesce finalmente a correre. Mi fermo al presidio del soccorso alpino perché non risulta passato un atleta. Dopo aver chiarito la situazione, parto all'inseguimento e mentre lo sto raggiungendo, lo vedo cadere. Si rialza con un gomito sanguinante e escoriazioni ad un ginocchio. “Aspettiamo che passi il mezzo del soccorso alpino …” “no, non perdiamo tempo”. Si versa l'acqua della borraccia sulla ferita e riparte. Non c'è tempo, stiamo inseguendo i tedeschi. Poco dopo, inizia l'ultima salita. Non è lunga ma sono comunque più di 100 metri di dislivello. Fa caldo. Si ferma un attimo. Si siede. Poi butta la testa all'indietro dove non c'è appoggio. Lo reggo. Capisco che ha un calo di pressione. Lo sa anche lui. Gli offro un gel che avevo raccolto in terra, caduto ad un atleta, ma lo rifiuta. La salita non è finita. Si rialza. “Vai piano, abbiamo tutto il tempo per arrivare entro le 6 ore del tempo massimo ed è meglio arrivarci vivi”. Riparte ma dopo qualche centinaio di metri si risiede e si butta indietro di nuovo. Gli reggo la testa e gliela appoggio dolcemente su sassi e cespugli. Controllo che sia cosciente. “Chiamo aiuto?” “No”. Gli alzo le gambe per agevolare l'afflusso del sangue al cervello. Giampaolo ha letto i libri di Marco e ne trae ispirazione. Non sono eroi, l'eroismo è un'altra cosa; l'eroe si sacrifica per uno scopo nobile. Qui manca lo scopo. Resta la capacità di sacrificio che, in mancanza di fanciulle da salvare dai draghi, si sfoga in questi atti di “autoeroismo”. Riparte e io lo seguo da molto vicino, pronto a sorreggerlo. Dopo aver ripetuto, altre due volte, una scena analoga, finalmente, la salita finisce. In lontananza si scorge l'arrivo. “Devi arrivare in spiaggia in buone condizioni che se ti vedessero crollare verrebbero a riprenderti con l'ambulanza”. Non c'è bisogno. Nonno Plutonio si è ripreso. Appena arrivato in spiaggia si toglie le scarpe. Non si cura dei sassolini che scalfiscono la pelle della pianta del piede. Dopo qualche minuto di camminata in spiaggia, decido anch'io di togliermi le scarpe e, visto che ci sono, di fare un breve tuffo nel frizzante mare ogliastrino. Qui, 4 anni fa, vedevo Marco Olmo circa 200 metri avanti a me e avrei voluto raggiungerlo per arrivare insieme e fargli un inchino all'arrivo ma Marco è tenace, solitario e non ama queste smancerie; mi ero avvicinato ma senza riuscire a raggiungerlo. Giampaolo invece non scappa. Da lontano non si vede nessuno. Solo l'arco. Saranno già partiti tutti? Solo quando arriviamo a cento metri dall'arco, sento la voce di Andrea che annuncia il nostro arrivo e la terrazza si popola improvvisamente; tutti gli atleti sono lì, in piedi ad applaudire. Che emozione! Sembra l'apoteosi. Mi sento quasi in paradiso. Il resto lo fa la birra.

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