mercoledì 3 giugno 2015

100 km del passatore: una lunga giornata. Seconda parte

Via, si parte! Raggiungo Bruno e, insieme, cerchiamo di districarci nel gregge … dopo 6 minuti fra le belle strade del centro di Firenze, finalmente il contachilometri si muove: ora ne mancano solo 99. La strada comincia a salire gradualmente. Fa caldo; senza affanno ma con molto sudore raggiungo Teo, approfittando di una sua pisciata, e facciamo la salita insieme. I muscoli non sono brillanti, ma il ritmo è molto tranquillo. Al diciassettesimo finisce la salita, saluto Teo e scendo veloce (forse dovrei frenare ma non è peggio?) superando un centinaio di podisti fino a Borgo San Lorenzo, al km 31. Qui comincia la salita lunga; dopo la collina ecco la montagna. Fa ancora caldo. Vedo uno che corre senza maglia, lo invidio ma, pensando al nostro giudice regionale Spanedda, tengo la maglia. Poi penso che Spanedda è in Sardegna e me la tolgo anche io. Le gambe sono stanche ma per il resto sto bene. Salgo e continuo a superare. “Vai, mister muscolo” i bambini mi salutano così e ridono, qualcuno vuole il “5”, l'aria si rinfresca e sto ancora meglio. Peccato per le gambe. Sarebbe bello farla volando. Razzuolo. La salita tira sempre più. A tratti si arriva intorno al 10%. Finalmente decido anche io di fare qualche breve tratto al passo ma poi riprendo a correre e continuo a superare. Mi piace. Il bel bosco appenninico, il torrente che costeggia la strada … ecco la sorgente che ricordo dall'anno precedente. Mi fermo per riassaporare quell'acqua squisita e freschissima. Manca poco alla fine della salita. Vedo un furgoncino che precede un podista. Accanto a lui, in bici, riconosco Yader, nutrizionista della nazionale di ciclismo, e il podista, il CT Davide Cassani. Li saluto e li supero appena prima del passo della Colla, al 48esimo. Mi fermo per cambiare maglia e recuperare torcia frontale e antivento per la notte. Quando riparto, i quadricipiti fanno male. Se voglio arrivare a Faenza devo trovare modo di scendere senza pestare troppo i muscoli delle cosce. Provo vari passi, radenti, corti, poggiando con l'avanpiede … ma il dolore aumenta inesorabile e i chilometri si allungano. Mi ricordo, due anni fa, sensazioni molto simili e il ritiro al 65esimo a Marradi. Questa volta, quando arrivo a Marradi, voglio provare a farmi fare un massaggio e ripartire. Sono scettico ma ci provo. Almeno a San Cassiano, al 76esimo, voglio arrivare. Dopo il massaggio non riesco a correre. Fa troppo male. Cammino per due lunghissimi chilometri, Bruno e Teo mi superano. La schiena di Teo mi serve da stimolo. Provo a correre usando solo i polpacci e ci riesco! Ma sto praticamente correndo sul posto. Teo si allontana velocemente. Ormai è buio e, per essere visto dalle macchine che passano di continuo, indosso la torcia frontale. Continuo a correre ma sono lentissimo e mi superano in molti. Provo allora a cambiare l'inclinazione della spinta … e, con mio stupore, riprendo ad avanzare relativamente veloce.
Sono resuscitato? Così pare! Il dolore è sotto controllo e riprendo a superare podisti; percorro dieci chilometri in meno di un'ora e, all'80esimo sono sotto le 8 ore. Se riuscissi a continuare così, in 10 ore arriverei. Non sarà facile, perché i dolori gradualmente riprendono ad aumentare.
Anche la torcia frontale top di gamma dei cinesi comincia a cedere. Ad ogni passo scende di uno scattino e, in pochi secondi, arriva ad illuminare il naso. Dopo averla risollevata per 3 volte, la prendo in mano. La luce che balla, però, fa quasi venire la nausea.
Ogni passo è un pugno sulla coscia. Quando mi fermo al ristoro dell'81 km, mi rendo conto di essere anche in crisi di zuccheri. Non posso riprendere a correre subito. Devo prima camminare qualche minuto per digerire. Non sapevo che non avrei più fatto neanche un passo di corsa. Spengo la torcia e la metto in tasca. A Brisighella, all'88esimo, riprovo il massaggio, sperando di resuscitare un'altra volta.
