Sul
pullman che da Valdagno portava a Piovene per la partenza della
“Trans d'Havet” mi sono seduto accanto al grande Marco Pajusco che mi ha detto: "se parti con l'idea di ritirarti, ti ritirerai. La
crisi arriverà; dovrai solo trovare la forza di superarla."
Quando
si oltrepassano i propri limiti, si entra in territorio ostile; le
crisi sono dei mostri che popolano quella “terra di mezzo” e
capita di incontrarli per strada. Bisogna imparare a conoscerli, se
non per farci amicizia, almeno per conviverci e non farsi divorare.
Prima
di proporvi un “programma d'allenamento” per ultra-trail, vediamo
chi sono questi mostri o, almeno, quelli che ho incontrato io.
I sette mostri – 1.
Crisi muscolare
Ad
ogni passo, quando il piede tocca terra, l'impatto col terreno crea
un'onda d'urto meccanica che si trasmette a muscoli e articolazioni.
L'energia trasmessa da quest'onda è tanto più grande quanto più è
forte l'impatto (discesa, corsa veloce, atleta pesante) e più è
“secco” l'urto (calzature poco ammortizzate, appoggio col piede
poco elastico). Le grandi masse muscolari dei quadricipiti si
deformano in modo orrendo e le fibre muscolari si rompono. Passo dopo
passo, le rotture aumentano e dopo molti chilometri i muscoli si
riducono in polpette.
Guardate come si è deformato il mio quadricipite sinistro all'impatto col suolo, scendendo a 20km/h con scarpe A1! – dettaglio da una foto di Arnaldo Aru |
Prevenzione:
scarpe ammortizzate e passo leggero. Anche i pantaloncini
“compression” potrebbero aiutare a contenere un minimo le
deformazioni. Cura: il tempo, in questo caso, non funziona: ci
vogliono circa 3 giorni perché i tessuti si riaggiustino e la gara,
a quel punto, sarà finita. Dicono che un apporto proteico o di
amminoacidi durante la gara possa aiutare ad aggiustare le fibre
rotte e infatti aiuta: vi ci vorrano solo 2 giorni e mezzo per
recuperare invece di tre. Se avete la possibilità di cambiare le
scarpe con un paio più ammortizzato, fatelo: sarà come avvolgere
nella gommapiuma il martello che vi colpisce le cosce; è sempre un
dolore ma vi piacerà molto. Altra opzione è provare a cambiare
stile di corsa. Provate a spingere con i glutei (in salita) o con i
polpacci, cambiate l'inclinazione del busto, camminate con le mani …
imparare diversi stili di corsa può essere utile sia a migliorare la
tecnica che a salvarsi in queste situazioni o, almeno, a prolungare
l'agonia.
Una
cosa sicuramente da non fare è correre la 100 km del passatore con
scarpe A1 (quelle della foto di sopra) ma io lo feci 3 volte su 3.
Ecco un estratto dalla mia esperienza del 2015.
Passo della Colla, al 48esimo km. Mi fermo
per cambiare maglia e recuperare torcia frontale e antivento per la
notte. Quando riparto, i quadricipiti fanno male. Se voglio arrivare
a Faenza devo trovare modo di scendere senza pestare troppo i muscoli
delle cosce. Provo vari passi, radenti, corti, poggiando con
l'avanpiede … ma il dolore aumenta inesorabile e i chilometri si
allungano. Mi ricordo, due anni fa, sensazioni molto simili e il
ritiro al 65esimo a Marradi. Questa volta, quando arrivo a Marradi,
voglio provare a farmi fare un massaggio e ripartire. Sono scettico
ma ci provo. Almeno a San Cassiano, al 76esimo, voglio arrivare. Dopo
il massaggio non riesco a correre. Fa troppo male. Cammino per due
lunghissimi chilometri, Bruno e Teo mi superano. La schiena di Teo mi
serve da stimolo. Provo a correre usando solo i polpacci e ci riesco!
Ma sto praticamente correndo sul posto. Teo si allontana velocemente.
Ormai è buio e, per essere visto dalle macchine che passano di
continuo, indosso la torcia frontale. Continuo a correre ma sono
lentissimo e mi superano in molti. Provo allora a cambiare
l'inclinazione della spinta … e, con mio stupore, riprendo ad
avanzare relativamente veloce.