Lucciole, lanterne, bosoni di higgs, (li ho visti!) la luna da dietro disegna il profilo dei pini.
Si sente, quasi assordante, il gracidio delle rane. Cerco di trovare il fascino in tutto ciò e ci sarebbe anche, non fosse interrotto in continuazione dal passaggio delle macchine – rumore, fari abbaglianti, paura di non essere visto – e dalle imprecazioni dei miei muscoli. Le lucciole si accendono ad intermittenza, i bosoni mi si appiccicano addosso. Le speranze di resuscitare una seconda volta si spengono progressivamente. I primi chilometri di camminata passano più veloci di quelli di corsa perché la sofferenza è poca. Poi, però, aumenta. Sotto le piante dei piedi cominciano a gonfiarsi le vesciche. Le Lunaracer, scarpe da corsa veloce, si erano adattate gentilmente alla mia corsa lenta, ma non ci stanno proprio ad essere degradate a scarpe da passeggiata.
Noia, sofferenza. Un altro chilometro del cazzo. Sono troppo lento per trovare compagnia. Anche quelli che camminano vanno molto più veloci di me.
Gli amici rallentano per tenermi compagnia. Scambiare qualche parola mi distrae dalla fatica ma, quando partono, sono contento: mi pesa troppo rallentare anche loro.
La strada continua a colpirmi le cosce con cattiveria.
Nessun eroismo. Solo la determinazione di un mulo. La sofferenza di un esercito in ritirata o di un esodo forzato. Non c'è gloria, cerco solo salvezza e riposo. Avessi due euro mi fermerei a prendere una birra, ma sono povero. Redenzione, penitenza ma per cosa? Cosa ho fatto di male? Non riesco a ricordare il peccato.
Per me, finire il passatore vuol dire finirlo correndo. Non strisciando. Perché non mi ritiro allora? “ma se, dopo il sessantacinquesimo, dovessi trovare solo sofferenza, non lascerò che questa mi trasformi in un verme per arrivare strisciando: non ho niente da dimostrare a me stesso, né ad altri.Questo pensavo e continuo a pensarlo. Perché non mi ritiro allora? Per inerzia. Perché uno zombie non si ritira. Perché, come un esercito in ritirata, mi sto già ritirando. O forse perché ho perso l'autobus.
Intorno al 94esimo vedo, poco avanti, il paese di Errano con le luci dell'ultimo ristoro. Accanto a me passa il pullman che porta i ritirati a Faenza. Mette la freccia e si ferma al ristoro per chiedere se ci sia qualcuno da caricare. Vorrei poter correre per prenderlo ma non riesco. Lo vedo ripartire “Ho perso il pullman?” Chiedo. “Nessuno si ritira ad Errano”, rispondono i ragazzi del ristoro. “Avrei voluto essere il primo”. Mancano ancora più di 5 km del cazzo. Sono 3 ore che cammino, ne manca ancora più di una, interminabile. Ho perso il pullman dei ritiri e ora mi tocca arrivare.
Gli ultimi 5 km sono segnati uno per uno. Al 96esimo passo dopo 11h16 di corsa. Calcolo che se riesco a scendere sotto gli 11' al km potrei finirla entro le 12 ore. Non posso allungare il passo, mi verrebbero crampi, allora ne aumento la frequenza. Tanti passetti dolorosi mi fanno avanzare lentamente attraverso i viali della periferia di Faenza.

Finalmente entro in piazza. Uno del pubblico mi affianca e mi esorta, mi dice “vai, vai!” “sto già andando”, rispondo. Non vuole capire che sto già facendo il mio sprint. Ecchecazzo, non si vede? Sto sfiorando i 6 km all'ora. Spingendomi, mi fa quasi venire un crampo, poi capisce e mi lascia tranquillo. Rispondo alle esortazioni della folla con un bel sorriso e un gesto di ringraziamento, porto il dito alla tempia con due tocchetti e poi lo allargo con un giro ad indicare tutti. Siamo tutti pazzi. Tutti pazzi.

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