Sono resuscitato? Così pare! Il dolore
è sotto controllo e riprendo a superare podisti; percorro dieci
chilometri in meno di un'ora e, all'80esimo sono sotto le 8 ore. Se
riuscissi a continuare così, in 10 ore arriverei. Non sarà facile,
perché i dolori gradualmente riprendono ad aumentare.
...
Ogni passo è un pugno sulla coscia.
Quando mi fermo al ristoro dell'81 km, mi rendo conto di essere anche
in crisi di zuccheri. Non posso riprendere a correre subito. Devo
prima camminare qualche minuto per digerire. Non sapevo che non avrei
più fatto neanche un passo di corsa. Spengo la torcia e la metto in
tasca. A Brisighella, all'88esimo, riprovo il massaggio, sperando di
resuscitare un'altra volta.
Lucciole, lanterne, bosoni di higgs,
(li ho visti!) la luna da dietro disegna il profilo dei pini.
Si sente, quasi assordante, il gracidio
delle rane. Cerco di trovare il fascino in tutto ciò e ci sarebbe
anche, non fosse interrotto in continuazione dal passaggio delle
macchine – rumore, fari abbaglianti, paura di non essere visto –
e dalle imprecazioni dei miei muscoli. Le lucciole si accendono ad
intermittenza, i bosoni mi si appiccicano addosso. Le speranze di
resuscitare una seconda volta si spengono progressivamente. I primi
chilometri di camminata passano più veloci di quelli di corsa perché
la sofferenza è poca. Poi, però, aumenta
....
Noia, sofferenza. Un altro chilometro
del cazzo. Sono troppo lento per trovare compagnia. Anche quelli che
camminano vanno molto più veloci di me.
...
La strada continua a colpirmi le cosce
con cattiveria.
Nessun eroismo. Solo la determinazione
di un mulo. La sofferenza di un esercito in ritirata o di un esodo
forzato. Non c'è gloria, cerco solo salvezza e riposo. Avessi due
euro mi fermerei a prendere una birra, ma sono povero. Redenzione,
penitenza ma per cosa? Cosa ho fatto di male? Non riesco a ricordare
il peccato.
Per me, finire
il passatore vuol dire finirlo correndo. Non strisciando. Perché non
mi ritiro allora?
...
Per
inerzia. Perché uno zombie non si ritira. Perché, come un esercito
in ritirata, mi sto già ritirando. O forse perché ho perso
l'autobus.
Intorno al 94esimo vedo, poco avanti,
il paese di Errano con le luci dell'ultimo ristoro. Accanto a me
passa il pullman che porta i ritirati a Faenza. Mette la freccia e si
ferma al ristoro per chiedere se ci sia qualcuno da caricare. Vorrei
poter correre per prenderlo ma non riesco. Lo vedo ripartire “Ho
perso il pullman?” Chiedo. “Nessuno si ritira ad Errano”,
rispondono i ragazzi del ristoro. “Avrei voluto essere il primo”.
Mancano ancora più di 5 km del cazzo. Sono 3 ore che cammino, ne
manca ancora più di una, interminabile. Ho perso il pullman dei
ritiri e ora mi tocca arrivare.
Gli ultimi 5 km sono segnati uno per
uno. Al 96esimo passo dopo 11h16 di corsa. Calcolo che se riesco a
scendere sotto gli 11' al km potrei finirla entro le 12 ore. Non
posso allungare il passo, mi verrebbero crampi, allora ne aumento la
frequenza. Tanti passetti dolorosi mi fanno avanzare lentamente
attraverso i viali della periferia di Faenza.
Finalmente entro in piazza. Uno del
pubblico mi affianca e mi esorta, mi dice “vai, vai!” “sto già
andando”, rispondo. Non vuole capire che sto già facendo il mio
sprint. Ecchecazzo, non si vede? Sto sfiorando i 6 km all'ora.
Spingendomi, mi fa quasi venire un crampo, poi capisce e mi lascia
tranquillo. Rispondo alle esortazioni della folla con un bel sorriso
e un gesto di ringraziamento, porto il dito alla tempia con due
tocchetti e poi lo allargo con un giro ad indicare tutti. Siamo tutti
pazzi. Tutti pazzi.
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